Il Libro degli Spiriti

Allan Kardec

Sei in: Il Libro degli Spiriti > LIBRO TERZO — LEGGI MORALI


LIBRO TERZO — LEGGI MORALI



Capitolo I — Legge Divina o Naturale



Caratteri della legge naturale

614. Che cosa si deve intendere per legge naturale?

«La legge naturale e la legge di Dio. Essa e la sola vera per la felicita dell'uomo. Gli indica ciò che deve o non deve fare, e infelice è solo colui che se ne allontana.»

615. La legge di Dio è eterna?

«Essa e eterna e immutabile come Dio stesso.»


616. Può Dio aver prescritto agli uomini in un tempo ciò che avrebbe poi loro proibito in un altro tempo?

«Dio non può errare. Sono gli uomini a essere obbligati a mutare le loro leggi perché sono imperfette. Ma le leggi di Dio sono perfette. L'armonia, che regola l'universo materiale e l'universo morale, è fondata sulle leggi che Dio ha stabilito per l'eternità.»


617. Quali campi abbracciano le leggi divine? Concernono altro oltre la condotta morale?

«Tutte le leggi della natura sono leggi divine, poiché Dio è l'artefice di tutte le cose. Lo studioso studia le leggi della materia, l'uomo dabbene studia quelle dell'anima e le pratica.»


617a. È concesso all'uomo approfondire le une e le altre?

«Sì, ma una sola esistenza non è sufficiente

Che cosa sono infatti alcuni anni per acquisire tutto ciò che rende perfetto l'essere, anche se si considera solamente la distanza che separa il selvaggio dall'uomo civilizzato? L'esistenza, quella più lunga possibile, e insufficiente e, a maggior ragione, quando essa è breve, come succede nella maggior parte dei casi.

Fra le leggi divine, alcune regolano il movimento e i rapporti della materia bruta: sono le leggi fisiche, e il loro studio riguarda il campo della scienza.

Le altre concernono particolarmente l'uomo in sé stesso e i suoi rapporti con Dio e con i suoi simili. Esse comprendono le regole della vita fisica come pure quelle della vita dell'anima: sono le leggi morali.


618. Le leggi divine sono le medesime in tutti i mondi?

«La logica ci dice che esse devono essere adeguate alla natura di ogni singolo mondo e proporzionate al grado di avanzamento degli esseri che lo abitano.»




Origine e conoscenza della legge naturale

619. Dio ha dato a tutti gli uomini i mezzi per conoscere la Sua legge?

«Tutti possono conoscerla, ma non tutti la comprendono. Quelli che meglio la comprendono sono gli uomini dabbene e quanti vogliono cercarla. Comunque, tutti la comprenderanno un giorno, perché e necessario che il progresso si compia.»

La giustizia delle varie incarnazioni dell'uomo e una conseguenza di questo principio, poiché a ogni nuova esistenza la sua intelligenza si evolve e comprende meglio ciò che è bene e ciò che è male. Se per l'uomo tutto dovesse compiersi in una sola esistenza, quale sarebbe la sorte di milioni e milioni di esseri che ogni giorno muoiono nell'abbrutimento della barbarie o nelle tenebre dell'ignoranza senza che dipenda da loro illuminarsi? (Vedere nn.171-222).


620. L'anima, prima della sua unione con il corpo, comprende la legge di Dio meglio di quanto non la comprenda dopo la sua incarnazione?

«L'anima comprende la legge di Dio secondo il grado di perfezione cui è pervenuta e ne conserva intuitivamente il ricordo dopo l'unione con il corpo. Ma i cattivi istinti dell'uomo gliela fanno sovente dimenticare.»

621. Dove si trova scritta la legge di Dio?

«Nella coscienza.»


621a. Dal momento che l'uomo porta la legge di Dio nella sua coscienza, che necessità c'era di rivelargliela?

«Egli l'aveva dimenticata e misconosciuta. Dio ha voluto ch'essa gli fosse ricordata.»

622. Dio ha affidato a certi uomini la missione di rivelare la Sua legge?

«Sì, certamente. In tutti i tempi, degli uomini hanno ricevuto questa missione. Sono degli Spiriti Superiori incarnati allo scopo di far progredire l'umanità.»

623. Coloro che hanno preteso di istruire gli uomini sulla legge di Dio non si sono a volte sbagliati e non li hanno sovente fuorviati con falsi principi?

«Coloro che non erano ispirati da Dio e che si sono attribuiti, per ambizione, una missione che non avevano, costoro certamente hanno potuto traviarli. Ciononostante, poiché in definitiva si trattava di uomini di genio, anche in mezzo agli errori che hanno insegnato, si trovano sovente grandi verità.»


624. Qual è il carattere del vero profeta?

«Il vero profeta e un uomo onesto ispirato da Dio. Lo si può riconoscere dalle sue parole e dal suo operato. Dio non può servirsi della bocca di un mentitore per insegnare la verità.»

625. Qual è il tipo più perfetto che Dio abbia offerto all'uomo perché gli servisse da guida e da modello?

«Guardate Gesù.»

Gesù è per l'uomo il tipo della perfezione morale alla quale può aspirare l'umanità sulla Terra. Dio ce lo offre come il più perfetto dei modelli, e la dottrina ch'Egli ha insegnato e l'espressione più pura della Sua legge, perché era animato dallo Spirito divino ed era l'essere più puro che sia mai apparso sulla Terra.

Se alcuni di coloro che hanno preteso d'istruire l'uomo sulla legge di Dio lo hanno a volte fuorviato con dei falsi principi, ciò e avvenuto per essersi lasciati loro stessi dominare da sentimenti troppo terreni e per aver confuso le leggi che reggono le condizioni della vita dell'anima con quelle che reggono la vita fisica. Molti hanno divulgato come leggi divine norme che altro non erano che leggi umane create per servire le passioni e dominare gli uomini.

626. Le leggi divine e naturali sono state rivelate agli uomini solo da Gesù? Prima di Lui se ne aveva avuto conoscenza solo per intuizione?

«Non abbiamo forse già detto che stanno scritte dappertutto? Tutti gli uomini che hanno meditato sulla saggezza hanno dunque potuto comprenderle e insegnarle fin dai secoli più remoti. Con i loro insegnamenti, sia pure incompleti, essi hanno preparato il terreno a ricevere la semente. Essendo le leggi divine scritte nel libro della natura, l'uomo ha potuto conoscerle quando ha voluto cercarle. È per questo che i precetti che esse consacrano sono stati proclamati in tutti i tempi dagli uomini probi ed è anche per questo che se ne trovano gli elementi nella dottrina morale di tutti i popoli usciti dalla barbarie, per quanto incomplete o alterate dall'ignoranza e dalla superstizione.»

627. Dal momento che Gesù ha insegnato le vere leggi di Dio, qual è l'utilità dell'insegnamento dato dagli Spiriti? Hanno forse da insegnarci qualche cosa di più?

«La parola di Gesù era sovente allegorica e sotto forma di parabola, perché si esprimeva secondo i suoi tempi e i suoi luoghi. Oggi è necessario che la verità sia intelligibile per tutti. È necessario spiegare bene e sviluppare queste leggi, perché sono così pochi quelli che le comprendono e ancor meno quelli che le praticano. La nostra missione è quella di aprire gli occhi e gli orecchi per confondere gli orgogliosi e smascherare gli ipocriti: quelli che esteriormente ostentano virtù e religiosità per nascondere le loro turpitudini. L'insegnamento degli Spiriti dev'essere chiaro e senza equivochi, in modo che nessuno possa addurre ignoranza, e che ognuno possa giudicarlo e apprezzarlo con la ragione. Noi abbiamo l'incarico di preparare il regno del bene annunciato da Gesù. Per questo e necessario che nessuno possa interpretare la legge di Dio secondo il proprio impulso, ne falsare il senso di una legge tutta amore e carità.»

628. Perché la verità non sempre è stata messa alla portata di tutti?

«È necessario che ogni cosa venga a tempo debito. La verità è come la luce: bisogna abituarvisi a poco a poco, altrimenti abbaglia.

Non è mai successo che Dio permettesse all'uomo di ricevere delle comunicazioni così complete e istruttive come quelle che oggi gli è concesso di ricevere. C'erano pur stati in tempi antichi, come è noto, degli individui in possesso di quella che essi consideravano una scienza sacra e di cui facevano gran mistero con quelli da loro ritenuti profani. Dovete comprendere — in base a quanto già conoscete delle leggi che reggono questi fenomeni — che costoro ricevevano solo qualche verità isolata in mezzo a un insieme equivoco e che rimaneva per la maggior parte del tempo emblematico. Comunque non esiste per lo studioso alcun sistema filosofico antico, alcuna tradizione, alcuna religione che si possa trascurare, perché tutto racchiude germi di grandi verità che, pur sembrando in contraddizione fra di loro, sparse come sono in mezzo a complementi senza fondamento, sono facilissime da coordinare, grazie alla chiave, che lo Spiritismo vi offre, di cose che finora vi son potute sembrare senza spiegazione, e la cui realtà oggi vi viene dimostrata in modo irrecusabile. Non tralasciate dunque di attingere da questi materiali degli argomenti di studio. Essi sono molto ricchi e possono contribuire notevolmente alla vostra istruzione.»




Il bene e il male

629. Quale definizione si può dare della morale?

«La morale è la norma per ben comportarsi, ossia è ciò che consente la distinzione fra il bene e il male. Essa si fonda sull'osservanza della legge di Dio. L'uomo si comporta bene quando fa tutto in vista e in funzione del bene di tutti, perché e allora ch'egli osserva la legge di Dio.»

630. Come si può distinguere il bene dal male?

«Il bene è tutto ciò che è conforme alla legge di Dio, e il male tutto ciò che se ne allontana. Pertanto fare il bene e conformarsi alla legge di Dio, mentre fare il male e infrangere questa legge.»

631. L'uomo ha in sé stesso i mezzi per distinguere ciò che è bene da do che è male?

«Sì, quando crede in Dio e vuole conoscere questa distinzione. Dio gli ha dato l'intelligenza per discernere l'uno dall'altro.»

632. L'uomo, che è soggetto all'errore, non potrebbe sbagliarsi nella valutazione del bene e del male e credere di fare il bene quando in realtà fa il male?

«Gesù ve l'ha detto: "Tenete conto di ciò che vorreste o non vorreste fosse fatto a voi: e tutto qui. Non potete sbagliarvi".»


633. La regola del bene e del male, che si potrebbe chiamare di reciprocità o di solidarietà, non può essere applicata alla condotta personale dell'uomo verso sé stesso. Trova l'uomo, nella legge di natura, la regola di questa condotta e una guida sicura?

«Quando mangiate in eccesso, costatate che ciò vi fa male. Ebbene! È Dio che vi dà la misura di ciò che vi serve. Quando la oltrepassate, siete puniti. E questo vale per tutto. La legge naturale segna per l'uomo i confini delle sue necessita: quando li supera, viene punito con la sofferenza. Se l'uomo ascoltasse in tutte le cose questa voce che gli dice basta, eviterebbe la maggior parte dei mali per i quali accusa la natura.»


634. Perché il male è nella natura delle cose? E io parlo del male morale. Non poteva Dio creare l'umanità in condizioni migliori?

«Ve lo abbiamo già detto: gli Spiriti sono stati creati semplici e ignoranti. (Vedere n. 115) Dio lascia all'uomo la scelta del cammino. Tanto peggio per lui se prende quello cattivo: ii suo pellegrinaggio sarà più lungo. Se non ci fossero le montagne, l'uomo non potrebbe comprendere che si può salire e scendere e, se non ci fossero le rocce, non comprenderebbe che ci sono corpi duri. È necessario che lo Spirito acquisisca esperienza, perciò e necessario che conosca il bene e il male. Per questa ragione c’è l'unione dello Spirito e del corpo.» (Vedere n. 119).

635. Le differenti posizioni sociali creano sovente necessità nuove, che non sono le stesse per tutti gli uomini. La legge naturale sembrerebbe pertanto non essere una regola uniforme?

«Queste differenti posizioni sono nella natura e conformi alla legge del progresso. Ciò non impedisce l'unita della legge naturale, che si applica a tutto.»

Le condizioni d'esistenza dell'uomo cambiano secondo i tempi e i luoghi. Ne derivano per lui necessita differenti c posizioni sociali adeguate a queste necessita. Poiché questa diversità è nell'ordine delle cose, essa e conforme alla legge di Dio, e questa legge non è meno unica riguardo al suo principio. Spetta alla ragione distinguere le necessita reali da quelle fittizie o convenzionali.

636. Il bene e il male sono assoluti per tutti gli uomini?

«La legge di Dio è la medesima per tutti, mail mal e dipende soprattutto dalla volontà che si ha di farlo. Il bene è sempre bene e il male è sempre male, qualunque sia la posizione dell'uomo. La differenza sta nel grado di responsabilità.»


637. Il primitivo, che cede al suo istinto nutrendosi di carne umana, è colpevole?

«Ho detto che il male dipende dalla volontà. Ebbene! L'uomo e tanto più colpevole quanto più sa quello che fa.»

Le circostanze conferiscono al bene e al male una gravita relativa. L'uomo commette sovente degli errori che, per essere la conseguenza della posizione in cui la società lo ha collocato, non sono meno riprovevoli. Ma la responsabilità e in ragione dei mezzi di cui dispone per distinguere il bene dal male. È così che l'uomo illuminato, che commette una semplice ingiustizia, è più colpevole agli occhi di Dio del primitivo ignorante che si abbandona ai suoi istinti.

638. Il male sembra essere a volte una conseguenza della forza delle cose. Tale è per esempio, in certi casi, la necessita di distruzione persino verso il proprio simile. Si può allora dire che ci sia prevaricazione alla legge di Dio?

«Non è che il male sia minore, allorquando sia necessario. Ma questa necessita scompare nella misura in cui l'anima si purifica passando da un'esistenza a un'altra. Allora l'uomo è più colpevole quando lo commette, perché lo comprende meglio.»


639. Il male che si commette non è sovente la conseguenza della posizione in cui ci hanno collocato gli altri uomini? E in questo caso quali sono i più colpevoli?

«Il male ricade su chi l'ha causato. Così l'uomo, che è indotto al male dalla posizione che gli viene assegnata dai suoi simili, e meno colpevole di coloro che di questo male sono causa. Infatti ognuno porterà la pena, non solamente del male che avrà fatto, ma anche del male che avrà provocato.»

640. Chi non f a del male, ma approfitta del male fatto da un altro, è colpevole nella stessa misura?

«È come se lo avesse commesso. Approfittarne è parteciparvi. Forse di fronte alla malefatta si sarebbe tirato indietro. Ma se, trovando il fatto bell'e compiuto, se ne serve, vuol dire allora che lo approva e che lo avrebbe compiuto lui stesso se avesse potuto o avesse osato

641. Il desiderio del male e riprovevole quanto il male stesso?

«Dipende. Nel resistere volontariamente al male di cui si prova desiderio c’è merito, soprattutto quando si ha la possibilità di soddisfare questo desiderio. Però, se e solo l'occasione che manca, si è colpevoli.»


642. È sufficiente non commettere assolutamente alcun male per essere graditi a Dio e assicurarsi la propria posizione avvenire?

«No. Si deve fare il bene nei limiti delle proprie forze, perché ognuno risponderà di tutto il male che sarà stato fatto a causa del bene ch’egli non avrà fatto

643. Esistono persone che, a causa della loro condizione, non abbiano la possibilità di fare il bene?

«Non esiste nessuno che non possa fare del bene: solo l'egoista non ne trova mai l'occasione. Basta essere in rapporto con gli altri per trovare il modo di fare il bene, e ogni giorno della vita ne dà la possibilità a chiunque non sia accecato dall'egoismo. Infatti fare il bene non significa solo essere caritatevoli, ma significa anche essere utili nella misura delle vostre possibilità tutte le volte che il vostro aiuto può essere necessario.»

644. L'ambiente in cui certi uomini si trovano non è forse per loro la fonte primaria di molti vizi e crimini?

«Sì. Ma questa e ancora una prova scelta dallo Spirito nello stato di libertà. Ha voluto esporsi alla tentazione per acquisire il merito di aver saputo resistervi.»

645. Quando l'uomo è in qualche modo immerso nell'atmosfera del vizio, il male non diventa per lui una forza quasi irresistibile?

«Una forza, sì, ma non irresistibile. In mezzo a queste atmosfere di vizio, infatti, si trovano a volte delle grandi virtù. Ci sono degli Spiriti che hanno avuto la forza di resistere e hanno svolto nello stesso tempo la missione di esercitare una buona influenza sui loro simili.»

646. Il merito del bene che si fa è subordinato a certe condizioni? Ci sono, cioè, differenti gradi di merito riguardo al bene?

«Il merito del bene sta nella difficolta: non c’è assolutamente merito nel praticare il bene senza fatica e quando non costa niente. Dio tiene in maggior conto il povero il quale divida il suo pezzo di pane che il ricco che doni solo il suo superfluo. L'ha detto Gesù a proposito dell'ultimo denaro della vedova.»




Divisione della legge naturale

647. La legge di Dio è tutta racchiusa nella massima dell'amore per il prossimo, insegnata da Gesù.,

«Certamente. Questa massima racchiude tutti i reciproci doveri degli uomini, ma si deve mostrare loro l'applicazione, altrimenti la trascureranno come fanno ancor oggi. D'altra parte la legge naturale comprende tutte le circostanze della vita, e questa massima non è che una parte della legge. Gli uomini hanno bisogno di regole precise. I precetti generali e troppo vaghi lasciano troppe porte aperte all'interpretazione.»

648. Che ne pensate della divisione della legge naturale in dieci parti comprendenti le leggi su adorazione, lavoro, riproduzione, conservazione, distruzione, società, progresso, uguaglianza, libertà e infine quella su giustizia, amore e carità?

«Questa divisione della legge di Dio in dieci parti e quella di Mosè e può abbracciare tutte le circostanze della vita, la qual cosa è essenziale. Potete dunque seguirla, senza ch'essa abbia per questo niente di assoluto, niente di più di tutti gli altri sistemi di classificazione che dipendono da quale punto di vista si considera qualsiasi cosa. L'ultima legge e la più importante. È attraverso di essa che l'uomo può maggiormente avanzare nella vita spirituale, perché essa le riassume tutte.»





Capitolo II — 1. Legge di Adorazione



Scopo dell'adorazione

649. In che cosa consiste l'adorazione?

«È elevatezza del pensiero verso Dio. Con l'elevatezza, si avvicina la propria anima a Lui.»

650. L'adorazione è per l'uomo il risultato di un sentimento innato o è il prodotto di un insegnamento?

«È un sentimento innato come quello della Divinità. La consapevolezza della propria fragilità porta l'uomo a inchinarsi di fronte a Colui che può proteggerlo.»


651. Ci sono stati degli uomini privi di qualsiasi sentimento di adorazione?

«No, perché non ci sono mai stati dei popoli atei. Tutti comprendono che al di sopra dell'uomo c’è un essere supremo.»

652. Si può ritenere che l'adorazione abbia la sua origine nella legge naturale?

«L'adorazione e nella legge naturale, poiché e il risultato di un sentimento innato nell'uomo. È per questo che la si ritrova in tutti i popoli, per quanto sotto forme diverse.»




Adorazione esteriore

653. L'adorazione ha bisogno di manifestazioni esteriori?

«La vera adorazione è nel cuore. In tutte le vostre azioni pensate sempre che c’è un maestro che vi guarda.»


653a. L'adorazione esteriore è utile?

«Sì, se non è vana parvenza. È sempre utile dare un buon esempio, ma coloro che lo fanno solo per ostentazione e amor proprio, e la cui condotta smentisce la loro apparente pieta, offrono un esempio più cattivo che buono e fanno più male di quanto non pensino.»


654. Dio accorda una preferenza a quelli che Lo adorano in tale o talaltro modo?

«Dio preferisce quelli che Lo adorano dal profondo del cuore, con sincerità, facendo il bene ed evitando il male, a quelli che credono di onorar Lo con cerimonie che non li rendono certo migliori verso i loro simili.

Tutti gli uomini sono fratelli e figli di Dio. Egli chiama a sé tutti quelli che seguono le Sue leggi, qualunque sia la forma con la quale si esprimono.

Colui che ha solo l'apparenza della pieta è un ipocrita. Colui presso il quale l'adorazione è solo ostentata e in contraddizione con la sua condotta da un cattivo esempio.

Di colui che professa di adorare il Cristo e che è orgoglioso, invidioso e geloso, che è duro e implacabile con il prossimo, o che è assetato dei beni di questo mondo, di costui io vi dico che la religione è sulle sue labbra ma non nel suo cuore. Dio, che tutto vede, dirà: questo qui che conosce la verità e cento volte più colpevole del male che fa di quanto non lo sia l'ignorante selvaggio del deserto, e sarà trattato di conseguenza il giorno del giudizio. Se un cieco vi urta passando, voi lo scusate. Mas e è un uomo che ci vede bene, voi ve ne risentite e con ragione.

Non domandate dunque se c’è una forma di adorazione più opportuna di un'altra, perché sarebbe come domandare se Dio gradisce essere adorato in una lingua piuttosto che in un'altra. Io vi dico ancora una volta: gli inni arrivano a Lui solo attraverso la porta del cuore.»

655. È riprovevole praticare una religione, nella quale non si crede nel profondo dell'anima, quando lo si fa solo per rispetto umano e per non scandalizzare quelli che pensano in altro modo?

«L'intenzione, in questa come in molte altre cose, e la regola. Colui il cui scopo e solo quello di rispettare le credenze altrui non fa del male. Di certo si comporta meglio di chi le ridicolizza, perché in tal caso mancherebbe di carità. Ma chi pratica la religione per interesse e per ambizione è riprovevole agli occhi di Dio e degli uomini. Dio non può gradire coloro che mostrano di umiliarsi davanti a Lui solo per accattivarsi il consenso degli uomini.»

656. L'adorazione collettiva è preferibile all'adorazione individuale?

«Gli uomini riuniti da una comunione di pensiero e di sentimenti hanno più forza per invocare su di sé i buoni Spiriti. Lo stesso avviene quando si riuniscono per adorare Dio. Ma, con ciò, non crediate che l'adorazione individuale sia meno buona, perché ognuno può adorare Dio pensando a Lui.»




Vita contemplativa

657. Gli uomini che si consacrano alla vita contemplativa, non commettendo alcun male e pensando solo a Dio, hanno dei meriti ai Suoi occhi?

«No, perché se non fanno del male non fanno neppure del bene e sono inutili. D'altra parte, non fare del bene è già un male. Dio vuole che si pensi a Lui, ma non vuole che si pensi solo a Lui, dal momento che ha dato all'uomo dei doveri da compiere sulla Terra. Chi si consuma nella meditazione e nella contemplazione non fa niente di meritorio agli occhi di Dio, perché la sua vita, tutta incentrata su lui stesso, non è di alcuna utilità per l'umanità. E Dio gli domanderà conto del bene che non avrà fatto.» (Vedere n. 640)




Della preghiera

658. La preghiera è gradita a Dio?

«La preghiera è sempre gradita a Dio quando è dettata dal cuore, perché l'intenzione e tutto per Lui. E la preghiera del cuore e preferibile a quella che voi potete leggere, per bella che sia, specialmente se la leggete più con le labbra che con il pensiero. La preghiera è gradita a Dio quando è detta con fede, fervore e sincerità. Ma non crediate che sia toccato da quella dell'uomo vano, orgoglioso ed egoista, a meno che non ci sia da parte sua un atto di sincero pentimento e di vera umiltà.»

659. Qual è ii carattere generale della preghiera?

«La preghiera e un atto di adorazione. Pregare Dio e pensare a Lui, e avvicinarsi a Lui, è mettersi in comunicazione con Lui. Con la preghiera ci si possono proporre tre cose: lodare, chiedere, ringraziare.»


660. La preghiera rende l'uomo migliore?

«Sì, perché chi prega con fervore e fede e più forte di fronte alle tentazioni del male, e Dio gli invia dei buoni Spiriti per assisterlo. Questo e un aiuto che non viene mai rifiutato quando e richiesto con sincerità.»


660a. Come si spiega che certe persone che pregano molto abbiano malgrado ciò, un pessimo carattere, siano gelose, invidiose e litigiose, manchino di benevolenza e indulgenza e siano a volte persino viziose?

«L'essenziale non è pregare molto, ma pregare bene. Queste persone credono che tutto il merito consista nella lunghezza della preghiera e chiudono gli occhi sui propri difetti. La preghiera è per loro un'occupazione, un modo d'impiegare il tempo, e non uno studio di sé stessi. Non è il farmaco che è inefficace, ma il modo in cui esso viene utilizzato.»


661. Si può utilmente pregare Dio affinché ci perdoni i nostri errori?

«Dio sa discernere il bene dal male: la preghiera non nasconde gli errori. Chi domanda a Dio la remissione dei propri errori la ottiene solo cambiando condotta. Le buone azioni rappresentano la preghiera migliore, perché le azioni valgono più delle parole.»


662. Si può utilmente pregare per gli altri?

«Lo Spirito di colui che prega agisce per volontà di questi nel fare il bene. Con la preghiera attira a sé i buoni Spiriti che si associano al bene ch'egli vuole fare.»

Noi possediamo in noi stessi, attraverso il pensiero e la volontà, un potere d'azione che va ben oltre i limiti della nostra sfera fisica. La preghiera a favore degli altri e un atto di questa volontà. Se e ardente e sincera, può chiamare in loro aiuto i buoni Spiriti, affinché suggeriscano loro dei buoni pensieri e diano loro la forza fisica e spirituale di cui hanno necessita. Ma anche in questo caso la preghiera del cuore è tutto, quella delle labbra e niente.

