Sei in:
IL CIELO E L'INFERNO OVVERO LA GIUSTIZIA SECONDO LO SPIRITISMO > PARTE PRIMA - DOTTRINA
PARTE PRIMA - DOTTRINA
Capitolo I - IL FUTURO E IL NULLA
1. Noi viviamo, pensiamo e
agiamo; ecco ciò che è positivo. E che fioriremo non è meno certo. Ma,
lasciando la Terra, dove andiamo? Che cosa diventiamo dopo la morte?
Staremo meglio o peggio? Esisteremo o non esisteremo? Essere o non essere
questa l'alternativa. O sempre o mai. O tutto o niente: o vivremo
eternamente o tutto sarà finito per sempre. Su tutto ciò sarà bene
riflettere.
Ogni uomo sperimenta la necessità di vivere, di gioire, di amare, di essere felice. Provate a dire a uno, che sappia di essere sul punto di morire, che vivrà ancora, che la sua ora non è ancora scoccata; ma ditegli, soprattutto, ch'egli sarà più felice di quanto sia mai stato, e il suo cuore allora palpiterà di gioia.
Ma a che servirebbero queste aspirazioni di felicità se un soffio potrebbe farle svanire?
C'è forse qualcosa di più desolante di questo pensiero della distruzione assoluta? Affetti cari, intelligenza, progresso, scienza laboriosamente acquisita, tutto sarebbe annientato, tutto andrebbe perduto! Quale necessità ci sarebbe di sforzarci a divenire migliori, quale necessità ci costringerebbe a reprimere le nostre passioni, ad affaticarci, per elevare il nostro spirito, se non dobbiamo raccoglierne alcun frutto, soprattutto con questo pensiero per cui domani, forse, ciò non servirà più a niente? Se così fosse, la sorte dell'uomo sarebbe cento volte peggiore di quella del bruto, perché il bruto vive completamente nel presente, nella soddisfazione dei suoi appetiti materiali, senza alcuna aspirazione per il futuro. Una segreta intuizione ci dice però che ciò non è possibile.
Ogni uomo sperimenta la necessità di vivere, di gioire, di amare, di essere felice. Provate a dire a uno, che sappia di essere sul punto di morire, che vivrà ancora, che la sua ora non è ancora scoccata; ma ditegli, soprattutto, ch'egli sarà più felice di quanto sia mai stato, e il suo cuore allora palpiterà di gioia.
Ma a che servirebbero queste aspirazioni di felicità se un soffio potrebbe farle svanire?
C'è forse qualcosa di più desolante di questo pensiero della distruzione assoluta? Affetti cari, intelligenza, progresso, scienza laboriosamente acquisita, tutto sarebbe annientato, tutto andrebbe perduto! Quale necessità ci sarebbe di sforzarci a divenire migliori, quale necessità ci costringerebbe a reprimere le nostre passioni, ad affaticarci, per elevare il nostro spirito, se non dobbiamo raccoglierne alcun frutto, soprattutto con questo pensiero per cui domani, forse, ciò non servirà più a niente? Se così fosse, la sorte dell'uomo sarebbe cento volte peggiore di quella del bruto, perché il bruto vive completamente nel presente, nella soddisfazione dei suoi appetiti materiali, senza alcuna aspirazione per il futuro. Una segreta intuizione ci dice però che ciò non è possibile.
2. Non credendo che nel
nulla, l'uomo concentra necessariamente tutti i suoi pensieri sulla vita
presente. In effetti, non potrebbe logicamente preoccuparsi di un
avvenire che egli non si attende. Questa esclusiva preoccupazione del
presente lo porta naturalmente a pensare prima di tutto a sé stesso; è
questo dunque il più potente stimolo dell'egoismo, e il non credente è
coerente con questo stesso principio quando arriva a questa conclusione:
godiamo fintantoché siamo qui; godiamo il più possibile, poiché dopo di
noi tutto è fini to; godiamo in fretta, poiché non sappiamo quanto
questo durerà. Oppure quando arriva a quest'altra conclusione, ben
altrimenti grave per la società: godiamo in qualsiasi modo; ciascuno per
sé; la felicità, su questa Terra, è del più scaltro.
Se il rispetto umano ne trattiene alcuni, quale freno possono avere coloro che non temono nulla? Costoro dichiarano che le leggi umane non riguardano che gli inetti; è per questo che impiegano tutto il loro ingegno nel mezzo migliore per eluderle. Se c'è una dottrina insana e antisociale, di sicuro è quella del nichilismo, perché rompe i veri legami della solidarietà e della fraternità, su cui si fondano i rapporti sociali.
Se il rispetto umano ne trattiene alcuni, quale freno possono avere coloro che non temono nulla? Costoro dichiarano che le leggi umane non riguardano che gli inetti; è per questo che impiegano tutto il loro ingegno nel mezzo migliore per eluderle. Se c'è una dottrina insana e antisociale, di sicuro è quella del nichilismo, perché rompe i veri legami della solidarietà e della fraternità, su cui si fondano i rapporti sociali.
3. Supponiamo che, per una
qualsiasi circostanza, un intero popolo acquisisca la certezza che in
otto giorni, in un mese, o se vogliamo in un anno, esso sarà annientato,
che non un solo individuo sopravviverà, che di esso non resterà più
alcuna traccia dopo la morte. Che farà questo popolo durante questo
tempo di attesa?
Si impegnerà per il suo miglioramento, per la sua istruzione? Si affaticherà per vivere? Rispetterà i diritti, i beni, la vita dei suoi simili? Si sottometterà alle leggi, a un'autorità, qual si voglia, anche la più legittima, cioè all'autorità paterna? Ci sarà per lui un qualsiasi dovere? Certamente no.
Ebbene, ciò che non accade in massa, viene realizzato dalla dottrina del nichilismo, ogni giorno, isolatamente, individualmente. E se le conseguenze non sono poi così disastrose come potrebbero esserlo, è in primo luogo perché, nella maggior parte dei non credenti, c'è più millanteria che vera e propria miscredenza, più dubbio che convinzione; e perché essi hanno paura del niente più di quanto non vogliano far sembrare: l'appellativo di spirito forte lusinga il loro amor proprio; in secondo luogo, perché i non credenti assoluti sono in grandissima minoranza; essi subiscono, loro malgrado, l'influenza dell'opinione contraria e sono sostenuti da una forza materiale. Ma qualora la miscredenza assoluta diventasse un giorno l'opinione della maggioranza, la società entrerebbe in dissoluzione. È a questo che tende la diffusione della dottrina del nichilismo. [1]
Quali che siano le conseguenze, qualora il nichilismo s'imponesse come una verità, bisognerebbe accettarlo. E né i sistemi contrari né il pensiero del male che ne conseguirebbe potrebbero ostacolarne l'esistenza. Ora, non bisogna nasconderci che lo scetticismo, il dubbio e l'indifferenza guadagnano terreno ogni giorno, nonostante gli sforzi della religione; ma questo è positivo. Se la religione si dimostra impotente nei confronti della miscredenza, è perché le manca qualcosa per combatterla, dimodoché se essa si condannasse all'immobilità, in un determinato momento si troverebbe infallibilmente sopraffatta. Ciò che le manca in questo secolo di positivismo, in cui si cerca di comprendere prima di credere, è senza dubbio la convalida delle sue dottrine attraverso fatti positivi; e così pure la concordanza di certe dottrine con i dati positivi della Scienza. Se essa dice bianco e se i fatti dicono nero, bisogna optare tra l'evidenza e la fede cieca.
-------------------------
[1] Un giovane di diciotto anni era affetto da una malattia cardiaca dichiarata incurabile. La Scienza aveva così sentenziato: "Egli potrebbe morire entro otto giorni, come entro due anni, ma non andrà oltre". Il giovane venne a conoscenza di ciò. Subito abbandona gli studi e si dà a eccessi d'ogni genere. Allorché gli si fa presente come una vita di disordini sia pericolosa nelle sue condizioni, egli risponde: "Che m'importa, dal momento che non ho che due anni da vivere? A che mi servirebbe affaticare l'animo con le rinunce? Godo del poco tempo che mi resta e cerco di divertirmi fino all'ultimo". Ecco la conseguenza del nichilismo.
Se questo giovane fosse stato spiritista, avrebbe detto: "La morte distruggerà solo il mio corpo, che io lascerò come un abito usato, ma il mio Spirito vivrà sempre. Io sarò, nella mia vita futura, ciò che avrei fatto di me stesso in questa vita. Niente di quello che in essa potrei acquisire riguardo a qualità morali e intellettuali andrà perduto, perché ciò sarà tanto di guadagnato per il mio avanzamento; ogni imperfezione di cui mi libererò sarà un passo in più verso la felicità. La mia felicità o infelici a venire dipendono dall'utilità o dall'inutilità della mia presente esistenza. È dunque mio interesse mettere a profitto il poco tempo che mi resta ed evitare tutto ciò che potrebbe diminuire le mie forze".
Quale di queste due dottrine è preferibile?
-------------------------
Si impegnerà per il suo miglioramento, per la sua istruzione? Si affaticherà per vivere? Rispetterà i diritti, i beni, la vita dei suoi simili? Si sottometterà alle leggi, a un'autorità, qual si voglia, anche la più legittima, cioè all'autorità paterna? Ci sarà per lui un qualsiasi dovere? Certamente no.
Ebbene, ciò che non accade in massa, viene realizzato dalla dottrina del nichilismo, ogni giorno, isolatamente, individualmente. E se le conseguenze non sono poi così disastrose come potrebbero esserlo, è in primo luogo perché, nella maggior parte dei non credenti, c'è più millanteria che vera e propria miscredenza, più dubbio che convinzione; e perché essi hanno paura del niente più di quanto non vogliano far sembrare: l'appellativo di spirito forte lusinga il loro amor proprio; in secondo luogo, perché i non credenti assoluti sono in grandissima minoranza; essi subiscono, loro malgrado, l'influenza dell'opinione contraria e sono sostenuti da una forza materiale. Ma qualora la miscredenza assoluta diventasse un giorno l'opinione della maggioranza, la società entrerebbe in dissoluzione. È a questo che tende la diffusione della dottrina del nichilismo. [1]
Quali che siano le conseguenze, qualora il nichilismo s'imponesse come una verità, bisognerebbe accettarlo. E né i sistemi contrari né il pensiero del male che ne conseguirebbe potrebbero ostacolarne l'esistenza. Ora, non bisogna nasconderci che lo scetticismo, il dubbio e l'indifferenza guadagnano terreno ogni giorno, nonostante gli sforzi della religione; ma questo è positivo. Se la religione si dimostra impotente nei confronti della miscredenza, è perché le manca qualcosa per combatterla, dimodoché se essa si condannasse all'immobilità, in un determinato momento si troverebbe infallibilmente sopraffatta. Ciò che le manca in questo secolo di positivismo, in cui si cerca di comprendere prima di credere, è senza dubbio la convalida delle sue dottrine attraverso fatti positivi; e così pure la concordanza di certe dottrine con i dati positivi della Scienza. Se essa dice bianco e se i fatti dicono nero, bisogna optare tra l'evidenza e la fede cieca.
-------------------------
[1] Un giovane di diciotto anni era affetto da una malattia cardiaca dichiarata incurabile. La Scienza aveva così sentenziato: "Egli potrebbe morire entro otto giorni, come entro due anni, ma non andrà oltre". Il giovane venne a conoscenza di ciò. Subito abbandona gli studi e si dà a eccessi d'ogni genere. Allorché gli si fa presente come una vita di disordini sia pericolosa nelle sue condizioni, egli risponde: "Che m'importa, dal momento che non ho che due anni da vivere? A che mi servirebbe affaticare l'animo con le rinunce? Godo del poco tempo che mi resta e cerco di divertirmi fino all'ultimo". Ecco la conseguenza del nichilismo.
Se questo giovane fosse stato spiritista, avrebbe detto: "La morte distruggerà solo il mio corpo, che io lascerò come un abito usato, ma il mio Spirito vivrà sempre. Io sarò, nella mia vita futura, ciò che avrei fatto di me stesso in questa vita. Niente di quello che in essa potrei acquisire riguardo a qualità morali e intellettuali andrà perduto, perché ciò sarà tanto di guadagnato per il mio avanzamento; ogni imperfezione di cui mi libererò sarà un passo in più verso la felicità. La mia felicità o infelici a venire dipendono dall'utilità o dall'inutilità della mia presente esistenza. È dunque mio interesse mettere a profitto il poco tempo che mi resta ed evitare tutto ciò che potrebbe diminuire le mie forze".
Quale di queste due dottrine è preferibile?
-------------------------
4. È in queste circostanze
che lo Spiritismo viene a opporre una diga alla diffusione della
miscredenza, non solo attraverso la razionalità, non solo attraverso la
prospettiva dei pericoli ch'essa comporta, ma attraverso i fatti
materiali, rendendo visibili e tangibili l'anima e la vita futura.
Ognuno è senza dubbio libero nella scelta delle sue credenze, libero di credere in qualcosa o di non credere in nulla. Ma coloro che cercano di far prevalere nello spirito delle masse, della gioventù soprattutto, la negazione del futuro, ricorrendo all'autorità del loro sapere e all'influenza della loro posizione, seminano nella società germi di perturbazione e di dissoluzione, incorrendo in una grande responsabilità.
