LA GENESI, I miracoli e le predizioni secondo lo Spiritismo

Allan Kardec

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Il paradiso perduto

13. CAPITOLO II. – 9. Dio il Signore fece spuntare dal suolo ogni sorta d'alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l'albero della vita in mezzo al giardino [53] e l'albero della conoscenza del bene e del male. [Fece uscire, Jéhovah Eloim, dalla terra (min haadama) ogni albero bello a vedersi e buono a mangiarsi, e l'albero di vita (vehetz hachayim)al centro del giardino, e l'albero dellà scienza del bene e del male.]

15. Dio il Signore prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. – 16. Dio il Signore ordinò all'uomo: "Mangia pure da ogni albero del giardino, [Ordinò, Jéhovah Eloim, all'uomo (hal haadam), dicendo: Da ogni albero del giardino (hagan) tu puoi mangiare] 17. ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai" [e dell'albero della Scienza del bene e del male (oumehetz hadaat tob vara) tu non ne mangerai, perché il giorno in cui ne mangerai, tu morrai].

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[52] Accanto ad alcuni versetti si è posta la traduzione letterale del testo ebraico, che esprime più fedelmente il pensiero primitivo. E il senso allegorico ne risalta così più chiaramente.

[53] II giardino è il paradiso, nome derivato dal latino paradisus, derivato a sua volta dal greco paradeisos, giardino, orto, luogo piantato ad alberi. Il corrispondente termine ebraico usato nella Genesi è hagan.
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14. CAPITOLO III. – 1. Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio il Signore aveva fatti. Esso disse alla donna: "Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?" [E il serpente (nâhâsch) era più astuto di tutti gli animali terrestri che Jéhovah Eloim aveva fatto; esso disse alla donna (el haischa): È questo che ha detto Eloim: Voi non mangerete da alcun albero del giardino?] 2. La donna rispose al serpente: "Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; [Ella, la donna, disse al serpente: Il frutto (miperi) degli alberi del giardino noi possiamo mangiare.] 3. ma del frutto dell'albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: 'Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete'". – 4. Il serpente disse alla donna: "No, non morirete affatto; – 5. ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenzadel bene e del male".

6. La donna osservò che l'albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l'albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò. [Ella, la donna, vide che esso, l'albero, era buono come nutrimento e che l'albero era incomparabile per comprendere (leaskil), ed ella prese del suo frutto ecc.]

8.Poi udirono la voce di Dio il Signore, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l'uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza di Dio il Signore fra gli alberi del giardino.

9. Dio il Signore chiamò l'uomo e gli disse: "Dove sei?" – 10. Egli rispose: "Ho udito la tua voce nel giardino e ho avuto paura, perché ero nudo, e mi sono nascosto". – 11. Dio disse: "Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai forse mangiato del frutto dell'albero, che ti avevo comandato di non mangiare?" – 12. L'uomo rispose: "La donna che tu mi hai messa accanto, è lei che mi ha dato del frutto dell'albero, e io ne ho mangiato." – 13. Dio il Signore disse alla donna: "Perché hai fatto questo?" La donna rispose: "Il serpente mi ha ingannata e io ne ho mangiato".

14. Allora Dio il Signore disse al serpente: "Poiché hai fatto questo, sarai il maledetto fra tutto il bestiame e fra tutte le bestie selvatiche! Tu camminerai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. – 15. Io porrò inimicizia fra te e là donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno".

16. Alla donna disse: "Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te". – 17. Ad Adamo disse: "Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall'albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. – 18. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l'erba dei campi; – 19. mangerai il pane con il sudore del tuo volto,finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai".

20. L'uomo chiamò sua moglie Eva, perché è stata la madre di tutti i viventi.

21. Dio il Signore fece ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì. – 22. Poi Dio il Signore disse: "Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell'albero della vita, ne mangi e viva per sempre". [Disse Jéhovah Eloim: Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi per la conoscenza del bene e del male; e ora può tendere la mano e prendere dall'albero della vita (veata pen ischlach yado velakach mehetz hachayim); egli ne mangerà e vivrà eternamente.]

23. Perciò Dio il Signore mandò via l'uomo dal giardino d'Eden, perché lavorasse la terra da cui era stato tratto. – 24. Così egli scacciò l'uomo e pose a oriente del giardino d’Eden i cherubini [54] che vibravano da ogni parte uma spada fiammeggiante per custodire la via dell'albero della vita.

