Il Libro degli Spiriti

Allan Kardec

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LIBRO QUARTO — SPERANZE E CONSOLAZIONI



Capítulo I — Pene e Gioie Terrene



Felicità e infelicità relative

920. L'uomo può godere sulla Terra di una felicita completa?

«No, perché la vita gli è stata data come prova o espiazione. Ma dipende da lui alleviare i suoi mali ed essere felice, per quanto gli è possibile, anche sulla Terra.»

921. Si comprende così che l'uomo sarà felice sulla Terra quando l'umanità sarà stata trasformata. Ma intanto ognuno può assicurarsi una felicità relativa?

«L'uomo è, il più delle volte, l'artefice della sua stessa infelicità. Praticando la legge di Dio egli evita molti mali e si procura una felicita tanto grande quanto lo consente la sua esistenza grossolana.»

L'uomo che sia ben convinto del suo destino futuro vede nella propria vita fisica soltanto una situazione transitoria. Per lui è un passaggio momentaneo in un cattivo ostello. Si consola facilmente dei disagi passeggeri di un viaggio che deve condurlo a una posizione tanto migliore quanto meglio e in anticipo avrà fatto i suoi preparativi.

Noi siamo puniti, fin da questa vita, per l'infrazione alle leggi dell'esistenza fisica, attraverso i mali che sono la conseguenza di questa infrazione e dei nostri eccessi. Se noi risaliamo progressivamente all'origine di ciò che chiamiamo i nostri mali terreni, noi vedremo, nella maggior parte dei casi, che essi sono la conseguenza di una prima deviazione dalla retta via. A causa di questa deviazione noi ci siamo immessi su una cattiva strada e, di conseguenza, sprofondiamo nell'infelicità.


922. La felicità terrena è relativa alla posizione di ognuno. Ciò che basta per la felicità dell'uno, costituisce infelicità per Mitra Esiste tuttavia una misura di felicita comune a tutti gli uomini?

«Per la vita materiale questa misura è data dal possesso del necessario. Per la vita morale è data dalla buona coscienza e dalla fede nel futuro.»

923. Ciò che sarebbe il superfluo per gli uni, non diventa forse il necessario per gli altri, e viceversa, a seconda della posizione sociale?

«Sì, secondo le vostre idee materiali, i vostri pregiudizi, la vostra ambizione e tutti i vostri ridicoli capricci, di cui il futuro farà giustizia quando voi comprenderete la verità. Certamente chi aveva cinquantamila lire di rendita e oggi si trova ridotto a dieci, si ritiene molto infelice perché non può più ben figurare, mantenere quella ch'egli chiama la sua posizione, avere dei cavalli, dei lacchè, soddisfare tutte le sue passioni ecc. Crede di mancare del necessario. Ma pensate francamente che lo si debba compiangere, quando a fianco a lui c’è chi muore di fame e di freddo e non ha un rifugio dove riposare le sue membra? Il saggio, per essere felice, guarda al di sotto di sé, e mai al di sopra, a meno che non sia per elevare la sua anima verso l'infinito.» (Vedere n. 715)


924. Ci sono dei mali che non dipendono dal modo di agire e che colpiscono anche l’uomo più giusto. Non esiste alcun mezzo per potersene preservare?

«L'uomo deve rassegnarsi e sopportarli senza lamentarsi, se vuole progredire. Ma egli trae sempre consolazione dalla sua coscienza, che gli dà la speranza d'un futuro migliore, se fa ciò che è necessario per ottenerlo.»


925. Perché Dio favorisce con i doni della ricchezza certi uomini che non sembrano averla meritata?

«È un privilegio agli occhi di coloro che vedono solo il presente. Ma, sappiatelo, la ricchezza e spesso una prova più pericolosa della miseria.» (Vedere n. 814 e sgg.)

926. La civilizzazione, creando nuovi bisogni, non è forse la fonte di nuove afflizioni?

«I mali di questo mondo sono in ragione dei bisogni fittizi che voi vi create. Chi sa limitare i propri desideri, e guarda senza invidia ciò che sta al di sopra di lui, si risparmia molte delusioni in questa vita. Il più ricco degli uomini è colui che ha meno bisogni.

Voi invidiate le gioie di coloro che vi sembrano i felici del mondo; ma sapete voi che cosa e loro riservato? Se essi fruiscono dei vantaggi solo per sé stessi, sono degli egoisti e allora avverrà il rovescio. Compiangeteli, piuttosto. Dio permette qualche volta che il malvagio prosperi, ma la sua felicita non è da invidiare, perché la pagherà con lacrime amare. Se il giusto è infelice, e una prova di cui gli sarà tenuto conto se la sopporterà con coraggio. Ricordatevi di queste parole di Gesù: Felici quelli che soffrono, perché saranno consolati

927. Il superfluo non è certamente indispensabile alla felicità, ma non è così del necessario. Ora, l'infelicità di coloro che sono privi di questo necessario non è reale?

«L'uomo e veramente infelice solo quando soffre della mancanza di ciò che è necessario alla vita e alla salute del corpo. Questa privazione potrebbe essere un suo errore, e allora dovrà prendersela solo con sé stesso. Se, invece, e un errore di altri, allora la responsabilità ricadrà su colui che ne è la causa.»

928. Attraverso la peculiarità delle attitudini naturali, Dio ci indica con chiarezza la nostra vocazione in questo mondo. Molti mali non provengono forse dal fatto che noi non seguiamo questa vocazione?

«È vero. E sono sovente i genitori che, per orgoglio o per grettezza, fuorviano i loro figli dalla strada tracciata dalla natura e compromettono con questo spostamento la loro felicita. Essi ne saranno responsabili.»


928a. Così voi trovereste giusto che ii figlio di un uomo di elevata condizione sociale facesse, per esempio, ii ciabattino se avesse attitudine per questo mestiere?

«Non si deve cadere nell'assurdo, né esagerare in nulla: la civilizzazione ha le sue necessita. Perché il figlio di un uomo altolocato, come voi dite, dovrebbe fare il ciabattino se può fare altro? Potrà sempre rendersi utile secondo le sue attitudini, se queste non vengono impiegate controsenso. Così, per esempio, invece di un cattivo avvocato, forse potrebbe essere un ottimo meccanico ecc.»

Il dislocamento degli uomini fuori della loro sfera intellettuale e sicuramente una delle cause più frequenti di delusione. La inidoneità per la carriera abbracciata è una fonte inesauribile di insuccessi. Infatti l'amor proprio, venendosi a unire a ciò, impedisce all'uomo prostrato di cercare una risorsa in una professione più umile, e gli indica il suicidio come il rimedio supremo per sfuggire a ciò che egli crede sia un'umiliazione. Se un'educazione morale l'avesse elevato al di sopra degli sciocchi pregiudizi dell'orgoglio, giammai egli sarebbe stato preso alla sprovvista.


929. Ci sono persone che, essendo prive di tutte le risorse anche quando l'abbondanza regna intorno a loro, non hanno che la morte come prospettiva. Quale risoluzione devono prendere? Devono lasciarsi morire di fame?

«Non si deve mai avere l'idea di lasciarsi morire di fame. Si può sempre trovare il modo di nutrirsi, se l'orgoglio non s'interponesse fra necessità e lavoro. Si dice sovente: "Non esiste affatto un mestiere sciocco". Non c’è lavoro che disonori. Lo si dice per gli altri e non per sé stessi.»


930. È evidente che senza i pregiudizi sociali, dai quali ci si lascia dominare, si troverebbe sempre un lavoro qualsiasi che può aiutare a vivere, si dovesse anche rinunciare alla propria posizione sociale. Ma, fra le persone che non hanno affatto pregiudizi o che li mettono da parte, ci sono quelle che si trovano nell'impossibilità di far fronte alle loro necessità, in conseguenza di malattie o di altre cause indipendenti dalla loro volontà?

«In una società organizzata secondo la legge di Cristo, nessuno deve morire di fame.»

Con una organizzazione sociale saggia e previdente, l'uomo non può mancare del necessario se non per propria colpa. Ma i suoi errori sono sovente anche il risultato dell'ambiente in cui si trova. Quando l'uomo praticherà la legge di Dio, avrà un ordine sociale fondato sulla giustizia e sulla solidarietà, e anche lui stesso sarà migliore. (Vedere n. 793)


931. Perché nella società le classi sofferenti sono più numerose di quelle felici?

«Nessuna e completamente felice. Ciò che si crede felicita nasconde sovente strazianti dolori. La sofferenza e ovunque. Ciononostante, per rispondere al vostro pensiero, diro che le classi che voi chiamate sofferenti sono più numerose, perché la Terra e un luogo di espiazione. Quando l'uomo ne avrà fatto il regno del bene e dei buoni Spiriti, non ci saranno più infelici, e la Terra sarà per lui il paradiso terrestre.»

932. Perché in questo mondo i cattivi influenzano così spesso i buoni?

«Ciò è dovuto alla debolezza dei buoni. I cattivi sono intriganti e audaci, i buoni sono timidi. Ma quando questi lo vorranno, prenderanno il sopravvento.»

933. Se sovente l'uomo è l'artefice delle sue sofferenze materiali, lo è anche delle sofferenze morali?

«Più ancora, perché le sofferenze materiali sono a volte indipendenti dalla volontà. Ma l'orgoglio offeso, l'ambizione frustrata, l'ansietà dell'avarizia, l'invidia, la gelosia, tutte le passioni, in una parola, sono torture dell'anima.

L'invidia e la gelosia! Beati coloro che non conoscono questi due vermi roditori! Con l'invidia e la gelosia, nessuna calma, nessun riposo e possibile a chi e afflitto da questo male: gli oggetti della sua cupidigia, del suo odio, del suo rancore si drizzano davanti a lui come fantasmi che non gli concedono alcuna tregua e lo perseguitano persino nel sonno. L'invidioso e il geloso si trovano in un costante stato febbrile. È forse questa una condizione desiderabile? E non comprendete che con le sue passioni l'uomo si crea dei supplizi volontari, e che la Terra diventa per lui un vero inferno?»

Molte espressioni illustrano in modo efficace gli effetti di queste passioni. Si dice: essere pieno d'orgoglio, morire d'invidia, consumarsi di gelosia o di rancore perdendo la voglia di bere, di mangiare ecc. Tutte espressioni non lontane dal vero. A volte l'invidia non ha nemmeno un oggetto determinato. Ci sono persone invidiose per natura di tutto ciò che si distingue, di tutto ciò che esce dal comune, anche se non ne hanno alcun interesse diretto, ma unicamente perché non possono raggiungerlo. Tutto ciò che appare al di sopra dell'orizzonte le offusca e, se esse fossero in maggioranza nella società, vorrebbero ridurre tutto al loro livello. Si tratta di invidia unita alla mediocrità.

L'uomo è sovente infelice per l'importanza che attribuisce alle cose della Terra. Sono la vanita, l'ambizione e la cupidigia deluse che fanno la sua infelicità. Se si ponesse al di sopra del ristretto ambito della vita materiale, se elevasse i suoi pensieri verso l'infinito, che è la sua destinazione, le vicissitudini dell'umanità gli sembrerebbero allora meschine e puerili, come i dispiaceri del bambino che si affligge per la perdita di un giocattolo che rappresentava la sua felicita suprema.

Colui che vede la felicita solo nella soddisfazione dell'orgoglio e degli appetiti grossolani è infelice quando non può soddisfarli, mentre colui che non domanda niente di superfluo e felice di ciò che altri considererebbero come delle calamità.

Stiamo parlando dell'uomo civilizzato, perché il primitivo, avendo dei bisogni più limitati, non ha gli stessi motivi di cupidigia e di angoscia. Il suo modo di vedere le cose e tutt'altro. Nello stato di civilizzazione l'uomo riflette sulla sua infelicità e l'analizza, ed e per questo che ne e maggiormente ferito, ma può anche riflettere sui mezzi di consolazione e analizzarli. Questa consolazione egli l'attinge nel sentimento cristiano, che gli dà la speranza di un futuro migliore, e nello Spiritismo, che gli dà la certezza di questo futuro.






Perdita delle persone amate

934. La perdita delle persone che ci sono care non è forse una di quelle perdite che ci causano un dolore tanto più legittimo in quanto questa perdita è irreparabile e indipendente dalla nostra volontà?