663. Le preghiere, che noi innalziamo per noi stessi, possono cambiare la natura delle nostre prove e mutarne il corso?

«Le vostre prove sono nelle mani di Dio, e ci sono prove che devono essere subite fino alla fine. Ma in questo caso Dio tiene sempre conto della rassegnazione. La preghiera richiama su di voi i buoni Spiriti, che vi danno la forza di sopportarle con coraggio, così che queste prove vi sembreranno meno dure. L'abbiamo già detto: la preghiera non è mai inutile quando è ben fatta, perché dona forza e già questo è un grande risultato. Aiutati che il Ciel t'aiuta, questo voi lo sapete. D'altra parte Dio non può cambiare l'ordine della natura secondo il piacimento di ognuno, perché ciò che è un grande male, dal vostro limitato punto di vista e secondo la vostra vita effimera, e sovente un grande bene nell'ordine generale dell'universo. E poi, quanti i mali di cui l'uomo stesso è autore per la sua imprevidenza o per i suoi errori! Egli viene punito attraverso di essi proprio là dove ha peccato. Ciononostante le richieste giuste vengono esaudite più spesso di quanto pensiate. Voi credete che Dio non vi abbia ascoltato perché non ha fatto un miracolo per voi, mentre Egli vi assiste con dei mezzi talmente naturalì che vi sembrano l'effetto del caso o della forza delle cose. Sovente, anzi il più delle volte, Dio vi suscita il pensiero necessario perché usciate da voi stessi dalla difficolta.»


664. È utile pregare per i morti e per gli Spiriti sofferenti? E, in questo caso, come le nostre preghiere possono procurar loro sollievo e abbreviare le loro sofferenze? Hanno esse il potere di influire sulla giustizia di Dio?

«La preghiera non può sortire l'effetto di cambiare i disegni di Dio, ma l'anima per la quale si prega ne prova sollievo, perché ciò è una testimonianza dell'interesse che le si offre, e perché un infelice e sempre sollevato quando trova delle anime caritatevoli che hanno compassione del suo dolore. D'altra parte, con la preghiera lo si spinge verso il pentimento e il desiderio di fare ciò che si deve per essere felici. È in questo senso che si può abbreviare la sua pena, se da parte sua egli coopera con la sua buona volontà. Questo desiderio di miglioramento, sollecitato dalla preghiera, attira verso lo Spirito sofferente degli Spiriti migliori che vengono a illuminarlo, consolarlo e a dargli speranza. Gesù pregava per le pecore smarrite, ed Egli vi dimostra così che voi sareste colpevoli se mancaste di fare per costoro ciò di cui hanno maggiormente bisogno.»

665. Che pensare dell'opinione che rifiuta la preghiera per i morti, per il fatto che non è prescritta dal Vangelo?

«Cristo ha detto agli uomini: "Amatevi l'un l'altro". Questa raccomandazione comprende quella di impiegare tutti i mezzi possibili per testimoniare loro dell'affetto, senza peraltro entrare in alcun dettaglio circa il modo di raggiungere lo scopo. Se e vero che nulla può impedire al Creatore di applicare la giustizia, di cui Egli è l'immagine stessa, a tutte le azioni dello Spirito, non è meno vero che la preghiera, che a Lui indirizzate a favore di chi vi ispira affetto, sia per lui una testimonianza del vostro ricordo che può solo contribuire ad alleggerire le sue sofferenze e a consolarlo. Nel momento in cui questo Spirito da prova del più piccolo pentimento, allora solamente, viene soccorso. Ma non si permette mai ch'egli ignori che un'anima simpatica si è occupata di lui, e gli si lascia il dolce pensiero che quella intercessione gli è stata utile. Ne deriva necessariamente, da parte sua, un sentimento di riconoscenza e d'affetto per chi gli ha dato questa prova d'amicizia o di pieta. Di conseguenza, l'amore che Gesù raccomandava agli uomini non ha fatto che accrescersi fra loro. Entrambi hanno dunque obbedito alla legge d'amore e d'unione di tutti gli esseri, legge divina che deve condurre all'unita, scopo e fine dello Spirito.» [9]

_______________

[9] Risposta data dallo Spirito di M. Monod, pastore protestante di Parigi, morto nell'aprile del 1856. La risposta precedente, n. 664, è dello Spirito di san Luigi.


666. Si possono pregare gli Spiriti?

«Si possono pregare i buoni Spiriti in quanto messaggeri di Dio ed esecutori delle Sue volontà. Ma il loro potere e commisurato al loro grado di elevatezza, e dipende sempre dal Signore di tutte le cose, senza il cui permesso nulla avviene. È per questa ragione che le preghiere che si rivolgono loro sono efficaci solo se sono gradite a Dio.»




Politeismo

667. Perché il politeismo è una delle credenze più 2ntiche e più diffuse, dal momento che è falsa?

«L'idea di un Dio unico non poteva essere presso l'uomo che il risultato dello sviluppo del suo pensiero. Incapace, nella sua ignoranza, di concepire un essere immateriale, senza una forma determinata e che agisse sulla materia, gli aveva dato gli attributi della natura corporea, vale a dire una forma e un'immagine, e da quel momento tutto ciò che gli sembrava oltrepassare i limiti dell'intelligenza comune era per lui una Divinità. Tutto ciò che non comprendeva doveva essere l'opera di una potenza sovrannaturale, e da lì a credere a tante distinte potenze quanti gli effetti che notava, non c'era che un passo. Ma in tutti i tempi ci sono stati uomini illuminati che hanno compreso l'impossibilità di quella moltitudine di poteri per governare ii mondo, senza una guida superiore, e si sono elevati all'idea di un Dio unico.»

668. Essendosi i fenomeni spiritisti prodotti in tutti i tempi ed essendo stati conosciuti fin dalle prime età del mondo, non hanno essi forse potuto far credere alla pluralità degli dei?

«Senza dubbio. Infatti gli uomini chiamavano dei tutto ciò che era sovrumano, e gli Spiriti erano per loro degli dei. È per questo che, quando un uomo si distingueva fra tutti gli altri per le sue azioni, per il suo genio o per un potere occulto incomprensibile per i l volgo, ne facevano un dio e gli rendevano un culto dopo la morte.» (Vedere n. 603)

La parola dio aveva presso gli Antichi un'accezione molto ampia. Non era assolutamente, come ai giorni nostri, una personificazione del Signore della natura, era una qualifica generica data a ogni essere situato al di fuori delle condizioni dell'umanità. Ora, avendo le manifestazioni spiritiste rivelato loro l'esistenza di esseri incorporei, che agivano come potenze della natura, essi li avevano chiamati dei, come noi li chiamiamo Spiriti. È questa una semplice questione di termini, con la differenza che, nella loro ignoranza, mantenuta di proposito da coloro che ne avevano interesse, costruivano in loro onore dei templi e degli altari molto lucrativi, mentre per noi sono delle semplici creature come noi, più o meno perfette, che si sono spogliate dell'involucro terreno. Se si studiano con cura i diversi attributi delle Divinità pagane, vi si riconosceranno facilmente tutti quelli dei nostri Spiriti a tutti i livelli della scala spiritista, il loro stato fisico nei mondi superiori, tutte le proprietà del perispirito e il ruolo ch'essi svolgono nelle faccende terrene.

Il Cristianesimo, venendo a illuminare il mondo con la sua luce divina, non ha potuto distruggere una cosa che è in natura, ma ha fatto riversare l'adorazione su Colui al quale essa appartiene. Quanto agli Spiriti, il loro ricordo si è perpetuato sotto diversi nomi e secondo i popoli. Le loro manifestazioni, che non sono mai cessate, sono state diversamente interpretate e sovente sfruttate sotto l'aspetto del mistero. Mentre la religione vi ha visto dei fenomeni miracolosi, gli increduli vi hanno visto solo della ciarlataneria. Oggi, grazie a studi più seri fatti alla luce del sole, lo Spiritismo, liberato dalle idee superstiziose che lo hanno oscurato per secoli, ci rivela uno dei più grandi e sublimi principi della natura.




Sacrifici

669. L'usanza dei sacrifici umani risale alla più remota antichità. Come è potuto accadere che l'uomo sia stato portato a credere che simili pratiche potessero essere gradite a Dio?

«Innanzi tutto perché non concepiva Dio come sorgente di bontà. Presso i popoli primitivi la materia prevale sullo spirito. Essi si abbandonano agli istinti brutali ed è per questo che sono generalmente crudeli: in loro il senso morale non è ancora sviluppato. Inoltre gli uomini primitivi dovevano credere, per istinto, che una creatura animata avesse molto più valore agli occhi di Dio di un corpo materiale. È questo che li ha portati a immolare prima gli animali e più tardi gli uomini, perché, secondo le loro false credenze, pensavano che il valore del sacrificio fosse commisurato all'importanza della vittima. Nella vita materiale, così come generalmente voi la praticate, se offrite un regalo a qualcuno, lo scegliete di valore tanto maggiore quanto maggiori sono l'attaccamento e la considerazione che volete testimoniare alla persona cui è destinato. Doveva essere lo stesso per degli uomini ignoranti nei confronti di Dio.»


669a. Pertanto i sacrifici degli animali avrebbero preceduto i sacrifici umani?

«Senza dubbio.»


669b. Allora, stando a questa precisazione, i sacrifici umani non avrebbero la loro origine in un sentimento di crudeltà.

«No, bensì nella falsa idea che fossero graditi a Dio. Guardate Abramo. In seguito gli uomini ne hanno abusato immolando i loro nemici, anche quelli personali. Del resto Dio non ha mai preteso dei sacrifici, né quello di animali e tanto meno quello di uomini. Egli non può essere onorato con il sacrificio inutile di una sua propria creatura.»


670. I sacrifici umani, compiuti con intento pietoso, hanno potuto in certi casi essere graditi da Dio?

«No, mai. Ma Dio giudica l'intenzione. Gli uomini, essendo ignoranti, potevano credere di compiere un'azione lodevole immolando un loro simile. In questo caso Dio teneva conto del pensiero e non del fatto. Gli uomini, migliorandosi, hanno dovuto riconoscere il loro errore e provare riprovazione per questi sacrifici che non rientravano nel pensiero di Spiriti illuminati. Dico illuminati, perché allora gli Spiriti erano avvolti dal velo materiale. Ma, attraverso il libero arbitrio, potevano avere una percezione della loro origine e del loro fine, e molti comprendevano già, per intuito, il male che facevano, per quanto continuassero a farlo per soddisfare le loro passioni.»

671. Che dobbiamo pensare delle cosiddette guerre sante? Quel sentimento che porta i popoli fanatici a sterminare, per essere graditi a Dio, il maggior numero possibile di quanti non condividono il loro credo, non sembra forse avere la stessa matrice che li incitava un tempo al sacrificio dei propri simili?

«Costoro sono spinti dai cattivi Spiriti e, facendo la guerra ai loro simili, vanno contro la volontà di Dio che dice che si deve amare il proprio fratello come sé stesso. Tutte le religioni, o piuttosto tutti i popoli, adorano un medesimo Dio, che porti un nome o n e porti un altro. Allora perché far loro una guerra di sterminio solo perché la loro religione e differente o non ha ancora raggiunto il livello di quella dei popoli illuminati? I popoli sono perdonabili quando non credono alla parola di colui che era animato dallo Spirito di Dio e da Lui inviato, soprattutto se non Lo videro e non furono testimoni delle sue azioni. E come volete che essi credano a questa parola di pace, quando voi andate a imporla loro, armi in pugno? Essi devono essere illuminati, e noi dobbiamo cercare di far loro conoscere la Sua dottrina con la persuasione e la dolcezza, e non con la forza e con il sangue. La maggior parte di voi non crede alle comunicazioni che noi abbiamo con alcuni mortali. Perché vorreste che degli estranei vi credessero sulla parola quando i vostri atti smentiscono la dottrina che voi predicate!»


672. L'offerta dei frutti della terra, fatta a Dio, aveva più meriti ai Suoi occhi del sacrificio degli animali?

«Vi ho già risposto dicendo che Dio giudica l'intenzione, e che il fatto ha poca importanza per Lui. È evidente che era più gradito a Dio vedersi offrire i frutti della terra che il sangue delle vittime. Come vi abbiamo detto, e sempre ve lo ripetiamo, la preghiera detta dal profondo del cuore e cento volte più gradita a Dio di tutte le offerte che voi potreste farGli. Io ripeto che l'intenzione e tutto, e niente il fatto.»


673. Un modo ci sarebbe per rendere queste offerte più gradite a Dio: consacrandole al sollievo di coloro che mancano del necessario. In questo caso, il sacrificio degli animali, compiuto per un fine utile, non sarebbe forse più meritorio? Era riprovevole, invece, quando non serviva a niente, o andava solo a beneficio di persone che non avevano bisogno di niente. Non c’è forse qualcosa di veramente caritatevole nel consacrare ai poveri le primizie dei beni che Dio ci concede sulla Terra?

«Dio benedice sempre coloro che fanno del bene. Sollevare i poveri e gli afflitti è il miglior modo per onorarlo. Non dico con ciò che Dio disapprovi i riti che fate per devozione, ma c’è molto denaro che potrebbe essere impiegato più utilmente di quanto non sia. Dio ama la semplicità in tutte le cose. L'uomo che si basa sull'apparenza e non sul cuore e uno Spirito dalle vedute ristrette. Giudicate voi se Dio può basarsi più sulla forma che sulla sostanza.»





Capítulo III - 2.Legge del Lavoro



Necessita del lavoro

674. La necessita del lavoro è una legge della natura?

«Il lavoro è una legge di natura per il fatto stesso che è una necessità, e la civilizzazione obbliga l'uomo a lavorare di più perché essa aumenta le sue necessita e le sue comodità.»

675. Il lavoro va inteso solo come occupazione materiale?

«No. Lo Spirito lavora come il corpo. Ogni occupazione utile e un lavoro.»

676. Perché il lavoro viene imposto all'uomo?

«È una conseguenza della sua natura corporea. È un'espiazione e allo stesso tempo un mezzo per perfezionare la sua intelligenza. Senza il lavoro, l'uomo rimarrebbe nell'infanzia riguardo all'intelligenza, in quanto egli deve il suo nutrimento, la sua sicurezza e il suo benessere solo al suo lavoro e alla sua attività. A chi e di fisico debole, Dio ha dato l'intelligenza per supplirvi. Ma sempre di un lavoro si tratta.»

677. Perché la natura provvede essa stessa a tutte le necessità degli animali?

«Tutto lavora nella natura. Gli animali lavorano come gli uomini, ma il loro lavoro, come la loro intelligenza, si limita alla cura della loro conservazione. Ecco perché negli animali il lavoro non porta con sé il progresso, mentre nell'uomo esso ha un duplice scopo: la conservazione del corpo e lo sviluppo del pensiero, che è anche una necessita e che lo eleva al di sopra di lui stesso. Quando dico che il lavoro degli animali è limitato alla cura della conservazione, intendo lo scopo che essi si propongono lavorando. Ma, a loro insaputa, nel provvedere alle loro necessita materiali, essi sono degli agenti che assecondano i disegni del Creatore, e il loro lavoro non è un contributo da poco allo scopo finale della natura, anche se molto spesso non se ne scopre immediatamente il risultato.»

678. Nei mondi più perfezionati, l'uomo è soggetto alle stesse necessità di lavoro?

«La natura del lavoro è relativa al genere delle necessita. Quanto meno le necessita sono materiali, tanto meno il lavoro e materiale. Ma non si creda con ciò che l'uomo resti inattivo e inutile: l'ozio sarebbe un supplizio anziché un piacere.»


679. L'uomo che possegga mezzi sufficienti per garantirsi la propria esistenza è affrancato dalla legge del lavoro?

«Dal lavoro materiale, forse, ma non dall'obbligo di rendersi utile secondo i propri mezzi, di perfezionare la propria intelligenza e quella degli altri, cosa che è anch'essa un lavoro. Se l'uomo, al quale Dio abbia assegnato beni sufficienti per assicurarsi la sua esistenza, non è costretto a provvedere al proprio sostentamento col sudore della fronte, l'obbligo di rendersi utile verso i suoi simili e per lui tanto maggiore quante maggiori disponibilità, per fare il bene, gli offre la parte che gli è toccata in vantaggio.»

680. Ci sono uomini che si trovano nell'impossibilità di svolgere un qualsiasi lavoro e la cui esistenza è inutile?

«Dio è giusto, condanna solo colui la cui esistenza e volontariamente inutile, perché vive a carico del lavoro altrui. Dio vuole che ognuno si renda utile secondo le sue facoltà.» (Vedere n. 643)

681. La legge della natura impone ai figli l'obbligo di lavorare per i loro genitori?

«Certamente, così come i genitori devono lavorare per i loro figli. È per questo che Dio ha fatto dell'amore filiale e dell'amore paterno un sentimento naturale affinché, attraverso questo affetto reciproco, i membri di una medesima famiglia siano portati ad aiutarsi mutuamente, la qual cosa nella vostra società attuale e troppo frequentemente disattesa.» (Vedere n. 205)




Limite del lavoro. Riposo

682. Il riposo, essendo una necessità dopo il lavoro, non è esso pure una legge di natura?

«Senza dubbio. Il riposo serve per recuperare le forze fisiche ed e anche necessario per concedere una certa libertà all'intelligenza, affinché si elevi al di sopra della materia.»


683. Qual è il limite del lavoro?

«Il limite delle forze. Del resto, Dio lascia l'uomo libero.»


684. Che pensare di coloro che abusano della loro autorità per imporre ai loro subalterni un eccesso di lavoro?

«Si tratta di una delle peggiori azioni. Ogni uomo che abbia il potere di comandare è responsabile dell'eccesso di lavoro che impone ai suoi subalterni, perché trasgredisce la legge di Dio.» (Vedere n. 273)

685. L'uomo ha diritto al riposo nella sua vecchiaia?

«Sì. L'uomo è obbligato a lavorare solo in base alle proprie forze.»


685a. Ma che cosa deve fare l'anziano, il quale per vivere abbia necessità di lavorare e non può?

«Il forte deve lavorare per il debole. In mancanza della famiglia, la società deve sostituirsi a essa: è la legge di carità.»

Non è sufficiente dire all'uomo ch'egli deve lavorare, e anche necessario che colui che attende alla sua esistenza con il suo lavoro trovi da occuparsi. Il fatto è che non sempre capita. Quando la mancanza di lavoro diventa generale, essa assume le dimensioni di un flagello, come la carestia. La scienza economica cerca il rimedio nell'equilibrio fra produttività e consumo, ma questo equilibrio, ammesso che sia possibile, avrà sempre delle intermittenze e, durante questi intervalli, il lavoratore dovrà pur vivere. C’è un elemento che ancora non è stato fatto sufficientemente entrare nel bilancio, e senza il quale la scienza economica è solo una teoria ed e l'educazione. Non l'educazione intellettuale, ma l'educazione morale. E, ancora, non l'educazione morale acquisita attraverso i libri, ma quella consistente nell'arte di formare il carattere, quella che genera delle abitudini, perché l'educazione è l'insieme delle abitudini acquisite. Quando si pensa alla massa di individui gettati ogni giorno nel flusso della popolazione, senza principi, senza freni, abbandonati ai propri istinti, ci si deve forse stupire delle conseguenze disastrose che ne derivano? Quando quest'arte sarà conosciuta, compresa e praticata, l'uomo porterà nel mondo delle abitudini di ordine e di previdenza per sé stesso e per i suoi, di rispetto per chi è rispettabile, abitudini che gli permetteranno di attraversare meno penosamente gli inevitabili giorni infelici. Il disordine e l'imprevidenza sono due piaghe che solo un'educazione bene intesa può guarire. Là si trova il punto di partenza, il vero elemento del benessere, la garanzia della sicurezza generale.





Capítulo IV — 3. Legge di Riproduzione



Popolazione del globo

686. La riproduzione degli esseri viventi è una legge di natura?

«È evidente. Senza la riproduzione il mondo fisico si esaurirebbe.»

687. Se, come noi osserviamo, la crescita progressiva della popolazione continuerà, arriverà il giorno in cui essa sarà in esubero sulla Terra?

«No. Dio vi provvede e mantiene sempre l'equilibrio. Niente di quello che fa è inutile. L'uomo, che non vede che un angolo del quadro della natura, non è in grado di giudicare l'armonia dell'insieme.»




Successione e perfezionamento delle razze

688. Ci sono, in questo momento, delle razze umane che decrescono in modo evidente. Arriverà il momento in cui saranno scomparse dalla Terra?

«È vero. Ma altre hanno preso il loro posto, così come altre prenderanno il vostro un giorno.»


689. Gli uomini attuali sono una nuova creazione o sono i discendenti perfezionati di esseri primitivi?

«Sono i medesimi Spiriti che sono ritornati a perfezionarsi in nuovi corpi, ma che sono ancora lontani dalla perfezione. Così la razza umana attuale che, con la sua crescita, tende a espandersi su tutta la Terra e a sostituire le razze che si estinguono, avrà il suo periodo di flessione e, poi, quello di scomparsa. Altre razze più perfezionate, che discenderanno dalla razza attuale, le sostituiranno, così come gli uomini civilizzati di oggi discendono dagli esseri bruti e selvaggi dei tempi primitivi.»

690. Dal punto di vista puramente fisico, i corpi della razza attuale sono una creazione particolare oppure discendono dai corpi primitivi per via di riproduzione?

«L'origine delle razze si perde nella notte dei tempi, ma, poiché appartengono tutte alla grande famiglia della razza umana, qualunque sia l'origine di ognuna, esse hanno potuto allearsi fra di loro e produrre dei tipi nuovi.»

691. Quale, dal punto di vista fisico, il carattere distintivo e dominante delle razze primitive?

«Sviluppo della forza bruta a scapito della forza intellettiva, Oggi, invece, succede il contrario: l'uomo agisce di più con l'intelligenza che con la forza fisica, e nondimeno realizza cento volte di più. Infatti ha saputo mettere a profitto le forze della natura, cosa che gli animali non sono in grado di fare.»


692. Il perfezionamento genetico delle razze animali e vegetali attraverso la scienza è contrario alla legge di natura? Non sarebbe più conforme a questa legge lasciare che le cose seguano il loro corso naturale?

«Si deve fare di tutto per arrivare alla perfezione, e l'uomo stesso è uno strumento di cui Dio si serve per raggiungere i Suoi fini. Essendo la perfezione lo scopo al quale tende la natura, rispondere ai Suoi disegni vuol dire favorire questa perfezione.»


692a. Ma l'uomo è generalmente mosso nei suoi sforzi, per il miglioramento delle razze, solo da un sentimento personale e non ha altro scopo che l'aumento delle sue soddisfazioni. Questo non diminuisce il suo merito?

«Purché ci sia progresso che cosa importa se il suo merito e nullo? Spetta all'uomo rendere meritorio il suo lavoro con l'intenzione. D'altra parte attraverso questo lavoro egli esercita e sviluppa la sua intelligenza ed e sotto questo aspetto che trae il maggior vantaggio.»




Ostacoli alla riproduzione

693. Le leggi e i costumi umani, che hanno per scopo o per effetto di porre degli ostacoli alla riproduzione, sono contrari alla legge di natura?

«Tutto ciò che ostacola la natura nel suo cammino e contrario alla legge generale.»


693a. Ciononostante ci sono delle specie di esseri viventi, animali e piante, la cui riproduzione all'infinito sarebbe nociva a esseri di altre specie, e l'uomo stesso ne sarebbe ben presto vittima. Commetterebbe un atto riprovevole se egli impedisse questa riproduzione?

«Dio ha dato all'uomo, fra tutti gli esseri viventi, un potere di cui egli deve fruire a fin di bene, ma non abusare. Può regolare la riproduzione secondo le necessita, ma non deve ostacolarla senza necessità. L'azione intelligente dell'uomo è un contrappeso stabilito da Dio per ristabilire l'equilibrio tra le forze della natura, ed e questo ancora che lo distingue dagli animali, perché lo fa con cognizione di causa. Ma gli animali stessi concorrono a questo equilibrio perché l'istinto di distruzione, che è stato loro dato, fa sì che, provvedendo alla propria conservazione, essi limitino lo sviluppo eccessivo, e forse dannoso, delle specie animali e vegetali di cui si nutrono.»


694. Che pensare delle pratiche che hanno per effetto l'interruzione della riproduzione con l'intento di soddisfare la sensualità?

«Ciò dimostra la predominanza del corpo sull'anima, e quanto l'uomo è materiale.»





Matrimonio e celibato

695. Il matrimonio, ossia l'unione permanente di due esseri, è contrario alla legge di natura?

«È un progresso nel cammino dell'umanità.»

696. Quali sarebbero le conseguenze dell'abolizione del matrimonio sulla società umana?

«Il ritorno alla vita delle bestie.»

L'unione libera e fortuita dei sessi e uno stato di natura. Il matrimonio è uno dei primi atti di progresso nelle società umane, perché stabilisce la solidarietà fraterna e si riscontra presso tutti i popoli, sia pure in condizioni diverse. L'abolizione del matrimonio sarebbe dunque il ritorno all'infanzia dell'umanità, e metterebbe l'uomo addirittura al di sotto di certi animali che gli danno esempi di unione costante.

697. L'indissolubilità assoluta del matrimonio è nella legge di natura o soltanto nella legge umana?

«È una legge umana molto contraria alla legge di natura, ma gli uomini possono cambiare le loro leggi. Solo le leggi di natura sono immutabili.»


698. Il celibato volontario è uno stato di perfezione meritorio agli occhi di Dio?

«No. E coloro che vivono così per egoismo dispiacciono a Dio e ingannano tutti.»

699. Il celibato non è forse, per certe persone, un sacrificio allo scopo di votarsi più completamente al servizio dell'umanità?

«Ciò è ben diverso. Io ho detto: per egoismo. Ogni sacrificio personale e meritorio quando è a fin di bene. Più il sacrificio è grande, più grande e il merito.»

Dio non può contraddirsi, né trovare non buono ciò che ha fatto: non può dunque vedere un merito nella violazione di una Sua legge. Ma se il celibato, in sé stesso, non è uno stato meritorio, lo è quando costituisce, con la rinuncia alle gioie della famiglia, un sacrificio compiuto a favore dell'umanità. Qualsiasi sacrificio personale a fin di bene, e senza preconcetti di egoismo, eleva l'uomo al di sopra della sua condizione materiale.