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[54] Dall'ebraico cherub, keroub, bue, charab, lavorare: angeli del secondo coro della prima gerarchia, che erano rappresentati con quattro ali, quattro facce e con zampe di bue.
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15. Sotto un'immagine puerile e talvolta ridicola, se ci si limita alla forma, l'allegoria nasconde spesso le più grandi verità. È forse questa, a prima vista, una favola più assurda di quella di Saturno, un dio che divora pietre, ch'egli scambia per suoi figli? Ma, contemporaneamente, che cosa di più profondamente filosofico e vero di questa figura, se ne cerchiamo il senso morale? Saturno è la personificazione del tempo. Essendo tutte le cose opera del tempo, egli è il padre di tutto ciò che esiste, nondimeno tutto si distrugge con il tempo. Saturno che divora pietre è l'emblema della distruzione, attraverso il tempo, dei corpi più duri, che sono suoi figli, poiché essi si sono formati con il tempo. E chi sfugge a tale distruzione secondo questa stessa allegoria? Giove, l'emblema dell'intelligenza superiore, del principio spirituale che è indistruttibile. Quella immagine del tempo è anzi così naturale che, nel linguaggio attuale, senza allusione alcuna alla Favola antica, di una cosa che si è deteriorata a lungo andare si dice che è stata divorata dal tempo, erosa e devastata dal tempo.

Tutta la mitologia pagana non è, in realtà, che un vasto quadro allegorico dei diversi aspetti buoni e cattivi dell'umanità. Per chi ne cerca lo spirito, è un corso completo della più alta filosofia, come accade con le nostre favole moderne. L'assurdo stava nel prendere la forma per la sostanza.

16. Altrettanto avviene con la Genesi, dove bisogna vedere grandi verità morali sotto delle figure materiali, che, se prese alla lettera, sarebbero tanto assurde quanto se, nelle nostre favole, si prendessero alla lettera le scene e i dialoghi attribuiti agli animali.

Adamo è la personificazione dell'umanità. La sua colpa individualizza la fragilità dell'uomo, nel quale predominano gli istinti materiali a cui egli non sa resistere. [55]

L'albero, come albero di vita, è l'emblema della vita spirituale; come albero della scienza è l'emblema della coscienza del bene e del male che l'uomo acquisisce, attraverso lo sviluppo della sua intelligenza e quello del libero arbitrio, in virtù del quale egli sceglie tra l'uno e l'altro. Esso indica il punto in cui l'anima dell'uomo, cessando di essere guidata dai soli istinti, prende possesso della sua libertà e s'imbatte nella responsabilità dei suoi atti.

Il frutto dell'albero è l'emblema dell'oggetto dei desideri materiali dell'uomo; è l'allegoria della cupidigia e della concupiscenza; esso riassume in un'unica figura i motivi che trascinano al male. Mangiarne vuol dire soccombere alla tentazione. L'albero si erge in mezzo al giardino di delizie, per dimostrare che la seduzione si trova in seno ai piaceri stessi e per ricordare che, se l'uomo privilegia maggiormente le gioie materiali, si lega alla Terra e si allontana dal suo destino spirituale. [56]

La morte di cui l'uomo è minacciato, nel caso egli infranga la proibizione che gli è stata rivolta, è un avvertimento circa le inevitabili conseguenze fisiche e morali, che la violazione delle leggi divine comporta, leggi che Dio ha scolpito nella sua coscienza. È ben evidente che qui non si tratta della morte corporale, poiché dopo la sua colpa Adamo visse ancora assai a lungo, bensì della morte spirituale, ovverossia della perdita dei beni che risultano dall'avanzamento morale, perdita di cui la sua espulsione dal giardino di delizie è l'immagine.

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[55] È oggi perfettamente riconosciuto che la parola ebraica haadam non è un nome proprio; essa infatti significa l'uomo in generale, l'umanità, la qual cosa distrugge completamente l'impalcatura costruita sulla personalità di Adamo.

[56] In nessun testo, il frutto è individualizzato nella mela; questo termine si trova soltanto nelle versioni infantili. Il termine del testo ebraico è peri, che ha le medesime accezioni che in francese, senza alcuna specificazione della specie cui il frutto appartiene, e può essere preso in senso materiale, morale e allegorico, in senso proprio e figurato. Presso gli Israeliti, non c'è un'interpretazione obbligatoria; quando una parola ha molte accezioni, ciascuno la intende come vuole, purché l'interpretazione non sia contraria alle regole grammaticali. La parola peri è stata tradotta in latino con malum, che si applica tanto a mela quanto a qualsiasi altra specie di frutto. Malum deriva dal greco mélon, participio del verbo mélo, interessare, curare, attirare.