«Questa causa di dolore colpisce il ricco come il povero: e una prova o un'espiazione, ed è legge comune. Ma c’è la consolazione di poter comunicare con i vostri amici con i mezzi di cui disponete, in attesa di averne altri più diretti e più accessibili ai vostri sensi

935. Che cosa pensare dell'opinione di quelle persone che considerano le comunicazioni d'oltretomba una profanazione?

«Non ci può essere profanazione quando c’è raccoglimento e quando l'evocazione e fatta con rispetto e convenientemente. Ciò è dimostrato dal fatto che gli Spiriti che vi amano vengono con piacere, sono felici del vostro ricordo e di intrattenersi con voi. Ci sarebbe profanazione se lo si facesse con leggerezza.»

La possibilità di entrare in comunicazione con gli Spiriti è una grande consolazione, poiché ci dà modo di intrattenerci con i nostri parenti e amici, che hanno lasciato la Terra prima di noi. Con l'evocazione li avviciniamo a noi. Essi stanno al nostro fianco, ci ascoltano e ci rispondono, non c’è più, per così dire, separazione fra loro e noi. Ci aiutano con i loro consigli, ci testimoniano il loro affetto e la gioia ch'essi provano per il nostro ricordo. Per noi è una soddisfazione saperli felici, apprendere da loro stessi i particolari della loro nuova esistenza e acquisire la certezza di raggiungerli a nostra volta.


936. Come il dolore inconsolabile dei sopravvissuti raggiunge gli Spiriti che ne sono l'oggetto?

«Lo Spirito e sensibile al ricordo e al rimpianto di quelli che l'hanno amato, ma un dolore incessante e irrazionale lo colpisce dolorosamente perché egli vede, in questo dolore eccessivo, una mancanza di fede nel futuro e di fiducia in Dio e, di conseguenza, un ostacolo al loro progresso e forse al ricongiungimento.»

Dal momento che lo Spirito è più felice che sulla Terra, dolersi ch'egli abbia lasciato la vita corporea e come dolersi ch'egli sia felice. Due amici si trovano in carcere, rinchiusi nella medesima cella; tutti e due devono un giorno riacquistare la loro libertà, ma uno la ottiene prima dell'altro. Sarebbe caritatevole, da parte di quello che rimane in carcere, sentirsi offeso perché il suo amico e stato liberato prima di lui? Non ci sarebbe forse più egoismo che affetto, da parte sua, nel volere che l'altro condivida la sua prigionia e le sue sofferenze tanto quanto lui? Lo stesso è di due esseri che si amano sulla Terra. Chi parte per primo e il primo a essere liberato, e noi dobbiamo felicitarcene, attendendo pazientemente il momento in cui lo saremo a nostra volta.

A questo proposito facciamo un altro paragone. Avete un amico, vicino a voi, che si trova in una situazione molto penosa. La sua salute o i suoi interessi esigono che vada in un altro paese dove si troverà meglio sotto tutti gli aspetti. Non sarà più vicino a voi momentaneamente, ma voi sarete sempre in comunicazione con lui, poiché la separazione sarà solo fisica. Sareste voi dispiaciuti per il suo allontanamento, dal momento che è per il suo bene?

La Dottrina Spiritista, attraverso le prove evidenti che dà sulla vita futura, sulla presenza intorno a noi di coloro che abbiamo amato, sulla continuità del loro affetto e della loro sollecitudine, attraverso le relazioni che essa ci permette d'intrattenere con loro, ci offre una profondissima consolazione per una delle cause più legittime di dolore. Con lo Spiritismo, non più solitudine, non più abbandono. L'uomo più isolato ha sempre vicino a lui degli amici con i quali può intrattenersi.

Noi non sopportiamo con pazienza le tribolazioni della vita. Esse ci sembrano così intollerabili che pensiamo di non poterle sopportare. Tuttavia, se le abbiamo sopportate con coraggio, se abbiamo saputo mettere a tacere le nostre lamentele, ce ne feliciteremo quando saremo fuori da questa prigione terrena, come il paziente che soffre si felicita, quando e guarito, di essersi sottoposto a un trattamento doloroso.






Delusioni. Affetti spezzati

937. Le delusioni, che ci procurano l'ingratitudine e la fragilità dei legami d'amicizia, non sono forse anche per l'uomo di cuore una fonte di amarezza?

«Sì. Ma noi vi insegniamo a compiangere gli ingrati e gli amici infedeli: essi saranno più infelici di voi. L'ingratitudine è figlia dell'egoismo, e l'egoista troverà più tardi dei cuori insensibili come lui stesso ha avuto. Pensate a tutti quelli che hanno praticato il bene più di voi, che erano meglio di voi e che sono stati ripagati con l'ingratitudine. Pensate che Gesù stesso e stato schernito e vilipeso quando era in vita, trattato da furfante e da impostore, e non stupitevi che accada lo stesso nei vostri confronti. Il bene che avete fatto sia la vostra ricompensa in questo mondo, e non considerate ciò che ne dicono coloro che l'hanno ricevuto. L'ingratitudine è una prova per la vostra costanza nel fare il bene. Di ciò a voi sarà tenuto conto, mentre a coloro che vi avranno disconosciuti la punizione sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà stata la loro ingratitudine.»

938. Le delusioni causate dall'ingratitudine non sono forse fatte apposta per indurire il cuore e chiuderlo alla sensibilità?

«Questo sarebbe un errore, perché l'uomo di cuore, come voi dite, è sempre felice del bene che fa. Sa che, qualora non ci se ne ricordi in questa vita, ci si ricorderà di lui nell'altra, e che l'ingrato ne avrà vergogna e rimorsi.»


938a. Questo pensiero non impedisce al suo cuore di sentirsi ferito. Pertanto, ciò non potrebbe far nascere in lui l'idea che sarebbe più felice se fosse meno sensibile?

«Sì, se preferisce la felicita dell'egoista, che è una ben triste felicita! Sappia dunque che gli amici ingrati che l'abbandonano non sono degni della sua amicizia e che si è ingannato sul loro conto. Pertanto non deve rimpiangerli. Più tardi ne troverà altri che sapranno comprenderlo meglio. Compatite coloro che hanno verso di voi comportamenti riprovevoli, che voi non avete meritato, perché ne avranno un triste riscontro. Ma non affliggetevene: è questo il mezzo per mettervi al di sopra di loro.»

La natura ha dato all'uomo la necessita di amare e di essere amato. Una delle gioie più grandi, che gli sia concessa sulla Terra, e quella di incontrare dei cuori che simpatizzino con il suo. Questa gioia gli offre così le primizie della felicita che gli è riservata nel mondo degli Spiriti perfetti, dove tutto e amore e benevolenza. È una gioia che all'egoista è preclusa.




Unioni antipatiche

939. Polche gli Spiriti simpatici sono portati a unirsi, come può accadere che, fra gli Spiriti incarnati, l'affetto sia sovente da una parte sola, e che l'amore più sincero venga accolto con indifferenza e persino con repulsione? Come può accadere, inoltre, che l'affetto più vivo di due esseri possa trasformarsi in antipatia e, a volte, in odio?

«Voi non comprendete dunque che è una punizione, ma che essa e solo passeggera. E poi quanti ce n'e di quelli che credono di amare perdutamente perché giudicano solo dalle apparenze e, quando sono obbligati a vivere con le persone, non tardano a riconoscere che altro non è che attrazione fisica! Non basta essere innamorati di una persona che vi piace e a cui voi attribuite belle qualità. È vivendo veramente insieme che si può apprezzarla. Quante unioni ci sono che a tutta prima sembrano non dover mai essere compatibili, e dopo, quando l'uno e l'altra si sono ben conosciuti e ben studiati, finiscono con l'amarsi di un amore tenero e duraturo, perché fondato sulla stima! Non bisogna dimenticare che è lo Spirito che ama, e non il corpo, e quando l'infatuazione fisica svanisce, lo Spirito si rende conto della realtà.

Ci sono due tipi di affetto: quello del corpo e quello dell'anima, e sovente si scambia l'uno per l'altro. L'affetto dell'anima, quando e puro e simpatico, è duraturo. Quello del corpo e passeggero. Ecco perché spesso quelli che credono di amarsi di un amore eterno si odiano quando l'attrazione fisica si esaurisce.»


940. La mancanza di simpatia fra gli esseri destinati a vivere insieme non è ugualmente una fonte di dispiaceri tanto più amari in quanto essi avvelenano tutta l'esistenza?

«Molto amari, in effetti. Ma e una di quelle infelicità di cui voi sovente siete la prima causa. Innanzi tutto sono le vostre leggi che sono sbagliate, perché voi credete che Dio vi obblighi a restare con chi non vi piace. E poi, in queste unioni, voi cercate sovente più la soddisfazione del vostro orgoglio e della vostra ambizione che la felicita di un mutuo affetto. Voi subite quindi le conseguenze dei vostri pregiudizi.»


940a. Ma in questo caso non c'è quasi sempre una vittima innocente?

«Sì. Ed e per lei una dura espiazione. Ma la responsabilità della sua infelicità ricadrà su coloro che ne saranno la causa. Se la luce della verità e già penetrata nella sua anima, essa riporrà la sua consolazione nella sua fede nel futuro. Del resto nella misura in cui i pregiudizi andranno indebolendosi, le cause di questa infelicità intima andranno esse pure scomparendo.»




Paura della morte

941. La paura della morte è per molti una causa di perplessità. Da dove viene questa paura, dal momento che hanno davanti a sé l'avvenire?

«È a torto che essi hanno questa paura. Ma che volete? Si cerca di persuaderli nella loro giovinezza che c’è un inferno e un paradiso, ma che è più certo che essi andranno all'inferno, perché si dice loro che quanto è nella natura stessa è già un peccato mortale per l'anima. Allora, quando diventano adulti, se hanno un po' di giudizio, non possono più ammettere ciò e diventano atei o materialisti. È così che li si induce a credere che oltre alla vita presente non c’è più niente. Quanto a coloro che hanno persistito nelle loro credenze dell'infanzia, essi temono questo fuoco eterno che deve bruciarli senza distruggerli.

La morte, invece, non ispira al giusto alcuna paura perché, con la fede, ha la certezza del futuro. La speranza gli fa attendere una vita migliore; la carità, di cui ha praticato la legge, gli dà la sicurezza che non incontrerà nel mondo, in cui sta per entrare, nessun essere di cui debba temere lo sguardo.» (Vedere n. 730)

L'uomo carnale, più attaccato alla vita fisica che a quella spirituale, ha sulla Terra pene e gioie materiali. La sua felicita consiste nella soddisfazione passeggera di tutti i suoi desideri. La sua anima, costantemente preoccupata e minacciata dalle vicissitudini della vita si trova in uno stato di ansietà e di tormento perenni. La morte lo spaventa perché dubita del suo futuro e perché lascia sulla Terra tutti i suoi affetti e tutte le sue speranze.

L'uomo morale, che si è elevato al di sopra dei bisogni fittizi creati dalle passioni, ha già sulla Terra delle gioie sconosciute all'uomo materialista. La moderazione dei suoi desideri dona al suo Spirito la pace e la serenità. Felice del bene che fa, non ci sono per lui delusioni, e le contrarietà scivolano sulla sua anima senza lasciarvi tracce dolorose.


942. Certe persone non troveranno forse questi consigli per essere felici sulla Terra un po' banali? Non ci vedranno forse solo quelli che esse chiamano luoghi comuni o verità trite e ritrite? E non diranno che, in definitiva, il segreto per essere felici è saper sopportare la propria in felicita?

«Ce ne sono di quelle che diranno questo, e molte. Ma accade a loro come a certi malati, ai quali il medico prescrive la dieta, ma essi vorrebbero guarire senza medicine e continuando a fare indigestioni.»




Disgusto della vita. Suicidio

943. Da dove viene il disgusto della vita che s'impadronisce di certi individui senza un motivo plausibile?

«Conseguenza dell'ozio, della mancanza di fede e, sovente, della sazietà.

Per colui che esercita le sue facoltà con uno scopo utile e secondo le sue attitudini naturali, il lavoro non ha niente di arido, e la vita scorre più rapidamente. Egli ne sopporta le vicissitudini con tanta più pazienza e rassegnazione, in quanto agisce in vista della felicita più solida e duratura che lo attende.»

944. L'uomo ha diritto di disporre della sua stessa vita?

«No. Solo Dio ha questo diritto. Il suicidio volontario e una trasgressione a questa legge.»


944a. Il suicidio non è forse sempre volontario?

«Il folle che si uccide non sa quello che fa.»


945. Che cosa pensare del suicidio che ha come causa il disgusto della vita?

«Insensati! Perché non si davano da fare? L'esistenza non sarebbe stata loro di peso.»


