LA GENESI, I miracoli e le predizioni secondo lo Spiritismo

Allan Kardec

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Capitolo II - DIO



Esistenza di Dio

1. Essendo Dio la causa prima di ogni cosa, il punto di partenza di tutto e il perno sul quale poggia l'edificio della creazione, è importante considerare innanzitutto queste cose.

2. È principio elementare che si giudichi una causa dai suoi effetti, quand'anche la causa non si veda.

Se un uccello che fende l'aria viene raggiunto da piombo mortale, si ritiene che un abile tiratore l'abbia colpito, benché il tiratore non si veda. Non sempre, dunque, è necessario aver visto una cosa per sapere che esiste. In tutto, è osservandone gli effetti che si giunge alla conoscenza delle cause.

3. Un altro principio egualmente elementare, e passato ad assioma in virtù della sua verità, è quello secondo cui ogni effetto intelligente deve avere una causa intelligente.

Se si domandasse chi è il costruttore di un certo ingegnoso meccanismo, che cosa si penserebbe di colui il quale rispondesse che si è fatto completamente da solo? Allorché si guardi un capolavoro dell'arte o dell'industria, si dice che questo deve essere il prodotto di un uomo di genio, perché solo un'alta intelligenza ha potuto presiedere alla sua concezione. Nondimeno si pensa che un uomo ha dovuto farlo, perché si sa che la cosa non è al di sopra della capacità umana. A nessuno, però, verrà l'idea di dire che essa è uscita dalla mente di un idiota o di un ignorante, e ancor meno ch'essa è il lavoro di un animale o il prodotto del caso.

4. Ovunque, si riconosce la presenza dell'uomo dalle sue opere. L'esistenza degli uomini antidiluviani non sarebbe provata soltanto attraverso i fossili umani, ma anche, e con altrettanta certezza, dalla presenza, nei terreni di quell'epoca, di oggetti lavorati dagli uomini. Il frammento di un vaso, una pietra tagliata, un'arma, un mattone basteranno per attestare la loro presenza. Dalla rozzezza o dall'accuratezza del lavoro si riconoscerà il grado di intelligenza e di avanzamento di coloro che l'hanno compiuto. Se, dunque, trovandovi in un paese abitato esclusivamente da selvaggi, scopriste una statua degna di Fidia, voi non esitereste a dire che, poiché dei selvaggi non sarebbero stati capaci di scolpirla, essa deve essere necessariamente l'opera di una intelligenza superiore a quella dei selvaggi.

5. Ebbene, gettando uno sguardo attorno a noi, sulle opere della natura, osservando la previdenza, la saggezza e l'armonia che presiedono a tutte queste opere, noi riconosciamo che non ve n'è nessuna che non superi i limiti dell'intelligenza umana, a meno che non si voglia affermare che esistono degli effetti senza causa.

6. A questo, alcuni contrappongono il ragionamento che qui riportiamo:

Le opere dette della natura sono prodotte da forze materiali che agiscono meccanicamente in base alle leggi di attrazione e di repulsione; le molecole dei corpi inerti si aggregano e si disgregano sotto il potere di queste leggi. Le piante nascono, germogliano, crescono e si moltiplicano sempre allo stesso modo, ciascuna nella sua specie, in virtù di quelle stesse leggi; ciascun soggetto è simile a quello da cui è nato. La crescita, la fioritura, la fruttificazione e la colorazione sono subordinate a cause materiali, quali il calore, l'elettricità, la luce, l'umidità ecc. Lo stesso è per gli animali. Gli astri si formano a causa dell'attrazione molecolare e si muovono perpetuamente nelle loro orbite per effetto della gravitazione. Questa regolarità meccanica nell'impiego delle forze naturali non dimostra affatto una intelligenza libera. L'uomo muove il suo braccio quando vuole e come vuole, ma colui che lo muovesse sempre nello stesso senso dalla nascita alla morte sarebbe un automa. Orbene, le forze organiche della natura sono puramente automatiche.