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17. Il serpente, al giorno d'oggi, è ben lontano dal passare per il simbolo dell'astuzia. Qui è più in rapporto alla sua sagoma che al suo carattere; qui esso è un'allusione alla perfidia dei cattivi consigli che, come il serpente, s'insinuano, e di cui sovente, proprio per questa ragione, non si diffida. D'altronde, se il serpente, per aver ingannato la donna, è stato condannato a strisciare sul ventre, ciò vorrebbe dire che prima esso aveva delle zampe. E, allora, non si trattava più di un serpente. Perché dunque imporre alla fede semplice e ingenua dei bambini, come fossero delle verità, allegorie tanto evidenti, le quali falsando il loro giudizio, fanno sì ch'essi più tardi guarderanno alla Bibbia come a un tessuto di favole assurde?

È da notare, inoltre, che la parola ebraica nâhâsch,tradotta con la parola serpente, viene dalla radice nâhâsch che significa: fare incantesimi, divinare le cose occulte, potendo poi significare: incantatore, indovino. La si trova, in questa accezione, nella stessa Genesi, capitolo XLIV, versetti 5 e 15, a proposito della coppa, che Giuseppe fece nascondere nel sacco di Beniamino: "Non è quella la coppa dalla quale il mio signore beve e di cui si serve per trarre presagi (nâhâsch)? [57] Avete fatto male a fare questo!" — "Che azione è questa che avete fatto? Non lo sapete che un uomo come me ha il potere di indovinare (nâhâsch)?" Nel libro dei Numeri, capitolo XXIII, versetto 23: "In Giacobbe non c'è magia, in Israele non c'è divinazione; a suo tempo viene detto a Giacobbe e a Israele qual è l'opera che Dio compie". In seguito, la parola nâhâsch ha preso anche il significatodi serpente, rettile che gli incantatori pretendevano di incantare, o di cui essi si servivano nei loro incantesimi.

È soltanto nella versione dei Settanta, i quali, secondo Hutcheson, hanno corrotto il testo ebraico in molti punti, — scritta in greco nel secondo secolo prima dell'era cristiana, che la parola nâhâsch è stata tradotta con serpente. Le inesattezze di questa versione sono dovute, senza dubbio, alle modifiche che la lingua ebraica aveva nel frattempo subite. Infatti, l'ebraico di Mosè era a quel tempo una lingua morta, che differiva dall'ebraico volgare, così come il greco antico e l'arabo letterario differiscono dal greco e dall'arabo moderni. [58]

È perciò probabile che Mosè volesse rappresentare, come seduttore della donna, il desiderio indiscreto di conoscere le cose occulte, desiderio suscitato dallo Spirito di divinazione, il che si accorda con il significato primitivo della parola nâhâsch, divinare. E, d'altronde, ciò si accorda anche con queste parole: "Dio sa che non appena avrete mangiato di questo frutto, i vostri occhi si apriranno, e voi sarete come degli dei. Ella, la donna, vide che era invidiabile quell'albero per comprendere (léaskil), e prese del suo frutto". Non bisogna dimenticare che Mosè voleva proscrivere, presso gli Ebrei, l'arte della divinazione — che era in uso tra gli Egizi — come dimostra la sua proibizione di interrogare i morti e lo Spirito di Pitone (Il Cielo e l'Inferno, cap. XI).

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[57] Da questo fatto si potrebbe dedurre che la medianità per mezzo della coppa d'acqua fosse conosciuta dagli Egiziani (Rivista Spiritista, giugno 1868, p. 161).