946. Che cosa pensare del suicidio che ha come scopo quello di sottrarsi ai dolori e alle disillusioni di questo mondo?

«Poveri Spiriti! Che non hanno il coraggio di sopportare le miserie dell'esistenza! Dio aiuta quelli che soffrono e non quelli che non hanno né forza né coraggio. Le tribolazioni della vita sono delle prove o delle espiazioni. Felici coloro che le sopportano senza lamentarsi, perché essi ne saranno ricompensati! Infelicità invece per coloro che s'aspettano la loro salvezza da quella che, nella loro empietà, chiamano caso o sorte! Il caso o la sorte, per servirmi del loro linguaggio, possono in effetti favorirli provvisoriamente, ma è per far loro sentire, più tardi e più crudelmente, la nullità di queste parole.»


946a. Quelli che hanno condotto gli infelici a questo atto di disperazione ne subiranno le conseguenze?

«Oh, quelli là! Infelicità a loro!Perché essi ne risponderanno come di un assassinio

947. L'uomo che si trova alle prese con il bisogno e che si lascia morire per disperazione può essere considerato un suicida?

«È un suicida. Ma coloro che ne sono la causa o che avrebbero potuto trattenerlo sono più colpevoli di lui. L'indulgenza lo attende. Comunque non crediate che sia completamente assolto se ha mancato di fermezza e di perseveranza e se non ha fatto uso di tutta la sua intelligenza per uscire dalle difficolta. Infelicità soprattutto a lui, se la sua disperazione nasce dall'orgoglio. Intendo dire se e uno di quegli uomini in cui l'orgoglio paralizza le risorse dell'intelligenza, che si vergognano di dover affidare l'esistenza al lavoro manuale e che preferiscono morire di fame piuttosto che rinunciare a quella che essi chiamano la posizione sociale! Non c’è forse cento volte più grandezza e dignità nel lottare contro le avversità, nell'affrontare la critica di un mondo futile ed egoistico, che si dimostra ben disposto solo verso coloro che non mancano di niente, e che vi gira le spalle appena di questo mondo voi avete bisogno? Sacrificare la propria vita alla considerazione di questo mondo e stupido, perché esso non ne tiene alcun conto.»

948. Il suicidio che ha come scopo quello di sottrarsi alla vergogna di una cattiva azione è condannabile come quello causato dalla disperazione?

«Il suicidio in questo caso non cancella il peccato. Al contrario, perché qui i peccati sono due al posto di uno. Quando si è avuto il coraggio di fare il male, bisogna anche avere quello di subirne le conseguenze. Dio giudica e, secondo la causa, può a volte attenuare il rigore.»

949. Il suicida è perdonabile quando il suo gesto ha lo scopo d'impedire che l'onta ricada sui figli o sulla famiglia?

«Chi agisce così non fa bene, ma lo crede. E Dio gliene tiene conto, perché è un'espiazione che s'impone da sé stesso. Egli attenua la sua colpa attraverso l'intenzione, ciò nondimeno commette un errore. Pertanto, abolite abusi e pregiudizi dalla vostra società e non avrete più suicidi.»

Chi si priva della vita, per sottrarsi alla vergogna di una cattiva azione, dimostra di tenere più alla stima degli uomini che a quella di Dio, perché egli sta per rientrare nella vita spirituale carico delle sue iniquità e si è privato dei mezzi per ripararle durante la vita. Però Dio è sovente meno intransigente degli uomini. Perdona il pentimento sincero e tiene conto della riparazione. Il suicidio non ripara niente.

950. Che cosa pensare di chi si priva della vita nella speranza di giungere prima a una vita migliore?

«Altra follia! Faccia del bene e sarà più sicuro di arrivarci. Con il suicidio, infatti, ritarda il suo ingresso in un mondo migliore e lui stesso domanderà di tornare per finire questa vita che ha spezzato per una falsa idea. Una colpa, qualunque essa sia, non apre mai il santuario degli eletti.»

951. Il sacrificio della propria vita non è qualche volta meritorio, se ha lo scopo di salvare quella altrui o di essere utile ai suoi simili?

«Questo e sublime, secondo l'intenzione, poiché il sacrificio della propria vita non è un suicidio. Ma Dio si oppone a un sacrificio inutile e non può vederlo con piacere se è offuscato dall'orgoglio. Un sacrificio è meritorio solo se disinteressato, mentre a volte chi lo compie ha un secondo fine, che ne diminuisce il valore agli occhi di Dio.»

Ogni sacrificio, fatto a spese della propria stessa felicita, e un atto sovranamente meritorio agli occhi di Dio, perché si tratta della pratica della legge di carità. Pertanto, essendo la vita il bene terreno al quale l'uomo attribuisce il più alto valore, chi vi rinuncia per il bene dei suoi simili non commette affatto un reato: e un sacrificio quello che compie. Ma prima di compierlo egli deve considerare se la sua vita non possa essere più utile della sua morte.


952. L'uomo che soccombe, vittima dell'abuso di passioni ch’egli sapeva che avrebbero affrettato la sua fine, ma alle quali non ha più la forza di resistere, perché l'abitudine ne ha fatto delle vere necessità fisiche, commette un suicidio?

«È un suicidio morale. Non comprendete che in questo caso l'uomo e doppiamente colpevole? C’è in lui mancanza di coraggio e bestialità, e soprattutto oblio di Dio.»


952a. È più colpevole o meno colpevole di chi si toglie la vita per disperazione?

«È più colpevole, perché ha il tempo per riflettere sul suo suicidio. In colui che lo commette all'improvviso c’è qualche volta una specie di sconvolgimento che assomiglia alla follia. L'altro sarà punito molto di più perché le pene sono sempre proporzionali alla consapevolezza che si ha delle colpe commesse.»


953. Quando una persona vede davanti a sé una morte inevitabile e terribile, è colpevole se abbrevia di qualche istante le sue sofferenze con una morte volontaria?

«Si è sempre colpevoli quando non si attende il termine fissato da Dio. D'altra parte si e veramente certi che questo termine sia arrivato malgrado le apparenze? Non si potrebbe ricevere un aiuto insperato all'ultimo momento!»


953a. Ben si comprende che in circostanze ordinarie il suicida sia condannabile. Ma supponiamo il caso in cui la morte sia inevitabile e la vita venga abbreviata solo di qualche istante.

«È sempre una mancanza di rassegnazione e di sottomissione alla volontà del Creatore.»


953b. Quali sono, in questo caso, le conseguenze di questa azione?

«Un'espiazione proporzionata alla gravita della colpa, secondo le circostanze, come sempre.»


954. Un'imprudenza che comprometta, senza necessità, la vita è condannabile?

«Non c’è colpevolezza se non quando vi sia intenzione o effettiva coscienza di fare il male.»


955. Le donne che, in certi paesi, si bruciano volontariamente sul cadavere del proprio marito, possono essere considerate delle suicide? E ne subiscono le conseguenze?

«Esse ubbidiscono a un pregiudizio e sovente più al potere che alla loro stessa volontà. Esse credono di compiere un dovere, e questo non si configura come suicidio. L'attenuante sta nella nullità morale della maggior parte di loro e nella loro ignoranza. Questi costumi barbari e stolti spariranno con la civilizzazione.»

956. Coloro che, non potendo sopportare la perdita di persone che sono loro care, si uccidono nella speranza di andare a raggiungerle, ottengono il loro scopa?

«Il risultato per loro e ben diverso da quello che si aspettano e, anziché essere riuniti all'oggetto del loro affetto, se ne allontanano per più lungo tempo, perché Dio non può ricompensare un atto di codardia e l'insulto che a Lui è stato fatto, dubitando della Sua Provvidenza. Essi pagheranno questo istante di follia con dispiaceri più grandi di quelli che essi credevano di abbreviare e non avranno per compensarli la soddisfazione che si attendevano.» (Vedere n. 934 e sgg.)

957. Quali sono in generale le conseguenze del suicidio sullo stato dello Spirito?

«Le conseguenze del suicidio sono molto varie. Non ci sono pene prefissate e, in ogni caso, sono sempre relative alle cause che l'hanno provocato. Ma una conseguenza alla quale il suicida non può sottrarsi è la delusione. Del resto la sorte non è la medesima per tutti: dipende dalle circostanze. Alcuni espiano la loro colpa immediatamente, altri in una nuova esistenza, che sarà peggiore di quella di cui hanno interrotto il corso.»

L'osservazione dimostra in effetti che le conseguenze del suicidio non sono sempre le medesime, ma che ce ne sono di comuni a tutti i casi di morte violenta o a seguito dell'interruzione brusca della vita. Si tratta innanzi tutto del persistere più prolungato e più tenace del legame che unisce lo Spirito al corpo, essendo questo legame quasi sempre al culmine della sua forza nel momento in cui è stato troncato. Nella morte naturale, invece, esso s'indebolisce gradualmente e sovente viene spezzato prima che la vita sia completamente estinta. Le conseguenze di questo stato di cose sono il protrarsi del turbamento dello Spirito, poi il protrarsi dell'illusione che, per un tempo più o meno lungo, fa credere allo Spirito che si trovi ancora nel numero dei vivi. (Vedere nn. 155 e 165)

L'affinità che persiste fra lo Spirito e il corpo produce, in qualche suicida, una sorta di ripercussione dello stato del corpo sullo Spirito. Questo risente così, suo malgrado, degli effetti della decomposizione e ne prova una sensazione colma di angoscia e di orrore. Questo stato può persistere tanto a lungo quanto avrebbe dovuto durare la vita che essi hanno interrotta. Questo effetto non è generale, ma in nessun caso il suicida viene liberato dalle conseguenze della sua mancanza di coraggio e prima o poi, in un modo o nell'altro, espia la sua colpa. Avviene così che certi Spiriti, che erano stati molto infelici sulla Terra, hanno detto di essersi suicidati nella loro precedente esistenza e di esserci volontariamente sottoposti a nuove prove per tentare di superarle con maggiore rassegnazione. In alcuni c’è una specie di attaccamento alla materia, da cui cercano invano di liberarsi per fuggire verso mondi migliori, il cui accesso, pero, e loro interdetto. Nella maggior parte di loro c’è il rimorso d'aver fatto una cosa inutile, poiché ne provano solo delusione. La religione, la morale, tutte le filosofie condannano il suicidio in quanto contrario alla legge di natura. Tutti, in linea di massima, ci dicono che non si ha il diritto di abbreviare volontariamente la propria vita. Ma perché non si ha questo diritto? Perché non si è liberi di porre termine alle proprie sofferenze? Era riservato allo Spiritismo dimostrare, attraverso l'esempio di quelli che ne soccombettero, che non si tratta solo di una colpa, come un'infrazione a una legge morale — considerazione di poco peso per certuni — ma di un atto stupido, perché non ci si guadagna niente. Non è con la teoria che lo Spiritismo ci erudisce, ma con i fatti che ci mette sotto gli occhi.





Capítulo II - Dolori e Gioie Future



Il nulla. Vita futura

958. Perché l'uomo ha istintivamente orrore del nulla?

«Perché il nulla non esiste.»

959. Da dove proviene per l'uomo il sentimento istintivo della vita futura?

«È già stato detto. Prima della sua incarnazione, lo Spirito conosceva tutto ciò, e l'anima conserva un vago ricordo di quello che sapeva e di quello che ha visto allo stato spirituale.» (Vedere n. 393)

In tutti i tempi l'uomo si è preoccupato del suo avvenire dopo la morte, e ciò e molto naturale. Per quanta importanza egli attribuisca alla vita presente, non può impedirsi di notare come la vita sia breve e soprattutto precaria, dal momento che può essere spezzata in qualsiasi istante, e l'uomo non è mai sicuro del domani. Che cosa succede dopo l'istante fatale? La questione è grave, perché non si tratta di qualche anno, bensì dell'eternità. Chi deve passare molti anni in un paese straniero, si preoccupa della posizione che li avrà. Come dunque non dovremmo preoccuparci della posizione che avremo, lasciando questo mondo, dal momento che è per sempre?

L'idea del nulla ha qualcosa che contrasta con la ragione. L'uomo più incurante, durante il corso della sua vita, giunto al momento supremo, si domanda che cosa sta per diventare e involontariamente spera.

Credere in Dio senza ammettere la vita futura sarebbe un nonsenso. Il sentimento di un'esistenza migliore è nel più profondo di tutti gli uomini, e non è possibile che Dio ve lo abbia collocato invano.