Ognuno è senza dubbio libero nella scelta delle sue credenze, libero di credere in qualcosa o di non credere in nulla. Ma coloro che cercano di far prevalere nello spirito delle masse, della gioventù soprattutto, la negazione del futuro, ricorrendo all'autorità del loro sapere e all'influenza della loro posizione, seminano nella società germi di perturbazione e di dissoluzione, incorrendo in una grande responsabilità.
5. C'è un'altra dottrina che
cerca di preservarsi dall'imputazione di essere materialista — poiché
ammette l'esistenza di un principio intelligente al di fuori della
materia — ed è quella dell'assorbimento nel Tutto Universale.
Secondo questa dottrina, ogni individuo assimila, al momento di
nascere, una particella di questo principio, la quale costituisce la sua
anima e le dà vita, intelligenza e sentimento. Alla morte, quest'anima
ritorna al punto di origine comune e si disperde nell'infinito, come una
goccia d'acqua nell'oceano.
Questa dottrina è senza dubbio un passo avanti sul materialismo puro, poiché qualcosa ammette, mentre l'altra non ammette nulla. Ma le conseguenze sono esattamente le stesse. Che l'uomo sia immerso nel nulla o nel serbatoio comune, è per lui la medesima cosa; se nel primo caso egli è annichilito, nel secondo egli perde la sua individualità; è, perciò, come se non esistesse; non per questo i rapporti sociali cessano di rompersi, e per sempre.
L'essenziale, per lui, è la conservazione del suo io; senza ciò, che gli importa di essere o non essere? Il futuro gli si presenta sempre nullo; è la vita presente la sola cosa che gli interessi e lo preoccupi. Dal punto di vista delle conseguenze morali, poi, questa dottrina è così insensata, così disperante che istiga all'egoismo tanto quanto il materialismo propriamente detto.
Questa dottrina è senza dubbio un passo avanti sul materialismo puro, poiché qualcosa ammette, mentre l'altra non ammette nulla. Ma le conseguenze sono esattamente le stesse. Che l'uomo sia immerso nel nulla o nel serbatoio comune, è per lui la medesima cosa; se nel primo caso egli è annichilito, nel secondo egli perde la sua individualità; è, perciò, come se non esistesse; non per questo i rapporti sociali cessano di rompersi, e per sempre.
L'essenziale, per lui, è la conservazione del suo io; senza ciò, che gli importa di essere o non essere? Il futuro gli si presenta sempre nullo; è la vita presente la sola cosa che gli interessi e lo preoccupi. Dal punto di vista delle conseguenze morali, poi, questa dottrina è così insensata, così disperante che istiga all'egoismo tanto quanto il materialismo propriamente detto.
6. Si può fare, inoltre, la
seguente obiezione: tutte le gocce d'acqua attinte nell'oceano si
assomigliano e hanno proprietà identiche, come le parti di un medesimo
tutto; perché allora le anime, se esse sono prese nel grande oceano
dell'intelligenza universale, si assomigliano così poco? Perché la
genialità accanto alla stupidità? Le virtù più eccelse accanto ai vizi
più ignobili? La bontà, la dolcezza, la pazienza accanto alla malvagità,
alla crudeltà, alla barbarie? Come mai le parti di un tutto omogeneo
possono essere così diverse le une dalle altre? Si dirà forse che è
l'educazione che le modifica? Ma allora da dove vengono le qualità
innate, le intelligenze precoci, gli istinti buoni e gli istinti
cattivi, indipendenti da ogni educazione e, spesso, assai poco in
armonia con l'ambiente in cui si sviluppano?
L'educazione, senza alcun dubbio, modifica le qualità intellettuali e morali dell'anima; ma qui si presenta un'altra difficoltà. Chi dà all'anima l'educazione per farla progredire? Altre anime che, per la loro comune origine, non devono più essere migliorate. Oltre a ciò l'anima, rientrando nel Tutto Universale da cui era sortita, dopo aver progredito durante la vita, vi apporta un elemento più perfetto. Da ciò consegue che questo Tutto deve, a lungo andare, trovarsi profondamente modificato e migliorato. Come accade allora che da questo Tutto escano incessantemente delle anime ignoranti e perverse?
L'educazione, senza alcun dubbio, modifica le qualità intellettuali e morali dell'anima; ma qui si presenta un'altra difficoltà. Chi dà all'anima l'educazione per farla progredire? Altre anime che, per la loro comune origine, non devono più essere migliorate. Oltre a ciò l'anima, rientrando nel Tutto Universale da cui era sortita, dopo aver progredito durante la vita, vi apporta un elemento più perfetto. Da ciò consegue che questo Tutto deve, a lungo andare, trovarsi profondamente modificato e migliorato. Come accade allora che da questo Tutto escano incessantemente delle anime ignoranti e perverse?
7. In questa dottrina, la
sorgente universale d'intelligenza che rifornisce le anime umane è
indipendente dalla Divinità. Questo non è precisamente il panteismo. Il panteismo
propriamente detto se ne differenzia in quanto esso considera il
principio universale della vita e dell'intelligenza come costituenti la
Divinità. Dio è allo stesso tempo spirito e materia. Tutti gli esseri,
tutti i corpi della natura compongono la Divinità, di cui essi sono le
molecole e gli elementi costitutivi. Dio è l'insieme di tutte le
intelligenze riunite; ogni individuo, essendo una parte del Tutto, è lui
stesso Dio; nessun essere superiore e indipendente è al comando
dell'insieme. L'Universo è una immensa repubblica senza un capo, o
piuttosto una repubblica dove ognuno è un capo con potere assoluto.
8. A questo sistema si
possono opporre numerose obiezioni; le principali sono queste: non
potendosi concepire la Divinità senza un'infinita perfezione, ci si
domanda come un tutto perfetto possa essere formato da parti tanto
imperfette e che abbiano bisogno di progredire. Essendo ogni parte
sottoposta alla legge del progresso, ne risulta che Dio, Lui stesso,
deve progredire; e se Egli progredisce incessantemente, all'origine dei
tempi, ha dovuto essere ben imperfetto. Come un essere imperfetto,
formato da volontà e idee così divergenti, ha potuto concepire le leggi
così armoniose, così mirabili per unità, saggezza e previdenza, che
reggono l'Universo? Se tutte le anime sono porzioni della Divinità,
tutte hanno concorso alle leggi della Natura. Come si spiega allora che
esse protestino incessantemente contro queste leggi, che sono opera
loro? Una teoria non può essere accettata come
vera se non alla condizione di soddisfare la ragione e di dar conto di
tutti i fatti che essa abbraccia. Se un solo fatto la smentisce è perché
essa non contiene la verità assoluta.
9. Dal punto di vista
morale, le conseguenze sono anch'esse illogiche. C’è innanzi tutto per
le anime, come nel sistema precedente, l'assorbimento in un tutto e la
perdita dell'individualità. Se si ammette, secondo l'opinione di qualche
panteista, che esse conservano la loro individualità, Dio non ha più
una volontà unica, ma è un composto di miriadi di volontà divergenti.
Inoltre, essendo ogni anima parte integrante della Divinità, nessuna è
dominata da una potenza superiore; di conseguenza, non incorre in alcuna
responsabilità per i suoi atti, buoni o cattivi che siano. L'anima non
ha nessun interesse a fare il bene e può fare il male impunemente,
poiché è padrona sovrana.
10. Oltre al fatto che
questi sistemi non soddisfano né la ragione né l'aspirazione umana, ci
si scontra, come ben si vede, con delle difficoltà insormontabili,
poiché essi sono impotenti a risolvere tutte le questioni di fatto che
sollevano. L'uomo ha dunque tre alternative: il nulla, l'assorbimento o l'individualità dell'anima prima e dopo la morte. È a
questa ultima credenza che ci riconduce invincibilmente la logica; e
questa credenza è anche quella che ha costituito la base di tutte le
religioni dacché il mondo esiste.
Se la logica ci conduce all'individualità dell'anima, essa ci conduce anche a quest'altra conseguenza: che la sorte di ogni anima, cioè, deve dipendere dalle sue qualità personali. Sarebbe infatti irrazionale ammettere che l'anima sottosviluppata del selvaggio o quella dell'uomo perverso fossero al medesimo livello di quella del saggio o dell'uomo dabbene. Secondo i principi della giustizia, le anime devono avere la responsabilità dei loro atti; ma, perché esse siano responsabili, è necessario che siano libere di scegliere trai l bene e il male. Sanza libero arbitrio, ci sarebbe fatalità, e con la fatalità non potrebbe esserci la responsabilità.
Se la logica ci conduce all'individualità dell'anima, essa ci conduce anche a quest'altra conseguenza: che la sorte di ogni anima, cioè, deve dipendere dalle sue qualità personali. Sarebbe infatti irrazionale ammettere che l'anima sottosviluppata del selvaggio o quella dell'uomo perverso fossero al medesimo livello di quella del saggio o dell'uomo dabbene. Secondo i principi della giustizia, le anime devono avere la responsabilità dei loro atti; ma, perché esse siano responsabili, è necessario che siano libere di scegliere trai l bene e il male. Sanza libero arbitrio, ci sarebbe fatalità, e con la fatalità non potrebbe esserci la responsabilità.
11. Tutte le religioni hanno
egualmente ammesso il principio della sorte felice o infelice delle
anime dopo la morte, principio altrimenti detto delle pene o delle gioie
future, che si riassumono nella dottrina del cielo e dell'inferno,
dottrina che si incontra dappertutto. Ma ciò su cui esse essenzialmente è
sulla natura di queste pene e di queste gioie e, soprattutto,
sulle condizioni che possono meritare le une e le altre. Da qui,
posizioni di fede contraddittorie, che hanno dato origine ai differenti
culti, e, da qui, i doveri particolari imposti da ciascuno di essi per
onorare Dio e raggiungere il cielo ed evitare l'inferno.
12. Tutte le religioni hanno
dovuto, alla loro origine, relazionarsi con il grado di avanzamento
morale e intellettuale degli uomini. Costoro, ancora troppo
materialistici per comprendere il valore delle cose puramente
spirituali, hanno fatto consistere la maggior parte dei doveri religiosi
nell'adempimento di forme esteriori. Per un certo tempo, queste forme
hanno soddisfatto la loro ragione; più tardi, facendosi luce nel loro
spirito, essi avvertono la vacuità che le formule lasciano dietro di sé,
e se la religione non colma tale vuoto essi abbandonano la religione e
diventano filosofi.
13.
Se la religione, adattatasi, in principio. alle limitate cognizioni
degli uomini, avesse sempre seguito il movimento progressivo dello
spirito umano, non ci sarebbero affatto dei non credenti, dal momento
che è nella natura stessa dell'uomo aver bisogno di credere; ed egli
crederà se gli si darà un nutrimento spirituale in armonia con i suoi
bisogni intellettuali.
L'uomo vuole sapere da dove viene e dove va. Se gli si indica un fine che non risponde né alle sue aspirazioni né all'idea ch'egli si è fatta di Dio, né ai dati positivi che gli fornisce la Scienza; se, inoltre, gli si impongono, per raggiungere quel fine, delle condizioni di cui la sua ragione non gli mostra l'utilità, egli allora respinge tutto. Il materialismo e il panteismo gli sembrano più razionali, perché qui si discute e si ragiona; si ragiona falsamente, è vero, ma egli preferisce ragionare falsamente piuttosto che non ragionare affatto.
Ma qualora gli si indichi un futuro dalle condizioni logiche, del tutto degno della grandezza, della giustizia e dell'infinita bontà di Dio, allora egli abbandonerà il materialismo e il panteismo, di cui avverte il vuoto nel proprio intimo e che aveva accettato solo in mancanza di una migliore credenza. Lo Spiritismo dà qualcosa di meglio, ed è per questo che è accolto con sollecitudine da tutti coloro che sono tormentati dall'incertezza bruciante del dubbio, e che non trovano né nelle credenze né nelle filosofie ordinarie ciò che cercano. Lo Spiritismo ha per l'uomo la logica del ragionamento e la conferma dei fatti. È per questo che lo si è inutilmente combattuto.
L'uomo vuole sapere da dove viene e dove va. Se gli si indica un fine che non risponde né alle sue aspirazioni né all'idea ch'egli si è fatta di Dio, né ai dati positivi che gli fornisce la Scienza; se, inoltre, gli si impongono, per raggiungere quel fine, delle condizioni di cui la sua ragione non gli mostra l'utilità, egli allora respinge tutto. Il materialismo e il panteismo gli sembrano più razionali, perché qui si discute e si ragiona; si ragiona falsamente, è vero, ma egli preferisce ragionare falsamente piuttosto che non ragionare affatto.
Ma qualora gli si indichi un futuro dalle condizioni logiche, del tutto degno della grandezza, della giustizia e dell'infinita bontà di Dio, allora egli abbandonerà il materialismo e il panteismo, di cui avverte il vuoto nel proprio intimo e che aveva accettato solo in mancanza di una migliore credenza. Lo Spiritismo dà qualcosa di meglio, ed è per questo che è accolto con sollecitudine da tutti coloro che sono tormentati dall'incertezza bruciante del dubbio, e che non trovano né nelle credenze né nelle filosofie ordinarie ciò che cercano. Lo Spiritismo ha per l'uomo la logica del ragionamento e la conferma dei fatti. È per questo che lo si è inutilmente combattuto.