Tutto ciò è vero. Ma queste forze sono degli effetti che devono pur avere una causa, e nessuno pretende che esse costituiscano la Divinità. Esse sono materiali e meccaniche; di per sé stesse non so no affatto intelligenti, e questo è ancora vero. Ma vengono messe in azione, distribuite e adattate alle necessità di ogni cosa da una intelligenza che non è quella degli uomini. L'utile applicazione di queste forze è un effetto intelligente che denota una causa intelligente. Un pendolo si muove con una regolarità automatica, ed è in questa regolarità che sta il merito. È tutta materiale la forza che lo fa muovere e non ha nulla di intelligente. Ma che cosa sarebbe questo pendolo se una intelligenza non avesse combinato, calcolato e distribuito l'impiego di questa forza per farlo andare con precisione? Per il fatto che l'intelligenza non risiede nel meccanismo del pendolo, e per il fatto che non la si vede, sarebbe razionale concludere ch'essa non esiste? Giudichiamola dai suoi effetti.

L'esistenza dell'orologio attesta l'esistenza dell'orologiaio; l'ingegnosità del meccanismo attesta l'intelligenza e l'abilità dell'orologiaio. Quando un pendolo vi dà, a un determinato momento, l'indicazione di cui avete bisogno, è mai venuto in mente a qualcuno di dire: ecco un pendolo molto intelligente?

Così è per il meccanismo dell'universo: Dio non si mostra, ma si rivela attraverso le Sue opere.


7. L'esistenza di Dio è dunque un fatto acquisito, non soltanto attraverso la rivelazione, ma anche attraverso l'evidenza materiale dei fatti. I popoli selvaggi non hanno avuto alcuna rivelazione e tuttavia credono istintivamente all'esistenza di una potenza sovrumana. Essi vedono cose che sono al di sopra del potere umano e ne concludono che provengono da un essere che è superiore al genere umano. Non sono forse essi più logici di quanti pretendono che quelle cose si sono fatte da sé stesse?




Della natura divina

8. Non è concesso all'uomo di sondare la natura intima di Dio. Per comprendere Dio, ci manca ancora il senso che si acquisisce soltanto con la completa purificazione dello Spirito. Ma se l'uomo non può penetrarne l'essenza, essendo data la Sua esistenza come premessa, può, con il ragionamento, arrivare alla conoscenza dei Suoi attributi necessari. Infatti, l'uomo, vedendo ch'Egli non può non essere, senza cessare d'essere Dio, ne conclude ch'Egli deve essere.

Senza la conoscenza degli attributi di Dio, sarebbe impossibile comprendere l'opera della creazione. Questo è il punto di partenza di tutte le fedi religiose, ed è per non aver fatto riferimento a essa — come a un faro che poteva dirigerle — che parecchie religioni hanno errato nei loro dogmi. Quelle che non hanno attribuito a Dio l'onnipotenza hanno immaginato una pluralità di dei; quelle che non Gli hanno attribuito la suprema bontà, ne hanno fatto un dio geloso, collerico, parziale e vendicativo.

9. Dio è la suprema e sovrana intelligenza. L'intelligenza dell'uomo è limitata, poiché egli non può né fare né comprendere tutto ciò che esiste; quella di Dio, abbracciando Egli l'infinito, deve essere infinita. Se la si supponesse limitata su un punto qualsiasi, dovremmo concepire un altro essere ancora più intelligente, capace di comprendere e di fare ciò che l'altro non potrebbe fare, e così di seguito fino all'infinito.

10. Dio è eterno, vale a dire ch'Egli non ha avuto un inizio né avrà una fine. S'Egli avesse avuto un inizio, significherebbe che sarebbe uscito dal nulla. Ora, non essendo il nulla altro che nulla, nulla esso può produrre, oppure sarebbe stato creato da un altro essere a Lui precedente, e allora Dio sarebbe questo essere. Se gli si supponesse un inizio o una fine, si dovrebbe allora concepire un essere che fosse esistito prima di Lui, o che potrebbe esistere dopo di Lui. E così di seguito fino all'infinito.

11. Dio è immutabile. Se Egli fosse soggetto a dei cambiamenti, le leggi che reggono l'universo non avrebbero alcuna stabilità.

12. Dio è immateriale, vale a dire che la. Sua natura differisce da tutto ciò che noi chiamiamo materia; altrimenti non sarebbe immutabile, poiché sarebbe soggetto alle trasformazioni della materia.