La vita futura implica la conservazione della nostra individualità dopo la morte. In effetti, che cosa ci importerebbe di sopravvivere al nostro corpo, se la nostra essenza morale dovesse perdersi nell'oceano dell'infinito? Le conseguenze per noi sarebbero le stesse che il nulla.






Intuizione delle pene e delle gioie future

960. Da dove viene la credenza, che si riscontra presso tutti i popoli, delle pene e delle ricompense future?

«È sempre la stessa cosa: presentimento della realtà trasferita all'uomo dallo Spirito incarnato in lui. Perché, sappiatelo, non è invano che una voce interiore vi parla. Il vostro torto sta nel non ascoltarla. Se voi ci pensaste bene e spesso, diventereste migliori.»

961. Al momento della morte qual è il sentimento predominante nella maggior parte degli uomini? È il dubbio, la paura o la speranza?

«Il dubbio per gli scettici irriducibili, la paura per i colpevoli, la speranza per gli uomini dabbene.»


962. Perché ci sono degli scettici, dal momento che l'anima induce nell'uomo il senso delle cose spirituali?

«Ci sono meno scettici di quanto si creda. Molti si atteggiano a Spiriti forti durante la vita per orgoglio, ma al momento di morire non sono così spavaldi.»

La conseguenza della vita futura dipende dalla responsabilità dei nostri atti. La ragione e la giustizia ci dicono che, nella ripartizione della felicita alla quale tutti gli uomini aspirano, buoni e cattivi non possono essere confusi. Dio non può volere che gli uni godano, senza fatica, di beni ai quali altri pervengono solo con sforzo e perseveranza.

L'idea che Dio ci dà della Sua giustizia e della Sua bontà attraverso la saggezza delle Sue leggi, non ci consente di credere che il giusto e il cattivo siano ai Suoi occhi sullo stesso piano, né di dubitare che essi non ricevano, un giorno, l'uno la ricompensa e l'altro il castigo, per il bene o il male che avranno fatto. È per questo che il sentimento innato che noi abbiamo della giustizia ci dà l'intuizione delle pene e delle ricompense future.




Intervento di Dio nelle pene e nelle ricompense

963. Dio si occupa personalmente di ogni uomo? Non è Lui troppo grande e non siamo noi troppo piccoli, perché ogni individuo in particolare abbia qualche importanza ai Suoi occhi?

«Dio si occupa di tutti gli esseri che ha creato, per quanto piccoli essi siano. Niente e troppo piccolo per la Sua bontà.


964. Dio ha bisogno di occuparsi di ogni nostro atto per ricompensarci o per punirci. Ma la maggior parte di questi atti non sono per Lui insignificanti?

«Dio ha le sue leggi, che regolano tutte le vostre azioni: se voi le violate, questo è un vostro errore. Senza dubbio, quando un uomo commette un eccesso, Dio non emette un giudizio contro lui dicendogli, per esempio: "'Tu sei stato goloso, io ti punirò". Ma Egli ha tracciato un limite. Le malattie, e sovente la morte, sono la conseguenza di questi eccessi. Ecco la punizione: essa e il risultato dell'infrazione della legge. E d è così per tutto.»

Tutte le nostre azioni sono sottoposte alle leggi di Dio. Non ce n'e alcuna, per quanto insignificante ci sembri, che non possa esserne la violazione. Se noi subiamo le conseguenze di questa violazione, non dobbiamo prendercela che con noi stessi, che ci rendiamo così gli artefici stessi della nostra felicita o della nostra infelicità a venire.

Questa verità è resa percettibile dal seguente apologo:

"Un padre ha dato a suo figlio educazione e istruzione, ossia i mezzi per sapersi comportare. Gli cede anche un campo da coltivare e gli dice: 'Ecco la regola da seguire e tutti gli strumenti necessari per rendere questo campo fertile e assicurare così la tua esistenza. Ti ho dato l'istruzione per comprendere questa regola: se la seguirai, il tuo campo produrrà molto e ti assicurerà la tranquillità per la tua vecchiaia. Altrimenti non ti produrrà niente e tu morirai di fame'. Detto questo, lo lascia agire liberamente."

Non è forse vero che quel campo produrrà in ragione delle cure elargite alla sua coltura e che qualsiasi negligenza sarà a detrimento della raccolta? Il figlio sarà dunque, in vecchiaia, felice o infelice a seconda che abbia seguito o trascurato la regola indicata da suo padre. Dio e ancora più previdente, perché ci avverte a ogni istante se facciamo bene o male. Egli ci invia gli Spiriti per ispirarci, ma noi non li ascoltiamo. C’è ancora questa differenza: Dio da sempre all'uomo una risorsa nelle sue nuove esistenze, per riparare i suoi errori passati, mentre il figlio di cui parliamo non ne ha più, nel caso avesse impiegato male il suo tempo.






Natura delle pene e delle gioie future

965. Le pene e le gioie dell'anima dopo la morte hanno qualcosa di materiale?

«Esse non possono essere materiali, perché l'anima non è materia: lo dice il buon senso. Queste pene e queste gioie non hanno niente di carnale e pertanto sono mille volte più vive di quelle che voi provate sulla Terra. Lo Spirito, infatti, una volta libero, è più impressionabile: la materia non ne attenua più le sensazioni.» (Vedere nn. 237-257)

966. Perché l'uomo si fc4 delle pene e delle gioie della vita futura, un'idea sovente così grossolana e assurda?

«È perché la sua intelligenza non è ancora abbastanza sviluppata. Il bambino comprende forse come l'adulto? Inoltre dipende anche da ciò che gli è stato insegnato: è là che vi è necessita di una riforma.Il vostro linguaggio è troppo incompleto per esprimere ciò che esiste al di fuori di voi stessi. Pertanto c’è stato proprio bisogno di paragoni, e sono queste immagini e queste figure che voi avete preso per realtà. Però, nella misura in cui l'uomo si illumina, la sua mente va comprendendo le cose che il suo linguaggio non può esprimere.»


967. In che cosa consiste la felicità dei buoni Spiriti?

«Consiste nel conoscere tutto. Non avere ne odio né gelosia né invidia né ambizione né alcuna delle passioni che fanno l'infelicità degli uomini. L'amore che li unisce è per loro la fonte di una suprema felicita. Essi non provano né le necessita né le sofferenze né le angosce della vita materiale. Sono felici del bene che fanno. Del resto la felicita degli Spiriti e sempre proporzionata al loro livello di elevatezza. Solo i puri Spiriti gioiscono, è vero, della felicita suprema, ma tutti gli altri non sono infelici. Fra i cattivi e i perfetti c’è un'infinita di livelli, in cui le gioie sono relative allo stato morale. Quelli che sono abbastanza avanzati comprendono la felicita di coloro che sono arrivati prima di loro, ed essi aspirano a ciò. Ma questa aspirazione e per loro motivo di emulazione e non di gelosia. Sanno che dipende da loro arrivarci e s'impegnano a questo scopo, ma con la calma della buona coscienza, e sono felici di non dover soffrire ciò che sopportano i malvagi.»


968. Voi ponete l'assenza di bisogni materiali nel novero delle condizioni di felicita per gli Spiriti. Ma la soddisfazione di questi bisogni non è, per l'uomo, una fonte di gioie?

«Sì, le gioie del primitivo. E quando non potete soddisfare questi bisogni, e una tortura.»


969. Che cosa bisogna intendere quando si dice che i puri Spiriti sono riuniti nel seno di Dio e occupati a cantare le sue lodi?

«È un'allegoria che esprime la comprensione che essi hanno delle perfezioni di Dio, perché essi Lo vedono e Lo comprendono. Ma questa allegoria non dev'essere presa alla lettera più di tante altre. Tutto in natura, fin dal granello di sabbia, canta, ossia proclama la potenza, la saggezza e la bontà di Dio. Ma non crediate che gli Spiriti beati siano in eterna contemplazione. Sarebbe una felicita sciocca e monotona e inoltre sarebbe quella dell'egoista, perché la loro esistenza sarebbe di un'inutilità senza fine. Essi non hanno più le tribolazioni dell'esistenza fisica, il che e già una gioia. E poi, come abbiamo detto, essi conoscono e sanno tutto, mettono a profitto l'intelligenza che hanno acquisito per contribuire al progresso degli altri Spiriti: e la loro occupazione e allo stesso tempo la loro felicita.»

970. In che cosa consistono le sofferenze degli Spiriti inferiori?

«Esse sono tanto varie quanto le cause che le hanno generate e sono proporzionate al livello di inferiorità, così come le gioie lo sono al livello di superiorità. Esse possono riassumersi così: invidiare tutto ciò che loro manca per essere felici e non poterlo ottenere; vedere la felicita e non poterla raggiungere; rimpianto, gelosia, rabbia, disperazione per ciò che impedisce loro d'essere felici, e poi rimorso e ansietà morale indefinibili. Hanno il desiderio di tutti i piaceri e non possono soddisfarli, ed è questo che li tortura.»


971. L'influenza che gli Spiriti esercitano gli uni sugli altri è sempre buona?

«È sempre buona da parte degli Spiriti buoni, questo non occorre dirlo. Ma gli Spiriti perversi cercano di fuorviare dal cammino del bene e del pentimento quelli che ritengono suscettibili di lasciarsi influenzare e che sovente essi hanno indotto al male durante la vita.»


971a. Pertanto la morte non ci libera dalla tentazione?

«No. Ma l'influsso dei cattivi Spiriti e molto meno profondo sugli altri Spiriti che sugli uomini, perché i cattivi Spiriti non hanno più la collaborazione delle passioni materiali.» (Vedere n. 996)

972. In che modo i cattivi Spiriti si danno da fare per tentare gli altri Spiriti, dal momento che non hanno più il sostegno delle passioni?

«Se le passioni non esistono materialmente, nel pensiero esistono ancora presso gli Spiriti arretrati. I cattivi alimentano questi pensieri trascinando le loro vittime in luoghi dove assistono allo spettacolo di queste passioni e di tutto ciò che può suscitarle.»


972a. Ma a che cosa servono queste passioni, dal momento che non hanno più un obiettivo reale?

«Sta proprio in questo il loro supplizio. L'avaro vede oro che non può possedere, il libertino orge alle quali non può prendere parte, l'orgoglioso onori che invidia e di cui non può godere.»


973. Quali sono le più grandi sofferenze che i cattivi Spiriti possono subire?

«Non esiste una descrizione possibile delle torture morali che costituiscono la punizione di certi crimini. Lo Spirito stesso che le prova faticherebbe a darvene un'idea. Ma sicuramente la cosa più orribile è il pensiero ch'egli ha di essere condannato senza ritorno.»

L'uomo si fa, delle pene e delle gioie dell'anima dopo la morte, un'idea più o meno elevata a seconda del livello della sua intelligenza. Più la sua intelligenza si sviluppa e più questa idea si purifica e si libera della materia: comprende le cose sotto un punto di vista più razionale e smette di prendere alla lettera le immagini del linguaggio figurato. La ragione, più illuminata, insegnandoci che l'anima è un essere completamente spirituale, ci dice, proprio per questo, che essa non può essere influenzata dalle impressioni, le quali agiscono solo sulla materia. Ma da ciò non consegue che essa sia esente da sofferenza né che non riceva la punizione delle sue colpe. (Vedere n. 237)

Le comunicazioni spiritiste hanno lo scopo di mostrarci lo stato futuro dell'anima, non più come una teoria, ma come una realtà. Esse mettono sotto i nostri occhi tutte le peripezie della vita d'oltretomba, ma allo stesso tempo ce le mostrano come conseguenze perfettamente logiche della vita terrena. E, benché liberate dell'apparato fantasioso creato dall'immaginazione degli uomini, queste peripezie d'oltretomba non sono certo meno penose per coloro che hanno fatto un cattivo uso delle loro facoltà. La varietà di queste conseguenze è infinita, ma si può dire in generale che ognuno e punito attraverso il medesimo peccato che ha commesso. È così che alcuni vengono puniti attraverso la vista incessante del male che hanno fatto, altri attraverso i rimpianti, la paura, la vergogna, il sospetto, l'isolamento, le tenebre, la separazione dagli esseri che sono loro cari ecc.


974. Da dove viene la dottrina del fuoco eterno?

«È un'allegoria presa, come tante altre cose, per vera.»


974a. Ma questa paura non potrebbe dare dei buoni risultati?