Poligamia

700. L'uguaglianza numerica che più o meno esiste fra uomini e donne, è un indice della proporzione secondo la quale essi devono essere uniti?

«Sì, perché tutto ha uno scopo in natura.»


701. Tra poligamia o monogamia, quale delle due è la più conforme alla legge di natura?

«La poligamia è una legge umana la cui abolizione segna un progresso sociale. Il matrimonio, secondo i disegni di Dio, deve essere fondato sull'affetto degli esseri che si uniscono. Con la poligamia non c’è vero affetto. C’è solo sensualità.»

Se la poligamia fosse conforme alla legge di natura, essa dovrebbe poter essere universale, cosa che sarebbe materialmente impossibile data l'uguaglianza numerica fra i sessi.

La poligamia deve essere considerata come un uso, o una legislazione particolare, consona a certi costumi, e che il perfezionamento sociale farà a poco a poco scomparire.





Capítulo V — Legge di Conservazione



Istinto di conservazione

702. L'istinto di conservazione e una legge naturale?

«Senza dubbio. Esso e dato a tutti gli esseri viventi, qualunque sia il grado della loro intelligenza. Presso alcuni è puramente inconscio, presso altri e razionale.»

703. A quale scopo Dio ha dato a tutti gli esseri viventi l'istinto di conservazione?

«Perché tutti devono contribuire ai disegni della Provvidenza. È per questo che Dio ha dato loro il bisogno di vivere. E poiché la vita è necessaria al perfezionamento degli esseri, essi lo sentono istintivamente senza rendersene conto.»




Mezzi di conservazione

704. Dio, dando all'uomo il bisogno di vivere, gliene ha sempre dato anche i mezzi?

«Sì. E se non li trova e perché non li comprende. Dio non avrebbe potuto dare all'uomo il bisogno di vivere senza dargliene anche i mezzi. È per questo che fa produrre alla terra di che rifornire del necessario tutti gli abitanti, perché solo il necessario e utile. Il superfluo non lo e mai.»

705. Perché la terra non sempre produce abbastanza per rifornire l'uomo del necessario?

«Il fatto è che l'uomo, ingrato, la trascura! Eppure essa è una madre eccellente. Sovente l'uomo accusa la natura di quanto è il risultato della sua imperizia e della sua imprevidenza. La terra produrrebbe sempre il necessario se l'uomo sapesse accontentarsi. Se essa non sopperisce a tutte le necessita dell'uomo, e perché l'uomo fa un uso superfluo di quanto potrebbe essere necessario. Guardate l'arabo nel deserto, egli trova sempre di che vivere, perché non si crea mai dei bisogni fittizi. Ma quando la metà dei prodotti viene sciupata per soddisfare delle fantasie, l'uomo deve forse stupirsi di non trovare niente il giorno seguente? E ha forse ragione di lamentarsi di essere senza provviste quando viene il tempo della carestia? In verità io vi dico che non è la natura a essere imprevidente, ma è l'uomo che non sa regolarsi.»

706. Per beni della Terra sono da intendersi solo i prodotti del suolo?

«Il suolo e la fonte primaria da cui derivano tutte le altre risorse, poiché, in definitiva, queste risorse altro non sono che una trasformazione dei prodotti del suolo. È per questo che per beni della Terra si deve intendere tutto ciò di cui l'uomo può fruire in questo mondo.»


707. Certe persone mancano spesso dei mezzi di sussistenza anche in mezzo all'abbondanza che le circonda. Con chi, per questo, esse devono prendersela?

«Con l'egoismo degli uomini, che non sempre fanno ciò che devono. Poi, e il più delle volte, devono prendersela con sé stessi. Cercate e troverete: queste parole non vogliono affatto dire che basti guardare a terra per trovare quanto si desidera, ma che bisogna cercarlo con ardore e perseveranza, e non pigramente, senza lasciarsi scoraggiare dagli ostacoli, che molto frequentemente sono dei mezzi per mettere alla prova la vostra costanza, pazienza e fermezza.» (Vedere n. 534)

Se la civilizzazione moltiplica i bisogni, essa moltiplica anche le fonti del lavoro e i mezzi per vivere. Ma bisogna convenire che, sotto questo aspetto, le resta ancora molto da fare. Quando la civilizzazione avrà compiuto la sua opera, non dovrà esserci più nessuno che possa dire che gli manca il necessario, se non per propria colpa. La sfortuna, per molti, è dovuta al fatto che si avventurano su una strada che non è quella tracciata per loro dalla natura. È allora che l'intelligenza per riuscire può far loro difetto. C’è posto per tutti al mondo, a condizione che ognuno si prenda il suo e non quello degli altri. La natura non può essere responsabile dei vizi dell'organizzazione sociale e delle conseguenze dell'ambizione e dell'amor proprio.

Tuttavia bisognerebbe essere ciechi per non riconoscere i progressi che si sono compiuti, sotto questo aspetto, presso i popoli più avanzati. Grazie ai lodevoli sforzi che la filantropia e le scienze continuano, insieme, a compiere per il miglioramento delle condizioni materiali dell'uomo e, malgrado la crescita incessante delle popolazioni, l'insufficienza della produzione risulta attenuata, per lo meno in gran parte, e gli anni più calamitosi non hanno niente di paragonabile a quelli di un tempo. L'igiene pubblica, elemento così essenziale del benessere e della salute, sconosciuto ai nostri padri, e ora oggetto di un'illuminata sollecitudine. L'infortunio e la sofferenza hanno dei luoghi di accoglienza. Ovunque ci si avvale della scienza per aumentare il benessere. Vuol dire che si è raggiunta la perfezione? Certamente no! Ma ciò che è stato fatto dà la misura di ciò che si può fare con la perseveranza, se l'uomo è abbastanza saggio da cercare la sua felicita nelle cose positive e serie, e non in utopie che lo fanno regredire anziché progredire.

708. Esistono situazioni in cui i mezzi di sussistenza non dipendono assolutamente dalla volontà dell'uomo e in cui la mancanza del necessario più impellente e una conseguenza della forza delle cose?

«È un a prova, sovente crudele, che l'uomo deve subire e alla quale sapeva che sarebbe stato sottoposto. Il suo merito sta nella sua sottomissione alla volontà del Signore, se la sua intelligenza non gli fornisce nessun mezzo per liberarsi delle difficolta. Se e giunta la sua ora, deve rassegnarsi senza lamentarsi pensando che l'ora della vera liberazione e arrivata e che la disperazione dell'ultimo momento gli può far perdere il frutto della sua rassegnazione

709. Coloro i quali, in certe gravi situazioni, si sono trovati ridotti a sacrificare i loro simili per nutrirsi hanno commesso un crimine? Se di crimine si tratta, è esso attenuato dalla necessità di sopravvivere che viene loro dato dall'istinto di conservazione?

«Ho già risposto dicendo che c’è più merito a subire tutte le prove della vita con coraggio e abnegazione. In questo caso ci sono omicidio e crimine di lesa natura, colpe che devono essere doppiamente punite.»


710. Nei mondi in cui il corpo è maggiormente purificato, gli esseri viventi hanno necessita di alimentarsi?

«Sì, ma i loro alimenti sono in rapporto alla loro natura. Questi alimenti non sarebbero sufficientemente sostanziosi per i vostri stomaci grossolani ed egualmente essi non potrebbero assumere i vostri.»




Godimento dei beni della terra

711. L'utilizzo dei beni della terra è un diritto per tutti gli uomini?

«Questo diritto e la conseguenza della necessita di vivere. Dio non può aver imposto un dovere senza aver dato i mezzi per compierlo.»

712. A quale scopo Dio ha conferito delle attrattive al godimento dei beni materiali?

«Per stimolare l'uomo al compimento della sua missione e anche per metterlo alla prova attraverso la tentazione.»

712a. Qual è lo scopo di questa tentazione?

«Sviluppare il suo raziocinio, che deve preservarlo dagli eccessi.»

Se l'uomo fosse stato stimolato al consumo dei beni della terra solo in vista della loro utilità, la sua indifferenza avrebbe potuto compromettere l'armonia dell'universo. Dio gli ha dato l'attrattiva del piacere per sollecitarlo al compimento dei disegni della Provvidenza. Ma, per mezzo di questa stessa attrattiva, Dio ha voluto anche metterlo alla prova per mezzo della tentazione, che lo spinge verso l'abuso, da cui il suo raziocinio deve difenderlo.


713. Il godimento dei piaceri ha dei limiti tracciati dalla natura?

«Sì, per indicarvi i limiti del necessario. Ma, a causa dei vostri eccessi, arrivate alla sazietà e così vi punite da voi stessi.»

714. Che pensare dell'uomo che cerca negli eccessi di ogni genere piaceri sempre più raffinati?

«Che è di carattere ben meschino. Egli è da compiangere e non da invidiare, perché e molto vicino alla morte.»

714a. È alla morte fisica o a quella morale ch'egli si avvicina?

«All'una e all'altra.»

L'uomo che cerca negli eccessi di ogni genere piaceri sempre più raffinati si pone al di sotto della bestia, in quanto la bestia sa limitarsi alla soddisfazione dei bisogni. L'uomo abdica alla ragione che Dio gli ha dato come guida e, quanto più grandi sono i suoi eccessi, tanto più prevale la sua natura animale su quella spirituale. Le malattie, le infermità e la morte stessa, che sono la conseguenza dell'abuso, sono al tempo stesso la punizione per la trasgressione alla legge di Dio.




Necessario e superfluo

715. Come può l'uomo conoscere il limite del necessario?

«Il saggio lo conosce per intuito, molti lo conoscono per esperienza e a proprie spese.»


716. La natura non ha forse tracciato il limite dei nostri bisogni attraverso il nostro stesso organismo?

«Sì, ma l'uomo e insaziabile. La natura ha tracciato il limite dei suoi bisogni attraverso il suo stesso organismo, ma i vizi hanno alterato la sua costituzione e gli hanno creato dei bisogni che non sono i bisogni reali.»


717. Che pensare di coloro che si accaparrano i beni della terra, procurandosi il superfluo a danno di coloro che mancano del necessario?

«Essi ignorano la legge di Dio e dovranno rispondere delle privazioni che avranno fatto subire.»

Il limite del necessario e del superfluo non ha niente di assoluto. La civilizzazione ha creato delle necessita che lo stato selvaggio non conosce, e gli Spiriti che hanno dettato questi precetti non pretendono che l'uomo civilizzato debba vivere come il selvaggio. Tutto e relativo, spetta alla ragione tener conto di ogni fatto. La civilizzazione sviluppa il senso morale e allo stesso tempo il senso di carità, che porta gli uomini a prestarsi mutuo soccorso. Coloro che vivono a spese delle privazioni altrui sfruttano a proprio vantaggio i benefici della civilizzazione. Essi della civilizzazione hanno solo la vernice, così come ci sono persone che della religione hanno solo la maschera.




Privazioni volontarie. Mortificazioni

718. La legge di conservazione obbliga l'uomo a provvedere alle necessita del corpo?

«Sì. Senza la forza e la salute il lavoro non è possibile.»

719. È condannabile l'uomo che ricerca il benessere?

«Il benessere e un'aspirazione naturale. Dio condanna solo l'abuso, perché l'abuso e contrario alla conservazione. Dio non ritiene assolutamente un crimine quello di ricercare il benessere, se questo benessere non viene acquisito a spese degli altri e se non indebolisce né le vostre forze morali né le vostre forze fisiche.»

720. Le privazioni volontarie, in vista di un'espiazione egualmente volontaria, hanno un merito agli occhi di Dio?

«Fate del bene al prossimo e maggiormente meriterete.»

720a. Ci sono delle privazioni volontarie che sono meritorie?

«Sì. La privazione dei piaceri dei beni inutili, perché libera l'uomo dalla materia ed eleva la sua anima. Meritorio è resistere alla tentazione che spinge agli eccessi e al godimento di cose inutili; meritorio e detrarre qualcosa dal proprio necessario per darlo a chi non ha abbastanza. Se la privazione non è che una vana simulazione, è una beffa.»



721. La vita di mortificazioni ascetiche è stata praticata per tutta L’antichità e presso vari popoli. È essa meritoria sotto un qualunque aspetto?

«Domandatevi a chi essa serva e avrete la risposta. Se serve solamente a colui che la pratica e gli impedisce di fare del bene, si tratta di egoismo, qualunque sia il pretesto con cui la si ammanti. Fare delle rinunce e lavorare per gli altri è la vera mortificazione, secondo la carità cristiana.»


722. L'astensione da certi alimenti, prescritta presso vari popoli, è fondata sulla ragione?

«Tutto ciò di cui l'uomo può nutrirsi senza pregiudizio per la sua salute e permesso. Però alcuni legislatori hanno deciso di interdire certi alimenti per uno scopo utile e, per dare maggior credito alle loro leggi, le hanno presentate come emanate da Dio.»

723. L'alimentazione di carne animale e, presso l'uomo, contraria alla legge di natura?

«Nella vostra costituzione fisica, la carne nutre la carne, altrimenti l'organismo umano deperisce. La legge di conservazione fa dovere all'uomo di conservare le sue forze e la sua salute per assolvere la legge del lavoro. Egli, dunque, deve nutrirsi secondo ciò che il suo organismo richiede.»


724. L'astenersi dal nutrimento animale o altro, come espiazione, è meritorio?

«Sì. Se ci si priva per gli altri. Ma Dio non può vedere mortificazione dove non c’è privazione seria e utile. È per ciò che noi diciamo che quelli che si privano solo in apparenza sono degli ipocriti.» (Vederen. 720)


725 Che pensare delle mutilazioni operate sul colpo dell'uomo o degli animali?

«A che proposito una simile domanda? Domandatevi pertanto ancora una volta se una cosa e utile. Ciò che è inutile non può essere gradito a Dio, e ciò che nuoce Gli è sempre sgradito. Sappiatelo bene, Dio e sensibile solo ai sentimenti che elevano l'anima verso di Lui. È praticando la Sua legge che potrete scuotere la materia terrena. Non certo violandola.»


726. Se le sofferenze di questo mondo ci elevano a seconda del modo in cui le sopportiamo, ci si può elevare anche con quelle che ci si crea volontariamente?

«Le sole sofferenze che elevano sono quelle naturali, perché vengono da Dio. Le sofferenze volontarie non servono a niente, quando non contribuiscano affatto al bene altrui. Credete forse che quelli che abbreviano la loro vita con rigori sovrumani, come fanno i bonzi, i fachiri e certi fanatici di parecchie sette, avanzino nel loro cammino? Perché non lavorano piuttosto per il bene dei loro simili? Che vestano il bisognoso, che consolino chi piange, che lavorino per colui che è infermo, che sopportino delle privazioni per il sollievo degli infelici. Allora il loro cammino sarà utile e gradito a Dio. Quando nelle sofferenze che si patiscono volontariamente, uno ha presente solo sé stesso, allora si tratta di egoismo. Quando si soffre per gli altri, allora si tratta di carità. Questi sono i precetti di Cristo.»


727. Se non ci si devono creare delle sofferenze volontarie, che non sono di alcuna utilità per gli altri, si deve allora cercare di preservarsi da quelle che si prevedono o che ci minacciano?

«L'istinto di conservazione è stato dato a tutti gli esseri contro i pericoli e le sofferenze. Fustigate il vostro spirito e non il vostro corpo, mortificate il vostro orgoglio, soffocate il vostro egoismo simile a un serpente che vi rode il cuore, e farete di più per il vostro avanzamento che con dei rigori che peraltro non sono più dei nostri tempi.»





Capítulo VI - 5. Legge di Distruzione



Distruzione necessaria e distruzione indebita

728. La distruzione è una legge di natura?

«Bisogna che tutto si distrugga perché rinasca e si rigeneri. Ciò che voi chiamate distruzione altro non è che trasformazione, che ha per scopo il rinnovamento e il miglioramento degli esseri viventi.»


728a. L'istinto di distruzione, così, sarebbe stato dato agli esseri viventi secondo disegni provvidenziali?

«Le creature di Dio sono gli strumenti di cui Egli si serve per arrivare ai Suoi scopi. Per nutrirsi, gli esseri viventi si distruggono reciprocamente, e ciò nel duplice scopo di mantenere l'equilibrio nella riproduzione, che potrebbe diventare eccessiva, e di utilizzare i resti dell'involucro esteriore. Ma è sempre e solo questo involucro che si distrugge. E questo involucro non è che l'accessorio e non la parte essenziale dell'essere pensante. La parte essenziale e il principio intelligente, il quale e indistruttibile e si evolve nelle varie metamorfosi che subisce.»

729. Se la distruzione e necessaria per la rigenerazione degli esseri, perché la natura li attornia di mezzi di preservazione e di conservazione?

«Ciò affinché la distruzione non arrivi prima del tempo dovuto. Ogni distruzione anticipata intralcia lo sviluppo del principio intelligente. È per questo che Dio ha dato a ogni essere il bisogno di vivere e di riprodursi.»

730. Poiché la morte deve condurci verso una vita migliore, che ci libera dai mali di questa vita, di conseguenza essa sarebbe più da desiderare che da rifiutare. Perché allora l'uomo ne ha un orrore istintivo, che gliela fa temere?

«L'abbiamo già detto, l'uomo deve cercare di prolungare la sua vita per compiere il suo dovere. È per questo che Dio gli ha dato l'istinto di conservazione, ed è questo istinto che lo sostiene nelle prove. Senza di esso troppo spesso egli si abbandonerebbe allo scoraggiamento. La voce segreta che gli fa respingere la morte gli dice che può fare ancora qualcosa per il suo avanzamento. Quando un pericolo lo minaccia, è un avvertimento affinché possa mettere a profitto la tregua che Dio gli concede. Ma l'ingrato ringrazia più spesso la sua buona stella che il suo Creatore!»

731. Perché, accanto ai mezzi di conservazione, la natura ha allo stesso tempo messo gli agenti di distruzione?

«Il rimedio a fianco del male. L'abbiamo già detto: per mantenere l'equilibrio e perché serva da contrappeso.»

732. Il bisogno di distruzione è uguale in tutti i mondi?

«Essa è proporzionata allo stato più o meno materiale dei mondi. Tale necessita scompare quando lo stato fisico e morale sono più depurati. Nei mondi più avanzati del vostro, le condizioni di esistenza sono tutt'altre.»

733. Il bisogno di distruzione esisterà sempre fra gli uomini della Terra?

«Il bisogno di distruzione si indebolisce nell'uomo nella misura in cui lo Spirito ha il sopravvento sulla materia. Per questa ragione voi vedete l'orrore per la distruzione seguire di pari passo lo sviluppo intellettuale e morale.»

734. Nel suo stato attuale, l'uomo ha un diritto illimitato di distruzione sugli animali?

«Questo diritto e regolato dalla necessita per l'uomo di provvedere al proprio nutrimento e alla propria sicurezza. L'abuso non è mai stato un diritto.»

735. Che pensare della distruzione che oltrepassa i limiti delle necessità e della sicurezza? Che pensare della caccia, per esempio, quando abbia per scopo il solo piacere di distruggere senza utilità alcuna?

«Si tratta di una predominanza della forza bruta sulla natura spirituale. Qualsiasi distruzione che oltrepassi i limiti della necessita e una violazione della legge di Dio. Gli animali distruggono solo per necessita, ma l'uomo, che ha il libero arbitrio, distrugge anche senza necessita. Egli dovrà render conto dell'abuso della libertà che gli è stata accordata, perché in questo caso si tratta di cattivi istinti ai quali egli cede.»

736. I popoli che portano ali eccesso lo scrupolo relativo alla distruzione degli animali hanno dei meriti particolari?

«Si tratta di un eccesso riguardo a un sentimento lodevole in sé stesso, ma che diventa un abuso e il cui merito viene neutralizzato da abusi di ben altro genere. C’è in queste persone più superstiziosa paura che vera bontà.»




Flagelli distruttori

737. Per quale motivo Dio colpisce l'umanità con flagelli distruttori?

«Per farla progredire più rapidamente. Non abbiamo forse detto che la distruzione è necessaria alla rigenerazione morale degli Spiriti, i quali si procurano in ogni nuova esistenza un nuovo grado di perfezione? Si deve vedere la fine per apprezzarne i risultati. Voi li giudicate solo dal vostro punto di vista personale e li chiamate flagelli a causa del danno che essi vi causano. Ma questi sovvertimenti sono sovente necessari per giungere più prontamente a un ordine migliore delle cose e ottenere in pochi anni ciò che si otterrebbe con dei secoli.» (Vedere n. 744)

738. Dio non avrebbe potuto impiegare perii miglioramento dell'umanità altri mezzi anziché i flagelli distruttori?

«Sì. E li impiega tutti i giorni, perché ha dato a ognuno i mezzi per progredire attraverso la conoscenza del bene e del male. È l'uomo che non ne approfitta, perciò bisogna ben castigarlo nel suo orgoglio e fargli sentire la sua fragilità.»


738a. Ma in questi flagelli l'uomo dabbene soccombe come il perverso. È giusto questo?

«Durante la vita l'uomo rapporta tutto al suo corpo, ma dopo la morte pensa in modo diverso. Come abbiamo già detto, la vita fisica e poca cosa. Un secolo del vostro mondo e un lampo nell’eternità. Pertanto le sofferenze che voi definite di qualche mese o di qualche giorno non sono niente. Questo è per voi un insegnamento e vi serve per il futuro. Gli Spiriti, ecco il mondo reale preesistente e sopravvivente a tutto (vedere n. 85), sono i figli di Dio e l'oggetto di tutta la Sua sollecitudine. I corpi sono solo gli abiti con i quali essi appaiono in questo mondo. Nelle grandi calamità, che decimano gli uomini, si verifica ciò che succede in un'armata, la quale, durante i combattimenti, vede le sue divise lacerate, ridotte a brandelli o perse. M a il generale ha più cura dei suoi soldati che delle loro divise.»


738b. Ma le vittime di questi flagelli sono forse per questo meno vittime?

«Se si considerasse la vita per quello che è, e come poca cosa essa sia in confronto all'infinito, le si attribuirebbe meno importanza. Queste vittime troveranno in un'altra esistenza una grande compensazione alle loro sofferenze, se sapranno sopportarle senza lamentarsi.»

Che la morte arrivi a causa di un flagello o per una causa ordinaria, quando l'ora della dipartita e suonata, bisogna morire. Una sola differenza: nei flagelli la morte riguarda contemporaneamente un grande numero di persone.

Se noi potessimo elevarci con il pensiero in modo da dominare l'umanità e abbracciarla tutta, questi flagelli così terribili ci parrebbero solo dei temporali passeggeri nel destino del mondo.


739. I flagelli distruttori hanno un'utilità dal punto di vista fisico, nonostante i mali che causano?

«Sì. Essi mutano a volte le condizioni di una regione, ma il bene che ne deriva viene spesso avvertito solo con le generazioni future.»

740. I flagelli non potrebbero egualmente essere per l'uomo delle prove morali, dal momento che lo sottopongono alle più dure necessità?

«I flagelli sono delle prove che offrono all'uomo l'occasione di esercitare la sua intelligenza, di mostrare la sua pazienza e la sua rassegnazione alla volontà di Dio e lo mettono in grado di dar prova dei suoi sentimenti di abnegazione, di disinteresse per il mondo materiale e d'amore per il prossimo, quando egli non sia dominato dall'egoismo.»

741. È dato all'uomo di scongiurare i flagelli da cui è tormentato?

«Sì, in una certa misura, ma non come si intende generalmente. Molti dei flagelli sono la conseguenza della sua imprevidenza. Nella misura in cui l'uomo acquisisce cognizioni ed esperienza, può scongiurarli, può cioè prevenirli se sa ricercarne le cause. Però, fra i mali che affliggono l'umanità, ci sono quelli di carattere generale che si trovano nei decreti della Provvidenza, e di cui ogni individuo riceve più o meno il contraccolpo. A questi mali l'uomo non può opporre che la rassegnazione alla volontà di Dio. Inoltre questi mali sono spesso aggravati dalla sua negligenza.»

Tra i flagelli distruttori, naturali e non dipendenti dall'uomo, si devono mettere in prima linea la peste, la fame, le inondazioni e le avverse condizioni atmosferiche, fatali per le produzioni della terra. Ma l'uomo non ha forse trovato, nelle scienze, nelle arti, nel perfezionamento delle tecniche agricole, nella rotazione delle colture, nelle irrigazioni e nello studio delle condizioni igieniche, i mezzi per neutralizzare o quanto meno per attenuare molti disastri? Certe regioni, un tempo sconvolte da terribili flagelli, non ne sono forse oggi preservate? Che cosa mai non farà dunque l'uomo per il suo benessere materiale, quando saprà mettere a profitto tutte le risorse della sua intelligenza, e quando alla cura della sua conservazione personale saprà affiancare il sentimento di una vera carità per i suoi simili? (Vedere n. 707)




Guerre

742. Qual è la causa che porta l'uomo alla guerra?

«La predominanza della forza bruta sulla natura spirituale e l'appagamento delle passioni. Allo stato selvaggio, i popoli non conoscono che il diritto del più forte. Per questo la guerra e per loro una condizione normale. Comunque, man mano che l'uomo progredisce, i conflitti diventano meno frequenti perché se ne evitano le cause. E quando essi sono inevitabili, l'uomo sa affiancare all'azione lo spirito di umanità.»

743. La guerra sparirà un giorno dalla faccia della Terra?

«Sì. Quando gli uomini comprenderanno la giustizia e praticheranno la legge di Dio, allora tutti i popoli saranno fratelli.»

744. Qual è stato lo scopo della Provvidenza rendendo la guerra necessaria?

«La libertà e il progresso.»


744a. Se la guerra deve avere come effetto quello di conseguire la libertà, come accade che essa ha sovente come scopo e come risultato l'asservimento?

«Asservimento temporaneo per estenuare i popoli, al fine di farli progredire più rapidamente.»

745. Che pensare di colui che provoca la guerra per i propri interessi?

«Costui e il vero colpevole e dovrà viverne di esistenze perché possa espiare tutti gli omicidi di cui sarà stato causa! Egli dovrà infatti rispondere di ogni uomo di cui avrà causato la morte per soddisfare la propria ambizione.»