14. Istintivamente l'uomo
crede nel futuro; ma, non avendo egli finora avuto alcuna base certa per
definirlo, è intervenuto allora con la sua fantasia, la quale ha creato
i sistemi che hanno originato la diversità delle credenze. La Dottrina
Spiritista non essendo affatto un'opera di fantasia più o meno
ingegnosamente architettata, ma il risultato dell'osservazione dei fatti
materiali che si svolgono oggi sotto i nostri occhi raccoglierà sul
futuro, come già sta facendo ora, le opinioni divergenti o fluttuanti, e
porterà a poco a poco, e attraverso la forza delle cose, l'unità della
credenza su questo punto, credenza che non sarà più basata su una
ipotesi, ma, su una certezza. L'unificazione, fatta relativamente alla
sorte futura delle anime, sarà il primo punto di contatto tra i
differenti culti, un passo smisurato verso la tolleranza religiosa in
primo luogo e, più tardi, verso la completa fusione.
Capitolo II - PAURA DELLA MORTE
Cause della paura della morte
1. L'uomo, a qualsiasi
livello della scala sociale egli appartenga, fin dallo stato selvaggio,
ha il sentimento innato del futuro. La sua intuizione gli dice che la
morte non è l'ultima fase dell'esistenza, e che quelli che noi
rimpiangiamo non sono perduti irrimediabilmente. La credenza nel futuro è
intuitiva e infinitamente più generalizzata della credenza nel nulla.
Come si spiega allora che, fra coloro che credono nell'immortalità
dell'anima, si incontrino ancora sia un così forte attaccamento alle
cose della Terra sia una così grande paura della morte?
2. La paura
della morte è un effetto della saggezza della Provvidenza e una
conseguenza dell'istinto di conservazione comune a tutti gli esseri
viventi. Essa è necessaria fintanto che l'uomo non sia sufficientemente
illuminato sulle condizioni della vita futura come contrappeso alla
tendenza che, senza questo freno, lo porterebbe ad abbandonare
prematuramente la vita terrena e a trascurare il lavoro su questa Terra,
che deve invece servire al proprio avanzamento.
È per questo che, presso i popoli primitivi, il futuro non è che una vaga intuizione, più tardi una semplice speranza, ancor più tardi, infine, una certezza, ma ancora controbilanciata da un segreto attaccamento alla vita corporea.
È per questo che, presso i popoli primitivi, il futuro non è che una vaga intuizione, più tardi una semplice speranza, ancor più tardi, infine, una certezza, ma ancora controbilanciata da un segreto attaccamento alla vita corporea.
3. Nella misura in cui
l'uomo comprende meglio la vita futura, la paura della morte diminuisce;
ma, nel medesimo tempo, comprendendo meglio la sua missione terrena,
egli attende la sua fine con più calma, con più rassegnazione e senza
timore. La certezza della vita futura dà un altro corso alle sue idee,
un altro scopo ai suoi impegni terreni. Prima di questa certezza, egli
lavora solo per la vita attuale; con questa certezza, egli lavora in
vista del futuro senza tuttavia trascurare il presente, poiché sa che il
suo futuro dipende dalla direzione più o meno buona ch'egli imprime al
presente. La certezza di ritrovare dopo la morte i suoi amici, di
continuare i rapporti che ha avuto sulla Terra, di non perdere i frutti di alcun lavoro,
di progredire incessantemente in intelligenza e perfezione, gli danno
la pazienza di attendere e il coraggio di sopportare le fatiche
transitorie della vita terrena. La solidarietà, ch'egli vede stabilirsi
tra i morti e i vivi, gli fa comprendere la solidarietà che deve
esistere tra i vivi; la fraternità ha perciò la sua ragion d'essere; la
carità uno scopo nel presente e nel futuro.
4. Per liberarsi dalle paure
della morte, bisogna poter considerare questa sotto il suo vero punto
di vista, vale a dire esser penetrati con il pensiero nel mondo
spirituale ed essersene fatti un'idea quanto più esatta possibile. Ciò
denota da parte dello Spirito incarnato una certa evoluzione e una certa
attitudine a liberarsi dalla materia. Presso coloro che non sono
sufficientemente avanzati, la vita materiale prevale ancora sulla vita
spirituale.
Attaccandosi alle apparenze, l'uomo non vede la vita che nel suo corpo, mentre la vita reale è nell'anima. Quando il corpo viene privato della vita, ai suoi occhi tutto è perduto, ed egli se ne dispera. Se, invece di concentrare il suo pensiero sul rivestimento esteriore, egli lo spostasse sull'origine stessa della vita, sull'anima che è l'essere reale che sopravvive a tutto, egli rimpiangerebbe meno il corpo, fonte di miserie e dolori. Ma, per questo, è necessaria una forza che lo Spirito non acquisisce che con la maturità.
La paura della morte nasce dunque dall'insufficienza delle nozioni sulla vita futura. Ma essa denota il bisogno di vivere e la paura che la distruzione del corpo non sia la fine di tutto. La paura è anche provocata dal segreto desiderio della sopravvivenza dell'anima, ancora offuscato dall'incertezza.
La paura si affievolisce nella misura in cui aumenta la certezza e scompare quando la certezza è completa.
Ecco il lato provvidenziale della questione. Sarebbe saggio, però, non abbagliare l'uomo la cui ragione non fosse ancora abbastanza forte da sopportare la prospettiva troppo positiva e seducente di un futuro che gli potesse far trascurare il presente, necessario al suo avanzamento materiale e intellettuale.
Attaccandosi alle apparenze, l'uomo non vede la vita che nel suo corpo, mentre la vita reale è nell'anima. Quando il corpo viene privato della vita, ai suoi occhi tutto è perduto, ed egli se ne dispera. Se, invece di concentrare il suo pensiero sul rivestimento esteriore, egli lo spostasse sull'origine stessa della vita, sull'anima che è l'essere reale che sopravvive a tutto, egli rimpiangerebbe meno il corpo, fonte di miserie e dolori. Ma, per questo, è necessaria una forza che lo Spirito non acquisisce che con la maturità.
La paura della morte nasce dunque dall'insufficienza delle nozioni sulla vita futura. Ma essa denota il bisogno di vivere e la paura che la distruzione del corpo non sia la fine di tutto. La paura è anche provocata dal segreto desiderio della sopravvivenza dell'anima, ancora offuscato dall'incertezza.
La paura si affievolisce nella misura in cui aumenta la certezza e scompare quando la certezza è completa.
Ecco il lato provvidenziale della questione. Sarebbe saggio, però, non abbagliare l'uomo la cui ragione non fosse ancora abbastanza forte da sopportare la prospettiva troppo positiva e seducente di un futuro che gli potesse far trascurare il presente, necessario al suo avanzamento materiale e intellettuale.
5. Questo stato di cose è
mantenuto e prolungato da cause puramente umane, che spariranno con il
progresso. La prima di queste di cause è l'aspetto con cui viene
presentata la vita futura, aspetto che potrebbe bastare a intelligenze
poco avanzate, ma che non potrebbe soddisfare le esigenze della ragione
degli uomini che meditano. "Dal momento — dicono questi — che principi,
contestati dalla logica e dai dati positivi della Scienza, ci vengono
presentati come verità assolute, significa che essi non sono delle
verità." Da qui, presso alcuni, l'incredulità e, presso un gran numero,
una credenza adombrata dal dubbio. La vita futura è per loro un'idea
vaga, una probabilità piuttosto che una certezza assoluta; essi vi
credono, essi vorrebbero che così fosse e, malgrado ciò, esclamano: "Se,
tuttavia, così non fosse?! Il presente è positivo, occupiamocene
subito; il futuro verrà a sua volta".
"E poi — aggiungono — che cos'è, in definitiva, questa anima? Un punto, un atomo, una scintilla, una fiamma? Come la si sente? Come la si vede? Come la si percepisce?" L'anima per loro non è affatto una realtà effettiva: è un'astrazione. Gli esseri che sono loro cari, ridotti nel loro pensiero allo stato di atomi, sono per essi come perduti e non hanno più ai loro occhi quelle qualità per le quali si erano resi amabili. Essi non comprendono né l'amore di una scintilla, né quello che si può provare per lei, ed essi stessi sono mediocremente soddisfatti d'essere trasformati in monadi. Da qui il ritorno al positivismo della vita terrena, che possiede qualcosa di più sostanziale Considerevole è il numero di coloro che sono dominati da questo pensiero.
"E poi — aggiungono — che cos'è, in definitiva, questa anima? Un punto, un atomo, una scintilla, una fiamma? Come la si sente? Come la si vede? Come la si percepisce?" L'anima per loro non è affatto una realtà effettiva: è un'astrazione. Gli esseri che sono loro cari, ridotti nel loro pensiero allo stato di atomi, sono per essi come perduti e non hanno più ai loro occhi quelle qualità per le quali si erano resi amabili. Essi non comprendono né l'amore di una scintilla, né quello che si può provare per lei, ed essi stessi sono mediocremente soddisfatti d'essere trasformati in monadi. Da qui il ritorno al positivismo della vita terrena, che possiede qualcosa di più sostanziale Considerevole è il numero di coloro che sono dominati da questo pensiero.
6. Un'altra ragione, che
lega alle cose terrene quegli stessi che moltofermamente credono alla
vita futura, attiene all'impressione che essi conservano
dall'insegnamento che, al riguardo, è stato loro impartito fin
dall'infanzia.
Il quadro che della vita futura fa la religione — bisogna convenirne — non è né particolarmente seducente né particolarmente consolante. Da un lato, vi si vedono le contorsioni dei dannati che espiano in torture e fiamme senza fine i loro errori di un istante. Per costoro i secoli si succedono ai secoli, senza la speranza né di un'attenuazione delle pene né di alcuna pietà; e, cosa che è ancora più atroce, per costoro il patimento è senza efficacia. Dall'altro lato, le anime languenti e sofferenti del purgatorio attendono la loro liberazione attraverso il buon cuore dei vivi, che pregheranno o faranno pregare per loro, e non attraverso i loro stessi sforzi, per il proprio progresso. Queste due categorie compongono l'immensa maggioranza della popolazione dell'altro mondo. Al disopra si libra quella moltitudine molto limitata degli eletti, che godono per l'eternità d'una beatitudine contemplativa. Questa eterna inutilità, preferibile senza dubbio al nulla, non è da meno di una fastidiosa monotonia. Così, nei dipinti che ritraggono i beati, si vedono delle figure angeliche che respirano, però, la noia piuttosto che la vera felicità.
Questo stato non soddisfa né le aspirazioni né l'idea istintiva del progresso, che appare il solo compatibile con la felicità assoluta. Si fa fatica a credere che il selvaggio ignorante, refrattario al senso morale, si trovi, per il solo fatto d'aver ricevuto il battesimo, allo stesso livello di colui che è pervenuto al più alto grado della scienza e della morale pratica, dopo lunghi anni di lavoro. Ed è ancor meno concepibile che il bambino morto in tenera età, prima cioè di avere coscienza di sé stesso e dei suoi atti, goda dei medesimi privilegi, per il solo fatto di una cerimonia alla quale la sua volontà non ha alcuna parte. Questi ragionamenti non cessano di agitare i più ferventi, per poco che essi possano rifletterci.
Il quadro che della vita futura fa la religione — bisogna convenirne — non è né particolarmente seducente né particolarmente consolante. Da un lato, vi si vedono le contorsioni dei dannati che espiano in torture e fiamme senza fine i loro errori di un istante. Per costoro i secoli si succedono ai secoli, senza la speranza né di un'attenuazione delle pene né di alcuna pietà; e, cosa che è ancora più atroce, per costoro il patimento è senza efficacia. Dall'altro lato, le anime languenti e sofferenti del purgatorio attendono la loro liberazione attraverso il buon cuore dei vivi, che pregheranno o faranno pregare per loro, e non attraverso i loro stessi sforzi, per il proprio progresso. Queste due categorie compongono l'immensa maggioranza della popolazione dell'altro mondo. Al disopra si libra quella moltitudine molto limitata degli eletti, che godono per l'eternità d'una beatitudine contemplativa. Questa eterna inutilità, preferibile senza dubbio al nulla, non è da meno di una fastidiosa monotonia. Così, nei dipinti che ritraggono i beati, si vedono delle figure angeliche che respirano, però, la noia piuttosto che la vera felicità.
Questo stato non soddisfa né le aspirazioni né l'idea istintiva del progresso, che appare il solo compatibile con la felicità assoluta. Si fa fatica a credere che il selvaggio ignorante, refrattario al senso morale, si trovi, per il solo fatto d'aver ricevuto il battesimo, allo stesso livello di colui che è pervenuto al più alto grado della scienza e della morale pratica, dopo lunghi anni di lavoro. Ed è ancor meno concepibile che il bambino morto in tenera età, prima cioè di avere coscienza di sé stesso e dei suoi atti, goda dei medesimi privilegi, per il solo fatto di una cerimonia alla quale la sua volontà non ha alcuna parte. Questi ragionamenti non cessano di agitare i più ferventi, per poco che essi possano rifletterci.