Dio non ha una forma che possa essere valutata dai nostri sensi, altrimenti Egli sarebbe materia. Noi diciamo: la mano di Dio, l'occhio di Dio, la bocca di Dio, perché l'uomo, non conoscendo che sé stesso, prende sé stesso come termine di paragone di tutto ciò che non comprende. Quelle immagini, in cui si rappresenta Dio attraverso la figura di un vegliardo dalla lunga barba e avvolto in un manto, sono ridicole. Esse hanno, tra gli altri inconvenienti, quello di ridurre l'Essere supremo alle meschine proporzioni dell'umanità. Da qui, ad attribuirGli le passioni umane, a farne un Dio collerico e geloso, non c'è che un passo.

13. Dio è onnipotente. S'Egli non avesse la suprema potenza, si dovrebbe concepire un essere più potente, e così di seguito fino a quando non si trovasse l'essere che nessun altro potrebbe oltrepassare in potenza, ed è questo che sarebbe Dio.

14. Dio è sovranamente giusto e buono. La saggezza provvidenziale delle leggi divine si rivela nelle più piccole cose come nelle più grandi, e questa saggezza non permette di dubitare né della Sua giustizia né della Sua bontà.

L'infinito di una qualità esclude la possibilità dell'esistenza d'una qualità contraria che possa sminuire o annullare l'infinito di quella qualità. Un essere infinitamente buono non potrebbe avere la più piccola particella di cattiveria, né l'essere infinitamente malvagio potrebbe avere la più piccola particella di bontà; così come un oggetto non potrebbe dirsi d'un nero assoluto se avesse la più leggera sfumatura di bianco, né potrebbe dirsi d'un bianco assoluto quello che avesse la più piccola traccia di nero.

Dio non potrebbe essere allo stesso tempo buono e cattivo, perché allora, non possedendo né l'una né l'altra di queste qualità al grado supremo, non sarebbe Dio; tutte le cose sarebbero soggette al Suo capriccio, e per nessuna cosa ci sarebbe stabilità. Egli, dunque, non potrebbe che essere o infinitamehte buono o infinitamente malvagio. Ora, siccome le Sue opere testimoniano della Sua saggezza, della Sua bontà e della Sua sollecitudine, bisogna concluderne che, non potendo Egli essere contemporaneamente buono e malvagio senza cessare d'essere Dio, Egli deve essere infinitamente buono.

La sovrana bontà implica la sovrana giustizia. Infatti s'Egli agisse ingiustamente o con parzialità anche in una sola circostanza o verso una sola delle Sue creature, non sarebbe sovranamente giusto e, di conseguenza, non sarebbe sovranamente buono.

15. Dio è infinitamente perfetto. È impossibile concepire Dio senza l'infinito delle perfezioni. Senza ciò, Egli non sarebbe Dio, perché si potrebbe sempre concepire un essere che possedesse quanto a Lui mancasse. Perché nessun altro essere possa superarLo, è necessario ch'Egli sia infinito in tutto.

Gli attributi di Dio, essendo infiniti, non sono suscettibili né di accrescimento né di diminuizione. Senza ciò, essi non sarebbero infiniti, e Dio non sarebbe perfetto. Se si togliesse la più piccola particella di uno solo dei Suoi attributi, non si avrebbe più Dio, poiché potrebbe esistere un essere più perfetto.

16. Dio è unico. L'unicità di Dio è conseguenza dell'infinito assoluto delle Sue perfezioni. Un altro Dio potrebbe esistere solo a condizione di essere ugualmente infinito in tutte le cose. Infatti, se ci fosse tra loro la più leggera differenza, l'uno sarebbe inferiore all'altro, subordinato alla sua potenza, e non sarebbe Dio. Se ci fosse tra loro un'eguaglianza assoluta, ci sarebbe, da tutta l'eternità, un medesimo pensiero, una medesima volontà, un medesimo potere. Così confusi nella loro identità, non ci sarebbe in realtà che un solo Dio. Se ognuno di essi avesse delle attribuzioni speciali, farebbe l'uno ciò che non farebbe l'altro e, in questo caso, non ci sarebbe tra loro un'eguaglianza perfetta, poiché né l'uno né l'altro avrebbe la sovrana autorità.

17. È l'ignoranza del principio dell'infinito delle perfezioni di Dio che ha generato il politeismo, culto di tutti i popoli primitivi. Essi hanno attribuito la divinità a ogni potenza che fosse sembrata loro al di sopra dell'umanità; più tardi, la ragione li ha portati a confondere queste diverse potenze in una sola. Poi, nella misura in cui gli uomini hanno compreso l'essenza degli attributi divini, hanno ritirato dai loro simboli le credenze che ne erano la negazione.