Assassinio

746. L'assassinio è un crimine agli occhi di Dio?

«Sì. È un grande crimine, perché chi priva della vita un proprio simile spezza una vita di espiazione o di missione. Ed è questo il male.»

747. L'assassino ha sempre il medesimo grado di colpevolezza?

«L'abbiamo già detto: Dio e giusto. Giudica più l'intenzione che i fatti.»

748. Dio scagiona l'assassinio commesso per legittima difesa?

«La sola necessita può discolparlo. Ma se si può preservare la propria vita senza attentare a quella del proprio aggressore, lo si deve fare.»

749. L'uomo è colpevole degli omicidi che commette in guerra?

«No, se v i è indotto con la forza. M a è colpevole delle crudeltà che commette, mentre si terra conto della sua umanità.»


750. Chi è il più colpevole agli occhi di Dio, il parricida o l'infanticida?

«Tutti e due lo sono ugualmente, perché ogni crimine è pur sempre un crimine.»

751. A che cosa è dovuto il fatto che presso certi popoli, ormai avanzati dal punto di vista intellettuale, l'infanticidio si trovi nei loro costumi e sia sancito dalla legislazione?

«Lo sviluppo intellettuale non implica necessariamente il bene. Uno Spirito d'intelligenza superiore può essere malvagio. È colui che ha molto vissuto senza migliorarsi: lui lo sa.»




Crudeltà

752. Il sentimento di crudeltà può essere messo in rapporto all'istinto di distruzione?

«La crudeltà è quanto di peggio si possa trovare nell'istinto di distruzione. Infatti se la distruzione può essere a volte una necessita, la crudeltà non lo e mai; essa e sempre la conseguenza di una natura cattiva.»


753. A che cosa è dovuto il fatto che la crudeltà è il carattere dominante dei popoli primitivi?

«Presso i popoli primitivi, come voi li chiamate, la materia ha il sopravvento sullo Spirito. Essi si abbandonano agli istinti bruti e, poiché non hanno altre necessita che quelle della vita fisica, pensano solo alla conservazione di sé stessi, ed è ciò che in genere li rende crudeli. Per di più i popoli, il cui sviluppo è incompleto, si trovano sotto il dominio di Spiriti egualmente incompleti, che sono loro simpatici, finché popoli più avanzati non vengono a distruggere o ad affievolire questa influenza.»

754. La crudeltà non attiene forse alla mancanza di senso morale?

«Dite che il senso morale non è sviluppato, ma non dite che esso è assente: il senso morale, infatti, esiste come principio in tutti gli uomini. È questo senso morale che ne farà più tardi degli esseri buoni e umani. Esiste dunque nel selvaggio, ma vi si trova come il principio del profumo sta nel germe del fiore prima che sbocci.»

Allo stato rudimentale o latente nell'uomo esistono tutte le facoltà. Esse si sviluppano a seconda che le circostanze siano loro più o meno favorevoli. Lo sviluppo eccessivo di alcune arresta o neutralizza quello di altre. La sovreccitazione degli istinti materiali soffoca, per così dire, il senso morale, così come lo sviluppo del senso morale indebolisce a poco a poco le facoltà puramente animali.

755. Come accade che, in seno alla civilizzazione più avanzata, si trovino a volte degli esseri tanto crudeli quanto i selvaggi?

«Così come su un albero carico di buoni frutti si possono trovare frutti non sviluppati. Quelli sono, se si vuole, dei selvaggi che della civiltà hanno solo l'abito, sono dei lupi spersi in mezzo al gregge. Spiriti di ordine inferiore e molto arretrati possono incarnarsi fra gli uomini avanzati, nella speranza di avanzare anch'essi. Ma se la prova e troppo pesante, la natura primitiva ha il sopravvento.»

756. La società degli uomini dabbene sarà un giorno liberata dagli esseri malvagi?

«L'umanità progredisce. Questi uomini dominati dall'istinto del male e che si trovano fra le persone dabbene, spariranno a poco a poco, come il grano cattivo viene separato da quello buono quando viene mondato, ma per rinascere sotto un altro involucro. E poiché avranno più esperienza, comprenderanno meglio il bene e il male. Ne avete un esempio nelle piante e negli animali che l'uomo ha trovato modo di perfezionare sviluppando in essi qualità nuove. Ebbene! Solamente dopo molte generazioni il perfezionamento può dirsi completo. Questa è l'immagine delle varie esistenze dell'uomo.»




Duello

757. Il duello può essere considerato un caso di legittima difesa?

«No. È un omicidio e un'usanza assurda, degna dei barbari. Con una civilizzazione più avanzata e più morale, l'uomo comprenderà che il duello e ridicolo, come quei combattimenti considerati un tempo il giudizio di Dio.»


758. Può il duello essere considerato come un omicidio da parte di colui che, conoscendo la propria debolezza, è quasi sicuro di soccombere?

«È un suicidio.»


758a. E quando le probabilità si equivalgono, e un omicidio o un suicidio?

«È l'una e l'altra cosa.»

In ogni caso, anche quando le probabilità sono uguali, il duellante e colpevole. In primo luogo perché attenta freddamente eco n deliberato proposito alla vita di un proprio simile, secondariamente perché espone inutilmente la propria vita e senza vantaggio per nessuno.


759. Qual è il valore di ciò che viene chiamato il punto d'onore in materia di duello?

«L'orgoglio e la vanita: due piaghe dell'umanità.»


759a. Ma ci sono dei casi in cui l'onore e stato veramente offeso, e un rifiuto sarebbe viltà?

«Ciò dipende dagli usi e dai costumi. Ogni paese e ogni secolo ha, a questo proposito, un modo differente di vedere. Quando gli uomini saranno migliori e moralmente più avanzati, comprenderanno che il vero punto d'onore si trova al di sopra delle passioni terrene e che non è affatto uccidendo o facendosi uccidere che si ripara a un torto.»

C’è più grandezza e vero onore nel confessarsi colpevoli se si ha torto, o nel perdonare se si ha ragione e, in ogni caso, nel non dar peso agli insulti, poiché essi non ci possono colpire.





Pena di morte

760. La pena di morte scomparirà un giorno dalla legislazione umana?

«La pena di morte scomparirà incontestabilmente, e la sua soppressione costituirà un progresso per l'umanità. Quando gli uomini saranno più illuminati, la pena di morte sarà completamente abolita sulla Terra. Gli uomini non avranno più bisogno di essere giudicati dagli uomini. Sto parlando di un tempo che è ancora molto lontano.»

Senza dubbio il progresso sociale lascia ancora molto a desiderare. Ma sarebbe ingiusto nei confronti della società moderna se, nelle restrizioni apportate alla pena di morte presso i popoli più avanzati e nella natura dei crimini ai quali se ne limita l'applicazione, non si riconoscesse un progresso. Se si confrontano le garanzie per mezzo delle quali la giustizia, presso questi stessi popoli, si sforza di circondare l'accusato, e lo spirito di umanità che essa adotta nei suoi confronti, anche quando viene riconosciuto colpevole, con quanto si praticava in tempi che non sono neppure tanto lontani, non si può negare il cammino progressivo nel quale ormai marcia l'umanità.


761. La legge di conservazione da all'uomo il diritto di preservare la sua stessa vita. Non fa egli forse uso di questo diritto quando elimina dalla società un individuo pericoloso?

«Ci sono altri mezzi per preservarsi dai danni che non sono l'uccidere. D'altra parte al criminale si deve aprire la porta del pentimento, non chiudergliela.»

762. Se oggi la pena di morte può essere bandita dalle società civilizzate, non potrebbe essere stata una necessita in tempi meno avanzati?

«Il termine necessita non è pertinente. L'uomo crede sempre che una cosa sia necessaria quando non trova niente di meglio. Però nella misura in cui si illumina, egli comprende meglio ciò che è giusto o ingiusto e ripudia gli eccessi commessi ai tempi dell'ignoranza in nome della giustizia.»

763. La restrizione dei casi in cui si applica la pena di morte è indice di progresso nella civilizzazione?

«Se ne può dubitare? Il vostro Spirito non si ribella forse leggendo il resoconto delle carneficine umane perpetrate un tempo in nome della giustizia e sovente in ossequio alla Divinità? Leggendo il resoconto delle torture che si facevano subire al condannato e anche all'accusato, per strappargli, con l'abuso di sofferenze, la confessione di un crimine che molte volte non aveva nemmeno commesso? Ebbene! Se voi foste vissuti a quei tempi, avreste trovato tutto questo naturale, e forse voi stessi, ritengo, avreste fatto altrettanto se foste stati preposti a giudicare. È così che quanto pareva giusto un tempo appare barbaro in un altro. Le leggi divine sono le uniche eterne, mentre le leggi umane cambiano con il progresso. E cambieranno ancora, finché non saranno poste in armonia con le leggi divine.»

764. Gesù ha detto: Chi con la spada ha ucciso di spada morirà. Queste parole non sono forse la consacrazione della legge del taglione, e la morte inflitta all'assassino non è l'applicazione di questa pena?

«State attenti! Vi siete sbagliati riguardo a queste parole come su molte altre. La pena del taglione e la giustizia di Dio, e Lui che la applica. Voi tutti subite in ogni istante questa pena, perché venite puniti là dove avete peccato, in questa vita o in un'altra. Chi ha fatto soffrire i suoi simili si troverà nella condizione di subire lui stesso ciò che avrà fatto subire. Questo e il senso delle parole di Gesù. Ma Egli vi ha anche detto: ‘Perdonate i vostri nemici’ e vi ha insegnato a domandare a Dio di perdonarvi i vostri peccati come voi stessi li avrete perdonati agli altri, ossia nella stessa misura in cui voi avrete perdonato. Cercate di capite bene ciò.»

765. Che pensare della pena di morte inflitta in nome di Dio?

«Equivale a prendere il posto di Dio in fatto di giustizia. Coloro che agiscono così mostrano quanto siano lontani dal comprendere Dio, e quante cose abbiano ancora da espiare. La pena di morte e un crimine quando venga applicata nel nome di Dio, e quelli che la infliggono ne sono responsabili tanto quanto gli assassini.»





Capítulo VII — 6. Legge della Società



Necessita della vita sociale

766. La vita sociale è nella legge della natura?

«Certamente. Dio ha fatto l'uomo perché vivesse in società. Non per niente Dio ha dato all'uomo la parola e tutte le altre facoltà necessarie alla vita di relazione.»

767. L'isolamento assoluto è contrario alla legge di natura?

«Sì, poiché gli uomini cercano per istinto la vita di relazione e poiché tutti insieme devono concorrere al progresso aiutandosi reciprocamente.»

768. L'uomo, cercando la vita di relazione, non fa che obbedire a un sentimento personale, oppure c'è in questo sentimento un fine provvidenziale più generale?

«L'uomo deve progredire, ma da solo non può poiché non possiede tutte le facoltà. Gli è necessario relazionarsi con gli altri uomini, poiché nell'isolamento si abbrutisce e intristisce.»

Nessun uomo possiede tutte le facoltà. Attraverso le relazioni sociali, gli uomini si completano gli uni con gli altri per assicurarsi il loro benessere e progredire. È per questo che, avendo essi necessita gli uni degli altri, sono fatti per vivere in società e non per isolarsi.




Vita di isolamento. Voto di silenzio

769. Si deduce che, come principio generale, la vita sociale si trovi in natura. Ma, poiché tutte le tendenze sono anch'esse in natura, perché quella dell'isolamento assoluto sarebbe condannabile, se l'uomo vi trova la sua soddisfazione?

«La soddisfazione dell'egoista! Ci sono anche uomini che trovano soddisfazione nell'ubriacarsi. Li approvate forse? Dio non può ritenere gradevole una vita attraverso la quale ci si condanna a non essere utili a nessuno.»


770. Che pensare degli uomini che vivono nella reclusione assoluta per fuggire il contatto pernicioso del mondo?

«Doppio egoismo.»


770a. Ma se questo ritiro ha per fine un'espiazione, che impone una dura punizione, non è forse meritoria?

«Fare del bene più di quanto non si sia fatto del male e la migliore espiazione. Per evitare un male, questi uomini cadono in un altro, perché dimenticano la legge d'amore e di carità»

771. Che pensare di coloro che fuggono il mondo per votarsi alla cura degli infelici?

«Costoro si elevano abbassandosi. Costoro hanno il duplice merito di porsi al di sopra delle soddisfazioni materiali e di fare il bene per l'adempimento della legge del lavoro.»


771a. E quelli che cercano nell'isolamento la tranquillità che certi lavori esigono?

«Questo non è affatto il ritiro assoluto dell'egoista. Essi non si isolano dalla società, dal momento che lavorano per essa.»


772. Che pensare del voto di silenzio prescritto da certe corporazioni fin dalla più remota antichità?

«Domandatevi piuttosto se il linguaggio e naturale e perché Dio ne abbia fatto dono agli uomini. Dio condanna l'abuso e non l'uso delle facoltà ch'Egli ci ha accordato. Ciononostante il silenzio è utile, perché nel silenzio ci si raccoglie, lo Spirito diventa più libero e può allora entrare in comunicazione con gli altri Spiriti. Ma il voto di silenzio e una stoltezza. Senza dubbio coloro che considerano queste privazioni volontarie come atti di virtù hanno buone intenzioni, ma si ingannano perché non comprendono sufficientemente le vere leggi di Dio.»

Il voto di silenzio assoluto, come quello di isolamento, priva l'uomo delle relazioni sociali, le quali potrebbero fornirgli le occasioni per fare il bene e contribuire alla legge del progresso.




Legami familiari

773. Perché, presso gli animali, genitori e figli, una volta che questi ultimi non hanno più bisogno di cure, non si riconoscono più?

«Gli animali vivono di vita materiale, e non di vita morale. La tenerezza della madre verso i suoi piccoli ha come origine l'istinto di conservazione degli esseri ai quali ha dato la vita. Quando questi esseri diventano autosufficienti, il suo compito e finito, e la natura non le domanda altro. È per questo che li abbandona per occuparsi di altri nuovi nati.»

774. Ci sono delle persone le quali deducono, in base all'abbandono dei piccoli animali da parte dei loro genitori, che nell'uomo i legami familiari sono solo un risultato dei costumi sociali e non una legge di natura. Che cosa dobbiamo pensarne?

«L'uomo ha un destino diverso da quello degli animali, perché dunque volerlo sempre paragonare al loro? Nell'uomo c’è ben altro al di là delle necessita materiali: la necessita del progresso. I legami sociali sono necessari al progresso, e i legami familiari includono i legami sociali. Ecco perché i legami familiari sono una legge di natura. Dio ha voluto che gli uomini imparassero così ad amarsi come fratelli.» (Vedere n. 205)

775. Quali sarebbero per la società le conseguenze di un allentamento dei legami familiari?

«Una recrudescenza dell'egoismo.»





Capítulo VIII - 7. Legge del Progresso



Stato di natura

776. Lo stato di natura e la legge naturale sono la stessa cosa?

«No. Lo stato di natura e lo stato primitivo. La civilizzazione non è compatibile con lo stato di natura, mentre la legge naturale contribuisce al progresso dell'umanità.»

Lo stato di natura è l'infanzia dell'umanità e il punto di partenza del suo sviluppo intellettivo e morale. L'uomo, essendo perfettibile e portando in sé il germe del suo miglioramento, non è affatto destinato a vivere eternamente nello stato di natura, non più di quanto non sia destinato a vivere perpetuamente nello stato dell'infanzia. Lo stato di natura è transitorio, e l'uomo ne esce con il progresso e la civilizzazione. La legge naturale, al contrario, regge tutta l'umanità, e l'uomo migliora nella misura in cui comprende meglio e meglio pratica questa legge.


777. Nello stato di natura l'uomo, avendo meno necessità, non deve sopportare tutte le tribolazioni ch'egli si crea in uno stato più avanzato. Che cosa pensare dell'opinione di quelli che considerano questo stato come quello della più perfetta felicità sulla Terra?

«Che cosa volete? È la felicita del bruto! Ci sono persone che non comprendono altro. Questo e essere felice alla maniera delle bestie. Anche i bambini sono più felici degli adulti.»

778. L'uomo può regredire allo stato di natura?

«No. L'uomo deve progredire incessantemente e non può ritornare allo stato infantile. Se progredisce, e perché così vuole Dio. Pensare che possa regredire allo stato primitivo sarebbe negare la legge del progresso.»




Cammino del progresso

779. L'uomo attinge in sé stesso la forza per progredire, oppure il progresso è solo il frutto di un insegnamento?

«L'uomo si evolve lui stesso naturalmente, ma non tutti progrediscono nello stesso tempo e nello stesso modo. È allora che i più avanzati collaborano al progresso degli altri attraverso le relazioni sociali.»


780. Il progresso morale segue sempre il progresso intellettivo?

«Ne è la conseguenza, ma non sempre lo segue immediatamente
(Vedere nn. 192 e 365)


780a. Come può il progresso intellettivo condurre al progresso morale?

«Facendo comprendere il bene e il male: allora l'uomo può scegliere. Lo sviluppo del libero arbitrio segue quello dell'intelligenza e aumenta la responsabilità delle proprie azioni.»


780b. Come accade allora che i popoli più illuminati siano sovente i più pervertiti?

«Il progresso completo e la meta, ma i popoli, come gli individui, non ci arrivano che passo dopo passo. Finché il senso morale non si è sviluppato in loro, possono anche servirsi della loro intelligenza per commettere il male. La morale e l'intelligenza sono due forze che trovano equilibrio solo nel lungo termine.» (Vedere nn. 365 e 751)

781. È concesso all'uomo di fermare il cammino del progresso?

«No. Ma a volte può intralciarlo.»


781a. Che cosa pensare di quegli uomini che cercano di arrestare il cammino del progresso e di far retrocedere l'umanità?

«Poveri esseri che Dio punirà. Essi saranno travolti dal torrente che vogliono arrestare.»

Poiché il progresso è una condizione della natura umana non è nel potere di nessuno opporvisi. È una forza viva che delle cattive leggi possono ritardare, ma non soffocare. Quando queste leggi diventano incompatibili con il progresso, esso le distrugge insieme a tutti quelli che tentano di mantenerle. E sarà sempre così finché l'uomo non avrà messo le sue leggi in sintonia con la giustizia divina, che vuole il bene per tutti e non leggi fatte per il più forte a danno del più debole.

782. Non ci sono forse degli uomini che ostacolano il progresso in buona fede, credendo di favorirlo, perché lo vedono dal loro punto di vista e spesso là dove non c’è?

«Si tratta di una piccola pietra che, messa sotto la ruota di un grande carro, non gli impedisce di avanzare.»

783. Il perfezionamento dell'umanità segue sempre un cammino lento e progressivo?

«C’è il progresso regolare e lento che è dovuto alla forza delle cose. Ma quando un popolo non avanza abbastanza in fretta, Dio gli invia di quando in quando una scossa fisica o morale che lo trasforma.»

L'uomo non può restare eternamente nell'ignoranza, perché deve arrivare allo scopo indicato dalla Provvidenza, ed egli s'illumina attraverso la forza delle cose. Le rivoluzioni morali, come le rivoluzioni sociali, si insinuano a poco a poco nelle idee. Esse stanno in incubazione per dei secoli, poi improvvisamente esplodono e fanno crollare l'edificio fatiscente del passato, che non è più in armonia con le nuove necessita e le nuove aspirazioni.

L'uomo sovente in questi sommovimenti percepisce solo il disordine e la confusione del momento, poiché lo colpiscono nei suoi interessi materiali. Ma chi eleva il suo pensiero al di sopra della sua persona ammira i disegni della Provvidenza, che dal male fa scaturire il bene. Sono la tempesta e l'uragano che lasciano l'atmosfera purificata dopo averla sconvolta.

784. La perversità dell'uomo è molto grande. E non sembra egli regredire, anziché avanzare, almeno dal punto di vista morale?

«Vi sbagliate. Osservate bene l'insieme e vedrete che l'uomo avanza, perché comprende meglio ciò che è male, e ogni giorno sopprime gli abusi. È necessario l'eccesso del male per fare comprendere la necessita del bene e delle riforme.»

785. Qual è il più grande ostacolo al progresso?

«L'orgoglio e l'egoismo. E mi riferisco al progresso morale. Infatti il progresso intellettuale avanza sempre e sembra persino, di primo acchito, dare a questi vizi una doppia forza, sviluppando l'ambizione e l'amore per le ricchezze che, a loro volta, stimolano l'uomo alle ricerche, che illuminano il suo Spirito. È così che tutto si collega al mondo morale, come a quello fisico, ed e così che dal male stesso può scaturire il bene. Ma questo stato di cose è di breve durata e cambierà nella misura in cui l'uomo comprenderà meglio che, oltre al godimento dei beni terreni, c’è una felicita infinitamente più grande e infinitamente più durevole.» (Vedere Egoismo, Parte Terza, cap. XII)

Ci sono due tipi di progresso, che si prestano reciproco appoggio, e che tuttavia non camminano fianco a fianco. Si tratta del progresso intellettuale e del progresso morale. Presso i popoli civilizzati, il primo riceve, in questo secolo, ogni desiderabile incoraggiamento e ha così raggiunto un livello fino ai nostri giorni sconosciuto. Manca non poco perché il secondo sia allo stesso livello del primo, ma ciononostante, se si paragonano gli attuali costumi sociali con quelli di alcuni secoli fa, bisognerebbe essere ciechi per negare il progresso che c’è stato. Perché dunque il cammino ascendente dovrebbe arrestarsipiù sul piano morale che su quello intellettivo? Perché non dovrebbe esserci fra il diciannovesimo e il ventiquattresimo secolo la stessa differenza che c’è stata fra il quattordicesimo e il diciannovesimo? Dubitarne sarebbe presumere che l'umanità sia all'apogeo della perfezione, la qual cosa sarebbe assurda, oppure che l'umanità non sia moralmente perfettibile, la qual cosa e smentita dall'esperienza.






Popoli degenerati

786. La Storia ci mostra numerosissimi esempi di popoli che, dopo gli sconquassi che li hanno sconvolti, sono ricaduti nella barbarie. Dov’è il progresso in questo caso?

«Quando la vostra casa minaccia di crollare, voi l'abbattete per costruirne una più solida e confortevole. Ma, finché essa non viene ricostruita, nella vostra dimora c’è solo disagio e confusione.

Inoltre, voi dovete ancora tener conto di questo. eravate poveri e vivevate in stamberghe che, diventati ricchi, lasciate per passare ad abitare in un palazzo. Allora altri poveri diavoli, come eravate voi, vanno a prendere il vostro posto nella vostra stamberga, e sono anche molto felici, perché prima non avevano dove rifugiarsi. Orbene, sappiate dunque che gli Spiriti, che si sono incarnati in questo popolo degenerato, non sono i medesimi che lo costituivano ai tempi del suo splendore. Quelli di allora, che erano avanzati, sono andati ad abitare in dimore migliori e hanno progredito, mentre altri meno avanzati hanno preso il loro posto, che a loro volta lasceranno.»

787. Non ci sono farse delle razze ribelli al progresso, per loro stessa natura?

«Sì, ma esse si annientano fisicamente ogni giorno.»


787a. Quale sarà la sorte futura delle anime che animano queste razze?

«Esse arriveranno, come tutte le altre, alla perfezione passando per altre esistenze. Dio non disereda nessuno.»


787b. Pertanto gli uomini più civilizzati hanno potuto essere selvaggi e antropofagi?

«Voi stessi lo siete stati, più di una volta, prima di essere quello che siete.»


788. I popoli sono delle individualità collettive che, come i singoli individui, passano attraverso l'infanzia, lieta matura e la decadenza. Questa verità, confermata dalla Storia, non può far pensare che i popoli più avanzati di questo secolo avranno il loro declino e la loro fine come quelli dell'antichità?

«Certamente. I popoli che vivono della sola vita fisica e la cui grandezza si fonda solo sulla forza e l'espansione territoriale, nascono, crescono e muoiono, perché la forza di un popolo si esaurisce come quella dell'uomo. Quelli, le cui leggi egoistiche contrastano con il progresso dei lumi e la carità, muoiono perché la luce uccide le tenebre e la carità uccide l'egoismo. Ma esiste per i popoli, come per gli individui, la vita dell'anima. Perciò coloro, le cui leggi armonizzano con le leggi eterne del Creatore, vivranno e saranno il faro per altri popoli.»

789. Il progresso riunirà un giorno tutti i popoli della Terra in un'unica nazione?

«No, non in un'unica nazione. Questo e impossibile perché dalla differenza del clima nascono costumi e bisogni diversi, che danno luogo alle nazionalità. Per questo avranno sempre bisogno di leggi adeguate a questi costumi e a queste necessita. Ma la carità non conosce affatto le latitudini ne fa distinzione fra i colori della pelle. Quando la legge di Dio diverrà ovunque la base della legge umana, i popoli praticheranno reciprocamente la carità, come gli individui da uomo a uomo. Allora gli uomini vivranno felici e in pace, perché nessuno cercherà di fare torto al suo vicino, né di vivere a sue spese.»

L'umanità progredisce in virtù degli individui che si perfezionano a poco a poco e si illuminano. Allora, quando questi prevalgono per numero, prendono il sopravvento e trascinano gli altri. Di tanto in tanto sorgono fra loro degli uomini di genio che danno lo slancio, poi degli uomini autorevoli, strumenti di Dio, che in pochi anni fanno avanzare l'umanità di molti secoli.

Il progresso dei popoli mette di nuovo in evidenza quanto sia giusta la reincarnazione. Gli uomini dabbene fanno sforzi encomiabili per far avanzare una nazione moralmente e intellettualmente. La nazione così trasformata sarà più felice in questo e nell'altro mondo, sia pure, ma nel corso della sua lenta marcia attraverso i secoli migliaia di individui muoiono ogni ora. Qual e la sorte di tutti quelli che soccombono durante questo passaggio? La loro relativa condizione di inferiorità li priva della felicita riservata agli ultimi arrivati? Oppure relativa e la loro felicità? La giustizia divina non potrebbe sancire una tale ingiustizia. Per la pluralità delle esistenze, il diritto alla felicita è uguale per tutti perché tutti ereditano il diritto al progresso. Potendo coloro che hanno vissuto al tempo della barbarie ritornare al tempo della civilizzazione presso il medesimo popolo o presso un altro, ne risulta che tutti fruiscono del cammino ascendente.