«Vedete un po' voi se sono molti — anche fra quelli che la insegnano — a cui serve da freno! Se voi insegnate delle cose che la ragione in seguito rifiuta, voi creerete un'idea che non sarà né duratura né salutare.»

L'uomo, impossibilitato a rendere con il suo linguaggio la natura di quelle sofferenze, non ha trovato un paragone più incisivo di quello del fuoco, perché per lui il fuoco rappresenta il genere di supplizio più crudele e il simbolo dell'attività più energica. È per questo che la credenza nel fuoco eterno risale alla più remota antichità, e i popoli moderni l'hanno ereditata dai popoli antichi. E d è anche per questo che, nel suo linguaggio figurato, l'uomo dice: il fuoco delle passioni, ardere d'amore, di gelosia ecc.

975. Gli Spiriti inferiori comprendono la felicità del giusto?

«Sì. Ed e ciò che costituisce il loro supplizio, perché comprendono che ne sono privati per loro stessa colpa. Per questo lo Spirito, liberato dalla materia, aspira in seguito a una nuova esistenza fisica. Perché ogni esistenza, se viene bene impiegata, può abbreviare la durata di questo supplizio. È allora che egli fa la scelta delle prove attraverso le quali potrà espiare i suoi errori. Sappiate, infatti, che lo Spirito soffre per tutto il male che ha fatto o di cui è stato la causa volontaria, per tutto il bene che avrebbe potuto fare e che non ha fatto, e per tutto il male che deriva dal bene che non ha fatto.

Lo Spirito errante non ha più veli, e come se fosse uscito dalla nebbia e vede ciò che lo allontana dalla felicita. Allora soffre di più, perché comprende quanto e stato colpevole. Per lui non ci sono più illusioni: vede la realtà delle cose.»

Lo Spirito allo stato errante prende coscienza da una parte di tutte le sue esistenze passate, dall'altra vede il futuro promesso e comprende che cosa gli manca per raggiungerlo. Così come un viandante, giunto sulla vetta di una montagna, vede il cammino percorso e quello che gli resta da fare per raggiungere la sua meta.

976. La vista degli Spiriti che soffrono non è, per i buoni, una causadi afflizione? E allora che cosa diventa la loro felicità se questa, elicità viene turbata?

«Non si tratta affatto di un'afflizione, dal momento che gli Spiriti buoni sanno che questo male avrà un termine. Essi aiutano gli altri a migliorarsi e tendono loro una mano: in ciò consiste la loro occupazione, ed e una gioia quando ci riescono.»

976a. Questo è concepibile se riguarda Spiriti estranei o indifferenti. Ma la vista dei dolori e delle sofferenze delle persone che essi hanno amato sulla Terra non turba la loro felicita?

«Il fatto è che essi sarebbero a voi estranei dopo la morte, se non vedessero queste sofferenze. Ora, la religione vi dice che le anime le vedono. Ma gli Spiriti considerano le vostre sofferenze da un altro punto di vista. Sanno che queste sofferenze sono utili al vostro avanzamento, se le sopporterete con rassegnazione. Essi dunque si affliggono più per la vostra mancanza di coraggio, che vi procura ritardo, piuttosto che per le sofferenze in sé stesse, le quali sono soltanto passeggere.»

977. Non potendo gli Spiriti nascondersi reciprocamente i loro pensieri, ed essendo tutti gli atti delle loro vite conosciuti, ne deriverebbe che il colpevole si trova alla perpetua presenza della sua vittima?

«Non può essere diversamente, lo dice il buon senso.»


977a. La divulgazione di tutti gli atti riprovevoli e la presenza perpetua di quelli che ne sono state le vittime sono un castigo per il colpevole?

«Un castigo più grande di quanto si pensi, ma solamente fin quando egli non abbia espiato queste colpe, sia come Spirito, sia come uomo nelle nuove esistenze fisiche.»

Quando noi stessi saremo nel mondo degli Spiriti, e tutto il nostro passato sarà allo scoperto, saranno pure conosciuti il bene e il male che avremo fatto. Inutilmente chi ha fatto il male cercherà di sottrarsi alla vista delle sue vittime: la loro inevitabile presenza sarà per lui un castigo e un rimorso incessante, fino a quando non avrà espiato le sue colpe. L'uomo dabbene, invece, incontrerà ovunque solo sguardi affettuosi e benevoli.

Per il malvagio, non esiste tormento più grande sulla Terra della presenza delle sue vittime. È per questo che le evita continuamente. Che sarà di lui quando, dissipatasi l'illusione delle passioni, comprenderà il male che ha fatto, vedrà i suoi atti più segreti svelati, la sua ipocrisia smascherata, e capirà che non potrà sottrarsi alla loro vista? Mentre l'anima dell'uomo perverso è in preda alla vergogna, all'afflizione e al rimorso, quella del giusto gioisce di una serenità perfetta.


978. Il ricordo delle colpe che l'anima ha potuto commettere, quando era imperfetta, non crea turbamento alla sua felicità, anche dopo essersi purificata?

«No, perché essa ha riscattato le sue colpe ed e uscita vittoriosa dalle prove alle quali si era sottoposta a questo scopo


979. Le prove che restano da subire per portare a termine la purificazione non possono costituire per l'anima uno stato di apprensione penosa che turba la sua felicita?

«Per l'anima che è ancora impura, sì. È per questo che non può gioire di una felicita perfetta se non quando sarà completamente pura. Ma per quella che è già elevata, il pensiero delle prove che le restano da subire non ha niente di penoso.»

L'anima che è già arrivata a un certo grado di purezza gode già della felicita. Un sentimento di dolce soddisfazione la invade; è felice di tutto quello che vede, di tutto quello che la circonda. Il velo si solleva per lei sui misteri e sulle meraviglie della creazione, e le perfezioni divine le appaiono in tutto il loro splendore.

980. Il legame di simpatia che unisce gli Spiriti dello stesso ordine è per loro fonte di felicita?

«L'unione degli Spiriti che simpatizzano per il bene, è per loro una delle gioie più grandi, perché non temono di vedere questa unione turbata dall'egoismo. Essi formano, nel mondo completamente spirituale, delle famiglie con gli stessi sentimenti, ed è in ciò che consiste la felicita spirituale, così come sulla Terra voi vi raggruppate per categorie e provate un certo piacere quando vi radunate. L'affetto puro e sincero, che gli Spiriti provano e di cui essi sono l'oggetto, è una fonte di felicita, perché non ci sono là né falsi amici né ipocriti.»

L'uomo gusta le primizie di questa felicita, sulla Terra, quando incontra delle anime con le quali può fondersi in un'unione pura e santa. In una vita più purificata, questa gioia sarà ineffabile e senza limiti, perché egli incontrerà solo delle anime simpatiche che l'egoismo non raffredderà. Nella natura infatti tutto è amore: e l'egoismo che lo uccide.


981. Esiste, per lo stato futuro dello Spirito, una differenza fra colui che, da vivo, temeva la morte e colui che la vedeva con indifferenza e persino con piacere?

«La differenza può essere molto grande. Comunque essa sovente viene meno di fronte alle cause che generano questa paura o questo desiderio. Sia che la si tema, sia che la si desideri, si può essere mossi da sentimenti molto diversi, e sono questi sentimenti che influiscono sullo stato dello Spirito. È evidente, per esempio, che per colui che desidera la morte, unicamente perché vi scorge la fine delle sue tribolazioni, si tratta di una specie di rivolta contro la Provvidenza e contro le prove che deve subire.»

982. È necessario professare lo Spiritismo e credere nelle manifestazioni per assicurarci il nostro buon esito nella vita futura?

«Se così fosse, ne conseguirebbe che tutti quelli che non credono o che non sono stati in grado di illuminarsi verrebbero esclusi, il che sarebbe assurdo. È la pratica del bene che assicura il buon esito a venire. Pertanto, il bene è sempre il bene, qualunque sia la via che a esso conduce.» (Vedere nn. 165 e 799)

Credere nello Spiritismo aiuta a migliorarsi, fissando le idee su certi punti del futuro. Accelera il progresso degli individui e delle masse perché permette di rendersi conto di ciò che saremo un giorno. È un punto d'appoggio, una luce che ci guida. Lo Spiritismo insegna a sopportare le prove con pazienza e rassegnazione e distoglie da azioni che possono ritardare la felicita futura. È così che esso contribuisce a questa felicita, ma non è detto che senza ciò non ci si possa arrivare.






Pene temporanee

983. Lo Spirito che espia i suoi errori in una nuova esistenza ha delle sofferenze materiali? Di conseguenza è corretto dedurre che dopo la morte l'anima ha solo sofferenze morali?

«È pur vero che quando l'anima e reincarnata, le tribolazioni della vita sono per lei delle sofferenze, ma e solo il corpo che soffre materialmente.

Voi dite sovente di colui che è morto che non ha più da soffrire. Questo non sempre e vero. Come Spirito, non ha più dolori fisici, ma a seconda degli gli errori che ha commesso può avere dei dolori morali più penosi e, in una nuova esistenza, può essere ancora più infelice. Il ricco malvagio domanderà l'elemosina e sarà vittima di tutte le privazioni inflitte dalla miseria, mentre l'orgoglioso lo sarà di tutte le umiliazioni. Chi abusa della propria autorità e tratta i subordinati con disprezzo e durezza sarà obbligato a obbedire a un padrone più duro di quanto lui stesso sia stato. Tutte le pene e le tribolazioni della vita sono l'espiazione delle colpe di un'altra esistenza, allorché non siano la conseguenza degli errori della vita attuale. Quando sarete usciti da qui, lo comprenderete. (Vedere nn. 273, 393 e 399)

L'uomo che si crede felice sulla Terra, perché può soddisfare le sue passioni, e quello che fa il minor sforzo per migliorarsi. Egli espia sovente, già in questa vita, tale effimera felicita. Comunque la espierà certamente in un'altra esistenza tanto materiale quanto questa.»


984. Le vicissitudini della vita sono sempre la punizione di errori della vita attuale?

«No. L'abbiamo già detto: sono delle prove imposte da Dio o scelte da voi stessi, nello stato di Spiriti e prima della reincarnazione, per espiare gli errori commessi in un'altra esistenza. Mai, infatti, le trasgressioni alle leggi di Dio, e soprattutto alla legge di giustizia, restano impunite. Se non saranno punite in questa vita, lo saranno necessariamente in un'altra. È per questo che colui che ai vostri occhi appare giusto spesso è colpito per il suo passato.» (Vedere n. 393)


985. La reincarnazione dell'anima in un mondo meno rozzo è una ricompensa?

«È la conseguenza della sua purificazione. Perché, nella misura in cui gli Spiriti si purificano, s'incarnano in mondi sempre più perfetti, finché non si siano liberati completamente della materia e di tutte le loro impurità, per gioire eternamente della felicita degli Spiriti puri in seno a Dio.»

Nei mondi in cui l'esistenza e meno materiale che sulla Terra, le necessita sono meno grossolane, e tutte le sofferenze fisiche meno vive. Gli uomini non conoscono più le cattive passioni che, nei mondi inferiori, li fanno nemici gli uni degli altri. Non avendo alcun motivo né di odio né di gelosia, vivono in pace con sé stessi, perché praticano la legge di giustizia, amore e carità. Essi non conoscono assolutamente i tormenti e le angosce che nascono dall'invidia, dall'orgoglio e dall'egoismo e che fanno della nostra esistenza terrena una vera tortura. (Vedere nn. 172 e 182)

986. Lo Spirito che ha fatto progressi nella sua esistenza terrena può a volte reincarnarsi nello stesso mondo?

«Sì. Se non ha potuto compiere la sua missione, può lui stesso domandare di completarla in una nuova esistenza. Ma in questo caso per lui non è più una espiazione.» (Vedere n. 173)


987. Che ne è dell'uomo che, senza fare del male, non fa niente per liberarsi dell'influenza della materia?

«Poiché non fa nessun passo verso la perfezione, deve ricominciare un'esistenza della stessa natura di quella lasciata. Egli resta stazionario ed e così che prolunga le sofferenze dell'espiazione.»

988. Ci sono persone la cui vita scorre in una calma perfetta. Non avendo necessita di fare niente per sé stessi, sono esenti da preoccupazioni. Questa esistenza felice è la prova che non hanno nulla da espiare da un'esistenza precedente?