[58] II termine nâhâsch esisteva nella lingua egiziana, con il significato di negro, probabilmente perché i negri avevano il dono degli incantesimi e della divinazione. È forse anche per questo che le sfingi, di origine assira, venivano rappresentate in figura di negro.
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18. Il passo in cui è detto: "Il Signore passeggiava nel paradiso, dopo mezzogiorno, mentre si levava un dolce vento" è un'immagine ingenua e alquanto puerile, come la critica non ha mancato di segnalare. Ma tale immagine non ha nulla che debba sorprenderci, se ci si riporta all'idea che gli Ebrei dei tempi primitivi si facevano della Divinità. Per quelle intelligenze rozze, incapaci di concepire delle astrazioni, Dio doveva rivestire una forma concreta, e di tutto perciò essi facevano riferimento all'umanità, poiché era il solo punto da essi conosciuto. Mosè perciò parlava loro come a dei fanciulli, attraverso immagini percettibili. Nel caso di cui si tratta, Dio era la potenza sovrana personificata, come i Pagani personificavano, sotto figure allegoriche, le virtù, i vizi e le idee astratte. Più tardi gli uomini hanno spogliato della sua forma l'idea, come il bambino, divenuto adulto, cerca il senso morale nei racconti con cui lo si è cullato Occorre dunque considerare quel passo come un'allegoria in cui la Divinità sorveglia di persona gli oggetti della Sua creazione. Il grande rabbino Wogue lo traduce così: "Essi udirono la voce dell'Eterno Dio, percorrere il giardino dal lato donde viene il giorno".

19. Se la colpa di Adamo è letteralmente quella di aver mangiato un frutto, essa non potrebbe incontestabilmente — per la sua natura quasi puerile — giustificare il rigore con cui tale colpa è stata punita. Né, più razionalmente, si potrebbe ammettere che questo sia proprio il fatto quale generalmente si suppone; altrimenti Dio, considerando questo fatto come un crimine imperdonabile, avrebbe condannato la sua stessa opera, poiché Egli aveva creato l'uomo per la propagazione.

Se Adamo avesse inteso in questo senso la proibizione di toccare il frutto di quell'albero e vi si fosse scrupolosamente attenuto, dove sarebbe l'umanità e che ne sarebbe stato dei disegni del Creatore?

Dio non aveva creato Adamo ed Eva perché restassero soli sulla Terra. E prova ne sono le parole stesse ch'Egli indirizza loro immediatamente dopo che erano stati formati, quando si trovavano ancora nel paradiso terrestre: "Dio li benedisse; e Dio disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta" (Genesi 1:28). Poiché la moltiplicazione dell'uomo era una legge già nel paradiso terrestre, la loro espulsione non può aver avuto come causa il fatto supposto.

Ciò che ha dato credito a questa supposizione è il sentimento di vergogna da cui Adamo ed Eva sono stati presi alla vista di Dio e che li ha portati a nascondersi. Ma questa stessa vergogna è una figura di comparazione: essa simboleggia la confusione che ogni colpevole prova in presenza di colui che egli ha offeso.

20. Qual è allora, in definitiva, questa colpa così grande che ha potuto colpire con la dannazione eterna tutti i discendenti di colui che l'ha commessa? Caino, il fratricida, non fu trattato così severamente. Nessun teologo ha potuto definire tale colpa logicamente, perché tutti, non allontanandosi dal testo alla lettera, si sono ritrovati a girare in un circolo vizioso.

Oggi noi sappiamo che questa colpa non è un atto isolato, una colpa personale limitata a un solo individuo, ma che essa comprende, sotto un unico gesto allegorico, l'insieme delle prevaricazioni di cui può rendersi colpevole l'umanità ancora imperfetta della Terra, e che si possono riassumere in queste parole: infrazione alla legge di Dio. Ecco perché la colpa del primo uomo, simbolizzando egli l'umanità, è simbolizzata essa stessa da un atto di disobbedienza.

21. Dicendo ad Adamo ch'egli trarrà il suo nutrimento dalla terra, col sudore della sua fronte, Dio simbolizza l'obbligo del lavoro. Ma perché Dio fa del lavoro una punizione? Che ne sarebbe dell'intelligenza dell'uomo, se egli non la sviluppasse attraverso il lavoro? Che ne sarebbe della terra, se essa non fosse fecondata, trasformata, bonificata dal lavoro intelligente dell'uomo?

È detto (Genesi 2:5): "Dio il Signore non aveva fatto piovere sulla terra, e non c'era alcun uomo per coltivare il suolo". Queste parole, accostate a queste altre: Riempite la Terra, dimostrano che l'uomo era, fin dall'origine, destinato a occupare tutta la Terra e a coltivarla; e dimostrano inoltre che il paradiso non era un luogo circoscritto su un angolo del globo. Se la coltivazione della terra doveva essere una conseguenza della colpa di Adamo, ne sarebbe risultato che, se Adamo non avesse peccato, la Terra sarebbe rimasta incolta, e i progetti di Dio non sarebbero stati realizzati.