18. Riassumendo, Dio non può essere Dio che alla condizione di non essere superato in niente da un altro essere. Infatti, l'essere che lo superasse in una qualsiasi cosa, foss'anche il solo spessore d'un capello, sarebbe lui il vero Dio. Appunto per questo è necessario ch'Egli sia infinito in tutte le cose.

Ed è così che, essendo l'esistenza di Dio costatata attraverso le Sue opere, si arriva, per deduzione logica, a determinare gli attributi che Lo caratterizzano.

19. Dio è dunque la suprema e sovrana intelligenza; Egli è unico, eterno, immutabile, immateriale, onnipotente, sovranamente giusto e buono, infinito in tutte le Sue perfezioni, e non può essere diverso da questo.

Questo è il cardine sul quale poggia l'edificio universale; questo è il faro i cui raggi si estendono sull'intero universo, il solo che può guidare l'uomo nella ricerca della verità; seguendolo egli non si smarrirà mai e se così spesso ha deviato è per non aver seguito la strada che gli veniva indicata.

Questo è anche il criterio infallibile di tutte le dottrine filosofiche e religiose. Per giudicarle, l'uomo ha una misura rigorosamente esatta negli attributi di Dio, e si può dire con certezza che ogni teoria, ogni principio, ogni dogma, ogni credenza, ogni pratica che fosse in contraddizione anche con uno solo di questi attributi, o che tendesse non solo ad annullarlo, ma semplicemente ad affievolirlo, non può essere nella verità.

Nella filosofia, nella psicologia, nella morale e nella religione, non c'è del vero che in ciò che non si discosta neppure di un millimetro dalle qualità essenziali della Divinità. La religione perfetta sarebbe quella in cui nessun articolo di fede fosse in opposizione con queste qualità, in cui tutti i dogmi potessero subire la prova di questo controllo, senza riceverne alcun danno.




La Provvidenza

20. La Provvidenza è la sollecitudine di Dio per, le Sue creature. Dio è dappertutto, Egli vede tutto, Egli presiede a tutto, anche alle più piccole cose: in questo consiste l'azione provvidenziale.

“Come può Dio, così grande, così potente, così superiore a tutto coinvolgersi in infimi particolari, preoccuparsi delle più piccole azioni e dei minimi pensieri di ciascun individuo? Questa è la domanda che si pone l'incredulo, per cui conclude che, pur ammettendo l'esistenza di Dio, la Sua azione non deve estendersi che sulle leggi generali dell'universo; che l'universo funziona da tutta l'eternità in virtù di queste leggi alle quali ogni creatura è sottoposta nella sua sfera d'azione, senza che sia necessario l'intervento incessante della Provvidenza.”

21. Nel loro attuale stato d'inferiorità, solo molto difficilmente gli uomini possono comprendere come Dio possa essere infinito. Poiché essi sono limitati, è per questo che se Lo figurano limitato, proprio come sé stessi. Non solo se lo rappresentano come un essere limitato, ma ne danno anche una immagine a loro immagine. I nostri dipinti, che Lo ritraggono sotto sembianze umane, contribuiscono non poco a trattenere questo errore nella mente delle masse, che adorano in lui più la forma che il pensiero. Per la maggior parte degli uomini, Egli è un potente sovrano, su un trono inaccessibile, perduto nell'immensità dei Cieli. Poiché le loro facoltà e le loro percezioni sono limitate, essi non comprendono come Dio possa o come si degni d'intervenire direttamente nelle piccole cose.

22. Nell'impossibilità, in cui l'uomo si trova, di comprendere l'essenza stessa della Divinità, egli non può farsene che un'idea approssimativa con l'aiuto di paragoni necessariamente molto imperfetti, ma che possono almeno mostrargli la possibilità di ciò che, di primo acchito, gli sembra impossibile.

Supponiamo un fluido abbastanza sottile da penetrare tutti i corpi; questo fluido, essendo inintelligente, agisce meccanicamente attraverso le sole forze materiali. Ma se supponiamo questo fluido dotato d'intelligenza, di facoltà percettive e sensitive, esso agirà non più alla cieca ma con discernimento, con volontà e con libertà; egli vedrà, capirà e sentirà.