7. Non rientrando affatto il
lavoro progressivo che si compie sulla Terra nella felicità futura, la
naturalezza con cui essi credono di acquisire questa felicità per mezzo
di alcune pratiche esteriori, la possibilità stessa di acquistarla col
denaro senza un serio cambiamento del carattere e dei costumi, tutto ciò
fa sì che sia lasciato ai piaceri della Terra ogni loro valore. Più di
un credente afferma nel suo intimo che, poiché il suo futuro è
assicurato dal compimento di certe formule, o da donazioni postume che
non lo privano di nulla, sarebbe superfluo imporsi dei sacrifici o
arrecare una qualsiasi difficoltà al profitto altrui, dal momento che si
può ottenere la propria salvezza, ciascuno lavorando per sé.
Di certo, tale non è il pensiero di tutti, poiché ci sono grandi e belle eccezioni. Ma non ci si può nascondere che non sia questo il caso del maggior numero, soprattutto delle masse poco illuminate. Inoltre, l'idea che ci si fa delle condizioni per essere felici nell'altro mondo non contempla l'attaccamento ai beni di questo mondo e, di conseguenza, non contempla l'egoismo.
Di certo, tale non è il pensiero di tutti, poiché ci sono grandi e belle eccezioni. Ma non ci si può nascondere che non sia questo il caso del maggior numero, soprattutto delle masse poco illuminate. Inoltre, l'idea che ci si fa delle condizioni per essere felici nell'altro mondo non contempla l'attaccamento ai beni di questo mondo e, di conseguenza, non contempla l'egoismo.
8. Aggiungiamo a ciò che
tutto, nelle usanze, concorre a far rimpiangere la vita terrena e a
temere il passaggio dalla Terra al cielo. La morte è circondata solo da
cerimonie lugubri che terrificano piuttosto che procurare speranza. Se
si rappresenta la morte, ciò avviene sempre sotto un aspetto repellente,
e mai come un sonno di transizione; tutti i suoi simboli ricordano la
distruzione del corpo, mostrandolo orrido e scarnificato; nessuno
simbolizza l'anima che radiosa si libera dai suoi lacci terreni. La
partenza verso questo mondo più felice non è accompagnata che dalle
lamentazioni dei sopravvissuti, come se a coloro che se ne vanno
accadesse la disgrazia più grande; si dà loro un eterno addio, come se
non li si dovesse mai più rivedere. Ciò che per essi si rimpiange sono
le gioie di questa Terra, come se non dovessero affatto trovarne di più
grandi. "Quale disgrazia — dicono — morire quando si è giovani, ricchi,
felici e quando si ha davanti a sé un brillante avvenire!" L'idea di una
situazione più felice, sfiora a malapena la loro mente, perché tale
idea è tutt'altro che radicata. Tutto concorre, dunque, a ispirare il
terrore della morte, invece di infondere speranza. Senza dubbio, l'uomo
sarà per lungo tempo impegnato a disfarsi di questi pregiudizi, ma vi
arriverà nella misura in cui la sua fede si affermerà, ed egli si farà
un'idea più sensata della vita spirituale.
9. La credenza popolare,
inoltre, colloca le anime in regioni a malapena accessibili al pensiero,
dove diventano in qualche modo estranee ai vivi. La Chiesa stessa pone
tra quelle e questi ultimi una barriera insuperabile: essa dichiara
interrotta ogni relazione e impossibile ogni comunicazione. Se le anime
si trovano all'inferno, ogni speranza di rivederle è perduta per sempre,
a meno che non ci si vada noi stessi; se esse si trovano, invece, tra
gli eletti, sono del tutto assorbite dalla loro beatitudine
contemplativa.
Tutto ciò interpone tra i morti e i vivi una distanza tale che si guarda alla separazione come se fosse eterna. Ed è per questo che si preferisce avere ancora presso di sé gli esseri che si amano, anche se sulla Terra soffrono, piuttosto che vederli partire, sia pure alla volta del cielo. Inoltre, l'anima che è in cielo è realmente felice di vedere, per esempio, suo figlio, suo padre, sua madre o i suoi amici bruciare eternamente?
Tutto ciò interpone tra i morti e i vivi una distanza tale che si guarda alla separazione come se fosse eterna. Ed è per questo che si preferisce avere ancora presso di sé gli esseri che si amano, anche se sulla Terra soffrono, piuttosto che vederli partire, sia pure alla volta del cielo. Inoltre, l'anima che è in cielo è realmente felice di vedere, per esempio, suo figlio, suo padre, sua madre o i suoi amici bruciare eternamente?
Perché gli spiritisti non temono la morte
10. La Dottrina Spiritista
trasforma completamente la maniera di considerare il futuro. La vita
futura non è più una ipotesi, ma una realtà. Lo stato delle anime dopo
la morte non è più un sistema, ma il risultato dell'osservazione. Il
velo è sollevato; il mondo spirituale ci appare in tutta la sua realtà
pratica. Non sono gli uomini che l'hanno scoperto attraverso lo sforzo
di una ingegnosa concezione, ma sono gli abitanti stessi di quel mondo
che vengono a descriverci la loro situazione. Lì noi li vediamo a tutti i
livelli della scala spirituale, in tutte le fasi della felicità e della
infelicità; noi assistiamo a tutte le peripezie della vita
d'oltretomba. Sta lì, per gli spiritisti, il motivo della calma con la
quale essi considerano la morte, il motivo della serenità dei loro
ultimi istanti sulla Terra. Ciò che li sostiene non è soltanto la
speranza, è la certezza; essi sanno che la vita futura non è che la
continuazione della vita presente in migliori condizioni, ed essi
l'attendono con la stessa fiducia con cui attendono il sorgere del Sole
dopo una notte di tempesta. I motivi di questa fede sono nei fatti di
cui essi sono testimoni, e nell'accordo di questi fatti con la logica,
la giustizia e la bontà di Dio, e con le intime aspirazioni
dell’Umanità.
Per gli spiritisti l'anima non è più un'astrazione; essa ha un corpo etereo che fa di essa un essere ben definito, che il pensiero accetta e comprende; il che è già molto per fissare le idee sulla sua individualità, sulle sue attitudini e le sue percezioni. Il ricordo di coloro che ci sono cari riposa su qualcosa di reale. Non ce li rappresentiamo più come fuggevoli fiamme che nulla dicono al nostro pensiero, ma sotto una forma concreta, che ce li mostra ancor meglio degli esseri viventi. Inoltre, invece di essere sperduti nelle profondità dello Spazio, essi sono intorno a noi; il mondo corporeo e il mondo spirituale sono in perpetui rapporti e si assistono mutuamente. Poiché il dubbio sul futuro non è più permesso, il timore della morte non ha più ragion d'essere. La si vede arrivare a sangue freddo, come una liberazione, come la porta della vita e non quella del nulla.
Per gli spiritisti l'anima non è più un'astrazione; essa ha un corpo etereo che fa di essa un essere ben definito, che il pensiero accetta e comprende; il che è già molto per fissare le idee sulla sua individualità, sulle sue attitudini e le sue percezioni. Il ricordo di coloro che ci sono cari riposa su qualcosa di reale. Non ce li rappresentiamo più come fuggevoli fiamme che nulla dicono al nostro pensiero, ma sotto una forma concreta, che ce li mostra ancor meglio degli esseri viventi. Inoltre, invece di essere sperduti nelle profondità dello Spazio, essi sono intorno a noi; il mondo corporeo e il mondo spirituale sono in perpetui rapporti e si assistono mutuamente. Poiché il dubbio sul futuro non è più permesso, il timore della morte non ha più ragion d'essere. La si vede arrivare a sangue freddo, come una liberazione, come la porta della vita e non quella del nulla.
Capitolo III - IL CIELO
1. La parola cielo, generalmente,
designa lo spazio indefinito che circonda la Terra e, più in
particolare, la parte che è al di sopra del nostro orizzonte. Essa viene
dal latino caelum, formata dal greco coïlos, cavo,
concavo, perché il cielo si presenta ai nostri occhi come una immensa
concavità. Gli Antichi credevano all'esistenza di molti cieli
sovrapposti, composti di materia solida e trasparente, che formavano
delle sfere concentriche, il cui centro era la Terra. Queste sfere,
girando attorno alla Terra, trascinavano con sé gli astri che si
trovavano nel loro circuito.
Questa idea, che era conforme alla insufficienza di cognizioni astronomiche, fu quella di tutte le teogonie che fecero dei cieli, così scaglionati, i diversi gradi della beatitudine; l'ultimo era la dimora della suprema felicità. Secondo l'opinione comune ce n'erano sette; da qui l'espressione essere al settimo cielo, per esprimere una perfetta felicità. I Musulmani ne ammettono nove, in ognuno dei quali la felicità dei credenti si accresce. L'astronomo Tolomeo [1] ne contava undici, l'ultimo dei quali era chiamato Empireo, [2] a causa della luce splendente che vi regna. Questo è ancor oggi il nome poetico dato al luogo della gloria eterna. La teologia cristiana riconosce tre cieli: il primo è quello della regione dell'aria e delle nuvole; il secondo è quello dove si muovono gli astri; il terzo, al di là della regione degli astri, è la dimora dell'Altissimo, la dimora degli eletti, che contemplano Dio faccia a faccia. È secondo questa credenza che si narra che san Paolo fu elevato al terzo cielo.
-------------------------
[1] Tolomeo visse ad Alessandria, in Egitto, nel secondo secolo dell'Era Cristiana.
[2] Empireo, dal greco pŷr, fuoco.
-------------------------
Questa idea, che era conforme alla insufficienza di cognizioni astronomiche, fu quella di tutte le teogonie che fecero dei cieli, così scaglionati, i diversi gradi della beatitudine; l'ultimo era la dimora della suprema felicità. Secondo l'opinione comune ce n'erano sette; da qui l'espressione essere al settimo cielo, per esprimere una perfetta felicità. I Musulmani ne ammettono nove, in ognuno dei quali la felicità dei credenti si accresce. L'astronomo Tolomeo [1] ne contava undici, l'ultimo dei quali era chiamato Empireo, [2] a causa della luce splendente che vi regna. Questo è ancor oggi il nome poetico dato al luogo della gloria eterna. La teologia cristiana riconosce tre cieli: il primo è quello della regione dell'aria e delle nuvole; il secondo è quello dove si muovono gli astri; il terzo, al di là della regione degli astri, è la dimora dell'Altissimo, la dimora degli eletti, che contemplano Dio faccia a faccia. È secondo questa credenza che si narra che san Paolo fu elevato al terzo cielo.
-------------------------
[1] Tolomeo visse ad Alessandria, in Egitto, nel secondo secolo dell'Era Cristiana.
[2] Empireo, dal greco pŷr, fuoco.
-------------------------
2. Le differenti dottrine,
relativamente alla dimora dei più beati, si basano tutte sul doppio
errore, secondo cui la Terra è il centro dell’Universo, e la regione
degli astri è limitata. È al di là di questo limite immaginario che
tutte le dottrine hanno collocato questa residenza fortunata, la dimora
dell'Onnipotente. Singolare anomalia, questa, che colloca l'Autore di
tutte le cose, Colui che tutte le governa, ai confini della Creazione,
invece che nel centro, da dove l'irraggiamento del Suo pensiero potrebbe
estendersi su tutto!
3. La Scienza, con
l'inesorabile logica dei fatti e dell'osservazione, ha portato la sua
fiaccola fin nelle profondità dello spazio e ha mostrato la nullità di
tutte queste teorie. La Terra non è più il perno dell'Universo, ma uno
dei più piccoli astri che ruotano nell'immensità; il Sole stesso non è
che il centro d'un vortice planetario; le stelle sono innumerevoli Soli
attorno ai quali ruotano innumerevoli mondi, separati da distanze appena
accessibili al pensiero, quantunque a noi sembrino toccarsi. In questo
grandioso insieme, retto dalle eterne leggi dove si rivelano la saggezza
e tutta la potenza del Creatore, la Terra non appare che come un punto
impercettibile e uno dei meno favoriti riguardo ad abitabilità. Quindi
ci si domanda perché mai Dio ne avrebbe fatta l'unica sede della vita e
vi avrebbe relegato le sue creature predilette. Tutto, al contrario,
dimostra che la vita è dappertutto, e che l'Umanità è infinita come
l'Universo. Rivelandoci la Scienza mondi simili alla Terra, se ne deduce
che Dio non avrebbe potuto crearli senza un fine. Egli ha dovuto perciò
popolarli di esseri capaci di governarli.
4. Le idee dell'uomo
risultano in ragione di ciò ch'egli sa; come tutte le scoperte
importanti, quella della costituzione dei mondi ha dovuto imprimere a
esse un altro corso. Sotto l'influenza di queste nuove conoscenze, le
credenze hanno dovuto modificarsi, il Cielo è stato dislocato; la
regione stellare, essendo senza limiti, non può più servirgli. Dove sta,
allora? Di fronte a tale questione tutte le religioni restano mute.
Lo Spiritismo viene a risolverla dimostrando il vero destino dell'uomo. Presi come punto di partenza la natura di quest'ultimo egli attributi di Dio, si arriva alla conclusione; vale a dire che partendo dal conosciuto si arriva allo sconosciuto attraverso una deduzione logica, senza parlare delle osservazioni dirette che lo Spiritismo permette di fare.
Lo Spiritismo viene a risolverla dimostrando il vero destino dell'uomo. Presi come punto di partenza la natura di quest'ultimo egli attributi di Dio, si arriva alla conclusione; vale a dire che partendo dal conosciuto si arriva allo sconosciuto attraverso una deduzione logica, senza parlare delle osservazioni dirette che lo Spiritismo permette di fare.