«Ne conoscete molti? Se lo credete, vi sbagliate. Sovente la calma è solo apparente. Essi possono aver scelto questa esistenza, ma quando la lasciano si rendono conto che non è servita affatto al loro progresso. E così — come i pigri — rimpiangono il tempo perduto. Sappiate che lo Spirito può acquisire delle cognizioni ed elevarsi, solo con l'attività. Se si lascia andare all'indifferenza, non avanza. Egli e come chi avesse necessita (secondo i vostri costumi) di lavorare e se ne andasse a spasso o a riposare e ciò con il fermo proposito di non fare niente. Sappiate anche che ognuno dovrà render conto dell'inutilità volontaria della sua esistenza. Questa inutilità è sempre fatale alla felicità futura. L'entità della felicita futura e in ragione dell'entità del bene che ciascuno ha fatto. Quella dell'infelicità è in ragione del male fatto e di quanti ciascuno ha reso infelici.»


989. Ci sono persone che, senza essere realmente cattive, rendono infelici tutti quelli che hanno intorno, a causa del loro carattere. Quali sono per loro le conseguenze?

«Costoro sicuramente non sono buoni, ed espieranno avendo sempre davanti agli occhi quelli che essi hanno reso infelici, e questo sarà per loro un castigo. Poi, in un'altra esistenza, soffriranno quello che fecero soffrire.»




Espiazione e pentimento

990. Il pentimento si manifesta nella condizione di stato fisico o di stato spirituale?

«Allo stato spirituale, ma può anche manifestarsi allo stato fisico, quando comprenderete bene la differenza fra il bene e il male.»


991. Qual è la conseguenza del pentimento nello stato spirituale?

«Il desiderio di una nuova incarnazione per purificarsi. Lo Spirito comprende le imperfezioni che gli impediscono d'essere felice, ed e per questo che aspira a una nuova esistenza in cui potrà espiare le sue colpe.» (Vedere nn. 332 e 975)

992. Qual è la conseguenza del pentimento nello stato fisico?

«Iniziare l'avanzamento fin dalla vita presente, se si ha il tempo di riparare ai propri errori. Quando la coscienza biasima un errore e mostra un'imperfezione, è sempre possibile migliorare.»

993. Ci sono uomini che hanno solo l'istinto del male e che sono refrattari al pentimento?

«Ho già detto che bisogna progredire incessantemente. Chi, in questa vita, ha solo l'istinto del male, avrà quello del bene in un'altra, ed è per questo che rinasce molte volte. È necessario infatti che tutti avanzino e raggiungano lo scopo, solo che alcuni lo raggiungono in un tempo più breve, altri in un tempo più lungo: secondo il loro desiderio. Chi non ha che l'istinto del bene è già purificato, perché ha avuto quello del male in un'esistenza precedente.» (Vedere n. 894)

994. L'uomo perverso, che non ha affatto riconosciuto le proprie colpe durante la sua vita, le riconosce sempre dopo la morte?

«Sì, le riconosce sempre, e allora egli soffre di più perché risente di tutto il male fatto o di cui è stato la causa volontaria. Ciononostante il pentimento non è sempre immediato. Ci sono degli Spiriti che si ostinano sulla cattiva strada malgrado le loro sofferenze. Ma prima o poi riconosceranno la falsa strada nella quale si sono inoltrati, e il pentimento verrà. È per illuminarli che lavorano i buoni Spiriti, e anche voi potete lavorare in questo senso.»

995. Ci sono Spiriti che, senza essere cattivi, sono indifferenti nei riguardi della loro sorte?

«Ci sono Spiriti che non s'interessano a niente di veramente utile. Essi si trovano in una condizione di aspettativa. Ma soffrono, in questo caso, in proporzione. E poiché in tutto ci deve essere progresso, questo progresso si manifesta con il dolore.»


995a. Non hanno essi il desiderio di abbreviare le loro sofferenze?

«Lo hanno senza dubbio, ma non hanno sufficiente energia per volere ciò che potrebbe sollevarli. Quante persone ci sono fra voi che preferiscono morire di miseria piuttosto che lavorare»


996. Poiché lo Spirito vede il male che gli deriva dalle sue imperfezioni, come avviene che ci siano Spiriti che peggiorano la loro posizione e prolungano il loro stato d'inferiorità, facendo il male come Spiriti, distogliendo gli uomini dalla retta via?

«Sono quegli Spiriti il cui pentimento è tardivo ad agire così. Lo Spirito che si pente può in seguito lasciarsi di nuovo trascinare sulla via del male da altri Spiriti ancora più arretrati.» (Vedere n. 971)

997. Vediamo Spiriti, di una evidente inferiorità, eppure accessibili ai buoni sentimenti e toccati dalle preghiere che altri fanno per loro. Come si spiega che altri Spiriti, che dovremmo ritenere più illuminati, mostrino una durezza e un cinismo sui quali nulla può trionfare?

«La preghiera e efficace solo per gli Spiriti che si pentono. Quelli che, spinti dall'orgoglio, si ribellano a Dio e persistono nei loro errori esasperandoli, come fanno gli Spiriti infelici, su costoro la preghiera non può niente, e non potrà niente fino al giorno in cui una luce di pentimento non si manifesterà in loro.» (Vedere n. 664)

Non si deve perdere di vista che lo Spirito, dopo la morte del corpo, non si trasforma subito. Se la sua vita è stata riprovevole, è perché egli era imperfetto. Pertanto la morte non lo rende immediatamente perfetto. Può persistere nei suoi errori, nelle sue false opinioni, nei suoi pregiudizi, finché non si sarà illuminato con lo studio, la riflessione e la sofferenza.

998. L'espiazione si compie allo stato fisico o nello stato di Spirito?

«L'espiazione si compie durante l'esistenza fisica attraverso le prove alle quali lo Spirito e sottoposto, e nella vita spirituale attraverso le sofferenze morali legate alla condizione d'inferiorità dello Spirito.»

999. Il pentimento sincero durante la vita è sufficiente per cancellare le colpe e far sì di ottenere la grazia di Dio?

«Il pentimento contribuisce al miglioramento dello Spirito, ma il passato dev'essere riparato.»


999a. Se, in seguito a ciò, un criminale dicesse che, dovendo in ogni modo espiare il suo passato, non ha necessità di pentirsi, che cosa avverrebbe di lui?

«Se insiste nel pensiero del male, la sua espiazione sarà più lunga e più penosa.»

1000. Possiamo, fin da questa vita, riscattare le nostre colpe?

«Sì, riparandole. Ma non crediate di poterle riscattare con qualche privazione puerile, o facendo delle donazioni dopo la morte, quando non avrete più necessita di nulla. Dio non tiene alcun conto d'un pentimento sterile, sempre facile, e che costa solo la fatica di battersi il petto. La perdita di un dito mignolo, realizzando un servizio, cancella più colpe che il supplizio del cilicio subito per anni, senz'altro scopo se non se stessi. (Vedere n. 726)

Il male si risarcisce solo col bene, e la riparazione non ha nessun

merito se non colpisce l'uomo né nel suo orgoglio né nei suoi interessi materiali.

Che gli serve, a sua discolpa, restituire dopo la morte i beni male acquisiti, quando gli diventano inutili e di cui ha approfittato?

Che gli serve la privazione di qualche piacere futile e di qualcosa di superfluo, se il torto fatto agli altri resta il medesimo?

Che gli serve, infine, umiliarsi davanti a Dio, se mantiene il suo orgoglio davanti agli uomini?» (Vedere nn. 720-721)


1001. Non c’è nessun merito ad assicurare, dopo la morte, un impiego utile dei beni che possediamo?

«Nessun merito non è il termine esatto. È comunque sempre meglio di niente. Ma la sfortuna è che colui che fa donazioni solo dopo la morte e sovente più egoista che generoso. Vuole avere l'onore del bene senza averne la fatica. Chi si priva in vita ha doppio vantaggio: il merito del sacrificio e il piacere di vedere le persone che ha reso felici. Ma l'egoismo è là che gli dice: Ciò che tu dai è altrettanta privazione delle tue gioie. E poiché la voce dell'egoismo grida più forte del disinteresse e della carità, egli salvaguarda i suoi beni con il pretesto dei suoi bisogni e delle esigenze della sua posizione. Ah! Compiangete chi non conosce il piacere di dare: costui è veramente privo di una delle più puree più dolci gioie. Dio, sottoponendolo alla prova della buona sorte, così sfuggente e così dolorosa per il suo futuro, ha voluto dargli in compenso la fortuna della generosità di cui può gioire già sulla Terra.» (Vedere n. 814)

1002. Che cosa deve fare chi, in punto di morte, riconosce i suoi errori, ma non ha il tempo di riparali? è sufficiente, in questo caso, pentirsi?

«Il pentimento affretta la sua riabilitazione, ma non lo assolve. Non ha forse davanti a sé il futuro, che per lui non è mai chiuso?»





Durata delle pene future

1003. La durata delle sofferenze di un colpevole, nella vita futura, è arbitraria o subordinata a una qualche legge?

«Dio non agisce mai per capriccio, e tutto nell'universo è retto da leggi che rivelano la Sua saggezza e la Sua bontà.»


1004. Su che cosa si fonda la durata delle sofferenze di un peccatore?

«Sul tempo necessario al suo miglioramento. Essendo lo stato di sofferenza e di felicita proporzionato al grado di purificazione dello Spirito, la durata e la natura delle sue sofferenze dipendono dal tempo che impiega a migliorarsi. Nella misura in cui egli progredisce, i suoi sentimenti si purificano, le sue sofferenze diminuiscono e cambiano di natura.»

SAN LUIGI

1005. Per lo Spirito sofferente, il tempo sembra più lungo o meno lungo di quando era vivo?

«Gli sembra alquanto più lungo: il sonno non esiste per lui. È solo per gli Spiriti giunti a un certo grado di purificazione che il tempo si cancella, per così dire, di fronte all'infinito.» (Vedere n. 240)


1006. La durata delle sofferenze dello Spirito può essere eterna?

«Senza dubbio. Se fosse eternamente cattivo, ossia se non dovesse né pentirsi né migliorarsi mai, soffrirebbe eternamente. Ma Dio non ha creato degli esseri perché fossero votati al male perpetuamente. Li ha solo creati semplici e ignoranti, e tutti devono progredire in un tempo più o meno lungo, secondo la volontà di ognuno. La volontà può essere più o meno tardiva — così come ci sono dei bambini più o meno precoci — ma prima o poi essa compare per la necessita irresistibile, che lo Spirito prova, di uscire dalla sua inferiorità ed essere felice. La legge che regola la durata delle pene e dunque eminentemente saggia e benevola, poiché subordina questa durata agli sforzi dello Spirito. Questa legge, pero, non lo priva mai del suo libero arbitrio: se lo Spirito ne fa un cattivo uso, ne subisce le conseguenze.»

SAN LUIGI

1007. Ci sono Spiriti che non si pentono mai?

«Ci sono Spiriti il cui pentimento e molto tardivo. Ma presumere che non migliorino mai sarebbe negare la legge del progresso e sostenere che il bambino non può diventare adulto.»

SAN LUIGI

1008. La durata delle pene dipende sempre dalla volontà dello Spirito? Non ci sono pene che gli vengano imposte per un determinato tempo?

«Sì. Certe pene possono essere imposte per un certo tempo, ma Dio, che vuole solo il bene delle Sue creature, accoglie sempre il pentimento, e il desiderio di migliorarsi non è mai vano.»

SAN LUIGI

1009. In conseguenza di ciò le pene imposte non lo saranno mai per l’eternità?

«Interrogate il vostro buon senso, la vostra ragione, e domandatevi se una condanna eterna per alcuni momenti di errore non sarebbe la negazione della bontà di Dio. Che cosa è in effetti la durata della vita, fosse anche di cento anni, in rapporto all'eternità? Eternità! Comprendete bene questa parola? Sofferenze, torture senza fine e senza speranze, per qualche peccato! Il vostro raziocinio non rifiuta una tale idea? Che gli antichi vedessero nel maestro dell'universo un Dio terribile, geloso e vendicativo è comprensibile. Nella loro ignoranza essi attribuirono alla Divinità le passioni degli uomini. Ma non è questo il Dio dei cristiani, Colui che, tra le virtù, mette al primo posto l'amore, la carità, la misericordia e l'oblio delle offese. Potrebbe mancare Lui stesso di quelle qualità di cui ci f a un dovere? Non c’è forse contraddizione nell'attribuirGli la bontà infinita e allo stesso tempo la vendetta infinita? Voi dite che Egli, prima di tutto, è giusto e che l'uomo non comprende la Sua giustizia. Ma la giustizia non esclude la bontà, e Dio non sarebbe buono se condannasse a delle pene orribili e perpetue, la maggior parte delle Sue creature. Potrebbe fare obbligo ai Suoi figli di essere giusti, se non avesse dato loro i mezzi per comprendere la Sua giustizia? D'altra parte il sublime della giustizia, unito alla bontà, non consiste forse nel far dipendere dagli sforzi del colpevole la durata delle pene per migliorarsi? Qui sta la verità di queste parole: "A ciascuno secondo il suo agire".»