23. Le proprietà del fluido perispiritistico possono darcene un'idea. Esso non è affatto intelligente di per sé stesso, poiché è materia, ma è il veicolo del pensiero, delle sensazioni e delle percezioni dello Spirito.

Il fluido perispiritistico non è il pensiero dello Spirito, ma l'agente e l'intermediario di questo pensiero. Siccome è lui a trasmettere il pensiero, ne è in qualche modo impregnato. Nell'impossibilità, in cui noi ci troviamo, di isolarlo, il pensiero sembra non fare che un tutt'uno con il fluido. Allo stesso modo, il suono sembra non fare che un tutt'uno con l'aria, dimodoché noi possiamo, per così dire, materializzarla. Così, come noi diciamo che l'aria diventa sonora, potremmo egualmente dire, prendendo l'effetto per la causa, che il fluido diventa intelligente.

24. Che sia o non sia così, per quanto concerne il pensiero di Dio — vale a dire, che esso agisca direttamente o attraverso la mediazione di un fluido — per facilitarne la comprensione alla nostra intelligenza, lo rappresenteremo sotto la forma concreta d'un fluido intelligente, che riempie l'universo infinito e che penetra tutte le parti della creazione: l'intera natura è immersa nel fluido divino. Ora, — in virtù del principio per cui le parti di un tutto sono della medesima natura e hanno le medesime proprietà del tutto — possedendo ogni atomo di questo fluido, se ci è concesso di esprimerci così, il pensiero, vale a dire gli attributi essenziali della Divinità, e trovandosi questo fluido ovunque, tutto è sottoposto alla Sua azione intelligente, alla Sua previdenza e alla Sua sollecitudine. Non c'è un essere, per quanto infimo lo si possa immaginare, che non ne sia saturato. Pertanto noi siamo costantemente in presenza della Divinità. Non c'è una sola delle nostre azioni che potremmo mai sottrarre al Suo sguardo. Il nostro pensiero è in costante contatto con il Suo pensiero, ed è con ragione che si dice che Dio legge nelle pieghe più profonde del nostro cuore. Noi siamo in Lui, come Egli è in noi, secondo la parola del Cristo.

Per estendere la Sua sollecitudine su tutte le Sue creature, Dio non ha bisogno di lanciare il Suo sguardo dall'alto dell'immensità. Le nostre preghiere, per essere intese da Lui, non hanno bisogno di varcare lo spazio né di essere dette con voce squillante, poiché, stando Egli di continuo al nostro fianco, i nostri pensieri si ripercuotono in Lui. I nostri pensieri sono come i rintocchi di una campana, che fanno vibrare tutte le molecole dell'aria circostante.

25. Lungi da noi il pensiero di voler materializzare la Divinità. L'immagine d'un fluido intelligente universale non è, evidentemente, che un paragone, ma adatto a dare un'idea di Dio più giusta di quella dei quadri, che lo rappresentano sotto un aspetto umano. Essa ha lo scopo di far comprendere come Dio possa essere dappertutto e occuparsi di tutto.

26. Noi abbiamo di continuo sotto gli occhi un esempio che può darci un'idea del modo in cui l'azione di Dio può esercitarsi sulle parti più profonde di tutti gli esseri, e come, di conseguenza, le impressioni, anche le più sottili, della nostra anima arrivino a Lui. Questo esempio è tratto da un insegnamento dato da uno Spirito a questo riguardo.

27. “L'uomo è un piccolo mondo il cui direttore è lo Spirito, mentre il principio che viene diretto è il corpo. In questo universo, il corpo rappresenterà una creazione il cui Spirito sarà Dio. Voi ben comprenderete che non può esserci qui che una questione d'analogia e non d'identità. Le membra di questo corpo, i diversi organi che lo compongono, i suoi muscoli, i suoi nervi, le sue articolazioni sono altrettante individualità materiali, se così si può dire, localizzate in punti speciali del corpo. Benché il numero delle sue parti costitutive, così varie e differenti per natura, sia considerevole, a nessuno tuttavia è lecito supporre che si possano produrre dei movimenti, che una qualunque impressione possa aver luogo in un punto particolare, senza che lo Spirito ne abbia coscienza. Avvengono simultaneamente sensazioni diverse in più punti? Lo Spirito le sente tutte, le discerne, le analizza, assegna a ciascuna la sua causa e il suo luogo d'azione, per mezzo del fluido perispiritistico.