Ma il sistema dell'unicità delle esistenze presenta qui un'altra difficolta. Secondo questo sistema l'anima viene creata al momento della nascita. Dunque, se un uomo è più avanzato di un altro, è perché Dio ha creato per lui un'anima più avanzata. Perché questo privilegio? Che merito ha, lui che è vissuto non più di un altro, sovente meno di un altro, per essere dotato di un'anima superiore? Ma non consiste in ciò la difficolta maggiore. Una nazione passa, in mille anni, dalla barbarie alla civilizzazione. Se gli uomini vivessero mille anni, si comprenderebbe come in tale arco di tempo avessero la possibilità di progredire; ma tutti i giorni muoiono uomini di tutte le età, si avvicendano incessantemente in modo tale che ogni giorno se ne vedono apparire e scomparire. In capo a mille anni non c’è più traccia degli antichi abitanti. La nazione, da barbara che era, e diventata civilizzata. Chi e che ha progredito? Gli individui un tempo barbari? Ma essi sono morti da lungo tempo. I nuovi venuti? Ma, se la loro anima viene creata al momento della loro nascita, queste anime non esistevano al tempo della barbarie. Bisogna allora ammettere che gli sforzi che si fanno per civilizzare un popolo hanno il potere non di migliorare delle anime imperfette, ma di far sì che Dio crei delle anime più perfette.

Confrontiamo ora questa teoria del progresso con quella data dagli Spiriti. Le anime venute al tempo della civilizzazione hanno avuto la loro infanzia, come tutte le altre, ma esse hanno già vissuto e sono giunte perfezionate da un progresso precedente. Esse vengono attratte da un ambiente che è loro simpatico e adeguato al loro stato attuale. Cosicché le cure prestate alla civilizzazione di un popolo non hanno per effetto quello di creare per l'avvenire delle anime più perfette, ma di attirare quelle che sono già progredite, sia che abbiano già vissuto presso questo stesso popolo al tempo della sua barbarie, sia che vengano da altre parti. In ciò consiste ancora una volta la chiave del progresso di tutta l'umanità. Quando tutti i popoli si troveranno allo stesso livello riguardo al sentimento del bene, la Terra sarà solo il punto di incontro dei buoni Spiriti, che vivranno fra di loro in unione fraterna. I malvagi, invece, trovandovisi respinti e spiazzati, andranno a cercare nei mondi inferiori l'ambiente loro consono, finché non saranno degni di venire nel nostro mondo trasformato. La teoria popolare implica inoltre questa conseguenza, che l'impegno, cioè, per il miglioramento sociale è di vantaggio solo per le generazioni presenti e future. Non è di alcun vantaggio, invece, per le generazioni passate, che hanno avuto il torto di arrivare con troppo anticipo, e che diventano ciò che possono, gravate come sono dal loro carico di barbarie. Secondo la teoria degli Spiriti, invece, gli ulteriori progressi, continui e successivi, sono di vantaggio anche per le generazioni passate che si reincarnano in condizioni migliori e possono così perfezionarsi alla luce della civilizzazione. (Vedere n. 222)






Civilizzazione

790. La civilizzazione è un progresso oppure, come alcuni filosofi sostengono, una decadenza dell'umanità?

«È un progresso incompleto. L'uomo non passa immediatamente dall'infanzia all'età matura.»


790a. È ragionevole condannare la civilizzazione?

«Condannate piuttosto chine abusa e non l'opera di Dio.»

791. La civilizzazione si epurerà un giorno, così da far sparire i mali che avrà prodotto?

«Sì, quando la morale sarà sviluppata quanto l'intelligenza. Il frutto non può venire prima del fiore.»

792. Perché la civilizzazione non realizza immediatamente tutto il bene che potrebbe produrre?

«Perché gli uomini non sono ancora né pronti né predisposti a ricevere questo bene.»


792a. Non potrebbe ciò essere anche dovuto al fatto che la civilizzazione, nel creare nuovi bisogni, suscita passioni nuove?

«Sì, anche perché non tutte le facoltà dello Spirito progrediscono contemporaneamente. Ogni cosa vuole il suo tempo. Non potete attendervi dei frutti perfetti da una civilizzazione incompiuta.» (Vedere nn. 751 e 780)

793. Da quali segni si può riconoscere una civilizzazione compiuta?

«La riconoscerete dallo sviluppo morale. Voi credete d'essere molto avanzati, perché avete fatto delle grandi scoperte e delle invenzioni meravigliose, perché siete meglio alloggiati e meglio vestiti dei selvaggi. Ma non avrete veramente il diritto di dirvi civilizzati finché non avrete bandito dalla vostra società i vizi che la disonorano e finché non vivrete tra di voi come fratelli, praticando reciprocamente la carità cristiana. Fino ad allora sarete solo dei popoli illuminati in quanto avrete percorso solo la prima fase della civilizzazione.»

La civilizzazione ha vari livelli come tutte le cose. Una civilizzazione incompiuta è uno stato di transizione che dà origine a mali particolari, sconosciuti allo stato primitivo. Ma non per questo si può negare che essa costituisca un progresso naturale e necessario, che porta in sé il rimedio al male che procura. Nella misura in cui la civilizzazione si perfeziona, essa elimina alcuni dei mali che ha generato, e questi mali spariranno del tutto con il progresso morale.

Fra due popoli arrivati al sommo della scala sociale, può ritenersi più civilizzato, nel vero senso della parola, solo quello che presenta meno egoismo, cupidigia e orgoglio, quello le cui abitudini sono più intellettuali e morali che materiali; quello la cui intelligenza può svilupparsi con la maggiore libertà; quello presso cui c’è più bontà, buona fede, benevolenza e generosità reciproca, quello i cui pregiudizi di casta e di nascita sono i meno radicati, perché questi pregiudizi sono incompatibili con il vero amore per il prossimo; quello le cui leggi non decretano alcun privilegio, e sono le medesime per l'ultimo uomo come per il primo; quello presso cui la giustizia si esercita con la minore parzialità, quello presso cui il più debole trova sempre sostegno contro il più forte; quello presso cui la vita dell'uomo, i suoi credo e le sue opinioni sono maggiormente rispettate; quello presso cui c’è il minor numero di infelici; quello, infine, presso cui tutti gli uomini di buona volontà sono sempre sicuri che non mancheranno mai del necessario.





Progresso della legislazione umana

794. La società potrebbe essere retta dalle sole leggi naturali senza il concorso delle leggi umane?

«Sarebbe possibile se fossero ben comprese. E, se l'uomo avesse la volontà di praticarle, esse sarebbero sufficienti. Ma la società ha le sue esigenze e ha bisogno di leggi particolari.»

795. Qual è la causa dell'instabilità delle leggi umane?

«In tempi di barbarie sono stati i più forti a fare le leggi e le hanno fatte a loro vantaggio. Ed è stato necessario modificarle nella misura in cui gli uomini hanno compreso meglio la giustizia. Le leggi umane diventano più stabili nella misura in cui si avvicinano alla vera giustizia, ossia nella misura in cui sono fatte per tutti e si identificano con la legge naturale.»

La civilizzazione ha creato per l'uomo nuove necessita, e queste necessita sono relative alla posizione sociale ch'egli si è creata. Egli ha dovuto regolare i diritti e i doveri di questa posizione con le leggi umane. Ma, sotto l'influenza delle loro passioni, gli uomini hanno sovente creato dei diritti e dei doveri immaginari, che la legge naturale condanna e che i popoli cancellano dai loro codici man mano che progrediscono. La legge naturale e immutabile ed è la medesima per tutti. La legge umana e variabile e progressiva. Essa solamente ha potuto sancire, nell'infanzia delle società, il diritto del più forte.


796. La severità delle leggi penali non è forse una necessita nello stato attuale della società?

«Una società corrotta ha certamente necessita di leggi più severe. Purtroppo queste leggi si prefiggono di punire il male quando è ormai fatto piuttosto che disseccare la sorgente del male. Non c’è che l'educazione che possa riformare gli uomini. Allora essi non avranno più bisogno di leggi tanto rigorose.»

797. Come può l'uomo essere indotto a riformare le sue leggi?

«Ciò accade in modo naturale, attraverso la forza delle cose e l'influenza delle persone dabbene, che avviano l'uomo sulla strada del progresso. Molte leggi l'uomo ha già riformato e molte altre ne riformerà. Attendete!»




Influenza dello Spiritismo sul progresso

798. Lo Spiritismo diventerà una credenza popolare o rimarrà retaggio di pochi?

«Certamente diventerà una credenza popolare e segnerà una nuova era nella storia dell'umanità, perché e nell'ordine naturale delle cose, e giunto e il tempo in cui deve occupare il suo posto fra le cognizioni umane. Ciononostante lo Spiritismo dovrà sostenere grandi lotte, ancor di più contro l'interesse che contro la convinzione, perché non bisogna nasconderselo: ci sono persone interessate a combatterlo, alcune per amor proprio, altre per ragioni completamente materiali. Ma coloro che lo avversano, trovandosi sempre più isolati, saranno obbligati a pensare come la maggioranza se non vorranno rendersi ridicoli.»

Le idee si trasformano solo col tempo e mai immediatamente. Esse si indeboliscono di generazione in generazione e finiscono con lo sparire a poco a poco insieme a coloro che le professano. Costoro vengono sostituiti da altri individui ispirati da nuovi principi, come avviene per le idee politiche. Guardate il paganesimo: certamente non c’è nessuno oggi che professi le idee religiose di allora. Ciononostante, molti secoli dopo l'avvento del Cristianesimo, quelle idee avevano lasciato delle tracce che solo il completo rinnovamento dei popoli ha potuto cancellare. Avverrà lo stesso dello Spiritismo. Esso fa molti progressi, ma ci sarà ancora, per due o tre generazioni, un fermento di incredulità che solo il tempo dissiperà. Tuttavia la marcia dello Spiritismo sarà più rapida di quella del Cristianesimo, perché e il Cristianesimo stesso che gli apre la strada ed è su di esso che lo Spiritismo si appoggia. Il Cristianesimo aveva dovuto distruggere, lo Spiritismo non ha che da edificare.


799. in quale modo lo Spiritismo può contribuire al progresso?

«Abbattendo il materialismo, che è una delle piaghe della società, lo Spiritismo fa comprendere agli uomini dove sta il loro vero interesse. Non essendo più la vita futura offuscata dal dubbio, l'uomo comprenderà meglio che può assicurare il suo avvenire per mezzo del presente. Distruggendo i pregiudizi di sette, caste e colori, lo Spiritismo insegna agli uomini la grande solidarietà che deve unirli come fratelli.»

800. Non c’è da temere che lo Spiritismo possa non trionfare a causa dell'indifferenza degli uomini e del loro attaccamento alle cose materiali?

«Vorrebbe dire conoscere ben poco gli uomini, se si pensasse che una qualsiasi causa potesse trasformarli come per incanto. Le idee si modificano a poco a poco secondo gli individui, e ci vogliono delle generazioni per cancellare completamente le tracce delle vecchie abitudini. La trasformazione non può dunque operarsi se non alla lunga, gradualmente e passo dopo passo. A ogni generazione una parte del velo si dissipa finché lo Spiritismo verrà a squarciarlo definitivamente. Ma se nel frattempo esso riuscisse a estirpare in un uomo anche un solo difetto, ciò sarebbe pur un passo che gli avrà fatto fare e, per ciò stesso, un grande bene, perché questo primo passo renderà gli altri passi più facili.»

801. Perché gli Spiriti non hanno insegnato in tutti i tempi quello che insegnano oggi?

«Voi non insegnate ai bambini ciò che insegnate agli adulti, e non date al neonato un alimento che non potrebbe digerire. Ogni cosa a suo tempo. Comunque, gli Spiriti hanno insegnato molte cose che gli uomini o non hanno capito o hanno snaturato, ma che ora possono comprendere. Col loro insegnamento, sia pure incompleto, hanno preparato il terreno a ricevere la semente che sta fruttificando oggi.»

802. Poiché lo Spiritismo deve segnare un progresso nell'umanità, perché gli Spiriti non accelerano questo progresso con delle manifestazioni così universali e potenti da convincere anche i più increduli?

«Voi vorreste dei miracoli! Ma Dio li spande a piene mani sul vostro cammino, eppure avete fra di voi uomini che ancora lo rinnegano! Lo stesso Cristo convinse forse i suoi contemporanei con i prodigi che ha compiuto? E oggi non vedete forse uomini rinnegare i fatti più evidenti che sono accaduti sotto i loro occhi? Non ci sono forse tra di voi quelli che dichiarano che non ci crederebbero neanche se li vedessero? No! Non è attraverso i miracoli che Dio vuole redimere gli uomini. Nella Sua bontà, Egli vuol loro lasciare il merito di convincersi per mezzo della ragione.»





Capítulo IX - 8. Legge d'Uguaglianza



Uguaglianza naturale

803. Tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio?

«Si, tutti tendono allo stesso scopo, e Dio ha fatto le sue leggi per tutti. Voi dite sovente: il sole splende per tutti. Estate dicendo una verità più grande e più generale di quanto non pensiate.»

Tutti gli uomini sono soggetti alle medesime leggi di natura. Tutti nascono con le medesime debolezze, sono soggetti ai medesimi dolori, e il corpo del ricco si distrugge come quello del povero. Dio non ha dunque dato a nessun uomo una superiorità naturale né con la nascita né con la morte: tutti sono uguali davanti a Lui.




Disuguaglianza delle attitudini

804. Perché Dio non ha dato uguali attitudini a tutti gli uomini?

«Dio ha creato gli Spiriti tutti uguali, ma ognuno di essi ha vissuto più o meno a lungo e, di conseguenza, ha più o meno acquisito esperienza. La differenza sta nel livello della loro esperienza e nella loro volontà, che è il libero arbitrio: pertanto alcuni si perfezionano più rapidamente, cosa che da loro varie attitudini. La mescolanza delle attitudini e necessaria affinché ognuno possa dare il suo contributo ai disegni della Provvidenza, entro i limiti dello sviluppo delle sue forze fisiche e intellettuali. Ciò che non fa l'uno lo fa l'altro, ed è così che ognuno ha il suo ruolo utile. Inoltre essendo tutti solidali gli uni con gli altri, bisogna pure che gli abitanti dei mondi superiori, che per la maggior parte sono stati creati prima del vostro, vengano ad abitare fra di voi per darvi l'esempio.» (Vedere n. 361)

805. Passando da un mondo superiore a uno inferiore, lo Spirito conserva integre le facoltà acquisite?

«Sì, l'abbiamo già detto. Lo Spirito, che è progredito, assolutamente non retrocede. Può scegliere, nel suo stato di Spirito, un involucro più rozzo, o una posizione più precaria di quella che ha avuta, ma tutto questo sempre affinché gli serva da insegnamento e lo aiuti a progredire.» (Vedere n. 180)

Così la diversità delle attitudini dell'uomo non attiene alla natura intima della sua creazione, ma al grado di perfezionamento al quale sono pervenuti gli Spiriti che si sono incarnati in lui. Dunque Dio non ha creato l'ineguaglianza delle attitudini, ma ha permesso che i differenti gradi di sviluppo venissero in contatto, affinché i più avanzati potessero concorrere al progresso dei più arretrati e affinché anche gli uomini, avendo essi bisogno gli uni degli altri, comprendessero la legge di carità che deve unirli.




Disuguaglianze sociali

806. La disuguaglianza delle condizioni sociali è una legge di natura?

«No, essa è opera dell'uomo e non di Dio.»


806a. Questa disuguaglianza scomparirà un giorno?

«Di eterno non ci sono che le leggi di Dio. Non vedete forse questa disuguaglianza scomparire giorno dopo giorno? Essa sparirà insieme al predominio dell'orgoglio e dell'egoismo, e resterà solo l'ineguaglianza del merito. Verrà giorno in cui i membri della grande famiglia dei figli di Dio non si considereranno più in base al sangue più o meno puro. Non c’è che lo Spirito più o meno puro, e ciò non dipende dalla posizione sociale.»

807. Che pensare di coloro che abusano della superiorità della loro posizione sociale per opprimere il debole a loro profitto?

«Costoro meritano l'anatema. Guai a loro! Essi saranno oppressi a loro volta e rinasceranno in un'esistenza in cui subiranno tutto quello che avranno fatto soffrire.» (Vedere n. 684)




Disparita delle ricchezze

808. La disparità delle ricchezze non ha forse la sua origine nell'ineguaglianza delle facoltà, offrendo agli uni più mezzi per guadagnare che agli altri?

«Sì e no. E che cosa dite della frode e del furto?»


808a. Tuttavia, la ricchezza ereditaria non è il frutto di cattive passioni.

«Che ne sapete? Risalite alla fonte e vedrete se essa e sempre pura. Sapete voi forse se all'inizio essa non sia stata il frutto di una spoliazione o di un'ingiustizia? Ma, senza parlare dell'origine che può essere disonesta, credete forse che la cupidigia delle ricchezze — anche di quelle acquisite il più onestamente —, i desideri segreti, che uno concepisce, di possederle il più presto possibile, siano dei sentimenti lodevoli? È questo che Dio giudica, e vi assicuro che il suo giudizio e più severo di quello degli uomini.»

809. Se una fortuna è stata male acquisita all'origine, coloro che la ereditano ne sono responsabili?

«Senza dubbio gli eredi non sono responsabili del male che altri hanno potuto fare, e tanto meno lo sono se lo ignorano. Ma sappiate che sovente una fortuna tocca a un uomo solo per fornirgli l'occasione di riparare a un'ingiustizia. Felice colui che lo comprende! Se lo fa in nome di chi ha commesso l'ingiustizia, verrà tenuto conto della riparazione per tutti e due, perché sovente e il colpevole che ispira la riparazione.»

810. Senza allontanarsi dalla Legalità, si può disporre dei propri beni in modo più o meno equanime? Si è responsabili, dopo la morte, delle disposizioni date?

«Ogni azione porta i suoi frutti. I frutti delle buone azioni sono dolci, gli altri sono sempre amari. Sempre, tenetelo ben presente.»


811. L'uguaglianza assoluta delle ricchezze e possibile? Ed è mai esistita?

«No. Essa non è possibile. La diversità delle attitudini e dei caratteri vi si oppone.»


811a. Ci sono tuttavia degli uomini i quali credono che qui stia il rimedio ai mali della società. Che cosa ne pensate?

«Sono o dei sistematici o degli ambiziosi invidiosi. Non comprendono che l'uguaglianza che essi vagheggiano verrebbe ben presto infranta dalla forza delle cose. Combattete l'egoismo, perché è qui la vostra piaga sociale, e non cercate chimere.»

812. Se l'uguaglianza delle ricchezze non è possibile, lo stesso è del benessere?

«No. Mail benessere è relativo, e ognuno potrebbe fruirne se lo s'intende bene... Infatti il vero benessere consiste nell'impiego del tempo a proprio piacimento e non in lavori per i quali non si prova alcun interesse. E poiché ognuno ha attitudini differenti, nessuno dei lavori utili rimarrebbe irrealizzato. L'equilibrio esiste in tutto, e l'uomo che vuole alterarlo.»


812a. È possibile per gli uomini intendersi?

«Gli uomini s'intenderanno quando praticheranno la legge della giustizia.»


813. Ci sono persone che cadono nell'indigenza e nella miseria per loro colpa. La società può esserne responsabile?

«Sì, l'abbiamo già detto. La società sovente e la causa prima di questi errori. E d'altra parte essa non deve forse vegliare sull'educazione morale dei suoi membri? Sovente è stata la cattiva educazione ad alterare il loro giudizio anziché soffocarne le tendenze perniciose.» (Vedere n. 685)




Prove della ricchezza e della miseria

814. Perché Dio ha dato ad alcuni ricchezze e potere e ad altri miseria?

«Per mettere alla prova ognuno in modo differente. D'altra parte, lo sapete, sono gli Spiriti stessi che hanno scelto queste prove e molte volte vi soccombono.»

815. Quale delle due prove è per l'uomo la più terribile, quella della disgrazia o quella della fortuna?

«Tanto l'una quanto l'altra. La miseria provoca mormorazioni contro la Provvidenza, la ricchezza spinge a tutti gli eccessi.»


816. Se il ricco ha più tentazioni, non ha anche più possibilità di fare il bene?

«È esattamente quello che non sempre fa. Egli diventa egoista, orgoglioso e insaziabile. Le sue pretese aumentano con la sua fortuna, ed egli crede di non averne mai abbastanza per sé.»

L'ascesa sociale e il potere sui propri simili sono prove tanto difficili e tanto rischiose quanto la disgrazia, perché più si e ricchi e potenti, più si hanno obblighi da assolvere e più grandi sono i mezzi di fare sia il bene sia il male. Dio mette alla prova il povero attraverso la rassegnazione, e il ricco attraverso l'uso ch'egli fa dei suoi beni e del suo potere.

La ricchezza e il potere fanno nascere tutte le passioni che ci vincolano alla materia e ci allontanano dalla perfezione spirituale. È per questo che Gesù ha detto: "E ripeto: è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio". (Vedere n. 266)






Uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna

817. L'uomo e la donna sono uguali davanti a Dio e hanno gli stessi diritti?

«Dio non ha forse dato a tutti e due la capacita di giudicare il bene e il male e la facoltà di progredire»

818. A che cosa è dovuta l'inferiorità morale della donna in certe società?

«È dovuta allo strapotere ingiusto e crudele che l'uomo ha assunto su di lei. È la conseguenza delle istituzioni sociali e dell'abuso della forza sulla debolezza. Presso gli uomini poco avanzati dal punto di vista morale, la forza fa il diritto.»

819.. Qual è il motivo per cui la donna è fisicamente più debole dell'uomo?

«Per assegnarle delle funzioni particolari. L'uomo e per i lavori rudi, essendo il più forte; la donna per i lavori leggeri, e ciò perché tutti e due si aiutino a superare le prove di una vita piena di amarezze.»

820. La debolezza fisica della donna non la pone naturalmente alle dipendenze dell'uomo?

«Dio ha dato agli uni la forza per proteggere il debole e non per asservirlo.»

Dio ha adeguato l'organismo di ogni essere alle funzioni che deve compiere. Se ha dato alla donna una minore forza fisica, l'ha dotata in compenso di una maggiore sensibilità, in relazione alla delicatezza delle funzioni materne e alla fragilità degli esseri affidati alle sue cure.

821. Le funzioni alle quali la donna è destinata per natura hanno un'importanza tanto grande quanto quella delle funzioni devolute all'uomo?

«Sì, un'importanza anche più grande. È la donna che da all'uomo le prime nozioni della vita.»

822. Gli uomini, essendo uguali davanti alla legge di Dio, devono esserlo anche davanti alla legge degli uomini?

«È il primo principio di giustizia: non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi.»


822a. Di conseguenza una legislazione, per essere perfettamente giusta, deve sancire l'uguaglianza dei diritti fra l'uomo e la donna?

«Uguaglianza dei diritti, sì; delle funzioni, no. È necessario che ognuno occupi il posto consentito, che l'uomo si occupi dell'esterno e la donna dell'interno, ognuno secondo le proprie attitudini. La legge umana, per essere equanime, deve sancire l'uguaglianza dei diritti fra l'uomo e la donna: qualsiasi privilegio accordato all'uno o all'altro è contrario alla giustizia. L’emancipazione della donna segue il progresso della civilizzazione. Il suo asservimento cammina con la barbarie. I sessi, d'altra parte, esistono solo nell'organismo fisico. Poiché gli Spiriti possono prendere o l'uno o l'altro, non c’è alcuna differenza fra loro sotto questo aspetto e, di conseguenza, devono fruire degli stessi diritti.»





Uguaglianza di fronte alla morte

823. Da dove viene il desiderio dell'uomo di perpetuare la propria memoria con monumenti funebri?

«È l'ultimo atto di orgoglio.»


823a. Ma la sontuosità dei monumenti funebri non è soprattutto opera dei parenti, che vogliono onorare la memoria del defunto, piuttosto che opera del defunto stesso?

«Orgoglio dei parenti che vogliono glorificare sé stessi. Oh, sì! Non è sempre per il morto che si fanno tutte queste cerimonie: e per amor proprio e per il mondo, e anche per ostentare la propria ricchezza. Credete voi che il ricordo di un essere caro sia meno duraturo nel cuore del povero perché egli può mettere solo un fiore sulla tomba del suo defunto? Credete voi che il marmo salvi dall'oblio chi è stato inutile sulla Terra!»

824. È da biasimare in modo assoluto la pompa dei funerali?

«No. Quando essa onora la memoria di un uomo dabbene è giusta e di buon esempio.»

La tomba è il luogo d'incontro di tutti gli uomini. Là finiscono impietosamente tutte le distinzioni umane. Invano il ricco cerca di perpetuare la sua memoria con monumenti fastosi. Il tempo li demolirà, come decompone il corpo, perché così vuole la natura. La memoria delle sue buone e cattive azioni sarà meno peritura della sua tomba. La pompa dei funerali non lo monderà delle sue turpitudini e non lo farà salire di un solo scalino nella gerarchia spirituale. (Vedere n. 320 e sgg.)





Capítulo X - 9. Legge di Libertà



Liberia naturale

825. Esistono situazioni in cui l'uomo possa credere di fruire di una libertà assoluta?

«No, perché tutti voi avete bisogno gli uni degli altri, i piccoli come i grandi.»

826. Quale sarebbe la condizione nella quale l'uomo potrebbe fruire di una libertà assoluta?

«Quella dell'eremita in un deserto.Fin dal momento in cui ci sono due uomini insieme, essi hanno dei diritti da rispettare e, di conseguenza, non fruiscono più di una libertà assoluta

827. L'obbligo di rispettare i diritti altrui priva l'uomo del diritto di appartenere a sé stesso?

«Assolutamente no, perché è un diritto che possiede per natura.»