SANT' AGOSTINO



«Con tutti i mezzi di cui disponete, sforzatevi di combattere e annientare l'idea delle pene eterne, pensiero blasfemo nei confronti della giustizia e della bontà di Dio, sorgente fecondissima dell'empietà, del materialismo e dell'indifferenza, che si sono diffusi fra gli uomini dopo che la loro intelligenza ha incominciato a svilupparsi. Lo Spirito, vicino a illuminarsi, o anche appena dirozzato, ha subito compreso la mostruosa ingiustizia. La sua ragione la rifiuta e allora molto spesso confonde nel medesimo ostracismo sia la pena, che gli ripugna, sia il Dio al quale la attribuisce. Da ciò gli innumerevoli mali che sono venuti ad abbattersi su di voi, e ai quali noi veniamo a porre rimedio. Il compito che noi vi indichiamo vi sarà tanto più facile, in quanto le autorità, sulle quali si appoggiano i difensori di questa dottrina, hanno tutte evitato di pronunciarsi formalmente. Né i Concili né i Padri della Chiesa hanno mai risolto questa grave questione. Se, dopo gli stessi Evangelisti, e prendendo alla lettera le parole emblematiche del Cristo, si credesse che egli ha minacciato i colpevoli di un fuoco che non si spegne mai, di un fuoco eterno, per contro non c’è assolutamente niente in queste parole che dimostri che egli ve li abbia condannati per l'eternità.

Povere pecorelle smarrite! Sappiate scorgere il Buon Pastore, che viene a voi! Egli, lungi dal volervi bandire per sempre dalla Sua presenza, vi viene incontro Lui stesso per ricondurvi all'ovile. Figlioli prodighi, lasciate il vostro esilio volontario, volgete i vostri passi verso la dimora paterna: il Padre vi tende le braccia ed e sempre pronto a festeggiare il vostro ritorno in famiglia.»

LAMENNAIS



«Guerre di parole! Guerre di parole! Non avete fatto versare abbastanza sangue? Si devono dunque ancora riaccendere i roghi? Si discute sui termini: eternità delle pene, eternità dei castighi. Non sapete dunque che quanto voi oggi intendete per eternità, gli antichi non l'intendevano come voi? Che il teologo consulti le fonti e, come tutti voi, scoprirà che il testo ebraico non dava alle parole, che i Greci, i Romani e i moderni hanno tradotto con pene senza fine, irremissibili, il medesimo significato. Eternità dei castighi corrisponde a eternità del male. Sì, finché il male esisterà fra gli uomini, i castighi sussisteranno: è in senso relativo che è importante interpretare i testi sacri. L'eternità delle pene e dunque solo relativa e non assoluta. Venga il giorno in cui tutti gli uomini, con pentimento, si vestiranno della tunica dell'innocenza, e in quel giorno non ci saranno più né gemiti né digrignar di denti. La vostra ragione umana e limitata, e vero, ma anche così è un regalo di Dio, e con l'aiuto della ragione non ci sarà un solo uomo di buona fede che possa comprendere in modo diverso l'eternità dei castighi. L'eternità dei castighi! Come? Si dovrebbe dunque ammettere che il male sarà eterno? Solo Dio è eterno e non ha potuto creare il male eterno. Se così fosse, Gli si dovrebbe togliere il più sublime dei Suoi attributi: il potere sovrano. Non è infatti sovranamente potente chi può creare un elemento distruttore delle proprie opere. Umanità! Umanità! Non affondare dunque più i tuoi cupi sguardi nelle profondità della Terra per cercarvi i castighi. Piangi, spera, espia e rifugiati nell'idea di un Dio intimamente buono, assolutamente potente, essenzialmente giusto.»

PLATONE



Muoversi nell'orbita dell'unita divina: questa e la meta dell'umanità. Per raggiungerla sono necessarie tre cose: la giustizia, l'amore e la scienza. Mentre tre le sono contrarie e opposte: l'ignoranza, l'odio e l'ingiustizia. Ebbene, in verità, vi dico che voi rinnegate questi principi fondamentali quando compromettete l'idea di Dio con l'esagerare la Sua severità. Doppiamente voi compromettete questa idea insinuando, nello Spirito della creatura, che in lei c’è maggiore clemenza, mansuetudine, amore e più vera giustizia di quanta non ne attribuiate all'Essere Infinito. Ostinandovi distruggete persino l'idea dell'inferno, rendendola ridicola e inammissibile al vostro credo, così come lo e al vostro cuore l'orrendo spettacolo dei boia, dei roghi e delle torture del Medioevo! Ma come? Allorché l'era delle rappresaglie cieche e stata per sempre bandita dalle legislazioni umane, voi sperate forse di mantenerla negli ideali? Credete a me, fratelli in Dio e in Gesù Cristo, credete a me, oppure rassegnatevi a lasciar perire nelle vostre mani tutti i vostri dogmi, anziché lasciarli modificare, o vivificarli aprendoli ai benevoli influssi che i Buoni vi riversano in questo momento. L'idea dell'inferno con le sue fornaci ardenti, con le sue caldaie ribollenti, poteva essere tollerabile, o meglio perdonabile, in un secolo di ferro, ma oggi, nel XIX secolo, è solo un vano fantasma in grado tutt'al più di spaventare i bambini, e al quale i bambini non credono più una volta divenuti adulti. Persistendo in questa mitologia terrificante, voi incentivate l'incredulità, madre di tutti i disordini sociali. Io tremo nel vedere tutto un ordine sociale sovvertito e che rovina sulla sua base per mancanza di sanzioni penali. Uomini dalla fede ardente e viva, avanguardia del giorno della luce, all'opera dunque! Non per mantenere delle favole superate e ormai prive di credito, ma per ravvivare, vivificare e restaurare il vero senso della sanzione penale, in modo che sia in rapporto con i costumi, i sentimenti e i lumi della vostra epoca.

Chi e in effetti il colpevole? È colui che, per uno sbaglio, per un falso moto dell'anima, si allontana dallo scopo della Creazione, che consiste nel culto armonioso del bello e del bene, idealizzato dall'archetipo umano, dall'Uomo-Dio, da Gesù Cristo.

Che cos'e il castigo? La conseguenza naturale derivata da quel falso moto, una somma di dolori necessaria perché il colpevole detesti la sua difformità, attraverso l'esperienza della sofferenza. Il castigo e il pungolo che stimola l'anima, attraverso l'afflizione, a ripiegarsi su sé stessa e a ritornare sulla sponda della salvezza. Lo scopo del castigo altro non è che la riabilitazione, la redenzione. Volere che la pena sia eterna, per un errore che non è eterno, e negarle ogni ragion d'essere.

Io, in verità, vi dico basta! Smettete di porre in parallelo, nella loro eternità, il Bene, essenza del Creatore, con il Male, essenza della creatura, poiché questo sarebbe creare penalità ingiustificabili. Affermate invece l'ammortizzamento graduale dei castighi e delle pene con la trasmigrazione, e voi consacrerete, con la ragione unita al sentimento, l'unita divina.»


PAOLO L'APOSTOLO


Si cerca cli sollecitare l'uomo al bene e di distoglierlo dal male con la lusinga di ricompense e la paura di castighi. Ma, se questi castighi sono presentati in modo tale che la ragione si rifiuta di credervi, essi non avranno su cli lui nessuna influenza. Al contrario, rigetterà tutto: la forma e la sostanza. Che il futuro gli venga presentato, invece, in maniera logica, e allora non lo rifiuterà. Lo Spiritismo gli fornisce questa spiegazione.

La dottrina delle pene eterne, in senso assoluto, fa dell'essere supremo un Dio implacabile. Sarebbe logico dire di un sovrano che è molto buono, molto benevolo, molto indulgente, che vuole solo il bene di quanti lo circondano, ma che allo stesso tempo è geloso, vendicativo, inflessibile nel suo rigore, e che punisce con l'estremo supplizio i tre quarti dei suoi sudditi per un'offesa o un'infrazione alle sue leggi, anche quegli stessi che hanno sbagliato per ignoranza? Non sarebbe questa una contraddizione? Ora, può essere Dio meno buono di quanto non lo sarebbe un uomo?

Un'altra contraddizione si presenta qui. Poiché Dio sa tutto, sapeva dunque, creando un'anima, che questa avrebbe sbagliato. Essa è stata dunque, fin dalla sua formazione, destinata all'infelicità eterna: e possibile questo? È razionale? Con la dottrina delle pene relative, tutto si giustifica. Dio sapeva, senza dubbio, che quell'anima avrebbe fallito, ma le dà i mezzi per illuminarsi con la sua stessa esperienza, con i suoi stessi errori: è necessario che espii i suoi errori per meglio confermarsi nel bene. Ma la porta della speranza non le viene chiusa per sempre, e Dio fa dipendere il momento della sua liberazione dagli sforzi che essa fa per arrivarci. Ecco ciò che tutti possono comprendere, ciò che la logica più rigorosa può ammettere. Se le pene future fossero state presentate sotto questo punto di vista, ci sarebbero moltissimi scettici in meno.

Il termine eterno viene frequentemente impiegato, nel linguaggio corrente, per designare qualcosa di lunga durata e di cui non si prevede la fine, per quanto si sappia molto bene che questa fine esiste.

Noi diciamo, per esempio, i ghiacci eterni delle alte montagne, dei poli, benché sappiamo, sia che il mondo fisico può avere una fine, sia che lo stato di queste regioni può cambiare per il normale spostamento dell'asse terrestre o per un cataclisma. Il termine eterno, in questo caso, non vuole dunque dire eterno fino all'infinito. Quando soffriamo di una lunga malattia, diciamo che il nostro male e eterno. Cosa c’è dunque di tanto sorprendente se degli Spiriti che soffrono da anni, da secoli, persino da migliaia di anni, lo dicono nello stesso modo? Ma soprattutto non dimentichiamo che — non permettendo la loro inferiorità che essi vedano l'estremità del cammino — essi credono di soffrire sempre, e che per loro questa e una punizione.

Del resto la dottrina del fuoco materiale, delle fornaci e delle torture, improntate al Tartaro del paganesimo, è oggi completamente abbandonata dall'alta teologia, ed è solo nelle scuole che questi impressionanti quadri allegorici vengono ancora propinati come verità positive da alcuni, più zelanti che illuminati. E tutto questo ben a torto, perché quei giovani ricchi di fantasia, una volta ripresisi dal terrore, potrebbero andare a ingrossare il numero dei non credenti. La teologia oggi riconosce che la parola fuoco nella Bibbia viene impiegata in senso figurato, e dev'essere intesa come fuoco morale. (Vedere n. 974) Coloro che hanno seguito, come noi, le avversità della vita e le sofferenze d'oltretomba attraverso le comunicazioni spiritiste, hanno potuto convincersi che quelle sofferenze, pur non avendo niente di materiale, non sono per questo meno dolorose. Anche riguardo alla loro durata, certi teologi cominciano ad ammetterla nel senso limitativo indicato qui sopra e pensano che in effetti la parola eterno può intendersi per le pene in sé stesse, come conseguenze di una legge immutabile, e non per la loro applicazione a ogni individuo. Il giorno in cui la religione ammetterà questa interpretazione, così come alcune altre che sono anch'esse la conseguenza del progresso dei lumi, riunirà molte pecore smarrite.






Resurrezione della carne



1010

1010-a. Allora la Chiesa, con il dogma della resurrezione della carne, insegna essa stessa la dottrina della reincarnazione?

«È evidente. D'altra parte questa dottrina è la conseguenza di molte cose che sono passate inosservate e che non tarderemo a comprendere in questo senso. In breve si riconoscerà che lo Spiritismo emerge a ogni passo perfino dal testo delle Sacre Scritture. Gli Spiriti non vengono dunque a rivoluzionare la religione, come alcuni pretendono, vengono invece a confermarla, a sancirla con prove inconfutabili. Ma, siccome giunto è il tempo di non impiegare più il linguaggio figurato, essi si esprimono senza allegorie e danno alle cose un senso chiaro e preciso, che non possa essere soggetto ad alcuna falsa interpretazione. Ecco perché, fra poco, voi avrete più persone sinceramente religiose e credenti di quante non ne abbiate oggi.»