Un fenomeno analogo ha luogo tra la creazione e Dio. Dio è dappertutto nella natura, come lo Spirito è dappertutto nel corpo. Tutti gli elementi della creazione sono in costante rapporto con Lui, come tutte le cellule del corpo umano sono in costante rapporto con l'essere spirituale. Non c'è dunque ragione perché dei fenomeni del medesimo ordine, non si producano nello stesso modo, nell'uno e nell'altro caso.

Un arto si agita: lo Spirito lo sente; una creatura pensa: Dio lo sa. Tutte le membra sono in movimento, i diversi organi sono in vibrazione: lo Spirito avverte tutte queste manifestazioni, le distingue e le localizza. Le diverse creazioni, le diverse creature si agitano, pensano, agiscono diversamente, e Dio, che sa tutto ciò che avviene, assegna a ciascuna ciò che le è proprio.

Da ciò, si può egualmente dedurre la solidarietà della materia e dell'intelligenza, la solidarietà di tutti gli esseri di un mondo tra di loro, la solidarietà di tutti i mondi e, infine, quella della creazione e del Creatore" (Quinemant, Società di Parigi, 1867).

28. Noi comprendiamo l'effetto, ed è già molto; dall'effetto risaliamo alla causa e giudichiamo la Sua grandezza dalla grandezza dell'effetto. Ma la Sua essenza intima ci sfugge, così come ci sfugge quella della causa d'una quantità di fenomeni. Noi conosciamo gli effetti dell'elettricità, del calore, della luce, della gravitazione; li calcoliamo e tuttavia ignoriamo la natura intima del principio che li produce. È dunque più razionale negare il principio divino, perché non lo comprendiamo?

29. Niente ci impedisce di ammettere, per il principio di intelligenza sovrana, un centro d'azione, un focolaio principale che s'irradia senza tregua, inondando l'universo dei suoi effluvi, come il sole della sua luce. Ma dov'è questo focolaio? Questo, nessuno può dirlo. È probabile che non sia fisso in un punto determinato più di quanto non lo sia la sua azione, ed è anche probabile ch'esso percorra incessantemente le regioni dello spazio senza confini. Riempiendo Dio l’universo, si potrebbe ancora ammettere, a titolo d'ipotesi, che questo focolaio non abbia bisogno di spostarsi, e che si formi su tutti i punti ove la sovrana volontà giudichi opportuno ch'esso si produca. Da tutto ciò si potrebbe dire che è ovunque e in nessuna parte.

30. Davanti a questi insondabili problemi, la nostra ragione deve umiliarsi. Dio esiste: noi non dobbiamo dubitarne. Egli è infinitamente giusto e buono: questa è la sua essenza. La Sua sollecitudine si estende su tutto: noi lo comprendiamo. Egli, dunque, non può volere che il nostro bene: è per questo che dobbiamo avere fiducia in Lui: ecco l'essenziale. Per il resto, attendiamo di essere degni di comprendere.




La visione di Dio

31. Posto che Dio è dappertutto, perché noi non lo vediamo? Quando lasceremo la Terra lo vedremo? Queste sono le domande che quotidianamente ci poniamo.

Alla prima è facile rispondere. I nostri organi materiali hanno delle percezioni limitate, che li rendono inadatti alla visione di determinate cose, anche materiali. È così che certi fluidi sfuggono totalmente alla nostra vista e ai nostri strumenti d'analisi, e tuttavia noi non dubitiamo della loro esistenza. Noi vediamo gli effetti della peste, e non vediamo il fluido che la trasporta; noi vediamo i corpi muoversi sotto l'influenza della forza di gravità, ma non vediamo questa forza.

32. Le cose di essenza spirituale non possono essere percepite dagli organi materiali. Soltanto con la visione spirituale noi possiamo vedere gli Spiriti e le cose del mondo immateriale; solo la nostra anima può, dunque, avere la percezione di Dio. Lo vede essa, subito dopo la morte? È quello che solo le comunicazioni d'oltretomba possono insegnarci. Attraverso di esse noi sappiamo che la visione di Dio è privilegio solo delle anime più purificate, cosicché ben pochi possiedono, dopo aver lasciato il loro involucro terreno, il grado di smaterializzazione necessario. Un comune paragone lo renderà facilmente comprensibile.

