Rivoluzioni generali o parziali
1. I periodi geologici
segnano le fasi dell'aspetto generale del globo, in seguito alle sue
trasformazioni. Ma se si eccettua il periodo diluviale, che possiede le
caratteristiche dello sconvolgimento improvviso, tutti gli altri periodi
sono trascorsi lentamente e senza brusche transizioni. Per tutto il
tempo che gli elementi costitutivi del globo hanno impiegato ad assumere
il loro assetto definitivo, i cambiamenti devono essere stati generali.
Una volta consolidatasi la base, non devono essersi prodotte che delle
modifiche parziali sulla superficie.
2.
Oltre alle rivoluzioni generali, la Terra ha sperimentato un gran
numero di perturbazioni locali, che hanno mutato l'aspetto di certe
regioni. Come per le altre perturbazioni, due sono le cause che vi hanno
contribuito: il fuoco e l'acqua.
Il fuoco vi ha contribuito:
sia a causa delle eruzioni vulcaniche, che hanno sepolto sotto spessi
strati di cenere e lava le terre circostanti, facendo scomparire le
città e i loro abitanti; sia a causa dei terremoti o dei sollevamenti
della crosta solida, i quali hanno convogliato le acque verso le zone
più basse; sia a causa dell'affossamento di questa stessa crosta in
certe zone di estensione più o meno grande, dove le acque sono
precipitate, lasciando allo scoperto altri terreni. È così che alcune
isole sono sorte in mezzo all'Oceano, mentre altre sono scomparse; che
porzioni di continenti sono stati separati e hanno formato delle isole;
che bracci di mare, messi in secca, hanno riunito alcune isole ai
continenti.
L'acqua vi ha contribuito: sia a causa
dell'irruzione o del ritrarsi del mare su certe coste; sia a causa delle
frane che, arrestando i corsi d'acqua, hanno formato dei laghi; sia a
causa degli straripamenti e delle inondazioni; sia, infine, a causa
degli interramenti formatisi alla foce dei fiumi. Questi interramenti,
respingendo il mare, hanno creato nuovi territori: tale è l'origine del
delta del Nilo o Basso Egitto, del delta del Rodano o Camargue.
Età delle montagne
3. L'analisi
dei terreni squarciati dal sollevamento delle montagne e quella degli
strati che ne formano i contrafforti permette di determinare la loro età
geologica. Per età geologica delle montagne non bisogna intendere il
numero di anni della loro esistenza, ma il periodo durante il quale esse
si sono formate e, pertanto, la loro relativa anzianità. Sarebbe un
errore credere che questa anzianità sia in ragione della loro altezza
oppure della loro natura esclusivamente granitica, visto che la massa di
granito, sollevandosi, può avere perforato e separato gli strati
sovrapposti.
Si è così costatato, attraverso l'osservazione,
che i monti dei Vosgi, della Bretagna e della Costa d'Oro, in Francia,
che non sono affatto elevati, appartengono alle più antiche formazioni.
Essi datano dal periodo di transizione e sono anteriori ai depositi
carboniferi. Il Giura si è formato verso la metà del periodo secondario
ed è contemporaneo dei rettili giganteschi. I Pirenei si sono formati
più tardi, all'inizio del periodo terziario. Il Monte Bianco e il gruppo
delle Alpi occidentali sono posteriori ai Pirenei e datano dalla metà
del periodo terziario. Le Alpi orientali, che comprendono le montagne
del Tirolo, sono ancora più recenti, perché non si sono forniate che
verso la fine del periodo terziario. Alcune montagne dell'Asia sono
posteriori o contemporanee al periodo diluviale. Questi sollevamenti
hanno senz'altro dovuto dar luogo a grandi perturbazioni locali e a
inondazioni più o meno considerevoli, a causa dello spostamento delle
acque, dell'interruzione e del cambiamento del corso dei fiumi. [39]
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[39] Il secolo passato offre un notevole esempio di un fenomeno di
questo genere. A sei giorni di marcia da Città del Messico, si trovava,
nel 1750, una zona fertile e ben coltivata, dove crescevano in
abbondanza il riso, il mais e le banane. Nel mese di giugno, spaventosi
terremoti sconvolsero il suolo e si ripeterono senza tregua per due mesi
interi. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre, la terra ebbe una
violentissima scossa. Un terreno di parecchie leghe di estensione si
sollevò a poco a poco e finì per raggiungere un'altezza di 500 piedi, su
una superficie di 10 leghe quadrate. Il terreno ondeggiava come le onde
del mare sotto il mugghiare della tempesta; migliaia di cumuli di
terreno si sollevavano e s'inabissavano di volta in volta. Alla fine si
spalancò un crepaccio di quasi 3 leghe; fumo, fuoco, pietre roventi e
cenere furono lanciati a un'altezza incredibile. Da questa immensa
voragine sorsero sei montagne, fra le quali un vulcano, cui è stato dato
il nome di Jorullo, si eleva oggi a 550 metri sopra l'antica pianura. Nel momento in cui incominciarono le vibrazioni del suolo, i due fiumi Cuitimba e San Pedro, rifluendo
all'indietro, inondarono tutta la pianura occupata oggi dal vulcano
Jorullo; ma nel suolo che sempre s'innalzava, si aprì una voragine e li
inghiottì. Essi riapparvero a ovest, in un punto molto distante dal loro
antico letto (Louis Figuier, La Terra prima del diluvio).
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