828. Come conciliare le opinioni liberali di certi uomini con il dispotismo che essi sovente esercitano nel loro privato e sui loro subordinati?

«Essi hanno l'intelligenza della legge naturale, ma questa intelligenza e controbilanciata dall'orgoglio e dall'egoismo. Quando i loro principi non sono una commedia recitata per calcolo, essi comprendono bene come le cose devono essere, ma non le fanno.»


828a. Si terra conto nell'altra vita dei principi ch'essi hanno professato su questa Terra?

«Più si ha intelligenza per comprendere un principio, meno si è scusati per non averlo applicato a sé stessi. In verità vi dico che l'uomo semplice, ma sincero, e più avanzato sulla strada verso Dio di chi vuol sembrare ciò che non e.»





Schiavitù

829. Ci sono degli uomini che, per natura, sono destinati a essere proprietà di altri uomini?

«Qualsiasi soggezione assoluta di un uomo a un altro e contraria alla legge di Dio. La schiavitù è un abuso della forza; scompare con il progresso, come scompariranno a poco a poco tutti gli altri abusi.»

La legge umana che consacra la schiavitù è una legge contro natura, perché riduce l'uomo allo stato di bestia e lo degrada moralmente e fisicamente.

830. Quando la schiavitù fa parte dei costumi di un popolo, coloro che ne approfittano sono condannabili dal momento che non fanno che conformarsi a un'usanza che a loro appare naturale?

«Il male è sempre il male. Tutti i vostri sofismi non faranno certo sì che una cattiva azione diventi buona. Ma la responsabilità del male e relativa ai mezzi che si hanno per comprenderlo. Chi trae profitto dalla legge della schiavitù è sempre colpevole di una violazione della legge di natura. Ma in ciò, come in tutte le cose, la colpevolezza è relativa. Essendosi la schiavitù introdotta nei costumi di certi popoli, l'uomo ha potuto approfittarne in buona fede e come di una cosa che a lui sembrava naturale. Però, da quando la sua ragione, più sviluppata e soprattutto illuminata dai lumi del Cristianesimo, gli ha mostrato nello schiavo il suo simile davanti a Dio, egli non ha più attenuanti.»

831. L'ineguaglianza naturale delle attitudini non pone certe razze umane alle dipendenze delle razze più intelligenti?

«Sì, per elevarle, non per abbrutirle ancor di più con la schiavitù. Gli uomini per un tempo troppo lungo hanno considerato gli appartenenti a certe razze umane come animali da fatica, dotati di braccia e di mani. E si sono creduti in diritto di venderli come bestie da soma. Si credevano di un sangue più puro! Insensati, che vedevano solo la materia! Non è il sangue a esser più o meno puro, bensì lo Spirito.» (Vedere nn. 361 e 803)

832. Ci sono uomini che trattano i loro schiavi umanamente, non fanno loro mancare niente e pensano che la libertà li esporrebbe a maggiori privazioni. C bene dite?

«Io dico che costoro comprendono al meglio i loro interessi. Essi hanno altrettante attenzioni per i loro buoi e i loro cavalli al fine di ricavarne maggior profitto sul mercato. Non sono colpevoli come quelli che maltrattano i loro schiavi, ma non ne dispongono meno che di una mercanzia, privandoli del diritto di appartenersi.»




Libertà di pensiero

833. Ce qualche cosa, nell'uomo, che sfugga a ogni costrizione e della quale egli possa godere in libertà assoluta?

«È nel pensiero che l'uomo gode di una libertà senza limiti, perché il pensiero non conosce barriere. Se ne può arrestare il corso, ma non annientarlo.»

834. L'uomo è responsabile del suo pensiero?

«Ne è responsabile davanti a Dio. Dio solo può conoscerlo e lo condanna o assolve secondo la Sua giustizia.»




Libertà di coscienza

835. La libertà di coscienza è una conseguenza della libertà di pensiero?

«La coscienza è un pensiero intimo che appartiene all'uomo, come tutti gli altri pensieri.»

836. L'uomo ha il diritto di porre degli ostacoli alla libertà di coscienza?

«Non più che alla libertà di pensiero. Spetta solo a Dio il diritto di giudicare la coscienza. Se l'uomo regola con le sue leggi i rapporti da uomo a uomo, Dio, con le Sue leggi di natura, regola i rapporti dell'uomo con Dio.»

837. Qual è la conseguenza degli ostacoli posti alla libertà di coscienza?

«Costringere gli uomini ad agire diversamente da come pensano, facendone degli ipocriti. La libertà di coscienza e uno dei caratteri della vera civilizzazione e del progresso.»

838. Ogni credo è rispettabile? Anche quando fosse notoriamente falso?

«Ogni credo e rispettabile quando e sincero e quando conduce alla pratica del bene. I credi condannabili sono quelli che conducono al male.»

839. È biasimevole of fendere nella sua credenza chi crede diversamente da noi?

«È mancare di carità e costituisce una minaccia alla libertà di pensiero.»


840. È attentare alla libertà di coscienza il porre ostacoli a credenze di natura tale da turbare la società?

«Si possono reprimere le manifestazioni, ma il credo intimo e inaccessibile

Reprimere le manifestazioni esteriori di un credo, quando questi atti portano un qualsiasi danno ad altri, non è assolutamente attentare alla libertà di coscienza, perché questa repressione lascia al credo la sua piena libertà.

841. Si deve permettere, in nome della libertà di coscienza, il diffondersi di dottrine perniciose, oppure si può — senza costituire una minaccia a questa libertà — cercare di ricondurre sulla via della verità quelli che sono fuorviati da falsi principi?

«Certamente si può, anzi si deve. Ma insegnate, sull'esempio di Gesù, con la dolcezza e la persuasione. Non usate la forza, cosa che sarebbe peggiore del credo di colui che si vorrebbe convincere. Se c'è qualcosa che è permesso imporre, sono il bene e la fraternita. Ma non crediamo che il mezzo per convincere quegli individui sia l'agire con violenza: il convincimento non si impone.»

842. Avendo ogni dottrina la pretesa di essere l'unica espressione della verità, da quali segni si può riconoscere quella che ha il diritto di porsi come tale?

«Sarà quella che annovera più uomini dabbene e meno ipocriti, ossia quella che pratica la legge d'amore e di carità nella sua più grande purezza e la applica più ampiamente. Da questo segno riconoscerete che una dottrina è buona, perché ogni dottrina, che avesse come effetto quello di seminare la discordia e determinare una divisione fra i figli di Dio, non può essere che falsa e nociva.»




Libero arbitrio

843. L'uomo possiede il libero arbitrio delle sue azioni?

«Poiché e libero di pensare, e anche libero di agire. Senza il libero arbitrio, l'uomo sarebbe una macchina.»


844. L'uomo fruisce del libero arbitrio fin dalla nascita?

«C’è libertà d'agire dal momento in cui c’è volontà di fare. Nei primi anni di vita la libertà è quasi nulla: essa si evolve e cambia di obiettivo con lo sviluppo delle facoltà. Il bambino, avendo dei pensieri relativi alle necessita della sua età, applica il suo libero arbitrio alle cose che gli sono necessarie.»

845. Le predisposizioni istintive che l'uomo porta con sé alla nascita, non costituiscono forse un ostacolo all'esercizio del libero arbitrio?

«Le predisposizioni istintive sono quelle dello Spirito prima della sua incarnazione. A seconda ch'egli sia più o meno avanzato, queste predisposizioni possono spingerlo ad atti condannabili, ed egli sarà assecondato in questo dagli Spiriti che simpatizzano con queste tendenze. Ma non esistono affatto tentazioni irresistibili quando si ha la volontà di resistervi. Ricordatevi che volere è potere.» (Vedere n. 361)

846. L'organismo non ha alcuna influenza sulle azioni della vita? E se invece ha un'influenza, non è forse a svantaggio del libero arbitrio?

«Lo Spirito e certamente influenzato dalla materia, che può ostacolarlo nelle sue manifestazioni. Ecco perché, nei mondi dove i corpi sono meno materiali che sulla Terra, le facoltà si sviluppano con maggiore libertà. Ma non è lo strumento che dona le facoltà. D'altronde si devono qui distinguere le facoltà morali da quelle intellettuali. Se un individuo ha l'istinto dell'assassinio, e sicuramente il suo stesso Spirito che lo possiede e che glielo trasmette, ma non i suoi organi. Chi annienta il suo pensiero per occuparsi solo della materia diventa simile al bruto e anche peggiore, perché non pensa piùa premunirsi contro il male. Ed è in ciò che è colpevole, in quanto agisce così di sua volontà.» (Vedere n. 367 e sgg. Influenza dell’Organismo)

847. L'aberrazione delle facoltà priva l'uomo del libero arbitrio?

«Colui la cui intelligenza e turbata da una qualsiasi causa non è più padrone del proprio pensiero e da quel momento non ha più libertà. Questa aberrazione e sovente una punizione per lo Spirito che, in un'altra esistenza, può essere stato frivolo e orgoglioso e aver fatto un cattivo uso delle sue facoltà. Egli può rinascere nel corpo di un menomato mentale, così come il despota nel corpo di uno schiavo, e il ricco malvagio in quello di un mendicante. Ma lo Spirito soffre di questa costrizione di cui ha perfetta coscienza. E d è questa l'azione della materia.» (Vedere n. 371 e sgg.)

848. L'aberrazione delle facoltà intellettuali per ubriachezza scusa gli atti deplorevoli?

«No, perché l'ubriaco si è volontariamente privato della sua ragione per soddisfare delle passioni brutali. Anziché commettere un errore, ne commette due.»


849. Qual è, nell'uomo allo stato selvaggio, la facoltà dominante: l'istinto o il libero arbitrio?

«È l'istinto, che in certe circostanze non impedisce all'uomo di agire in piena libertà. Ma, come il bambino, egli applica alle sue necessità questa libertà, la quale si evolve con l'intelligenza. Di conseguenza, voi che siete più illuminati di un primitivo, siete anche più responsabili riguardo a ciò che fate di un primitivo.»

850. La posizione sociale non è a volte un ostacolo alla piena libertà delle azioni?

«Il mondo ha senza dubbio le sue esigenze. Dio è giusto e tiene conto di tutto, ma vi lascia la responsabilità di quel po' di sforzi che fate per sormontare gli ostacoli.»




Fatalità

851. Può esserci fatalità negli avvenimenti della vita, secondo il significato attribuito a questo termine? Ossia, tutti gli avvenimenti sono predeterminati? E, in questo caso, che ne è del libero arbitrio?

«La fatalità esiste solo riguardo alla scelta che ha fatto lo Spirito, incarnandosi, di subire questa o quella prova. Scegliendola, egli si crea una sorta di destino, che è la conseguenza stessa della posizione in cui si trova collocato. Parlo delle prove fisiche, perché per quanto riguarda le prove morali e le tentazioni, lo Spirito, conservando il suo libero arbitrio sul bene e sul male, e sempre padrone di cedere o di resistere. Uno Spirito buono, vedendolo indebolirsi, può andare in suo aiuto, ma non può influire su di lui in modo tale da dominare la sua volontà. Uno Spirito cattivo, ossia inferiore, mostrandogli un pericolo fisico ed esagerandoglielo, può impressionarlo e spaventarlo. Ma la volontà dello Spirito incarnato non resta per questo meno libera da ogni ostacolo.»

852. Ci sono uomini che la fatalità sembra perseguitare, indipendentemente dal loro modo di agire. La sfortuna è forse nel loro destino?

«Sono forse delle prove che devono subire e che essi hanno scelto. Ma ancora una volta voi attribuite al destino ciò che il più delle volte non è che la conseguenza di un vostro stesso errore. Nei mali che vi affliggono, fate in modo che la coscienza sia pura, e sarete quasi consolati.»

Le idee, giuste o false, che noi ci facciamo delle cose, ci fanno riuscire o fallire secondo il nostro carattere e la nostra posizione sociale. Troviamo più semplice e meno umiliante per il nostro amor proprio, attribuire i nostri fallimenti alla sorte o al destino piuttosto che ai nostri stessi errori. Se l'influenza degli Spiriti qualche volta vi contribuisce, possiamo sempre sottrarci a questa influenza respingendo le idee che essi ci suggeriscono, quando queste non sono buone.

853. Certe persone sfuggono a un pericolo mortale solo per cadere in un altro. Sembra che non possano sottrarsi alla morte. C’è fatalità in questo?

«C’è fatalità, nel vero senso del termine, solo al momento della morte. Quando questo momento e arrivato, che sia in un modo o in un altro, voi non potrete sfuggirvi.»


853a. Pertanto, qualunque sia il pericolo che ci minaccia, non morremo se la nostra ora non è arrivata?

«No, non morrete e ne avete migliaia di esempi. Ma quando la vostra ora di partire e arrivata, niente può salvarvi. Dio conosce in anticipo attraverso quale genere di morte partirete da qui, e sovente anche lo Spirito lo sa, perché gli viene rivelato quando fa la scelta di questa o quella esistenza.»

854. Dall'in fallibilità dell'ora della morte ne consegue allora che le precauzioni, che si prendono per evitarla, sono inutili?

«No, perché le precauzioni che voi prendete vi vengono suggerite affinché evitiate la morte che vi sta minacciando. Quelle precauzioni sono dei modi perché essa non avvenga.»

855. Qual è lo scopo della Provvidenza nel farci correre dei pericoli che non devono aver seguito?

«Quando la vostra vita è messa in pericolo, e un avvertimento che voi stessi avete auspicato al fine di distogliervi dal male e rendervi migliori. Quando sfuggite a questo pericolo, ancora sotto l'influsso del rischio che avete corso voi pensate, più o meno seriamente, secondo l'azione più o meno forte dei buoni Spiriti, di diventare migliori. Tornando il cattivo Spirito a tentarvi (dico cattivo, sottintendendo il male che è ancora in lui), voi pensate che sfuggirete anche ad altri pericolie lasciate di nuovo che le vostre passioni si scatenino. Per mezzo dei pericoli che correte, Dio vi ricorda la debolezza e la fragilità della vostra esistenza. Se si esamina la causa e la natura del pericolo, si vedrà che, il più delle volte, le conseguenze sarebbero state la punizione per un errore commesso o per un dovere trascurato. Dio vi avverte così di rientrare in voi stessi e di correggervi.» (Vedere nn. 526-532)

856. Lo Spirito conosce in anticipo il genere di morte a cui deve soccombere?

«Egli sa che il genere di vita che ha scelto lo porta a morire in un modo piuttosto che in un altro. Ma conosce anche le lotte che dovrà sostenere per evitarla e, se Dio lo permette, non soccomberà.»

857. Ci sono uomini che affrontano i pericoli dei combattimenti convinti che la loro ora non è ancora giunta. Ce qualcosa di fondato in questa convinzione?

«Assai frequentemente l'uomo ha il presentimento della sua fine, così come può avere quello secondo cui ancora non morirà. Questo presentimento gli viene dai suoi Spiriti protettori che vogliono avvertirlo di tenersi pronto ad andarsene o ne stimolano il coraggio nel momento in cui gli è più necessario. Gli può venire anche dall'intuizione ch'egli ha dell'esistenza che ha scelto, o della missione che ha accettato e che sa di dover compiere.), (Vedere nn. 411-522)

858. A che cosa è dovuto il fatto per cui quanti hanno ii presentimento della morte la temono generalmente meno degli altri?

«È l'uomo che teme la morte, non lo Spirito. Chi la presagisce pensa più come Spirito che come uomo: egli comprende la sua liberazione e attende.»


859. Se la morte non può essere evitata quando deve avvenire, la stessa cosa avviene per tutte le disgrazie che ci succedono nel corso della vita?

«Sono sovente dei fatti assai insignificanti perché uno Spirito ve ne possa avvertire. A volte pero uno Spirito può fare in modo che li evitiate orientando il vostro pensiero, perché noi Spiriti detestiamo le sofferenze materiali. Ma ciò è poco importante per la vita che avete scelto. La fatalità consiste veramente solo riguardo al momento in cui dovete nascere o morire su questa Terra.»


859a. Ci sono dei fatti che, inevitabilmente, devono accadere e che la volontà degli Spiriti non può scongiurare?

«Sì. Ma li avete visti e presentiti nello stato di Spirito, quando avete fatto la vostra scelta. Tuttavia non crediate che tutto ciò che succede stia scritto, come si dice. Un avvenimento e sovente la conseguenza di una cosa che avete fatto attraverso un atto della vostra libera volontà. Dimodoché, se voi non aveste fatto questa cosa, l'avvenimento non sarebbe potuto accadere. Se vi bruciate un dito, questo nonè niente. È la conseguenza della vostra imprudenza e della materia. Sono solo i grandi dolori, gli avvenimenti importanti e quelli che possono influire sul morale che sono previsti da Dio, in quanto utili alla vostra purificazione e istruzione.»


860. L'uomo, con la sua volontà e i suoi atti, può fare in modo che gli avvenimenti che dovrebbero accadere non accadano, e viceversa?

«Lo può, se questa deviazione apparente può rientrare nell'ordine generale della vita ch'egli ha scelto. Inoltre, per fare il bene come dev'essere fatto, ed essendo il solo scopo della vita, egli può impedire il male, soprattutto quel male che potrebbe contribuire a un male più grande.»

861. L'uomo che commette un omicidio sa, scegliendo la sua esistenza, che diventerà un assassino?

«No. Sa che, scegliendo una vita di lotta, esiste per lui la possibilità di uccidere uno dei suoi simili, ma non sa se lo farà, perché c’è quasi sempre in lui l'intenzione prima di commettere il crimine. Pertanto chi delibera su una cosa e sempre libero di farla o di non farla. Se lo Spirito sapesse in anticipo che, come uomo, dovrà commettere un assassinio, vorrebbe dire che vi sarebbe predestinato. Sappiate dunque che nessuno e predestinato al crimine, e che ogni crimine o atto qualsiasi è sempre un fatto della volontà e del libero arbitrio.

Del resto si confondono sempre due cose ben distinte: gli avvenimenti materiali della vita e gli atti della vita morale. Se a volte c’è fatalità, essa e negli avvenimenti materiali, la cui causa si trova al di fuori di voi e che sono indipendenti dalla vostra volontà. Quanto agli atti della vita morale, essi provengono sempre dall'uomo stesso, che ha sempre di conseguenza la libertà di scelta. Dunque, per questi atti, non c’è mai fatalità.»


862. Ci sono persone cui niente va bene e che un genio perverso sembra perseguitare in tutte le loro imprese. Non è forse questo che si può chiamare fatalità?

«È proprio fatalità, se così volete chiamarla. Ma essa riguarda le scelte di genere esistenziale, perché queste persone hanno voluto essere provate da una vita di delusioni al fine di esercitare la loro pazienza e la loro rassegnazione. Ciononostante non crediate che questa fatalità sia assoluta. Essa è sovente il risultato della falsa strada che esse hanno preso e che non è in alcun rapporto con la loro intelligenza e le loro attitudini. Chi vuole attraversare un fiume a nuoto senza saper nuotare ha molte probabilità di annegare. Lo stesso è per la maggior parte degli avvenimenti della vita. Se l'uomo intraprendesse solo cose adatte alle sue capacita, quasi sempre ce la farebbe. Ciò che lo perde sono il suo amor proprio e la sua ambizione, che lo inducono a uscire dalla sua strada e a scambiare per vocazione il desiderio di soddisfare certe passioni. Fallisce, e la colpa e sua. Ma, anziché prendersela con sé stesso, preferisce accusare la sua stella. Chi sarà un cattivo poeta e morirà di fame sarebbe divenuto un buon operaio e si sarebbe guadagnato onestamente la vita. Ci sarebbe posto per tutti se ognuno sapesse mettersi al proprio posto.»

863. I costumi sociali non obbligano forse sovente l'uomo a seguire la tale via piuttosto che la tal altra? L'uomo non è forse sottoposto al controllo dell'opinione pubblica nella scelta delle sue occupazioni? Ciò che si chiama rispetto umano non è forse un ostacolo all’esercizio del libero arbitrio?

«Sono gli uomini che fanno i costumi sociali e non Dio. Se essi vi si sottomettono, vuol dire che a loro conviene, e anche questo e un atto di libero arbitrio, perché se volessero potrebbero affrancarsene. Allora perché lamentarsi? Non sono i costumi sociali che essi devono accusare, ma il loro sciocco amor proprio che fa loro preferire morire di fame piuttosto che abbassarsi. Nessuno tiene conto di questo loro sacrificio fatto in nome dell'opinione pubblica, mentre Dio terra conto del sacrificio fatto in nome della loro vanita. Questo non vuol dire che si debba sfidare l'opinione pubblica insensatamente, come fanno certuni che hanno più bizzarria che vera filosofia. C’è tanto di ridicolo nel farsi segnare a dito o nel farsi guardare come una bestia rara, quanto c’è di saggio nel discendere volontariamente e senza rumore, quando non ci si può mantenere in cima alla scala.»


864. Ci sono persone alle quali la sorte è avversa, mentre altre sembrano essere favorite, perché tutto va loro bene. A che cosa sì deve ciò?

«Sovente questo accade perché taluni ci sanno fare. Ma può anche essere un genere di prova. Il successo li ubriaca, si affidano al loro destino e, frequentemente, più tardi pagano questi stessi successi con crudeli fallimenti, che avrebbero potuto evitare con la prudenza.»

865. Come spiegare la fortuna che favorisce certe persone in circostanze in cui né la volontà né l'intelligenza hanno niente a che vedere? Per esempio al gioco?

«Alcuni Spiriti hanno scelto in anticipo certi tipi di piacere. La fortuna che li favorisce e una tentazione. Colui che guadagna come uomo perde come Spirito: e una prova perii suo orgoglio e la sua cupidigia.»

866. La fatalità, che sembra governare i destini materiali della nostra vita, sarebbe dunque ancora un effetto del nostro libero arbitrio?

«Anche voi avete scelto la vostra prova. Più essa è dura e meglio la sopportate, più vi elevate. Chi trascorre la vita nell'abbondanza e nelle gioie umane e uno Spirito debole che rimane stazionario. Così il numero degli sfortunati è di gran lunga preponderante rispetto al numero dei fortunati di questo mondo, ammesso che gli Spiriti cerchino per la maggior parte la prova che sarà loro più profittevole. Essi vedono troppo bene la futilità dei vostri fasti e dei vostri piaceri. D'altra parte la vita più felice è sempre agitata, sempre inquieta, non foss'altro che per la mancanza del dolore.» (Vedere n. 525 e sgg.)

867. Da dove viene l'espressione "essere nato sotto una buona stella'?

«È una vecchia superstizione che collegava le stelle al destino di ciascun uomo, un'allegoria che certuni hanno la stoltezza di prendere alla lettera.»




Conoscenza del futuro

868. Può il futuro essere rivelato all'uomo?

«Il futuro, in linea di massima, gli è nascosto, ed e solo in casi rari ed eccezionali che Di one permette la rivelazione.»


869. Per quale scopo l'avvenire viene nascosto all'uomo?

«Se l'uomo conoscesse il futuro, trascurerebbe il presente e non agirebbe con la stessa libertà, perché sarebbe dominato dal pensiero che, se una cosa deve accadere, non c’è bisogno di occuparsene oppure cercherebbe di contrastarla. Dio non ha voluto che fosse così, affinché ognuno potesse concorrere al compimento delle cose stabilite, anche di quelle alle quali vorrebbe opporsi. Così voi stessi predisponete, sovente senza sospettarlo, gli avvenimenti che succederanno nel corso della vostra vita.»


870. Dal momento che è utile che il futuro venga nascosto, perché qualche volta Dio ne permette la rivelazione?

«È quando questa preveggenza deve facilitare il compimento di qualcosa invece di avversarlo, impegnando l'uomo ad agire diversamente da come avrebbe fatto senza quella preveggenza. E, inoltre, sovente è una prova. La prospettiva di un avvenimento può risvegliare pensieri più o meno buoni. Se l'uomo dovesse sapere, per esempio, che riceverà un’eredità sulla quale non contava, potrebbe venire sollecitato dal sentimento della cupidigia, dal piacere di aumentare le sue soddisfazioni terrene, dal desiderio di possedere al più presto quella fortuna, magari augurandosi la morte di colui che deve lasciargliela. Oppure questa prospettiva potrà risvegliare in lui dei buoni sentimenti e dei pensieri generosi. Se la predizione non si compie, è un'altra prova: quella del modo in cui egli sopporterà la delusione. Ma non avrà meno merito o demerito dei pensieri buoni o cattivi che il credere all'avvenimento ha fatto nascere in lui.»


871. Poiché Dio sa tutto, egualmente sa se un uomo deve soccombere, oppure no, a una prova. Qual è allora la necessità di questa prova, dal momento che l'uomo non può dimostrare a Dio niente ch’Egli già non sappia sul suo conto?

«Tanto varrebbe domandarsi perché Dio non abbia creato l'uomo perfetto e realizzato (vedere n. 119), e perché l'uomo debba passare attraverso l'infanzia prima di arrivare all'età adulta (vedere n. 379). La prova non ha lo scopo di illuminare Dio sui meriti di un uomo, perché Dio sa perfettamente quanto egli vale; ma ha lo scopo di lasciare a quest'uomo tutta la responsabilità della sua azione, dal momento che è libero di agire o non agire. Potendo l'uomo scegliere fra il bene e il male, la prova ha per effetto di metterlo alle prese con la tentazione del male e di lasciare a lui tutto il merito della resistenza. Ora, benché Dio sappia molto bene e in anticipo se riuscirà o no, non può, nella Sua giustizia, né punirlo né ricompensarlo per un atto che non ha compiuto.» (Vedere n. 258)

Così è fra gli uomini. Per quanto un candidato possa essere capace, e per quanto si abbia qualsiasi certezza di vederlo riuscire, non gli si conferisce alcun grado senza esame, ossia senza prova. Egualmente il giudice condanna un accusato solo in base a un atto compiuto e non sulla previsione che egli possa o debba compiere questo atto.