5. L'uomo si compone di
corpo e di Spirito. Lo Spirito è l'essere principale, razionale,
intelligente. Il corpo è l'involucro materiale che riveste
temporaneamente lo Spirito per l'adempimento della sua missione sulla
Terra e l'esecuzione del lavoro necessario al suo avanzamento. Il corpo,
una volta usato, si distrugge, mentre lo Spirito sopravvive alla sua
distruzione. Senza lo Spirito, il corpo non è che una materia inerte, è
come uno strumento privato del braccio che lo fa agire; senza il corpo,
lo Spirito è tutto: la vita e l'intelligenza. Abbandonando il corpo,
esso torna nel mondo spirituale, da cui era uscito per incarnarsi.
Esistono, pertanto, due mondi: quello corporeo, composto dagli Spiriti incarnati, e quello spirituale composto dagli Spiriti disincarnati. Gli esseri del mondo corporeo, per il fatto stesso di avere un involucro materiale, sono attaccati alla Terra o a un qualsiasi globo; il mondo spirituale è dappertutto, intorno a noi e nello Spazio; nessun limite è a esso assegnato. In ragione della natura fluidica del loro involucro, gli esseri che lo compongono, invece di trascinarsi penosamente sul suolo, superano le distanze con la rapidità del pensiero. La morte del corpo non è che la rottura dei lacci che lo tengono prigioniero.
Esistono, pertanto, due mondi: quello corporeo, composto dagli Spiriti incarnati, e quello spirituale composto dagli Spiriti disincarnati. Gli esseri del mondo corporeo, per il fatto stesso di avere un involucro materiale, sono attaccati alla Terra o a un qualsiasi globo; il mondo spirituale è dappertutto, intorno a noi e nello Spazio; nessun limite è a esso assegnato. In ragione della natura fluidica del loro involucro, gli esseri che lo compongono, invece di trascinarsi penosamente sul suolo, superano le distanze con la rapidità del pensiero. La morte del corpo non è che la rottura dei lacci che lo tengono prigioniero.
6. Gli Spiriti sono creati
semplici e ignoranti, ma dotati di attitudini per conoscere tutto e per
progredire, in virtù del loro libero arbitrio. Con il progresso, essi
acquisiscono nuove conoscenze, nuove facoltà, nuove percezioni e, di
conseguenza, nuovi piaceri, sconosciuti agli Spiriti inferiori; essi
vedono, ascoltano, sentono e comprendono ciò che gli Spiriti arretrati
non possono né vedere né ascoltare né sentire né comprendere. La
felicità è in ragione del progresso compiuto; di modo che, di due
Spiriti, l'uno può non essere felice quanto l'altro, unicamente perché
non è altrettanto avanzato intellettualmente e moralmente, senza che per
questo sia necessario che stiano, ciascuno, in un luogo diverso. Pur
stando l'uno al fianco dell'altro, l'uno può trovarsi nelle tenebre,
mentre tutto è risplendente attorno all'altro, esattamente come per un
cieco e un vedente che si diano la mano: questo percepisce la luce, da
cui quello non riceve la minima impressione. Essendo
la felicità degli Spiriti inerente alle loro qualità, essi l'attingono
in ogni luogo in cui si trovino, sulla superficie della Terra,
nell'ambiente degli incarnati o nello Spazio.
Un comune paragone farà ancor meglio comprendere questa situazione. Poniamo che in un concerto si trovino due individui, l'uno buon musicista dall'orecchio esercitato, l'altro senza alcuna conoscenza della musica e dall'udito poco delicato. Il primo prova una sensazione di felicità, mentre il secondo resta insensibile, perché l'uno comprende e percepisce ciò che, invece, non fa alcuna impressione sull'altro. Così avviene per tutte le gioie degli Spiriti, le quali sono proporzionate alla capacità che ognuno ha di percepirle. Il mondo spirituale possiede dappertutto splendori, armonie e sensazioni che gli Spiriti inferiori, ancora sottoposti alla influenza della materia, non intravedono neppure, e che sono accessibili solo agli Spiriti purificati
Un comune paragone farà ancor meglio comprendere questa situazione. Poniamo che in un concerto si trovino due individui, l'uno buon musicista dall'orecchio esercitato, l'altro senza alcuna conoscenza della musica e dall'udito poco delicato. Il primo prova una sensazione di felicità, mentre il secondo resta insensibile, perché l'uno comprende e percepisce ciò che, invece, non fa alcuna impressione sull'altro. Così avviene per tutte le gioie degli Spiriti, le quali sono proporzionate alla capacità che ognuno ha di percepirle. Il mondo spirituale possiede dappertutto splendori, armonie e sensazioni che gli Spiriti inferiori, ancora sottoposti alla influenza della materia, non intravedono neppure, e che sono accessibili solo agli Spiriti purificati
7. Il progresso, presso gli
Spiriti, è il frutto del loro stesso lavoro; ma, poiché sono liberi,
lavorano per il loro avanzamento con più o meno operosità, con più o
meno negligenza, secondo la loro volontà; essi accelerano, così, o
ritardano il loro progresso e, di conseguenza, la loro felicità. Mentre
alcuni avanzano rapidamente, altri languono per lunghi secoli nei ranghi
inferiori. Sono essi stessi, dunque, gli artefici della loro
situazione, felice o infelice che sia, secondo queste parole del Cristo:
"A ciascuno secondo le sue opere!" Ogni Spirito che resti indietro non
può prendersela che con sé stesso, così come quello che avanza ne ha
tutto il merito; la felicità che egli ha così conquistata non ha che
maggior valore ai suoi occhi.
La suprema felicità è appannaggio solo degli Spiriti perfetti, altrimenti detti puri Spiriti. Essi non la ottengono se non dopo aver progredito in intelligenza e in moralità. Il progresso intellettuale e il progresso morale raramente marciano fianco a fianco; ma quanto lo Spirito non ottiene in un determinato tempo, l'otterrà in un altro, di modo che i due progressi finiranno per raggiungere il medesimo livello. Questa è la ragione per cui si vedono spesso individui intelligenti e colti molto poco avanzati moralmente, e viceversa.
La suprema felicità è appannaggio solo degli Spiriti perfetti, altrimenti detti puri Spiriti. Essi non la ottengono se non dopo aver progredito in intelligenza e in moralità. Il progresso intellettuale e il progresso morale raramente marciano fianco a fianco; ma quanto lo Spirito non ottiene in un determinato tempo, l'otterrà in un altro, di modo che i due progressi finiranno per raggiungere il medesimo livello. Questa è la ragione per cui si vedono spesso individui intelligenti e colti molto poco avanzati moralmente, e viceversa.
8. L'incarnazione è
necessaria al doppio progresso morale e intellettuale dello Spirito: al
progresso intellettuale, per l'attività ch'egli è obbligato a svolgere
nel lavoro; al progresso morale, per il bisogno che gli uomini hanno gli
uni degli altri. La vita sociale è la pietra di paragone delle buone e delle cattive qualità. La
bontà, la cattiveria, la dolcezza, la violenza, la benevolenza, la
carità, l'egoismo, l'avarizia, l'orgoglio, l'umiltà, la sincerità, la
franchezza, la lealtà, la malafede, l'ipocrisia, in una parola tutto ciò
da cui è costituito l'uomo dabbene o l'uomo perverso ha per movente,
per scopo e per stimolo i rapporti dell'uomo con i suoi simili. Per
l'uomo che vivesse isolato non ci sarebbero né vizi né virtù; se con
l'isolamento si preserva dal male, egli si preclude anche il bene.
9. Una sola esistenza
corporea è manifestamente insufficiente perché lo Spirito possa
acquisire tutto ciò che di bene gli manca, e disfarsi di tutto ciò che
di male è in lui. Il selvaggio, per esempio, potrebbe mai, in una sola
incarnazione, raggiungere il livello morale e intellettuale dell'europeo
più avanzato? Ciò è materialmente impossibile. Si deve, dunque,
rimanere eternamente nell'ignoranza e nella barbarie, privati dei
piaceri che soltanto lo sviluppo delle facoltà può procurare? Il
semplice buon senso respinge una tale supposizione, che sarebbe nello
stesso tempo la negazione della giustizia e della bontà di Dio e quella
della legge progressiva della Natura. È per questo che Dio, sovranamente
giusto e buono, accorda allo Spirito dell'uomo tante esistenze quante
sono necessarie per raggiungere il suo obiettivo, che è la perfezione.
In ogni nuova esistenza, lo Spirito apporta ciò che ha acquisito, nelle esistenze precedenti, in attitudini, in conoscenze intuitive, in intelligenza e in moralità. Ogni esistenza si trova così a essere un passo avanti sulla via del progresso (vedere cap. I, n. 3, nota n. 1).
L'incarnazione è inerente alla inferiorità degli Spiriti; essa non è più necessaria a coloro che ne hanno superato il limite, che progrediscono nello stato spirituale, o nelle esistenze corporee dei mondi superiori, e che nulla hanno più della materialità terrena. Da parte di questi, l'incarnazione è volontaria, avendo lo scopo di esercitare sugli incarnati un'azione più diretta e tendendo alla realizzazione della missione di cui essi sono incaricati, accanto a loro. Così, con abnegazione, gli Spiriti ne accettano le vicissitudini e le sofferenze.
In ogni nuova esistenza, lo Spirito apporta ciò che ha acquisito, nelle esistenze precedenti, in attitudini, in conoscenze intuitive, in intelligenza e in moralità. Ogni esistenza si trova così a essere un passo avanti sulla via del progresso (vedere cap. I, n. 3, nota n. 1).
L'incarnazione è inerente alla inferiorità degli Spiriti; essa non è più necessaria a coloro che ne hanno superato il limite, che progrediscono nello stato spirituale, o nelle esistenze corporee dei mondi superiori, e che nulla hanno più della materialità terrena. Da parte di questi, l'incarnazione è volontaria, avendo lo scopo di esercitare sugli incarnati un'azione più diretta e tendendo alla realizzazione della missione di cui essi sono incaricati, accanto a loro. Così, con abnegazione, gli Spiriti ne accettano le vicissitudini e le sofferenze.
10. Nell'intervallo delle
esistenze corporee, lo Spirito torna, per un tempo più o meno lungo, nel
mondo spirituale, dove egli è o felice o infelice a seconda del bene o
del male che ha compiuto. Lo stato spirituale è lo stato normale dello
Spirito, poiché questo deve essere il suo stato definitivo e poiché il
corpo spirituale non muore mai. Lo stato corporeo non è che transitorio e
passeggero. È soprattutto nello stato spirituale ch'egli raccoglie i
frutti del progresso realizzato con il suo lavoro durante
l'incarnazione. Ed è anche allora ch'egli si prepara a nuove lotte e
prende le risoluzioni che si sforzerà di mettere in pratica al suo
ritorno nell'Umanità.
Lo Spirito progredisce egualmente nell'erraticità. Egli vi attinge conoscenze speciali che modificano le sue idee e che egli non potrebbe acquisire sulla Terra. Lo stato corporeo e lo stato spirituale sono per lui l'origine di due tipi di progresso correlati l'uno con l'altro; è per questo che passa, alternativamente, nelle esistenze peculiari a ciascuno dei due mondi.
Lo Spirito progredisce egualmente nell'erraticità. Egli vi attinge conoscenze speciali che modificano le sue idee e che egli non potrebbe acquisire sulla Terra. Lo stato corporeo e lo stato spirituale sono per lui l'origine di due tipi di progresso correlati l'uno con l'altro; è per questo che passa, alternativamente, nelle esistenze peculiari a ciascuno dei due mondi.
11. La reincarnazione può
aver luogo sulla Terra o su altri mondi. Fra gli altri mondi, ve ne sono
alcuni più avanzati di altri, dove l'esistenza si svolge in condizioni
meno penose che sulla Terra, sia fisicamente che moralmente, ma dove non
sono ammessi che Spiriti giunti a un grado di perfezione relativamente
allo stato di questi mondi.
La vita nei mondi superiori è già una ricompensa, perché qui si è preservati dalle vicissitudini e dai mali ai quali si è esposti sulla Terra. I corpi meno materiali, quasi fluidici, non sono qui soggetti né alle malattie né alle infermità né alle stesse necessità. Essendone i cattivi Spiriti esclusi, gli uomini qui vivono in pace, senza altra preoccupazione che quella del loro avanzamento, per mezzo del lavoro intellettuale. Nei mondi superiori regna la vera fraternità, perché non c'è egoismo; la vera uguaglianza, perché non c'è orgoglio; la vera libertà, perché non ci sono né disordini da reprimere, né ambiziosi che cercano di opprimere il debole. Paragonati alla Terra, questi mondi sono dei veri paradisi; e sono le tappe del cammino del progresso che conduce allo stato definitivo. Essendo la Terra un mondo inferiore destinato alla purificazione degli Spiriti imperfetti, è questa la ragione per cui il male vi domina finché piacerà a Dio farne la dimora di Spiriti più avanzati.
È così che lo Spirito, progredendo gradualmente nella misura in cui si sviluppa, giunge all'apogeo della felicità. Ma, prima d'aver raggiunto il punto culminante della perfezione, egli gode di una felicità relativa al suo avanzamento, così come il bimbo gioisce dei piaceri della prima età, più tardi di quelli della giovinezza e, finalmente, di quelli più concreti dell'età matura.