33. Colui che si trovi al fondo di una valle, avvolta in una densa nebbia, non vede il sole. Tuttavia, dalla luce diffusa, egli intuisce la presenza del sole. Se s'inerpica su per la montagna, nella misura in cui egli sale, la nebbia si dirada, la luce diventa via via più viva, ma egli non vede ancora il sole. È soltanto dopo essersi completamene innalzato al di sopra della coltre brumosa, che, trovandosi in un'aria perfettamente pura, egli lo vede in tutto il suo splendore.

La medesima cosa avviene riguardo all'anima. L'involucro perispiritistico, benché invisibile e impalpabile per noi, è per l'anima una vera materia, ancora troppo grossolana per certe percezioni. Questo involucro si spiritualizza nella misura in cui l'anima si eleva in moralità. Le imperfezioni dell'anima sono come coltri di nebbia che oscurano la sua vista. Ogni imperfezione di cui essa si disfa è una macchia in meno; ma è solo dopo essersi completamente purificata ch'essa può godere pienamente delle sue facoltà.

34. Essendo Dio, l'essenza divina per eccellenza, non può essere percepito in tutto il Suo splendore che dagli Spiriti arrivati al più alto grado di smaterializzazione. Se gli Spiriti imperfetti non Lo vedono, non è che essi ne siano più lontani degli altri. Questi Spiriti, come tutti gli esseri della natura, si trovano immersi nel fluido divino, come noi lo siamo nella luce. Il fatto è che le loro imperfezioni sono come dei vapori che Lo sottraggono alla loro vista. Quando la nebbia si sarà dissipata, essi lo vedranno risplendere; per questo non avranno bisogno né di salire, né di andare a cercarLo nelle profondità dell'Infinito. Essendosi la vista spirituale sbarazzata delle bende morali che la oscuravano, essi Lo vedranno in qualunque luogo si trovino, foss'anche sulla Terra. Perché Egli è dappertutto.

35. Lo Spirito non si purifica che col passare del tempo, e le varie incarnazioni sono gli alambicchi nel cui fondo esso lascia ogni volta qualche impurità. Lasciando il suo involucro corporale esso non si libera istantaneamente delle sue imperfezioni. È per questo motivo che vi sono di quelli che, dopo la morte, non vedono Dio più di quanto non lo vedessero da vivi; ma nella misura in cui si purificano, essi ne hanno una intuizione più distinta; sebbene non lo vedano, lo comprendono meglio: la luce è meno diffusa. Pertanto, quando gli Spiriti dicono che Dio vieta loro di rispondere a una certa domanda, non significa che Dio sia loro apparso o abbia loro rivolto la parola per ordinare o vietare la tale o talaltra cosa, no di certo. Ma essi lo sentono; ricevono le emanazioni del suo pensiero, come accade a noi riguardo agli Spiriti, che ci avvolgono nel loro fluido, quantunque noi non li vediamo affatto.

36. Nessun uomo può, dunque, vedere Dio con gli occhi della carne. Se questa grazia fosse accordata a qualcuno, ciò non avverrebbe che nello stato d'estasi, allorché l'anima è tanto liberata dai legami della materia durante l'incarnazione, che ciò diviene possibile. Un tale privilegio, d'altronde, sarebbe soltanto delle anime elette, incarnate in missione e non per espiazione. Ma siccome gli Spiriti dell'ordine più elevato risplendono d'un fulgore abbagliante, può accadere che Spiriti meno elevati, incarnati o disincarnati, colpiti dallo splendore che li circonda, abbiano creduto di vedere Dio stesso. È come chi veda talvolta un ministro e lo prenda per il suo sovrano.

37. Sotto quale aspetto Dio si presenta a coloro che si sono resi degni di questo privilegio? Sotto una forma qualsiasi? Sotto l'aspetto di una figura umana o come focolaio risplendente di luce? È quello che la lingua umana è impossibilitata a descrivere, perché non esiste per noi alcun termine di paragone che ce ne possa dare un'idea; siamo come dei ciechi cui si cercherebbe invano di far comprendere lo splendore del sole. Il nostro vocabolario è limitato ai nostri bisogni e alla cerchia delle nostre idee; quello dei selvaggi non potrebbe illustrare le meraviglie della civilizzazione; quello dei popoli più civilizzati è troppo povero per descrivere lo splendore dei cieli, la nostra intelligenza troppo limitata per comprenderli, e la nostra vista, troppo debole, ne resterebbe abbagliata.