Più si riflette sulle conseguenze che risulterebbero per l'uomo dalla conoscenza del futuro, più ci si rende conto di come la Provvidenza sia stata saggia nel nascondergliela. La certezza di un avvenimento felice lo farebbe cadere nell'inerzia, quella di un avvenimento infelice, nello scoraggiamento. Nell'uno e nell'altro caso le sue forze rimarrebbero paralizzate. Ecco perché il futuro viene mostrato all'uomo solo come fine cui egli deve tendere con i suoi sforzi, ma senza conoscere le fila attraverso le quali deve passare per raggiungerlo. La conoscenza di tutti gli incidenti di percorso gli toglierebbe l'iniziativa e l'uso del libero arbitrio. Si lascerebbe travolgere dalla china fatale degli avvenimenti, senza esercitare le sue facoltà. Quando il successo di una cosa e assicurato, non ci se ne preoccupa più.




Riassunto teorico del movente delle azioni dell'uomo

872. La questione del libero arbitrio può riassumersi come segue.

L'uomo non è affatto portato fatalmente al male. Le azioni che compie non sono affatto scritte in precedenza, e i crimini che commette non avvengono affatto a causa di una sentenza del destino. L'uomo può, come prova e come espiazione, scegliere un'esistenza in cui avrà degli impulsi criminali, sia a causa dell'ambiente sociale in cui si trova, sia a causa delle circostanze che si verificano, ma e sempre libero di agire o di non agire. Pertanto il libero arbitrio esiste: allo stato di Spirito, nella scelta dell'esistenza e delle prove; allo stato fisico, nella facoltà di cedere o di opporsi agli impulsi ai quali ci siamo volontariamente sottoposti. È l'educazione che deve combattere queste cattive tendenze. Essa lo farà utilmente quando sarà basata sullo studio approfondito della natura morale dell'uomo. Attraverso la conoscenza delle leggi che reggono questa natura morale, si arriverà a modificarla, così come si modifica l'intelligenza attraverso l'istruzione, e il temperamento attraverso l'igiene.

Lo Spirito, liberato della materia e in stato errante, fauna scelta delle sue esistenze corporee future secondo il grado di perfezione al quale e pervenuto, ed e in ciò, come abbiamo già detto, che consiste soprattutto il suo libero arbitrio. Questa libertà non viene assolutamente annullata dall'incarnazione. Se l'uomo cede all'influenza della materia, vuol dire che soccombe alle prove stesse che ha scelto. È per essere aiutato a superarle che può invocare l'assistenza di Dio e dei buoni Spiriti. (Vedere n. 337)

Senza il libero arbitrio, l'uomo non avrebbe ne demerito nel male, né merito nel bene. E ciò è talmente evidente che nel nostro mondo il biasimo o l'elogio si mettono sempre in relazione all'intenzione, ossia alla volontà. Pertanto, chi dice volontà dice libertà. L'uomo non potrebbe dunque cercare una scusa ai suoi misfatti nel suo organismo, senza rinnegare la sua ragione e la sua condizione di essere umano, rendendosi quindi simile al bruto. Se così fosse per il male, altrettanto dovrebbe esserlo per il bene. Però, quando l'uomo fa del bene, si preoccupa molto di farsene un merito, e si guarda bene dal gratificarne i suoi organi, la qual cosa dimostra che istintivamente egli non rinuncia mai, nonostante le congetture di qualche scienza sistematica, al più bello dei privilegi della sua specie: la libertà di pensiero.

La fatalità, così come la s'intende generalmente, suppone la determinazione presciente e irrevocabile di tutti gli avvenimenti della vita, qualunque sia la loro importanza. Se tale fosse l'ordine delle cose, l'uomo sarebbe una macchina senza volontà. A che cosa gli servirebbe la sua intelligenza, dal momento che sarebbe costantemente dominato in tutti i suoi atti dalla forza del destino? Una tale dottrina, se fosse vera, sarebbe l'annullamento di ogni libertà morale. Non ci sarebbe più per l'uomo alcuna responsabilità e, di conseguenza, non ci sarebbero né bene né male né crimini né virtù. Dio, sovranamente giusto, non potrebbe castigare una sua creatura per degli errori che non sarebbe dipeso da lei commettere o non commettere, ne potrebbe ricompensarla per delle virtù di cui non avrebbe alcun merito. Una tale legge sarebbe inoltre la negazione della legge del progresso, perché l'uomo che si attendesse tutto dalla sorte non tenterebbe minimamente di migliorare la sua posizione, dal momento che non potrebbe cambiarla né in meglio né in peggio.

Però la fatalità non è una parola vana. Essa esiste nella posizione che l'uomo occupa sulla Terra e nelle funzioni che vi compie, in conseguenza del genere di esistenza scelto dal suo Spirito come prova, espiazione o missione. Egli subisce fatalmente tutte le vicissitudini di questa esistenza e tutte le tendenze buone o cattive a essa inerenti. Ma lì si ferma la fatalità, perché dipende dalla volontà dell'uomo cedere o non cedere a queste tendenze. Il dettaglio degli avvenimenti è subordinato alle circostanze che provoca lui stesso con le sue azioni, e sulle quali gli Spiriti possono influire attraverso i pensieri che gli suggeriscono. (Vedere n. 459)

La fatalista sta dunque negli avvenimenti che si presentano, perché essi sono la conseguenza della scelta dell'esistenza fatta dallo Spirito. Può non esserci nell'esito di questi avvenimenti, perché può dipendere dall'uomo modificarne il corso con la sua prudenza. Non c'è mai fatalità negli atti della vita morale.

È nella morte che l'uomo e sottomesso, in modo assoluto, all'inesorabile legge della fatalità. Egli infatti non può sottrarsi alla sentenza che fissa il termine della sua esistenza, né al genere di morte che deve interrompere il corso della sua vita.

Secondo la dottrina volgare, l'uomo attingerebbe tutti i suoi istinti in sé stesso. Essi procederebbero sia dal suo organismo, — e pertanto non ne sarebbe responsabile — sia dalla sua stessa natura, nella quale può cercare una giustificazione ai suoi stessi occhi, asserendo che non è colpa sua s e è fatto così. La Dottrina Spiritista e in modo evidente più morale. Essa ammette nell'uomo il libero arbitrio in tutta la sua completezza. E dicendogli che, se commette il male cede a una cattiva ed estranea suggestione, gliene lascia tutta la responsabilità, poiché gli riconosce il potere di resistere, cosa evidentemente più facile che se dovesse lottare contro la sua stessa natura. Così, secondo la Dottrina Spiritista, non ci sono impulsi irrefrenabili: l'uomo può sempre chiudere le orecchie alla voce occulta che nel suo intimo lo sollecita al male, come può chiuderle alla voce materiale di qualcuno che gli parla. Lo può fare di sua volontà, domandando a Dio la forza necessaria e chiedendo a questo scopo l'assistenza dei buoni Spiriti. È ciò che Gesù ci insegna nella sublime Orazione domenicale, quando ci fa dire: «Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male.»

Questa teoria della causa determinante dei nostri atti risulta evidente da tutto l'insegnamento dato dagli Spiriti. Non solo essa è sublime in quanto a moralità, ma aggiungeremo ch'essa rivela l'uomo ai suoi stessi occhi; lo mostra libero di scuotere un giogo che lo ossessiona, così come è libero di chiudere la sua casa agli importuni. Non è più una macchina che agisce per un impulso indipendente dalla sua volontà, e un essere dotato di ragione, che ascolta, giudica e sceglie liberamente fra due partiti. Aggiungiamo ancora che, malgrado ciò, l'uomo non è affatto privato della sua iniziativa, non cessa di agire secondo i suoi impulsi, perché in definitiva non è che uno Spirito incarnato, il quale conserva, sotto l'involucro del corpo, le qualità e i difetti che aveva come Spirito. Gli errori che commettiamo hanno dunque la loro origine primitiva nell'imperfezione del nostro stesso Spirito, che non ha ancora raggiunto la superiorità morale che avrà un giorno, ma che non per questo il suo libero arbitrio ha dei limiti. La vita fisica gli viene data per purificarsi delle sue imperfezioni attraverso le prove che subisce, e sono precisamente queste imperfezioni che lo rendono più debole e più accessibile alle suggestioni degli Spiriti imperfetti. Costoro, a loro volta, ne approfittano per cercare di farlo soccombere nella lotta che egli ha intrapreso. Se esce vincitore da questa battaglia, si eleva. Se soccombe, rimane quello che era, ne peggiore, ne migliore: è una prova che dovrà essere ricominciata e che potrà così durare a lungo. Più si purifica, più i suoi lati deboli diminuiscono e meno dà adito a chi lo sollecita al male. La sua forza morale cresce in ragione della sua elevatezza, e i cattivi Spiriti si allontanano da lui.

Tutti gli Spiriti più o meno buoni, quando si incarnano, costituiscono la specie umana. Poiché la nostra Terra e uno dei mondi meno avanzati, in essa si trovano più Spiriti cattivi che Spiriti buoni. Ecco perché qui vediamo tante perversioni. Compiamo dunque tutti i nostri sforzi per non ritornarci dopo questa stazione, e per meritarci di andare a riposare in un mondo migliore, in uno di quei mondi privilegiati dove il bene regna assoluto, e dove ci ricorderemo del nostro passaggio su questa Terra solo come di un tempo d'esilio.





Capítulo XI — 10. Legge di Giustizia, Amor e Carità



Giustizia e diritti naturali

873. Il sentimento di giustizia è insito nella natura dell'uomo oppure è il risultato di idee acquisite?

«Esso è talmente nella natura umana che vi sentite ribellare al pensiero di un'ingiustizia. Il progresso morale senza dubbio sviluppa questo sentimento, ma non lo dà: Dio l'ha posto nel cuore dell'uomo. Ecco perché sovente negli uomini semplici e incolti voi trovate delle nozioni di giustizia più esatte che in coloro che hanno molto sapere.»

874. Se la giustizia è una legge naturale, come accade che gli uomini la intendano in modo così differente, e che gli uni trovino giusto ciò che appare ingiusto agli altri?

«Il fatto e che nelle leggi sovente si mescolano delle passioni che alterano questo sentimento — come succede per la maggior parte degli altri sentimenti naturali — e fanno vedere le cose sotto un falso punto di vista.»

875. Come può definirsi la giustizia?

«La giustizia consiste nel rispetto dei diritti di ognuno.»


875a. Che cosa determina questi diritti?

«Essi sono determinati da due fattori: la legge umana e la legge naturale. Avendo gli uomini fatto delle leggi adeguate ai loro costumi e al loro carattere, queste leggi hanno stabilito dei diritti che sono potuti variare con il progredire delle conoscenze. Verificate voi se le vostre leggi odierne, sia pur imperfette, sanciscono ancora gli stessi diritti del Medioevo. Questi diritti ormai superati, che oggi vi apparirebbero mostruosi, sembravano a quell'epoca giusti e naturali. Il diritto stabilito dagli uomini non è dunque sempre conforme alla giustizia. D'altra parte esso regola solo determinati rapporti sociali, mentre nella vita privata c’è una quantità di atti che sono unicamente una conseguenza del tribunale della coscienza.»


876. Oltre al diritto consacrato dalla legge umana, qual è la base della giustizia fondata sulla legge naturale?

«Cristo l'ha già detto: Vogliate per gli altri quello che vorreste per voi. Dio ha posto nel cuore dell'uomo la regola di ogni vera giustizia, secondo il desiderio di ognuno di vedere rispettati i propri diritti. Nell'incertezza su ciò che deve fare riguardo a un suo simile in una data circostanza, si chieda l'uomo come vorrebbe che ci si comportasse con lui in un'identica circostanza. Dio non avrebbe potuto dargli una guida più sicura della propria coscienza.»

Il criterio della vera giustizia in effetti e quello di volere per gli altri ciò che si vorrebbe per noi stessi, e non di volere per sé ciò che si vorrebbe per gli altri, il che non è del tutto la stessa cosa. Poiché non è naturale volersi del male, prendendo il proprio desiderio personale come modello di riferimento, o punto di partenza, si è certi di volere sempre solo il bene per il proprio prossimo. In tutti i tempi e in tutte le credenze, l'uomo ha sempre cercato di far prevalere il suo diritto personale. Il sublime della religione cristiana è stato di prendere il diritto personale come base del diritto del prossimo.


877. La necessita per l'uomo di vivere nella società comporta per lui degli obblighi particolari?

«Sì. E il primo di tutti e quello di rispettare i diritti dei suoi simili. Chi rispetterà questi diritti sarà sempre giusto. Nel vostro mondo, in cui sono tanti gli uomini che non praticano la legge di giustizia, ognuno usa delle rappresaglie, ed è questo che crea turbamenti e confusione nella vostra società. La vita sociale da dei diritti e impone dei doveri reciproci.»

878. Potendo l'uomo ingannarsi circa l'estensione del suo diritto, che cos’è che può fargliene conoscere il limite?

«Il limite del diritto ch'egli riconoscerebbe al suo simile verso di lui, nella medesima circostanza, e reciprocamente.»


878a. Ma se ognuno attribuisce a sé stesso i diritti del proprio simile, che cosa ne sarebbe della subordinazione nei confronti dei superiori? Non sarebbe forse l'anarchia di tutti i poteri?

«I diritti naturali sono uguali per tutti gli uomini dal più piccolo fino al più grande. Dio non ha creato gli uni con un fango migliore che per gli altri. E tutti sono uguali davanti a Lui. Questi diritti sono eterni, mentre quelli stabiliti dall'uomo periscono con le loro istituzioni. Del resto, ognuno conosce bene la propria forza o debolezza e saprà avere sempre una sorta di deferenza per chi se ne renderà degno grazie alla sua virtù e saggezza. È importante notare ciò, affinché coloro che si credono superiori conoscano i loro doveri per meritarsi questa deferenza. La subordinazione non sarà affatto compromessa, quando l'autorevolezza sarà affiancata dalla saggezza.»

879. Quale sarebbe il carattere dell'uomo che praticasse la giustizia in tutta la sua purezza?

«Quello del vero giusto, sull'esempio di Gesù, perché egli praticherebbe anche l'amore del prossimo e la carità, senza i quali non c’è vera giustizia.»




Diritto di proprietà. Furto

880. Qual è il primo di tutti i diritti naturali dell'uomo?

«È il diritto di vivere. Nessuno infatti ha il diritto di attentare alla vita di un suo simile né di fare alcunché che possa comprometterne l'esistenza fisica.»

881. Il diritto di vivere da all'uomo il diritto di accumulare di che vivere, per riposarsi quando non sarà più in grado di lavorare?

«Sì. Ma deve farlo in famiglia, come l'ape, con un lavoro onesto, e di certo non accumulando da egoista. Anche certi animali danno all'uomo l'esempio della previdenza.»

882. L'uomo ha il diritto di difendere ciò che ha accumulato con il suo lavoro?

«Dio non ha forse detto: "Tu non ruberai". E Gesù: "Bisogna rendere a Cesare quel che è di Cesare"?»

Ciò che l'uomo accumula con un lavoro onesto è una proprietà legittima, che egli ha il diritto di difendere. La proprietà, che è il frutto del lavoro, e infatti un diritto naturale, sacro quanto quello di lavorare e di vivere.

883. Il desiderio di possedere è nella natura umana?

«Sì. Ma quando è solo per sé stessi e per la propria soddisfazione personale, allora si tratta di egoismo.»


883a. Ma il desiderio di possedere non è forse legittimo, dal momento che chi ha di che vivere non è a carico di nessuno?

«Ci sono uomini insaziabili che accumulano beni senza profitto per alcuno e neppure per soddisfare le loro passioni. Credete che ciò sia ben visto da Dio? Invece chi accumula con il suo lavoro, con l'intenzione di aiutare i suoi simili, questi pratica la legge d'amore e di carità, e il suo lavoro e benedetto da Dio.»

884. Qual è la caratteristica della proprietà legittima?

«Non esiste proprietà legittima all'infuori di quella che è stata acquisita senza danno per altri.» (Vedere n. 808)

La legge d'amore e di giustizia, proibendo di fare ad altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi, condanna con ciò stesso qualsiasi mezzo d'acquisizione che fosse contrario a questa legge.

885. Il diritto di proprietà è inde finito?

«Senza dubbio. Tutto ciò che è acquisito legittimamente e una proprietà. Ma, come abbiamo già detto, essendo la legislazione degli uomini imperfetta, essa consacra sovente dei diritti di convenzione che la giustizia naturale condanna. È per questo che gli uomini riformano sovente le loro leggi nella misura in cui il progresso avanza e in cui essi comprendono meglio la giustizia. Ciò che sembra perfetto in un certo secolo, sembra barbaro nel secolo successivo.» (Vedere n. 795)






Carità e amore del prossimo

886. Qual è il vero senso della parola carità, esattamente come la intendeva Gesù?

«Benevolenza per tutti, indulgenza per i difetti altrui, perdono delle offese.»

L'amore e la carità sono il complemento della legge di giustizia, perché amare il prossimo e fare al prossimo tutto il bene che è in nostro potere e che vorremmo fosse fatto a noi. Tale è il senso delle parole di Gesù: Amatevi l'un l'altro come fratelli.

La carità, secondo Gesù, non si limita all'elemosina. Essa abbraccia tutti i rapporti che noi abbiamo con i nostri simili, siano essi nostri inferiori, nostri uguali o nostri superiori. Essa ci raccomanda l'indulgenza, perché noi stessi ne abbiamo bisogno. Essa ci impedisce di umiliare lo sfortunato, contrariamente a quanto si fa troppo di frequente. Quando una persona ricca ci si presenta si hanno per lei mille riguardi, mille attenzioni. Se e una povera persona sembra che non ci sia alcun bisogno d'incomodarsi per lei. Però, più la sua condizione e da compiangere, più si deve temere, al contrario, di aggiungere umiliazione alla sua infelicità. L'uomo veramente buono cerca di elevare nell'inferiore la sua autostima, accorciando le distanze.

887. Gesù ha anche detto. Amate anche i vostri nemici. Ora, l'amore per i nostri nemici non è forse contrario alle nostre tendenze naturali? E l'inimicizia non deriva forse dalla mancanza di simpatia fra gli Spiriti?

«Senza dubbio, non si può nutrire per i propri nemici un amore tenero e appassionato. Non è questo che Gesù ha voluto dire. Amare i propri nemici significa perdonarli e rendere loro bene per male: con ciò si diventa superiori a loro, con la vendetta ci si pone al di sotto di loro.»

888. Che cosa pensare dell'elemosina?

«L'individuo ridotto a chiedere l'elemosina si degrada moralmente e fisicamente: si abbrutisce. In una società basata sulla legge di Dio e sulla giustizia, si deve provvedere alla vita del debole senza umiliarlo. Essa deve assicurare l'esistenza a coloro che non possono lavorare, senza lasciare la loro vita alla merce del caso e della buona volontà.»


888a. Voi biasimate l'elemosina?

«No, non è l'elemosina che è da biasimare. Sovente, il modo con cui viene fatta e da biasimare. L'uomo dabbene, che comprende la carità secondo l'insegnamento di Gesù, va verso l'infelice senza aspettare che questi gli tenda la mano.

La vera carità è sempre buona e benevola, lo e tanto nella forma quanto nei fatti. Un beneficio reso con delicatezza raddoppia di valore; se invece viene fatto con ostentazione, la necessita può farlo accettare, ma il cuore non ne rimane toccato.

Ricordate anche che l'ostentazione toglie agli occhi di Dio il merito della beneficenza. Gesù ha detto: "Che la vostra mano sinistra non sappia quello che dà la vostra mano destra". Gesù vi insegna così a non confondere assolutamente la carità con l'orgoglio.

Si deve distinguere l'elemosina propriamente detta dalla beneficenza. I più bisognosi non sempre sono quelli che chiedono. Il timore dell'umiliazione trattiene il vero povero, che sovente soffre senza lagnarsi. È questo che l'uomo veramente umano deve andare a cercare senza darlo a vedere.

Amatevi l'un l'altro, in ciò consiste tutta la legge, la legge divina con la quale Dio governa i mondi. L'amore e la legge d'attrazione per gli esseri vivi e organizzati. L'attrazione è la legge d'amore per la materia inorganica.

Non dimenticate mai che lo Spirito, qualunque sia il suo grado di avanzamento, la sua situazione come reincarnato o essere errante, e sempre posto fra un superiore, che lo guida e lo perfeziona, e un inferiore di fronte al quale ha gli stessi doveri da compiere. Siate dunque caritatevoli, non solo di quella carità che vi porta a tirar fuori dalla vostra borsa l'obolo che voi freddamente porgete a chi trova coraggio di domandarvelo, ma andate a cercare i disagiati che si nascondono. Siate indulgenti con i difetti dei vostri simili. Anziché biasimarne l'ignoranza e il vizio, istruiteli e fate presso di loro opera moralizzatrice. Siate dolci e benevoli con tutti quelli che sono inferiori a voi. Siatelo anche nei riguardi degli esseri più infimi della creazione. E voi avrete ubbidito alla legge di Dio.»

SAN VINCENZO DE' PAOLI


889. Ci sono degli uomini ridotti alla mendicità per loro stessa colpa?

«Senza dubbio, ma se una buona educazione morale avesse loro insegnato a praticare la legge di Dio, non sarebbero caduti negli eccessi che sono causa della loro perdizione. È soprattutto da ciò che dipende il miglioramento del vostro globo.» (Vedere n. 707)






Amore materno e amore filiale

890. L'amore materno è una virtù o un sentimento istintivo comune agli uomini e agli animali?

«È l'una e l'altra cosa. La natura ha dato alla madre l'amore per i propri figli ai fini della loro protezione, ma negli animali questo amore e limitato alle necessita materiali e cessa quando le cure diventano superflue. Nell'essere umano, esso dura per tutta la vita e comporta una dedizione e un'abnegazione che sono proprie della virtù. Esso sopravvive anche alla morte e segue il figlio al di là della tomba. Vedete bene che c’è nell'uomo dell'altro, rispetto agli animali.» (Vedere nn. 205 e 385)


891. Se l'amore materno è nella natura, perché ci sono delle madri che odiano i loro figli, e sovente fin dalla nascita?

«Questa e a volte una prova scelta dallo Spirito del bambino. Oppure è un'espiazione se lui stesso, in un'altra esistenza, e stato un cattivo padre o una cattiva madre o un cattivo figlio (vedere n. 392). In tutti i casi, la cattiva madre non può essere che animata da uno Spirito cattivo, il quale cerca di ostacolare lo Spirito del bambino, al fine di farlo soccombere sotto la prova che ha voluto. Ma questa violazione della legge di natura non rimarrà impunita, e lo Spirito del bambino sarà ricompensato per gli ostacoli che avrà superato.»

892. Quando i genitori hanno dei figli che causano loro dei dolori, sono perdonabili per il fatto di non nutrire verso di loro quella tenerezza che avrebbero avuto in caso contrario?

«No, perché questo e un compito che è stato loro affidato, e fare tutto il possibile per ricondurre i figli al bene è la loro missione (vedere nn. 582-583). Ma questi dispiaceri sono sovente la conseguenza della cattiva piega che hanno lasciato prendere ai figli sin dalla culla. Perciò raccolgono quello che hanno seminato.»





Capítulo XII — Perfezione Morale



Le virtù e i vizi

893. Qual è la più meritoria delle virtù?

«Tutte le virtù hanno un loro merito, perché tutte sono segni di progresso sulla via del bene. C’è virtù tutte le volte che si oppone resistenza volontaria all'impulso delle cattive tendenze. Ma il sublime della virtù consiste nel sacrificio dell'interesse personale per il bene del prossimo, senza secondi fini. La più meritoria delle virtù è quella che si fonda sulla carità più disinteressata.»

894. Ci sono persone che fanno il bene per un moto spontaneo, senza dover vincere alcun sentimento contrario. Hanno esse lo stesso merito di quelle che devono lottare contro la propria natura e che la superano?

«Quelli che non devono affatto lottare sono coloro in cui il progresso e compiuto. Essi un tempo hanno lottato e hanno trionfato. È per questo che i buoni sentimenti non costano loro nessuno sforzo e le loro azioni sembrano del tutto naturali. Per costoro il bene e diventato un'abitudine. Bisogna dunque onorarli come dei vecchi guerrieri che si sono conquistati i gradi.

Poiché voi siete ancora molto lontani dalla perfezione, questi esempi vi impressionano per il loro contrasto, e quanto più sono rari tanto più li ammirate. Ma sappiate che, nei mondi più avanzati del vostro, ciò che fra di voi è un'eccezione, là è la regola. Il sentimento del bene là è ovunque spontaneo, perché vi abitano solo buoni Spiriti e una sola cattiva intenzione sarebbe un'eccezione mostruosa. Ecco perché le creature là sono felici. Sarà lo stesso sulla Terra quando l'umanità si sarà trasformata e quando essa capirà e praticherà la carità nella sua vera accezione.»

895. A parte i difetti e le virtù sui quali nessuno potrebbe ingannarsi, qual e l'aspetto più caratteristico dell'imperfezione?

«È l'interesse personale. Le qualità morali sono sovente come la doratura applicata su un oggetto di rame, e che non resiste alla pietra di paragone. Un uomo può possedere delle qualità oggettive che ne fanno, per il mondo, un uomo dabbene. Ma queste qualità, sebbene costituiscano un progresso, non sempre sopportano certe prove, e a volte basta toccare la corda dell'interesse personale per portare allo scoperto il fondo. Il vero disinteresse e cosa talmente rara sulla Terra che quando si presenta lo si ammira come se fosse un fenomeno. L'attaccamento alle cose materiali e un notorio segno di inferiorità perché, più l'uomo tiene ai beni di questo mondo, meno comprende il suo destino. Con il disinteresse, invece, egli dimostra di vedere il futuro da un punto di vista più elevato.»

896. Esistono persone che sono disinteressate senza buonsenso, prodigando i loro averi senza un vantaggio reale, senza farne un impiego ragionevole. Costoro hanno qualche merito?