La vita nei mondi superiori è già una ricompensa, perché qui si è preservati dalle vicissitudini e dai mali ai quali si è esposti sulla Terra. I corpi meno materiali, quasi fluidici, non sono qui soggetti né alle malattie né alle infermità né alle stesse necessità. Essendone i cattivi Spiriti esclusi, gli uomini qui vivono in pace, senza altra preoccupazione che quella del loro avanzamento, per mezzo del lavoro intellettuale. Nei mondi superiori regna la vera fraternità, perché non c'è egoismo; la vera uguaglianza, perché non c'è orgoglio; la vera libertà, perché non ci sono né disordini da reprimere, né ambiziosi che cercano di opprimere il debole. Paragonati alla Terra, questi mondi sono dei veri paradisi; e sono le tappe del cammino del progresso che conduce allo stato definitivo. Essendo la Terra un mondo inferiore destinato alla purificazione degli Spiriti imperfetti, è questa la ragione per cui il male vi domina finché piacerà a Dio farne la dimora di Spiriti più avanzati.
È così che lo Spirito, progredendo gradualmente nella misura in cui si sviluppa, giunge all'apogeo della felicità. Ma, prima d'aver raggiunto il punto culminante della perfezione, egli gode di una felicità relativa al suo avanzamento, così come il bimbo gioisce dei piaceri della prima età, più tardi di quelli della giovinezza e, finalmente, di quelli più concreti dell'età matura.
12. La felicità degli
Spiriti beati non consiste nella oziosità contemplativa, che sarebbe,
come spesso è stato detto, una eterna e intollerabile inutilità. La vita
spirituale, a tutti i suoi livelli, è al contrario una costante
operosità, ma un'operosità esente da fatiche. La suprema felicità
consiste nel godimento di tutti gli splendori della creazione, che
nessun linguaggio umano potrebbe rendere, e che neppure la immaginazione
più feconda saprebbe concepire. Consiste ancora nella conoscenza
profonda di tutte le cose; nell'assenza di ogni sofferenza fisica e
morale; in una intima soddisfazione, in una serenità d'animo che niente
riesce ad alterare; nell'amore puro che unisce tutti gli esseri, grazie
all'assenza di ogni attrito a causa del contatto coi malvagi. Ma la
suprema felicità consiste soprattutto, nella contemplazione di Dio e
nella comprensione dei suoi misteri rivelati ai più degni. Essa consiste
anche nei compiti per i quali si è felici di essere incaricati. I puri
Spiriti sono i Messia o messaggeri di Dio, per la trasmissione e
l'esecuzione delle sue volontà; essi compiono le grandi missioni,
presiedono alla formazione dei mondi e dell'armonia generale
dell'Universo, compito glorioso al quale si giunge solo con la
perfezione. Quelli dell'ordine più elevato sono i soli a possedere i
segreti di Dio, ispirandosi al Suo pensiero, di cui sono i diretti
rappresentanti.
13. Le attribuzioni degli
Spiriti sono proporzionate al loro avanzamento, ai lumi ch'essi
posseggono, alle loro capacità, alla loro esperienza e al grado di
fiducia ch'essi ispirano al Signore sovrano. Qui nessun privilegio,
nessun favore che non sia il premio al merito: tutto è misurato e pesato
sulla bilancia della rigorosa giustizia. Le missioni più importanti
sono affidate solo a quelli che Dio considera adatti a eseguirle, e
incapaci di fallire o di comprometterne i risultati. Mentre, sotto
l'occhio stesso di Dio, i più degni compongono il consiglio supremo, a
capi superiori è affidata la direzione dei vortici planetari; ad altri è
conferita quella dei mondi speciali. Seguono, quindi, secondo l'ordine
dell'avanzamento e della subordinazione gerarchica, le attribuzioni più
limitate di coloro che sono preposti all'evoluzione dei popoli, alla
protezione delle famiglie e degli individui, all'impulso di ogni branca
del progresso, alle diverse operazioni della Natura fino ai più infimi
dettagli della creazione. In questo vasto e armonioso insieme, ci sono
occupazioni per tutte le capacità, per tutte le attitudini, per tutte le
buone volontà; occupazioni accettate con gioia, sollecitate con ardore,
perché sono un mezzo d'avanzamento per gli Spiriti che aspirano a
elevarsi.
14. Accanto alle grandi
missioni affidate agli Spiriti superiori, ce ne sono poi altre, di ogni
grado d'importanza, concesse agli Spiriti di tutti gli ordini; dal che
si può affermare che ogni incarnato ha la sua missione, ha cioè dei
doveri da compiere, per il bene dei suoi simili: dal padre di famiglia,
cui spetta la cura di far progredire i figli, fino all'uomo di genio che
lancia nella società nuovi elementi di progresso. È in queste missioni
secondarie che spesso si verificano delle inadempienze, delle
prevaricazioni, dei rifiuti, ma che pregiudicano solo l'individuo e non
l'insieme.
15. Tutte le intelligenze
concorrono, dunque, all'opera generale, a qualsiasi grado esse siano
giunte, e ciascuna secondo la misura delle sue forze; le une allo stato
d'incarnazione, le altre allo stato di Spirito. Dappertutto, dal basso
fino all'alto della scala, c'è operosità, tutte istruendosi, aiutandosi a
vicenda, prestandosi mutuo appoggio, tendendosi la mano per raggiungere
la sommità.
Così si stabilisce la solidarietà tra il mondo spirituale e il mondo corporeo, in altre parole, tra gli uomini e gli Spiriti, tra gli Spiriti liberi e gli Spiriti prigionieri. Così si perpetuano e si consolidano, attraverso la purificazione e la continuità dei rapporti, le vere simpatie e i nobili affetti.
Dappertutto, dunque, movimento e vita. Non un angolo dell'infinito che non sia popolato; non una regione che non sia incessantemente percorsa da innumerevoli legioni di esseri radiosi, invisibili per i rozzi sensi degli incarnati, ma la cui vista riempie di ammirazione e di gioia le anime liberatesi dalla materia. Dappertutto, infine, c'è una felicità relativa a tutti i progressi, a tutti i doveri compiuti; ciascuno racchiude in sé gli elementi della sua felicità, in ragione della categoria in cui lo colloca il suo grado d'avanzamento.
La felicità attiene alle qualità stesse degli individui, e non allo stato materiale dell'ambiente in cui essi si trovano. La felicità è perciò ovunque ci siano degli Spiriti capaci d'essere felici; nessun posto delimitato le è assegnato nell'Universo. In qualsiasi luogo si trovino, i puri Spiriti possono contemplare la maestà divina, perché Dio è dappertutto.
Così si stabilisce la solidarietà tra il mondo spirituale e il mondo corporeo, in altre parole, tra gli uomini e gli Spiriti, tra gli Spiriti liberi e gli Spiriti prigionieri. Così si perpetuano e si consolidano, attraverso la purificazione e la continuità dei rapporti, le vere simpatie e i nobili affetti.
Dappertutto, dunque, movimento e vita. Non un angolo dell'infinito che non sia popolato; non una regione che non sia incessantemente percorsa da innumerevoli legioni di esseri radiosi, invisibili per i rozzi sensi degli incarnati, ma la cui vista riempie di ammirazione e di gioia le anime liberatesi dalla materia. Dappertutto, infine, c'è una felicità relativa a tutti i progressi, a tutti i doveri compiuti; ciascuno racchiude in sé gli elementi della sua felicità, in ragione della categoria in cui lo colloca il suo grado d'avanzamento.
La felicità attiene alle qualità stesse degli individui, e non allo stato materiale dell'ambiente in cui essi si trovano. La felicità è perciò ovunque ci siano degli Spiriti capaci d'essere felici; nessun posto delimitato le è assegnato nell'Universo. In qualsiasi luogo si trovino, i puri Spiriti possono contemplare la maestà divina, perché Dio è dappertutto.
16. Tuttavia la felicità non
è affatto personale. Se non la si attingesse che in sé stessi, se non
si potesse condividerla con altri, sarebbe cosa tristemente egoista;
tuttavia essa si trova anche nella comunione di idee che unisce tra loro
gli esseri simpatici. Gli Spiriti felici, attirati gli uni verso gli
altri dalla similitudine delle idee, dei gusti e dei sentimenti, formano
vasti gruppi, o famiglie, omogenei, in seno ai quali ogni individualità
irradia le proprie qualità e si pervade degli effluvi sereni e benefici
che vengono emanati dall'insieme. I membri di questo insieme ora si
disperdono per attendere alla loro missione, ora si riuniscono in un
punto qualunque dello Spazio per mettersi vicendevolmente a parte del
risultato dei loro lavori, ora si radunano attorno a uno Spirito di un
ordine più elevato per riceverne consigli e istruzioni.
17. Benché gli Spiriti siano
dappertutto, i mondi sono i centri dove essi si radunano di preferenza,
in virtù dell'analogia che esiste tra loro e quelli che li abitano.
Attorno ai mondi avanzati abbondano gli Spiriti superiori; attorno ai
mondi arretrati pullulano gli Spiriti inferiori.
La Terra è ancora uno di questi ultimi. Ogni globo ha, dunque, praticamente una sua propria popolazione in Spiriti incarnati e disincarnati, che si alimenta, per la maggior parte, attraverso l'incarnazione e la disincarnazione degli Spiriti stessi. Questa popolazione è più stabile nei mondi inferiori dove gli Spiriti sono più attaccati alla materia, ed è più fluttuante nei mondi superiori. Ma da questi mondi, veri centri di luce e di felicità, si distaccano degli Spiriti che vanno verso i mondi inferiori, per seminarvi i germi del progresso, per portarvi la consolazione e la speranza, per risollevare gli animi abbattuti dalle prove della vita. Talvolta vi si incarnano per compiere la loro missione con maggior efficacia.
La Terra è ancora uno di questi ultimi. Ogni globo ha, dunque, praticamente una sua propria popolazione in Spiriti incarnati e disincarnati, che si alimenta, per la maggior parte, attraverso l'incarnazione e la disincarnazione degli Spiriti stessi. Questa popolazione è più stabile nei mondi inferiori dove gli Spiriti sono più attaccati alla materia, ed è più fluttuante nei mondi superiori. Ma da questi mondi, veri centri di luce e di felicità, si distaccano degli Spiriti che vanno verso i mondi inferiori, per seminarvi i germi del progresso, per portarvi la consolazione e la speranza, per risollevare gli animi abbattuti dalle prove della vita. Talvolta vi si incarnano per compiere la loro missione con maggior efficacia.
18. In questa immensità
senza limiti, dove sta dunque il Cielo? In ogni parte. Nessuna
recinzione ne traccia i limiti. I mondi felici sono le ultime stazioni
che conducono lì; le virtù ne spianano il cammino, i vizi ne interdicono
l'accesso.
Di fronte a questo quadro grandioso, che popola tutti gli angoli dell'Universo, che dà a tutte le cose della Creazione un fine e una ragion d'essere, come piccola e meschina è la dottrina che circoscrive l'Umanità su un punto impercettibile dello Spazio, che ce la mostra come se iniziasse a un determinato istante per finire egualmente un giorno insieme al mondo che la contiene, non abbracciando così che un minuto nell'eternità! Come questa dottrina è triste, fredda e glaciale, quando ci descrive il resto dell'Universo prima, durante e dopo l'Umanità terrestre, senza vita, senza movimento, come un immenso deserto immerso nel silenzio! Come questa dottrina è deprimente, con il ritratto ch'essa fa dell'esiguo numero degli eletti votati alla contemplazione perpetua, mentre la maggior parte delle creature è condannata a sofferenze senza fine! Come essa è, per i cuori sensibili, lacerante con l'idea di questa barriera ch'essa pone tra i morti e i vivi! Le anime felici, dicono, non pensano che alle loro felicità; quelle che sono infelici alle loro sofferenze. E c'è forse da stupirsi se l'egoismo regna sulla Terra, quando lo si mostra già nel Cielo? Quanto è allora gretta l'idea che questa dottrina dà della grandezza, della potenza e della bontà di Dio!
Quanto è sublime, al contrario, quella che ne dà lo Spiritismo! Quanto la sua dottrina approfondisce le idee, quanto amplia la mente! Ma chi dice che essa è vera? La Ragione prima di tutto, la Rivelazione in seguito, e poi la sua concordanza con i progressi della Scienza. Tra due dottrine, delle quali l'una sminuisce e l'altra esalta gli attributi di Dio, delle quali l'una resta indietro e l'altra marcia in avanti, il buon senso dice da quale parte sta la verità. Che di fronte alle due ciascuno nel suo intimo interroghi le sue aspirazioni, e una voce interiore gli risponderà. Le aspirazioni sono la voce di Dio, e Dio non può ingannare gli uomini.