Perché Dio dice alla donna che, poiché ha commesso l'errore, partorirà nel dolore? Com'è possibile che il dolore del parto sia un castigo, dal momento che è una conseguenza dell'organismo e che è fisiologicamente provato che tale dolore è necessario? In che modo una cosa, che è secondo le leggi della natura, può essere una punizione? È ciò che i teologi non hanno ancora spiegato, ed è ciò che non potranno spiegare fin quando non abbandoneranno il punto di vista in cui si sono collocati. Tuttavia quelle, parole, che sembrano così contraddittorie, possono essere giustificate.

22. Prima di tutto osserviamo che se, al momento della creazione di Adamo ed Eva, la loro anima fosse stata appena tratta dal nulla, come ci viene insegnato, essi avrebbero dovuto essere dei novizi in tutte le cose; non avrebbero cioè dovuto sapere che cosa vuol dire morire. Poiché erano soli sulla Terra, fin tanto che vissero nel paradiso terrestre, essi non avevano visto nessuno morire. Come, dunque, avrebbero potuto comprendere in che cosa consisteva la minaccia di morte che Dio faceva loro? Come Eva avrebbe potuto comprendere che partorire nel dolore sarebbe stata una punizione, dal momento che, essendo appena nata alla vita, ella non aveva mai avuto figli ed era anche la sola donna al mondo?

Le parole di Dio non dovevano perciò avere alcun senso per Adamo ed Eva. Appena tratti dal nulla, essi certamente non sapevano né perché né come ne fossero usciti. E certamente non comprendevano né il Creatore né lo scopo della proibizione che veniva loro fatta. Senza alcuna esperienza delle condizioni della vita, essi hanno peccato come dei bambini, i quali agiscono senza discernimento. Ciò rende ancora più incomprensibile la terribile responsabilità che Dio ha fatto pesare su di loro e sull'umanità tutta intera.

23. Ciò che per la teologia è un vicolo cieco, viene dallo Spiritismo spiegato, senza alcuna difficoltà e in maniera razionale, attraverso l'anteriorità dell'anima e la pluralità delle esistenze. Senza questa legge tutto è mistero e anomalia nella vita dell'uomo. Infatti, ammettiamo che Adamo ed Eva abbiano già vissuto, tutto allora si trova giustificato: Dio non parla loro come a dei fanciulli, ma come a degli esseri in condizioni di comprenderLo e che Lo comprendono, prova evidente ch'essi hanno un'esperienza anteriore. Ammettiamo, inoltre, ch'essi abbiano vissuto in un mondo più avanzato e meno materiale del nostro, dove il lavoro dello Spirito suppliva al lavoro del corpo. Ammettiamo che, per la loro ribellione alla legge di Dio, rappresentata dalla disobbedienza, essi ne siano stati esclusi ed esiliati, per punizione, sulla Terra, dove l'uomo, in conseguenza della natura del globo, è costretto a un lavoro corporale. Ammettendo tutto ciò, Dio aveva ragione di dir loro: Nel mondo in cui tu andrai ormai a vivere, "Il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno... Mangerai il pane con il sudore del tuo volto..." e rivolto alla donna: "Con dolore partorirai figli," perché tale è la condizione di quel mondo (vedere cap. XI, n. 31 e ss.).

Il paradiso terrestre, di cui inutilmente si sono cercate le tracce sulla Terra, era dunque il simbolo del mondo felice dove aveva vissuto Adamo, o piuttosto la razza degli Spiriti di cui egli è la personificazione. La cacciata dal paradiso segna dunque sia il momento in cui questi Spiriti sono venuti a incarnarsi fra gli abitanti di questo mondo, sia il cambiamento di situazione che ne è stato la conseguenza. L'angelo armato di una spada fiammeggiante, che difende l'entrata del paradiso, simboleggia l'impossibilità in cui si trovano gli Spiriti dei mondi inferiori di penetrare nei mondi superiori prima di avere meritato ciò attraverso la loro purificazione (vedere più avanti il cap. XIV, n. 8 e ss.).

24. Caino (dopo la morte di Abele) disse al Signore: "Il mio castigo è troppo grande perché io possa sopportarlo. —Tu oggi mi scacci da questo suolo e io sarò nascosto lontano dalla tua presenza, sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, così chiunque mi troverà, mi ucciderà". — Ma il Signore gli disse: "Ebbene, chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui". 'Il Signore mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse.