SAN LUIGI

Effettivamente la scienza dimostra l'impossibilità della resurrezione, secondo l'idea ordinaria. Se i resti del corpo umano rimanessero omogenei, per quanto dispersi e ridotti in polvere, si concepirebbe ancora la loro riunione in un determinato tempo. Ma le cose non stanno affatto così. Il corpo e formato da elementi diversi: ossigeno, idrogeno, azoto, carbonio ecc. Con la decomposizione, questi elementi si disperdono, ma per servire alla formazione di nuovi corpi, in modo che la stessa molecola di carbonio, per esempio, potrebbe essere entrata nella composizione di molte migliaia di corpi differenti (parliamo solo di corpi umani, escludendo tutti quelli degli animali). È possibile così che un determinato individuo abbia nel suo corpo delle molecole appartenute agli uomini delle età primitive; che queste stesse molecole organiche, che voi assimilate nutrendovi, provengano forse dal corpo di un certo individuo che avete conosciuto. È così di seguito. Essendo la materia in quantità definita, e le sue trasformazioni in quantità indefinita, come potrebbe ognuno di questi corpi ricostituirsi con i medesimi elementi? È materialmente impossibile. Si può dunque razionalmente ammettere la resurrezione della carne solo come una figura che simbolizza il fenomeno della reincarnazione, e allora non c’è più niente che scuota la ragione, niente che sia in contraddizione con i dati della scienza.

È vero che, secondo il dogma, questa resurrezione deve aver luogo solo alla fine dei tempi, mentre secondo la Dottrina Spiritista essa ha luogo tutti i giorni. Ma non esiste ancora nel quadro dell'ultimo giudizio una grande e bella figura che nasconda, sotto il velo dell'allegoria, una di quelle verità immutabili, che non troverà più scettici quando sarà ricondotta al suo vero significato? Si voglia anche meditare sulla teoria spiritista, circa il futuro delle anime e circa la loro sorte in seguito alle varie prove che esse devono subire, e si vedrà che, con eccezione della simultaneità, il giudizio che le condanna o che le assolve non è assolutamente una finzione, come ritengono gli increduli. Notiamo ancora che questa teoria e la conseguenza naturale della pluralità dei mondi, oggi perfettamente ammessa, mentre, secondo la dottrina dell'ultimo giudizio, la Terra è considerata come l'unico mondo abitato.


Nota dei revisori: Va notato che, nella numerazione degli elementi del libro, Kardec è balzato al n. 1011. Nonostante l'evidente errore, il testo è stato mantenuto in questo modo nelle quattordici edizioni successive fino alla disincarnazione di Allan Kardec. Per evitare confusione, questa edizione non ha cercato di "correggere" la numerazione.







Paradiso, inferno e purgatorio

1012 [1011]. Esiste nell'universo un luogo circoscritto, riservato alle pene e alle gioie degli Spiriti secondo i loro meriti?

«Abbiamo già risposto a questa domanda. Le pene e le gioie sono inerenti al grado di perfezione degli Spiriti. Ognuno attinge in sé stesso il principio della propria felicita o infelicità e, poiché essi si trovano ovunque, nessun luogo ne circoscritto ne chiuso e riservato agli uni piuttosto che agli altri. Quanto agli Spiriti incarnati, essi sono più o meno felici o infelici, a seconda che il mondo da loro abitato sia più o meno avanzato.»


1012a. Detto questo, l'inferno e il paradiso non esisterebbero così come l'uomo se li rappresenta?

«Sono solo delle rappresentazioni: ovunque ci sono degli Spiriti felici o infelici. Ciononostante, come abbiamo già detto, gli Spiriti del medesimo ordine si riuniscono per simpatia; ma, quando sono perfetti, possono riunirsi dove vogliono.»

La localizzazione assoluta dei luoghi delle pene e delle ricompense esiste solo nell'immaginazione dell'uomo. Essa proviene dalla propensione a materializzare e a circoscrivere le cose di cui non può comprendere l'essenza infinita.

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Nota dei revisori: Va notato che, nella numerazione degli elementi del libro, Kardec è balzato al n. 1011. Nonostante l'evidente errore, il testo è stato mantenuto in questo modo nelle quattordici edizioni successive fino alla disincarnazione di Allan Kardec. Per evitare confusione, questa edizione non ha cercato di "correggere" la numerazione.


1013 [1012]. Che cosa si deve intendere per purgatorio?

«Dolori fisici e morali: è il tempo dell'espiazione. È quasi sempre sulla Terra che fate il vostro purgatorio e che Dio vi fa espiare i vostri errori.»

Ciò che l'uomo chiama purgatorio è anch'esso un emblema con il quale si deve intendere non un qualche luogo determinato, bensì la condizione degli Spiriti imperfetti che sono in espiazione fino alla purificazione completa, la quale deve elevarli al rango di Spiriti beati. Avvenendo questa purificazione durante le varie reincarnazioni, il purgatorio consiste nelle prove della vita fisica.

1014 [1013]. Come si spiega che certi Spiriti, che con il loro linguaggio rivelano la loro superiorità, abbiano risposto a persone molto serie, a proposito dell'inferno e del purgatorio, secondo l'idea che ce ne facciamo normalmente?

«Gli Spiriti parlano un linguaggio che possa essere compreso dalle persone che li interrogano. Quando queste persone sono troppo imbevute di certe idee, essi non vogliono urtarle troppo bruscamente, per non ferirle nelle loro convinzioni. Se uno Spirito andasse a dire, senza alcuna precauzione oratoria, a un musulmano che Maometto non è un profeta, quello Spirito sarebbe molto male accolto.»


1014a. Si comprende che così possa essere da parte di Spiriti che vogliono istruirci. Ma come si spiega che certi Spiriti, interrogati sulla loro condizione, abbiano risposto che soffrono le torture dell'inferno o del purgatorio?

«Quando gli Spiriti sono inferiori, e ancora non completamente smaterializzati, conservano in parte le loro idee terrene e rendono le loro impressioni con termini che sono loro familiari. Essi si trovano in un ambiente che permette loro di sondare solo in parte il futuro. È per questo motivo che sovente degli Spiriti erranti, o recentemente disincarnati, parlano come avrebbero parlato da vivi. Inferno si può tradurre con una vita di prove estremamente penose, con l'incertezza di averne un'altra migliore. Purgatorio può tradursi con una vita anch'essa di prove, ma con la coscienza di un futuro migliore. Quando provate un grande dolore, non dite anche voi che soffrite come dannati? Si tratta solo di parole e sempre in senso figurato.»

1015 [1014]. Che cosa si deve intendere per anima in pena?

«Un'anima errante e sofferente, incerta sul suo futuro, e alla quale potete procurare un sollievo che sovente essa sollecita, venendo a comunicare con voi.» (Vedere n. 664)

1016 [1015]. In quale senso si deve intendere la parola cielo?

«Credete che sia un luogo come gli Champs-Élysées di un tempo, dove tutti i buoni Spiriti si trovano ammucchiati alla rinfusa senz'altra preoccupazione se non quella di godere per l'eternità di una felicita passiva? No! È lo spazio universale, sono i pianeti, le stelle e tutti i mondi superiori, dove gli Spiriti godono di tutte le loro facoltà, senza avere le tribolazioni della vita materiale né le angosce inerenti alla condizione di inferiorità.»

1017 [1016]. Certi Spiriti hanno detto di abitare il quarto, il quinto cielo ecc. Che cosa intendevano dire con questo?

«Se voi domandate loro quale cielo abitano — poiché avete l'idea di molti cieli disposti come i piani di una casa — allora essi vi rispondono secondo il vostro linguaggio. Ma per loro queste parole, quarto e quinto cielo, esprimono differenti gradi di purificazione e, di conseguenza, di felicita. È esattamente come quando si domanda a uno Spirito s e è all'inferno. Se e infelice, dirà di sì, perché per lui inferno è sinonimo di sofferenza. Ma sa molto bene che non è una fornace. Un pagano avrebbe detto di trovarsi nel Tartaro

Allo stesso modo si devono intendere molte espressioni analoghe, come quelle di città dei fiori, citta degli eletti, prima, seconda o terza sfera ecc., che sono solo delle allegorie impiegate da certi Spiriti, sia come immagini, sia a volte per ignoranza della realtà delle cose e anche delle più semplici nozioni scientifiche.

Secondo l'idea ristretta che ci si faceva anticamente dei luoghi delle pene e delle ricompense, e soprattutto in base all'opinione secondo cui la Terra era al centro dell'universo, il cielo formava una volta e c'era una regione delle stelle, si poneva il cielo in alto e l'inferno in basso. Da qui le espressioni: salire al cielo, essere nel più alto dei cieli, essere precipitati negli Inferi. Oggi che la scienza ha dimostrato che la Terra non è che uno dei mondi più piccoli fra tanti milioni di altri, e senza particolare importanza; che ha tracciato la storia della sua formazione e descritto la sua costituzione; che ha provato che lo spazio è infinito e che non c’è né alto né basso nell'universo, oggi si è così dovuto rinunciare a porre il cielo sopra le nuvole e l'inferno nei luoghi inferiori. Quanto al purgatorio, nessun posto gli era stato assegnato. Era stato riservato allo Spiritismo il compito di dare, riguardo a tutte queste cose, la spiegazione più razionale, più grandiosa e allo stesso tempo più consolatoria per l'umanità. Pertanto si può dire che portiamo in noi stessi il nostro inferno e il nostro paradiso. Il nostro purgatorio noi lo troviamo nell'incarnazione, nella nostra vita materiale o fisica.

1018 [1017]. In quale senso si devono intendere queste parole di Cristo: "Il mio Regno non è di questo mondo"?

«Il Cristo, rispondendo così, parlava in senso figurato. Voleva dire ch'Egli regna solo nei cuori puri e disinteressati. Egli si trova ovunque regni l'amore per il bene. Ma gli uomini avidi delle cose di questo mondo e attaccati ai beni della Terra non sono con Lui.»

1019 [1018]. Il regno del bene potrà mai realizzarsi sulla Terra?

«Il bene regnerà sulla Terra quando, fra gli Spiriti che vengono ad abitarla, i buoni prevarranno sui cattivi. Allora essi vi faranno regnare l'amore e la giustizia, che sono la fonte del bene e della felicita. È con il progresso morale e praticando le leggi di Dio che l'uomo attirerà sulla Terra i buoni Spiriti e ne allontanerà i cattivi. Ma i cattivi la lasceranno solo quando egli ne avrà bandito l'orgoglio e l'egoismo.

La trasformazione dell'umanità e stata predetta, e voi siete vicini a quel momento che tutti gli uomini, che collaborano al progresso, sollecitano. Questa trasformazione si compirà con l'incarnazione degli Spiriti migliori, che costituiranno sulla Terra una nuova generazione. Allora gli Spiriti dei malvagi, che la morte miete ogni giorno, e tutti quelli che cercano di arrestare la marcia degli eventi ne verranno esclusi, perché si troverebbero fuori posto tra gli uomini dabbene, di cui turberebbero la felicita. Essi andranno in mondi nuovi meno avanzati a compiere delle missioni penose, dove potranno lavorare al loro avanzamento e allo stesso tempo lavoreranno all'avanzamento dei loro fratelli ancora più arretrati. Non vedete in questa esclusione dalla Terra trasformata la sublime immagine del Paradiso perduto, e nell'uomo venuto sulla Terra in simili condizioni, portando in sé il germe delle sue passioni e le tracce della sua inferiorità primitiva, non vedete la figura non meno sublime del peccato originale? Il peccato originale, considerato sotto questo punto di vista, attiene alla natura ancora imperfetta dell'uomo, che è così responsabile solo di sé stesso e dei suoi errori, ma non di quelli dei suoi avi.

Voi tutti, uomini di fede e di buona volontà, lavorate dunque con zelo e coraggio alla grande opera della rigenerazione, perché raccoglierete centuplicato il grano che avrete seminato. Guai a coloro che chiudono gli occhi alla luce, perché preparano a sé stessi lunghi secoli di tenebre e di delusioni. Guai a quelli che ripongono tutte le loro gioie nei beni di questo mondo, perché soffriranno più privazioni di quante gioie non avranno avute. Guai soprattutto agli egoisti perché non troveranno nessuno che li aiuti a portare il fardello delle loro miserie.»

SAN LUIGI