«Hanno il merito del disinteresse, ma non quello del bene che potrebbero fare. Se il disinteresse e una virtù, la prodigalità irragionevole e sempre, come minimo, una mancanza di buonsenso. La ricchezza non viene data a certuni per essere gettata al vento, né ad altri per venire rinchiusa in cassaforte. È un deposito di cui i privilegiati dovranno rendere conto, perché dovranno rispondere di tutto il bene che era in loro potere fare e che non avranno fatto, di tutte le lacrime che avrebbero potuto asciugare con i soldi che hanno dato a coloro che non ne avevano bisogno.»

897. È da biasimare chi fa del bene, non in vista di una ricompensa sulla Terra, ma nella speranza che gliene sarà tenuto conto nell'altra esistenza, e anche nella speranza che la sua posizione sarà là ancora migliore? E questo pensiero nuoce al suo avanzamento?

«Sì. Si deve fare il bene con carità, ossia con disinteresse.»


897a. Comunque tutti hanno il desiderio molto naturale di avanzare, per uscire dallo stato penoso di questa vita. Gli stessi Spiriti non ci insegnano forse a praticare il bene a questo scopo? è dunque un male pensare che, facendo il bene, si può sperare di stare meglio che sulla Terra?

«Certamente no. Ma chi fa del bene senza secondi fini, e per il solo piacere di essere gradito a Dio e al suo prossimo sofferente, si trova già a un certo grado di avanzamento che gli permetterà di arrivare molto prima alla felicita di suo fratello che, più calcolatore, f a il bene con raziocinio e non è spinto dal calore naturale del suo cuore.» (Vedere n. 894)


897b. A questo punto non è il caso di distinguere fra il bene che si può fare al prossimo e l'impegno che si mette per correggersi dei propri difetti? Noi ben comprendiamo che fare il bene con il pensiero che se ne terrà conto nell'altra vita è poco meritorio. Ma correggersi, vincere le proprie passioni, migliorare il proprio carattere per avvicinarsi ai buoni Spiriti ed elevarsi, non è ugualmente un segno di inferiorità?

«No. Assolutamente no. Quando diciamo fare il bene, noi intendiamo dire essere caritatevoli. Chi calcola quanto ogni buona azione può fruttargli nella vita futura, così come in quella terrena, agisce da egoista. Non c’è invece alcun egoismo nel migliorare sé stesso con lo scopo di avvicinarsi a Dio, perché questo è il fine cui ognuno deve tendere.»

898. Poiché la vita fisica è solo un passaggio temporaneo su questa Terra, e poiché il nostro futuro deve essere la nostra principale preoccupazione, è utile sforzarsi di acquisire conoscenze scientifiche che riguardano solo le cose e i bisogni materiali?

«Senza dubbio. Innanzi tutto, ciò vi mette in grado di soccorrere i vostri fratelli, poi il vostro Spirito salirà più velocemente se ha già progredito in intelligenza. Nell'intervallo fra una reincarnazione e l'altra, voi imparerete in un'ora ciò che sulla vostra Terra vi richiederebbe degli anni. Non c’è conoscenza che non sia utile. Tutte contribuiscono più o meno al progresso, perché uno Spirito perfetto deve sapere tutto, e perché, dovendo il progresso compiersi in tutti i sensi, tutte le idee acquisite contribuiscono allo sviluppo dello Spirito.»

899. Di due uomini ricchi, l'uno è nato nell'opulenza e non ha mai conosciuto il bisogno, l'altro deve la sua fortuna al suo lavoro. Tutti e due impiegano la loro fortuna esclusivamente per le loro soddisfazioni personali. Chi dei due è il più colpevole?

«Quello che ha conosciuto le sofferenze. Egli sa che cosa vuol dire soffrire, conosce quel dolore che ora, pero, egli non allevia negli altri, perché troppo spesso non si ricorda più del suo.»


900. Chi accumula incessantemente e senza fare del bene a nessuno può trovare una valida scusa nell'idea di accumulare per lasciare di più ai suoi eredi?

«Si tratta di un compromesso con la sua cattiva coscienza.»

901. Fra due avari, il primo si nega il necessario e muore di stenti sul suo tesoro, il secondo è avaro solo con gli altri, ma prodigo con sé stesso. Mentre indietreggia difronte al minimo sacrificio per rendere un servigio o fare una cosa utile, non bada a niente pur di soddisfare i suoi divertimenti e le sue passioni. Gli si domanda un piacere ed è sempre difficile ottenerlo, ma quando vuole togliersi un capriccio ha sempre quanto basta. Chi è il più colpevole e chi avrà il posto peggiore nel mondo degli Spiriti?

«Quello che se la gode: lui e più egoista dell'avaro. L'altro ha già trovato in parte la sua punizione.»

902. É biasimevole invidiare la ricchezza quando è perii desiderio di fare il bene?

«Il sentimento è senza dubbio apprezzabile, quando è puro. Ma questo desiderio è sempre così disinteressato? Non nasconde nessun secondo fine personale? La prima persona alla quale desiderate fare del bene non è sovente la vostra?»

903. Si è colpevoli se si indaga sui difetti degli altri?

«Se e per criticarli e divulgarli si e molto colpevoli, perché è mancare di carità. Se e per trarne un vantaggio personale, al fine di evitarli noi stessi, può qualche volta essere utile. Ma non bisogna dimenticare che l'indulgenza per i difetti altrui e una delle virtù comprese nella carità. Prima di censurare gli altri per i loro difetti, osservate se non si potrebbe dire lo stesso di voi. Cercate dunque di avere le qualità opposte a quei difetti che si criticano negli altri. È questo il modo di rendersi superiori. Rimproverate a qualcuno di essere avaro? Siate generosi. Di essere orgoglioso? Siate umili e modesti. Di essere duro? Siate dolci. Di agire con piccineria? Siate grandi in tutte le vostre azioni. In una parola, fate in modo che non si possano applicare a voile parole di Gesù: Egli vede una pagliuzza nell'occhio del suo vicino e non vede una trave nel proprio.»

904. Si è colpevoli di esaminare le piaghe della società e di divulgarle?

«Dipende dal sentimento con cui si è indotti a farlo. Se chi scrive non ha che l'intento di sollevare scandalo, e una soddisfazione personale che si procura presentando dei quadri che sono piuttosto dei cattivi che dei buoni esempi. Lo Spirito apprezza, ma può essere punito per questo tipo di piacere che prova nel rivelare il male.»


904a. In questo caso, come giudicare la purezza delle intenzioni e la sincerità di chi scrive?

«Non sempre questo vostro esame e utile. Ma se costui scrive delle cose buone, ricavatene un vantaggio. Se invece scrive cose cattive, è una questione di coscienza che riguarda lui solo. Del resto, se tiene a provare la sua sincerità, sta a lui suffragare l'insegnamento col suo stesso esempio.»


905. Certi scrittori hanno pubblicato delle opere molto belle e di alto livello morale che contribuiscono al progresso dell'umanità, ma da cui essi stessi non hanno tratto profitto. Viene loro tenuto conto, in quanto Spiriti, del bene che le loro opere hanno profuso?

«La morale, senza le azioni, e la semente senza il lavoro. A che cosa vi serve la semente se non la fate fruttare per nutrirvi? Questi uomini sono più colpevoli, perché avevano l'intelligenza per comprendere. Non praticando le massime che davano agli altri, hanno rinunciato a raccoglierne i frutti.»

906. Chi fa del bene è da biasimare se ne ha coscienza e lo confessa a sé stesso?

«Dal momento che l'uomo può avere coscienza del male che ha fatto, deve avere anche coscienza del bene, al fine di sapere se agisce bene o male. È pesando tutte le sue azioni sulla bilancia della legge di Dio, e soprattutto su quella della legge di giustizia, amore e carità, le potrà dire se esse sono buone o cattive, se approvarle o disapprovarle. Egli non può dunque essere biasimevole di riconoscere che ha trionfato sulle cattive tendenze, e di esserne soddisfatto, purché non ne tragga motivo di vanita, nel qual caso cadrebbe in un altro errore.» (Vedere n. 919)




Delle passioni

907. Essendo il principio delle passioni nella natura, è esso cattivo in sé stesso?

«No. La passione sta nell'eccesso unito alla volontà, poiché tale principio è stato dato all'uomo a fin di bene, e le passioni possono portarloa realizzare grandi cose. È l'abuso ch'egli può farne che causa il male.»

908. Come definire il limite entro cui le passioni cessano di essere buone o cattive?

«Le passioni sono come un cavallo, che è utile quando e domato ed e dannoso quando è lui a dominare. Riconoscete dunque che una passione diventa perniciosa nel momento in cui cessate di poterla governare ed essa diventa in qualche modo pregiudizievole per voi o per gli altri.»

Le passioni sono delle leve che moltiplicano le forze dell'uomo e lo aiutano a realizzare i disegni della Provvidenza. Ma se, anziché indirizzarle, l'uomo si lascia da loro condurre, cade negli eccessi, e quella forza stessa, che nelle sue mani avrebbe potuto fare il bene, ricade su di lui e lo fa crollare.

Tutte le passioni hanno il loro principio in un sentimento o in una necessita naturale. Il principio delle passioni pertanto non è affatto un male, poiché poggia su una delle condizioni provvidenziali della nostra esistenza. La passione propriamente detta e l'esagerazione di una necessita o di un sentimento. Essa sta dunque nell'eccesso e non nella causa. Questo eccesso diventa un male quando ha per conseguenza un male qualsiasi.

Ogni passione, che avvicini l'uomo alla natura animale, lo allontana dalla natura spirituale.

Ogni sentimento che elevi l'uomo al di sopra della natura animale annuncia la predominanza dello Spirito sulla materia e lo avvicina alla perfezione.


909. L'uomo potrebbe sempre vincere le sue cattive tendenze attraverso l'impegno?

«Sì, e qualche volta con un impegno relativo: è la volontà che gli manca. Ahimè! Come sono pochi fra di voi quelli che si impegnano!»

910. L'uomo può trovare negli Spiriti un'assistenza efficace per superare le sue passioni?

«Se prega Dio e il suo buon genio con sincerità, i buoni Spiriti gli verranno certamente in aiuto perché questa e la loro missione.» (Vedere n. 459)

911. Esistono passioni talmente vive e irresistibili che la volontà non sia in grado di superare?

«Ci sono molte persone che dicono: Io voglio, ma la volontà non è che sulle loro labbra. Esse vogliono, ma sono ben contente che ciò non avvenga. Quando si crede di non poter vincere le proprie passioni, è lo Spirito che se ne compiace a causa della sua inferiorità. Chi cerca di reprimerle comprende la sua natura spirituale. Vincerle e per lui una vittoria dello Spirito sulla materia.»

912. Qual è il mezzo più efficace per combattere la predominanza della natura fisica?

«Praticare il disinteresse verso sé stessi.»





Dell'egoismo

913. Fra i vizi, quale può essere considerato il peggiore?

«L'abbiamo detto molte volte: e l'egoismo. Da esso deriva tutto il male. Considerate tutti i vizi e vedrete che al fondo di ognuno di essi c’è l'egoismo. Avrete un bel combatterli, ma non arriverete mai a estirparli finché non avrete attaccato il male alle sue radici, finché non ne avrete distrutto la causa. Che tutti i vostri sforzi tendano dunque a questo scopo, perché lì sta la vera piaga della società. Chiunque voglia avvicinarsi, fin da questa vita, alla perfezione morale, deve estirpare dal suo cuore ogni sentimento d'egoismo, perché l'egoismo è incompatibile con la giustizia, l'amore e la carità. Esso neutralizza tutte le altre qualità.»

914. L'egoismo, essendo fondato sul sentimento dell'interesse personale, sembra molto difficile da estirpare completamente dal cuore dell'uomo. Si arriverà a conseguire questo obiettivo?

«Nella misura in cui l'uomo si illumina sulle cose spirituali, dara meno valore alle cose materiali. È necessario quindi riformare le istituzioni umane che favoriscono e sollecitano l'egoismo. Ciò dipende dall'educazione.»

915. Essendo l'egoismo inerente alla specie umana, non costituirà esso sempre un ostacolo per il regno del bene assoluto sulla Terra?

«È certo che l'egoismo è il più grande dei vostri mali, ma esso attiene all'inferiorità degli Spiriti incarnati sulla Terra, e non all'umanità in sé stessa. Pertanto gli Spiriti, purificandosi attraverso le incarnazioni successive, perdono l'egoismo così come perdono le altre loro impunita. Non avete voi sulla Terra alcun uomo privo d'egoismo e che pratichi la canta? Ce ne sono più di quanti voi crediate, ma li conoscete poco, perché la virtù non cerca la piena luce del giorno. E se ce n'e uno, perché non dovrebbero essercene dieci? Se ce ne sono dieci, perché non dovrebbero essercene mille, e così di seguito?»

916. L'egoismo, lungi dal diminuire, cresce con la civilizzazione, la quale sembra suscitarlo e alimentarlo. Come la causa potrà distruggere l'effetto?

«Più il male è grande, più diventa mostruoso. Era proprio necessario che l'egoismo causasse molto male per far comprendere la necessità di estirparlo. Quando gli uomini avranno abbandonato l'egoismo che li domina, vivranno come fratelli, non facendosi nessun male, aiutandosi reciprocamente attraverso il mutuo sentimento della solidarietà. Allora il forte sarà l'appoggio e non l'oppressore del debole, né si vedrà più un solo uomo mancare del necessario, perché tutti praticheranno la legge della giustizia. Questo e il regno del bene che gli Spiriti sono incaricati di preparare.» (Vedere n. 784)

917. Qual è il mezzo per distruggere l'egoismo?

«Fra tutte le imperfezioni umane e la più difficile da estirpare, perché l'egoismo deriva dall'influenza della materia dalla quale l'uomo, ancora troppo vicino alle sue origini, non ha potuto affrancarsi. E questa influenza tutto concorre a mantenerla: le sue leggi, la sua organizzazione sociale, la sua educazione. L'egoismo si affievolirà con la predominanza della vita morale su quella materiale e soprattutto con la comprensibile visione, che lo Spiritismo vi da, della vostra vera condizione futura, e non alterata dalle creazioni allegoriche. Lo Spiritismo ben compreso, quando si sarà identificato con i costumi e le credenze, trasformerà le abitudini, gli usi e le relazioni sociali. L'egoismo e fondato sull'importanza della personalità. Pertanto lo Spiritismo ben compreso, lo ripeto, fa vedere le cose così dall'alto che il sentimento della personalità in qualche modo sparisce di fronte all'immensità. Annullando questa importanza, o quanto meno facendola vedere per quello che è, necessariamente si combatte l'egoismo.

È il turbamento che l'uomo prova per l'egoismo degli altri che sovente rende egoista lui stesso, perché sente la necessita di tenersi sulla difensiva. Vedendo che gli altri pensano solo a sé stessi, egli è portato a occuparsi di sé più che degli altri. Sia il principio della carità e della fraternita la base delle istituzioni sociali, delle relazioni legali da popolo a popolo, da uomo a uomo, e l'uomo penserà meno alla sua persona quando vedrà che altri ci hanno pensato. Egli subirà l'influenza moralizzatrice dell'esempio e della relazione con gli altri. Di fronte a questo straripamento d'egoismo, ci vuole una vera virtù per praticare il disinteresse della propria personalità a favore degli altri, che sovente non ne hanno nessuna riconoscenza. È soprattutto per quanti possiedono questa virtù che il regno dei cieli è aperto. A questi soprattutto è riservata la felicita degli eletti perché io in verità vi dico che nel giorno della giustizia chiunque avrà pensato solo a sé stesso sarà messo da parte, e soffrirà del suo abbandono.» (Vedere n. 785)

FÉNELON

Si fanno senza dubbio dei lodevoli sforzi per fare avanzare l'umanità. Si incoraggiano, si stimolano, si onorano i buoni sentimenti più che in qualsiasi altra epoca, e ciononostante il vero tarlo dell'egoismo continua a essere la piaga sociale. È un male reale che ricade su tutti, di cui ognuno e più o meno vittima. Si deve dunque combatterlo come si combatte una malattia epidemica. Per questo bisogna procedere alla maniera dei medici: risalire alla causa. Si cerchino dunque in tutte le parti dell'organizzazione sociale, dalla famiglia ai popoli, dalla stamberga al palazzo, tutte le cause, tutte le influenze evidenti o nascoste che eccitano, mantengono e sviluppano il sentimento dell'egoismo. Conosciute le cause, il rimedio si presenterà da sé stesso, si tratterà soltanto ormai di combatterle, se non tutte in una volta, per lo meno parzialmente, e a poco a poco il veleno verrà eliminato. La guarigione potrà essere lunga, poiché le cause sono numerose, ma non è impossibile. Ci si arriverà, del resto, solo attaccando il male alla sua radice, ossia attraverso l'educazione; non quella educazione che tende a fare degli uomini istruiti, ma quella che tende a fare degli uomini dabbene. L'educazione, se ben intesa, è la chiave del progresso morale. Quando si conoscerà l'arte di forgiare i caratteri, così come si conosce quella di forgiare le intelligenze, li si potrà raddrizzare come si raddrizzano le giovani piante. Ma quest'arte richiede molto tatto, molta esperienza e una profonda osservazione. tu n grave errore credere che basti avere della scienza per esercitarla con successo. Chiunque segua dal primo istante della sua nascita il bambino del ricco così come quello del povero, e osservi tutte le dannose influenze che agiscono su di loro a causa della debolezza, dell'incuria e dell'ignoranza di coloro che li guidano, e osservi come sovente i mezzi impiegati per moralizzarli portino al falso, non può stupirsi di incontrare nel mondo tanti errori. Si faccia per la morale quanto si fa per l'intelligenza, e si vedrà che, se esistono nature refrattarie, ce ne sono anche, più di quanto si creda, che domandano solo una buona cultura per ottenere dei buoni frutti (Vedere n. 872)

L'uomo vuole essere felice, e questo sentimento è naturale. Per questo lavora incessantemente per migliorare la sua posizione sulla Terra e cerca le cause dei suoi mali per porvi rimedio. Quando avrà ben compreso che l'egoismo è una di queste cause, quella che genera l'orgoglio, l'ambizione, la cupidigia, l'invidia, l'odio, la gelosia — da cui è a ogni istante colpito —, quella che porta il turbamento in tutte le relazioni sociali, che provoca i dissensi, che distrugge la fiducia, che obbliga a tenersi costantemente sulla difensiva col vicino, quella infine che fa dell'amico un nemico, allora comprenderà pure che questo vizio e incompatibile con la sua stessa felicita e, aggiungiamo noi, anche con la sua stessa sicurezza. Più avrà sofferto per questo, più sentirà la necessita di combatterlo, come si combatte la peste, gli animali nocivi e tutti gli altri flagelli. Sarà così sollecitato ad agire nel suo stesso interesse. (Vedere n. 784)

L'egoismo e la fonte di tutti i vizi, come la carità lo è di tutte le virtù. Distruggere l'uno, sviluppare l'altra, tale dev'essere lo scopo di tutti gli sforzi dell'uomo, se vuole assicurarsi la sua felicita su questa Terra come pure in futuro.






Caratteristiche dell'uomo dabbene

918. Da quali segnali si può riconoscere in un uomo il progresso reale che deve elevare il suo Spirito nella gerarchia spiritista?

«Lo Spirito dimostra il suo grado di elevatezza quando tutte le azioni della sua vita fisica sono la messa in pratica della legge di Dio, e quando egli comprende in anticipo la vita spirituale.»

Il vero uomo dabbene è colui che pratica la legge di giustizia, amore e carità nel suo più alto grado di purezza. Se interroga la sua coscienza sulle azioni compiute, si domanderà se non ha minimamente violato questa legge, se non ha fatto assolutamente del male, se ha fatto tutto il bene che ha potuto, se nessuno si è dovuto lamentare di lui, se infine ha fatto agli altri tutto ciò che avrebbe voluto che fosse fatto a lui.

L'uomo pervaso dal sentimento di carità e di amore per il prossimo fa il bene per il bene, senza sperare in un ritorno, e sacrifica il suo interesse alla giustizia.

Egli è buono, umano e benevolo con tutti, perché vede dei fratelli in tutti gli uomini, senza eccezione di razza o di fede.

Se Dio gli ha dato il potere e la ricchezza, considera queste cose come un deposito di cui deve servirsi per fare il bene. Né di queste cose si fa vanto, perché sa che Dio, il quale gliele ha date, può togliergliele.

Se l'ordine sociale ha posto degli uomini alle sue dipendenze, egli li tratta con bontà e benevolenza, perché davanti a Dio essi sono suoi uguali. Usa della sua autorità per sollevare il loro morale, e non per frustrarli con il suo orgoglio.

È indulgente con le debolezze altrui, perché sa che lui stesso ha bisogno di indulgenza e perché si ricorda di queste parole di Cristo: Colui che è senza peccato scagli la prima pietra.

Non è affatto vendicativo. Sull'esempio di Gesù perdona le offese per ricordarsi solo dei benefici, perché sa che sarà perdonato come lui stesso avrà perdonato.

Infine rispetta nei suoi simili tutti i diritti che le leggi naturali concedono, come vorrebbe che venissero rispettati nei suoi confronti.





Conoscenza di sé stesso

919. Qual è il mezzo pratico più efficace per migliorare sé stessi in questa vita e resistere alle tentazioni del male?

«Un saggio dell'antichità ve l'ha già detto: Conosci te stesso.»


919a. Noi comprendiamo tutta la saggezza di questa massima, ma la difficoltà sta appunto nel conoscere sé stessi. Qual è il mezzo per riuscirvi?


«Fate come facevo io stesso quando vivevo sulla Terra: alla fine della giornata interrogavo la mia coscienza, passavo in rassegna ciò che avevo fatto e mi domandavo se avessi mancato a qualche dovere, se qualcuno si fosse dovuto lamentare di me. È così che arrivai a conoscermi e a vedere che cosa c'era da modificare in me. Colui che ogni sera richiamerà alla memoria tutte le azioni della sua giornata e si domanderà che cosa ha fatto di bene o di male, pregando Dio e il suo angelo custode di illuminarlo, acquisterà una grande forza per perfezionarsi, perché, credetemi, Dio lo assisterà. Ponetevi dunque delle domande. Chiedetevi ciò che avete fatto, con quale scopo avete agito in una certa circostanza, se avete fatto qualcosa che biasimereste negli altri, se avete compiuto un'azione che non osereste confessare. Domandatevi ancora questo: "Se a Dio piacesse richiamarmi in questo momento, rientrando io nel mondo degli Spiriti dove niente e nascosto, avrei da temere di fronte a qualcuno?" Esaminate quello che potete aver fatto contro Dio, poi contro il vostro prossimo e, infine, contro voi stessi. Le risposte potranno essere un sollievo per la vostra coscienza o il segnale di un male che bisogna guarire.


La conoscenza di sé stessi è dunque la chiave del miglioramento individuale. Ma, direte voi, come giudicarsi? Non c’è forse l'inganno dell'amor proprio, che attenua gli errori e li fa scusare? L'avaro si crede semplicemente economo e previdente, l'orgoglioso crede di avere solo della dignità. Ciò e più che vero, ma voi avete un mezzo di controllo che non può ingannarvi. Quando siete indecisi sul valore di una vostra azione, domandatevi come la qualifichereste se fosse l'azione di un'altra persona. Se la biasimate in altri, non potrebbe più essere legittima in voi, perché Dio non ha due misure per la giustizia. Cercate anche di sapere che cosa ne pensano gli altri e non trascurate l'opinione dei vostri nemici, perché costoro non hanno nessun interesse a dissimulare la verità. Sovente Dio li mette al vostro fianco come uno specchio, perché vi avvertano con più franchezza di quanto non farebbe un amico. Chi ha la seria volontà di migliorarsi, esplori dunque la sua coscienza, al fine di estirpare le sue cattive tendenze, così come estirpa le erbe cattive del suo giardino. Faccia il bilancio della propria giornata morale, così come il mercante fa quello del suo passivo e del suo attivo, e vi assicuro che l'uno gli apporterà più dell'altro. Se può dire a sé stesso che la sua giornata e stata buona, può dormire in pace e attendere senza timore il risveglio in un'altra vita.


Ponetevi dunque delle domande nette e precise e non temete dì moltiplicarle: si può ben concedere qualche minuto alla conquista della felicita eterna. Non lavorate forse tutti i giorni per risparmiare quanto vi possa concedere la tranquillità nei giorni della vecchiaia? Questa futura tranquillità non è forse l'oggetto dei vostri desideri, lo scopo che vi fa sopportare al momento fatiche e privazioni? Ebbene! Che cos'e questo riposo di pochi giorni, turbato dalle infermità del corpo, a confronto di quello che attende l'uomo dabbene? Non vale forse la pena di fare qualche sacrificio? Io so che molti dicono che il presente e certo e il futuro incerto. Ora, ecco esattamente il pensiero che noi siamo incaricati di distruggere in voi, dal momento che vogliamo farvi comprendere questo futuro, in modo che non possa lasciare alcun dubbio nella vostra anima. È per questo che abbiamo dapprima richiamato la vostra attenzione sui fenomeni naturali capaci di colpire i vostri sensi, dopo vi abbiamo dato delle istruzioni che ognuno di voi e incaricato di divulgare. È a questo scopo che noi abbiamo dettato Il libro degli Spiriti.»


SANT'AGOSTINO


Molti degli errori che noi commettiamo passano per noi inavvertiti. Se, in effetti, seguendo il consiglio di sant'Agostino, noi interrogassimo più frequentemente la nostra coscienza, vedremmo quante volte abbiamo sbagliato senza pensarci, per non aver esaminato la natura e le motivazioni delle nostre azioni. La forma interrogativa ha qualcosa di più preciso di un motto, che sovente non si applica. Essa esige delle risposte categoriche, attraverso il sì o il no, che non lasciano alternative. Sono altrettanti argomenti personali, e per mezzo della somma delle risposte si può calcolare la somma del bene e del male che è in noi.