Di fronte a questo quadro grandioso, che popola tutti gli angoli dell'Universo, che dà a tutte le cose della Creazione un fine e una ragion d'essere, come piccola e meschina è la dottrina che circoscrive l'Umanità su un punto impercettibile dello Spazio, che ce la mostra come se iniziasse a un determinato istante per finire egualmente un giorno insieme al mondo che la contiene, non abbracciando così che un minuto nell'eternità! Come questa dottrina è triste, fredda e glaciale, quando ci descrive il resto dell'Universo prima, durante e dopo l'Umanità terrestre, senza vita, senza movimento, come un immenso deserto immerso nel silenzio! Come questa dottrina è deprimente, con il ritratto ch'essa fa dell'esiguo numero degli eletti votati alla contemplazione perpetua, mentre la maggior parte delle creature è condannata a sofferenze senza fine! Come essa è, per i cuori sensibili, lacerante con l'idea di questa barriera ch'essa pone tra i morti e i vivi! Le anime felici, dicono, non pensano che alle loro felicità; quelle che sono infelici alle loro sofferenze. E c'è forse da stupirsi se l'egoismo regna sulla Terra, quando lo si mostra già nel Cielo? Quanto è allora gretta l'idea che questa dottrina dà della grandezza, della potenza e della bontà di Dio!
Quanto è sublime, al contrario, quella che ne dà lo Spiritismo! Quanto la sua dottrina approfondisce le idee, quanto amplia la mente! Ma chi dice che essa è vera? La Ragione prima di tutto, la Rivelazione in seguito, e poi la sua concordanza con i progressi della Scienza. Tra due dottrine, delle quali l'una sminuisce e l'altra esalta gli attributi di Dio, delle quali l'una resta indietro e l'altra marcia in avanti, il buon senso dice da quale parte sta la verità. Che di fronte alle due ciascuno nel suo intimo interroghi le sue aspirazioni, e una voce interiore gli risponderà. Le aspirazioni sono la voce di Dio, e Dio non può ingannare gli uomini.
19. Ma allora perché Dio,
fin dal principio, non ha rivelato loro tutta la verità? Per la medesima
ragione per cui non si insegna al bambino ciò che va insegnato in età
matura. La Rivelazione limitata è stata sufficiente durante un certo
periodo dell'Umanità: Dio la commisura alle forze dello Spirito. Coloro
che ricevono oggi una Rivelazione più completa sono i medesimi Spiriti che ne hanno già ricevuta una parziale in altri tempi, ma che da allora si sono intellettualmente elevati.
Prima che la Scienza rivelasse agli uomini le forze vive della Natura, la costituzione degli astri, il vero molo e la formazione della Terra, avrebbero potuto essi comprendere l'immensità dello Spazio e la pluralità dei mondi? Prima che la Geologia comprovasse la formazione della Terra, avrebbero gli uomini potuto far sloggiare l'inferno dal loro animo, e comprendere il senso allegorico dei sei giorni della Creazione? Prima che l'Astronomia avesse scoperto le leggi che reggono l'Universo, avrebbero essi potuto comprendere che non esiste né alto né basso nello Spazio, che il cielo non sta al disopra delle nuvole né è limitato dalle stelle? Prima dei progressi della scienza psicologica, avrebbero essi potuto identificarsi con la vita spirituale? Avrebbero essi potuto concepire, dopo la morte, una vita felice o infelice, anziché in un luogo circoscritto e sotto una forma materiale? No. Comprendendo più attraverso i sensi che attraverso il pensiero, l'Universo era troppo vasto per la loro mente. Bisognava ridurlo a delle proporzioni meno estese, per sottoporlo al loro punto di vista, per estenderlo più tardi. Una rivelazione parziale aveva la sua utilità; essa era saggia allora, così come è insufficiente al giorno d'oggi. Il torto è di coloro che, non tenendo affatto conto del progresso delle idee, credono di poter governare degli uomini intellettivamente maturi con le briglie dell'infanzia (vedere Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. III).
Prima che la Scienza rivelasse agli uomini le forze vive della Natura, la costituzione degli astri, il vero molo e la formazione della Terra, avrebbero potuto essi comprendere l'immensità dello Spazio e la pluralità dei mondi? Prima che la Geologia comprovasse la formazione della Terra, avrebbero gli uomini potuto far sloggiare l'inferno dal loro animo, e comprendere il senso allegorico dei sei giorni della Creazione? Prima che l'Astronomia avesse scoperto le leggi che reggono l'Universo, avrebbero essi potuto comprendere che non esiste né alto né basso nello Spazio, che il cielo non sta al disopra delle nuvole né è limitato dalle stelle? Prima dei progressi della scienza psicologica, avrebbero essi potuto identificarsi con la vita spirituale? Avrebbero essi potuto concepire, dopo la morte, una vita felice o infelice, anziché in un luogo circoscritto e sotto una forma materiale? No. Comprendendo più attraverso i sensi che attraverso il pensiero, l'Universo era troppo vasto per la loro mente. Bisognava ridurlo a delle proporzioni meno estese, per sottoporlo al loro punto di vista, per estenderlo più tardi. Una rivelazione parziale aveva la sua utilità; essa era saggia allora, così come è insufficiente al giorno d'oggi. Il torto è di coloro che, non tenendo affatto conto del progresso delle idee, credono di poter governare degli uomini intellettivamente maturi con le briglie dell'infanzia (vedere Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. III).
Capitolo IV - L'INFERNO
Intuizione delle pene future
1.
In tutti i tempi l'uomo ha creduto, per intuizione, che la vita
futuradovesse essere felice o infelice, a seconda del bene o del male
che fosse stato fatto sulla Terra. Però, l'idea ch'egli se ne fa è in
rapporto con lo sviluppo del suo senso morale e con le nozioni più o
meno giuste ch'egli ha del bene e del male. Le pene e le ricompense sono
il riflesso dei suoi istinti predominanti. Così, i popoli guerrieri
pongono la loro suprema felicità negli onori resi alla loro destrezza; i
popoli cacciatori, nell'abbondanza della selvaggina; i popoli sensuali,
nelle delizie della voluttà.
L'uomo tanto è dominato dalla materia che non può comprendere la spiritualità se non imperfettamente, ed è per questo che delle pene e delle gioie future si fa un quadro più materiale che spirituale. Egli immagina che nell'altro mondo si debba mangiare e bere, ma meglio che sulla Terra, e cose più buone. [1] Solo più tardi, nelle credenze che riguardano la vita futura, s'incontra un misto di spiritualismo e materialismo; è così che accanto alla beatitudine contemplativa si colloca un inferno con delle torture fisiche.
-------------------------
[1] Un fanciullo della Savoia, a cui il suo parroco stava facendo un quadro allettante della vita futura, domandò se tutti là avrebbero mangiato pane bianco come mangiavano i Parigini.
-------------------------
L'uomo tanto è dominato dalla materia che non può comprendere la spiritualità se non imperfettamente, ed è per questo che delle pene e delle gioie future si fa un quadro più materiale che spirituale. Egli immagina che nell'altro mondo si debba mangiare e bere, ma meglio che sulla Terra, e cose più buone. [1] Solo più tardi, nelle credenze che riguardano la vita futura, s'incontra un misto di spiritualismo e materialismo; è così che accanto alla beatitudine contemplativa si colloca un inferno con delle torture fisiche.
-------------------------
[1] Un fanciullo della Savoia, a cui il suo parroco stava facendo un quadro allettante della vita futura, domandò se tutti là avrebbero mangiato pane bianco come mangiavano i Parigini.
-------------------------
2. Non potendo comprendere
se non ciò che vede, l'uomo primitivo ha naturalmente modellato il suo
futuro sul presente. Per concepire dei futuri d'altro genere, al di là
di quelli che aveva sotto gli occhi, era necessario uno sviluppo
intellettivo che si sarebbe raggiunto solo col tempo. Anche il quadro
ch'egli si fa dei castighi della vita futura non è che il riflesso dei
mali dell'Umanità, ma in più vaste proporzioni. Egli vi ha riunito tutte
le torture, tutti i supplizi, tutte le afflizioni che incontra sulla
Terra. Ed è così che nei climi roventi ha immaginato un inferno di
fuoco, nei paesi boreali un inferno di gelo. Non essendo ancora
sviluppato il senso che avrebbe dovuto più tardi fargli comprendere il
mondo spirituale, egli non poteva concepire che delle pene materiali; è
per questo che, tranne alcune differenze di forma, gli inferni di tutte
le religioni si assomigliano.
L'inferno cristiano a imitazione dell'inferno pagano
3. L'inferno
dei pagani, descritto e drammatizzato dai poeti, è stato il modello più
grandioso del genere; esso si è perpetuato in quello dei cristiani, che
ha avuto anch'esso i suoi cantori e i suoi poeti. Confrontandoli, vi si
ritrovano, salvo i nomi e qualche variante nei dettagli, numerose
analogie: nell'uno e nell'altro, il fuoco materiale è la base dei
tormenti, poiché è il simbolo delle più crudeli sofferenze. Ma, cosa
strana, i cristiani hanno, su molti punti, esagerato rispetto
all'inferno dei pagani. Se questi ultimi avevano nel loro inferno la
botte delle Danaidi, la ruota di Issione, il macigno di Sisifo, questi
erario dei supplizi individuali. L'inferno cristiano ha per tutti le sue
caldaie bollenti, i cui coperchi vengono sollevati dagli angeli per
osservare le contorsioni dei dannati; [2] Dio ascolta senza pietà gli
urli di costoro per l'eternità. Mai i pagani hanno descritto gli
abitanti degli Champs Elysèes mentre dilettano la loro vista con i
supplizi del Tartaro. [3]
Era di fuoco la ruota di Issione, re dei Lapiti, condannato nell'inferno a girare senza posa, legato a essa con serpi. Narra la leggenda che, dopo aver ucciso il suocero, purificatosi, fu ospitato nell'Olimpo da Zeus. Ma nell'Olimpo tradì Zeus tentando di approfittare della moglie Era.
Il macigno di Sisifo fa riferimento alla leggenda, nota come "Il supplizio di Sisifo", secondo la quale Sisifo, figlio di Eolo, è condannato nell'oltretomba a spingere eternamente sulla cima di un monte un masso che rotola continuamente giù.
-------------------------
[2] Sermone tenuto a Montpellier nel 1860.
[3] "I beati, senza abbandonare il posto ch'essi occupano, potranno tuttavia allontanarsene in una certa maniera, in ragione del loro dono d'intelligenza e di vista distinta, al fine di considerare le torture dei dannati. E, vedendole, non solo essi non ne proveranno alcun dolore, ma ne saranno colmi di gioia e renderanno grazie a Dio per la loro stessa felicità, assistendo all'ineffabile disgrazia degli empi." (san Tommaso d'Aquino)
-------------------------
Era di fuoco la ruota di Issione, re dei Lapiti, condannato nell'inferno a girare senza posa, legato a essa con serpi. Narra la leggenda che, dopo aver ucciso il suocero, purificatosi, fu ospitato nell'Olimpo da Zeus. Ma nell'Olimpo tradì Zeus tentando di approfittare della moglie Era.
Il macigno di Sisifo fa riferimento alla leggenda, nota come "Il supplizio di Sisifo", secondo la quale Sisifo, figlio di Eolo, è condannato nell'oltretomba a spingere eternamente sulla cima di un monte un masso che rotola continuamente giù.
-------------------------
[2] Sermone tenuto a Montpellier nel 1860.
[3] "I beati, senza abbandonare il posto ch'essi occupano, potranno tuttavia allontanarsene in una certa maniera, in ragione del loro dono d'intelligenza e di vista distinta, al fine di considerare le torture dei dannati. E, vedendole, non solo essi non ne proveranno alcun dolore, ma ne saranno colmi di gioia e renderanno grazie a Dio per la loro stessa felicità, assistendo all'ineffabile disgrazia degli empi." (san Tommaso d'Aquino)
-------------------------
4.
Come i pagani, anche i cristiani hanno il loro re degli inferni, che è
Satana. Ma con una differenza. Plutone si limitava a governare il cupo
impero che gli era toccato in sorte, ma non era malvagio. Egli
tratteneva nei suoi domini quelli che avevano commesso il male, poiché
questa era la sua missione; ma non cercava affatto di indurre gli uomini
al male per darsi il piacere di farli soffrire. Satana, invece, recluta
dappertutto delle vittime ch'egli si diverte a far tormentare dalle sue
legioni di demoni, armati di forconi per rivoltarli nel fuoco. Si è
molto seriamente discusso sulla natura di questo fuoco, che brucia senza
tregua i dannati senza mai consumarli; ci si è chiesti se per caso non
si trattasse di un fuoco di bitume. [4] L'inferno cristiano non è dunque
affatto inferiore all'inferno pagano.
-------------------------
[4] Sermone tenuto a Parigi nel 1861.
-------------------------
5. Le medesime
considerazioni che, presso gli Antichi, avevano fatto localizzare il
regno della felicità, avevano anche reso possibile circoscrivere il
luogo dei supplizi. Avendo gli uomini collocato il primo nelle regioni
superiori, era naturale collocare il secondo nei luoghi inferiori, vale a
dire nel centro della Terra, al quale si credeva che certe cavità,
oscure e dall'aspetto terribile, servissero da accesso. Ed è qui che
anche i cristiani hanno per lungo tempo collocato la dimora dei reprobi.
Notiamo ancora, a questo riguardo, un'altra analogia.
L'inferno dei pagani racchiudeva da un lato gli Champs Elysèes e dall'altro il Tartaro; l'Olimpo, dimora degli dei e degli uomini divinizzati, si trovava nelle regioni superiori. Secondo la lettera del Vangelo, Gesù discese agli inferi, vale a dire nei luoghi bassi, per trarne le anime dei giusti che attendevano la Sua venuta. Gli inferni non erano dunque soltanto un luogo di supplizio; come presso i pagani, essi si trovavano anche nei luoghi bassi. Così come l'Olimpo, la dimora degli angeli e dei santi, si trovava nei luoghi elevati; e lo si era collocato al di là del cielo stellare, che era creduto limitato.