Caino si allontanò dalla presenza del Signore e si stabilì nel paese di Nod, a oriente di Eden. Poi Caino conobbe sua moglie, che concepì e partorì Enoc. Quindi si mise a costruire una città, a cui diede il nome di Enoc, dal nome di suo figlio. (Genesi 4:13-17)

25. Se ci si riferisce alla traduzione alla lettera della Genesi, ecco a quali conseguenze si arriva: Adamo ed Eva erano soli nel mondo, dopo la loro espulsione dal paradiso terrestre; solo posteriormente ebbero i due figli Caino e Abele. Orbene Caino, dopo aver ucciso suo fratello ed essersi ritirato in un'altra regione, non rivide più suo padre e sua madre, i quali rimasero di nuovo soli. È solo molto tempo dopo che, all'età di centotrent'anni, Adamo ebbe un terzo figlio, chiamato Seth. Dopo la nascita di Seth, egli visse ancora, secondo la genealogia biblica, ottocento anni, ed ebbe figli e figlie.

Quando Caino andò a stabilirsi a oriente dell'Eden, non c'erano dunque sulla Terra che tre persone: suo padre e sua madre, e lui che, dal canto suo, stava solo. Tuttavia egli ebbe una donna e un bambino. Quale poteva mai essere questa donna e dove egli aveva potuto trovarla? Il testo ebraico dice: Egli stava costruendo una città, e non costruì, la qual cosa indica un'azione presente e non ulteriore. Ma una città presuppone degli abitanti, poiché non è da supporre che Caino l'abbia costruita per sé, per sua moglie e per suo figlio, né che abbia potuto edificarla da solo.

Bisogna quindi dedurre, da questo racconto, che la regione fosse popolata. Però non poteva esserlo da parte dei discendenti di Adamo, che allora non aveva altri che Caino.

La presenza di altri abitanti risulta egualmente da queste parole di Caino: "Sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, così chiunque mi troverà mi ucciderà", e dalla risposta che gli dà Dio. Da chi poteva egli temere d'essere ucciso? E a che pro il segno che Dio mise su di lui per proteggerlo, dal momento che non avrebbe dovuto incontrare nessuno? Se dunque sulla Terra c'erano altri uomini al di fuori della famiglia di Adamo, il fatto è che c'erano prima di lui. Da ciò si deduce questa conseguenza, tratta dallo stesso testo della Genesi: Adamo non è né il primo né l'unico padre del genere umano (vedere cap. XI, n. 34). [59]

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[59] Questa idea non è nuova. La Peyrère, saggio teologo del diciassettesimo secolo, nel suo libro sui Preadamiti, scritto in latino e pubblicato nel 1655, ha tratto dal testo stesso della Bibbia, snaturato dalle traduzioni, la prova evidente che la Terra era popolata prima della venuta di Adamo. Questa è, al giorno d'oggi, l'opinione di molti illuminati ecclesiastici.
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26. Occorrevano le conoscenze che lo Spiritismo ha apportato — abbordando i rapporti del principio spirituale e del principio materiale — riguardo alla natura dell'anima, alla sua creazione in stato di semplicità e ignoranza, alla sua unione con il corpo, al suo cammino progressivo e indefinito attraverso esistenze consecutive e attraverso i mondi che sono altrettanti gradini sulla via del perfezionamento, al suo affrancamento graduale dall'influenza della materia attraverso l'uso del suo libero arbitrio, alla causa delle sue inclinazioni buone o cattive e delle attitudini, al fenomeno della nascita e della morte, allo stato dello Spirito nella erraticità e, infine, riguardo all'avvenire che è il premio dei suoi sforzi per migliorarsi e della sua perseveranza nel bene: occorrevano queste conoscenze per gettare la luce su tutte le parti della Genesi spirituale.

Grazie a questa luce, l'uomo sa ormai da dove viene e dove va, perché è sulla Terra e perché soffre. Sa che il suo avvenire è nelle sue mani e che la durata della sua prigionia sulla Terra dipende da lui stesso. La Genesi, allontanatasi dall'allegoria limitata e gretta, gli appare grande e degna della maestà, della bontà e della giustizia del Creatore. Considerata da questo punto di vista, la Genesi turberà l'incredulità e trionferà.