L'inferno dei pagani racchiudeva da un lato gli Champs Elysèes e dall'altro il Tartaro; l'Olimpo, dimora degli dei e degli uomini divinizzati, si trovava nelle regioni superiori. Secondo la lettera del Vangelo, Gesù discese agli inferi, vale a dire nei luoghi bassi, per trarne le anime dei giusti che attendevano la Sua venuta. Gli inferni non erano dunque soltanto un luogo di supplizio; come presso i pagani, essi si trovavano anche nei luoghi bassi. Così come l'Olimpo, la dimora degli angeli e dei santi, si trovava nei luoghi elevati; e lo si era collocato al di là del cielo stellare, che era creduto limitato.
6. Questo miscuglio di idee
pagane e di idee cristiane non ha niente che debba sorprendere. Gesù non
poteva distruggere tutto d'un colpo delle credenze così radicate.
Mancavano agli uomini le conoscenze necessarie per concepire l'infinito
dello spazio e il numero infinito dei mondi; per loro il centro
dell'Universo era la Terra; essi non ne conoscevano né la forma né la
struttura interna; tutto era limitato dal loro punto di vista; le loro
nozioni del futuro non potevano estendersi al di là delle loro
conoscenze. Gesù si trovava dunque nell'impossibilità di iniziarli al
vero stato delle cose. Ma, d'altra parte, non volendo con la sua
autorità convalidare i pregiudizi incontrati, egli se ne astenne,
lasciando al tempo il compito di rettificare le idee. Egli si limitò a
parlare vagamente della vita felice e dei castighi che attendono i
colpevoli; ma in nessuna parte dei suoi insegnamenti si trova il quadro
dei supplizi corporali, dei quali i cristiani hanno fatto un articolo di
fede.
Ecco come le idee sull'inferno pagano si sono perpetuate giungendo fino ai nostri giorni. È stata necessaria la diffusione dei lumi dei tempi moderni e lo sviluppo generale dell'intelligenza umana per farne giustizia. Siccome, però, a quei preconcetti non era stato sostituito niente di positivo, al lungo periodo d'una cieca credenza, è succeduto, come transizione, il periodo della miscredenza, al quale porrà termine la Nuova Rivelazione.
Era necessario distruggere prima di ricostruire, dal momento che è più facile far accettare delle idee giuste a quelli che non credono in niente — poiché sentono che manca loro qualcosa —, piuttosto che a quelli che hanno una salda fede in ciò che è assurdo.
Ecco come le idee sull'inferno pagano si sono perpetuate giungendo fino ai nostri giorni. È stata necessaria la diffusione dei lumi dei tempi moderni e lo sviluppo generale dell'intelligenza umana per farne giustizia. Siccome, però, a quei preconcetti non era stato sostituito niente di positivo, al lungo periodo d'una cieca credenza, è succeduto, come transizione, il periodo della miscredenza, al quale porrà termine la Nuova Rivelazione.
Era necessario distruggere prima di ricostruire, dal momento che è più facile far accettare delle idee giuste a quelli che non credono in niente — poiché sentono che manca loro qualcosa —, piuttosto che a quelli che hanno una salda fede in ciò che è assurdo.
7. Con
la localizzazione del cielo e dell'inferno, le sette cristiane sono
state indotte a non ammettere per le anime che due estreme situazioni:
la felicità perfetta e la sofferenza assoluta. Il purgatorio non è che
una posizione intermediaria momentanea: all'uscita da qui le anime
passano, senza altre transizioni, nel regno dei beati. Né potrebbe
essere altrimenti, data la credenza nella sorte definitiva dell'anima
dopo la morte.
Se ci sono due regni, quello degli eletti e quello dei reprobi, non si possono ammettere più gerarchie in ciascuno di essi senza ammettere la possibilità di superarle e ammettere, di conseguenza, il progresso. Orbene, se c'è un progresso, non c'è una sorte definitiva; se c'è una sorte definitiva, non c'è progresso. Gesù risolse la questione quando disse: "Ci sono molte dimore nella casa di mio Padre". [5]
Se ci sono due regni, quello degli eletti e quello dei reprobi, non si possono ammettere più gerarchie in ciascuno di essi senza ammettere la possibilità di superarle e ammettere, di conseguenza, il progresso. Orbene, se c'è un progresso, non c'è una sorte definitiva; se c'è una sorte definitiva, non c'è progresso. Gesù risolse la questione quando disse: "Ci sono molte dimore nella casa di mio Padre". [5]
-------------------------
[5] Il Vangelo Secondo lo Spiritismo, cap. III.
I limbi
8. La Chiesa ammette, è
vero, una posizione speciale in certi casi particolari. I bambini morti
in tenera età, non avendo affatto commesso del male, non possono essere
condannati al fuoco eterno; d'altronde non avendo affatto compiuto del
bene, non hanno diritto alla suprema felicità. Essi si trovano allora,
dice la Chiesa, nei limbi, situazione mista
che non è mai stata definita, nella quale se non soffrono, neppure
godono della perfetta felicità. Ma, poiché la loro sorte è
irrevocabilmente fissata, essi sono privati di questa felicità in
eterno. Questa privazione, dal momento che non è dipesa da loro, poiché
diversamente avvenne, equivale a un supplizio eterno immeritato. La
medesima cosa avviene per quanto riguarda i selvaggi, i quali, non
avendo ricevuta né la grazia del battesimo né i lumi della religione,
peccano per ignoranza, abbandonandosi ai loro istinti naturali. Essi,
quindi, non possono avere né la colpa né i meriti di coloro che hanno
potuto agire con cognizione di causa. La semplice logica respinge una
simile dottrina nel nome della giustizia di Dio. La giustizia di Dio è
integralmente contenuta in queste parole del Cristo: "A ciascuno secondo le sue opere". Ma
bisogna intendere: opere buone o cattive, che si compiono liberamente e
volontariamente, le uniche che comportino responsabilità, la qual cosa
non rientra nel caso né del bambino né del selvaggio né di colui dal
quale non è dipeso d'essere illuminato.
Quadro dell'inferno pagano
9. Noi, quasi, non
conosciamo l'inferno pagano se non attraverso la narrazione dei poeti.
Omero e Virgilio ne hanno dato la descrizione più completa, ma bisogna
tener conto delle necessità che la poesia impone alla forma. La
descrizione di Fenelon, nel suo Telèmaque,
benché attinta alla medesima fonte riguardo alle credenze fondamentali,
possiede la semplicità più precisa della prosa. Descrivendo l'aspetto
lugubre dei luoghi, egli si preoccupa soprattutto di mettere in rilievo
il genere di sofferenze che sopportano i colpevoli, e, s'egli si
sofferma molto sulla sorte dei cattivi re, ciò è in vista
dell'istruzione del suo regio allievo. Per quanto popolare sia la sua
opera, molti senza dubbio non hanno ben presente alla memoria questa
descrizione, o forse non vi hanno riflettuto abbastanza da poter
stabilire un confronto. È per questo che crediamo utile riprodurne le
parti che hanno un rapporto più diretto con l'argomento di cui ci
occupiamo, quelle cioè che concernono specialmente le pene individuali.
10. «Entrando, Telemaco ode i
gemiti inconsolabili di un'ombra. "Qual è dunque — gli chiede — la
vostra disgrazia? Chi eravate sulla Terra?" "Io ero — gli risponde
questa ombra — Nabofarzan, re della superba Babilonia; tutti i popoli
d'Oriente tremavano al solo sentir pronunciare il mio nome; io mi facevo
adorare dai Babilonesi in un tempio di marmo dove ero rappresentato da
una statua d'oro, davanti alla quale si bruciavano notte e giorno i
preziosi profumi d'Etiopia; nessuno osò mai contraddirmi senza essere
immediatamente punito; ogni giorno si inventavano nuovi piaceri per
rendermi più deliziosa la vita. Io ero ancora giovane e forte, e, ohimè,
quanta prosperità mi restava ancora da godere sul trono! Ma una donna
che io amavo, e da cui non ero riamato, mi ha chiaramente fatto sentire
che io non ero un dio: essa mi ha avvelenato. Io non sono più niente.
Ieri, con grande pompa, le mie ceneri sono state messe in un'urna d'oro;
si è pianto, ci si è strappati i capelli; si è finto di volersi gettare
nelle fiamme del mio rogo per morire con me; si va ancora a gemere ai
piedi del superbo monumento funebre in cui sono state poste le mie
ceneri; ma nessuno mi rimpiange; della mia memoria ha orrore anche la
mia famiglia, mentre quaggiù io soffro già orribili supplizi."
Telemaco, toccato da questo spettacolo, gli chiede: "Eravate veramente felice durante il vostro regno? Sentivate quella dolce pace senza la quale il cuore si trova sempre oppresso e abbattuto in mezzo ai piaceri?" "No — risponde il Babilonese —, io non so neppure che cosa intendiate dire. I saggi, vantano questa pace come se fosse l'unico bene: per quanto mi riguarda, io non l'ho mai sentita; il mio cuore era agitato continuamente da nuovi desideri, dal timore e dalla speranza. Io cercavo di stordirmi con lo sconvolgimento delle mie passioni; mi preoccupavo di trattenere questa ebbrezza per renderla continua: il minimo intervallo di calma e di ragione mi sarebbe stato troppo amaro. Ecco la pace di cui ho goduto; ogni altra mi sarebbe sembrata una favola, un sogno; ecco i beni che rimpiango".
Così parlando, il Babilonese piangeva come un vigliacco, infiacchito dalla prosperità e per nulla avvezzo a sopportare con forza d'animo una disgrazia. Egli aveva accanto a sé alcuni schiavi che erano stati fatti morire per onorare i suoi funerali. Mercurio li aveva affidati a Caronte con il loro re e aveva dato loro un potere assoluto su questo re che essi avevano servito sulla Terra. Queste ombre di schiavi non temevano più l'ombra di Nabofarzan; esse la tenevano incatenata, infliggendole gli affronti più crudeli. Le diceva una: "Non eravamo noi forse uomini uguali a te? Come hai potuto essere così insensato da crederti un dio? Non dovevi forse ricordarti che appartenevi alla razza degli altri uomini?" Gli diceva un'altra ombra per insultarlo: "Ma avevi ragione a non volere che ti si prendesse per un uomo, perché tu eri un mostro senza umanità". Un'altra ancora gli diceva: "Ebbene, dove sono ora i tuoi tirapiedi? Non hai più niente da dare, disgraziato! Non puoi fare più alcun male; eccoti divenuto schiavo dei tuoi stessi schiavi! Sono lenti gli dei a far giustizia, ma alla fine la fanno".
A queste dure parole, Nabofarzan si buttava faccia a terra, strappandosi i capelli in un accesso di rabbia e di disperazione. Ma Caronte diceva agli schiavi: "Trascinatelo con la sua catena. Rimettetelo in piedi a tutti i costi. Egli non avrà neppure la consolazione di nascondere la sua vergogna. Bisogna che tutte le ombre dello Stige ne siano testimoni, per giustificare gli dei, i quali hanno tollerato per così lungo tempo che questo empio regnasse sulla Terra".
Egli vide subito, molto vicino a sé, il nero Tartaro. Da esso esalava un fumo nero e denso, il cui odore mefitico avrebbe dato la morte se si fosse diffuso nelle dimore dei viventi. Questo fumo avvolgeva un fiume di fuoco e vortici di fiamme, il cui rumore, simile a quello dei torrenti più impetuosi quando si gettano dalle rocce più alte nei profondi abissi, faceva sì che non si potesse intendere distintamente nulla in quei tristi luoghi.
Telemaco, segretamente incoraggiato da Minerva, entrò senza timore in questo baratro. Si accorse per prima cosa di un grande numero di uomini che avevano vissuto nelle più umili condizioni, e che venivano puniti per essersi procurati il denaro con frodi, tradimenti e crudeltà. Lì notò molti empi ipocriti i quali, fingendo di amare la religione, se ne erano serviti come di un bel pretesto per soddisfare la loro ambizione e divertirsi alle spalle degli uomini creduloni. Questi uomini che avevano abusato della Virtù stessa — quantunque essa sia il più grande dono degli dei — venivano puniti come i più scellerati di tutti gli uomini. I figli che avevano sgozzato i loro padri e le loro madri, le spose che avevano le mani intrise del sangue dei loro mariti, gli infedeli che avevano tradito la loro patria, dopo aver violato ogni giuramento, tutti costoro soffrivano pene meno crudeli di quegli ipocriti. I tre giudici degli inferni avevano così voluto, ed eccone le ragioni: accade che questi ipocriti non si accontentano di essere malvagi come il resto degli empi; essi vogliono, per di più, passare per buoni e fanno sì, con la loro falsa virtù che gli uomini non osino più fidarsi della verità. Gli dei, di cui essi si sono beffati, rendendoli spregevoli agli occhi degli uomini, godono nell'impiegare tutta la loro potenza per vendicarsi dei loro oltraggi.
Dopo costoro compaiono altri uomini, che comunemente non sono quasi ritenuti colpevoli, ma che la vendetta divina perseguita spietatamente: sono gli ingrati, i mentitori, gli adulatori che hanno lodato il vizio; i critici perversi che hanno cercato di macchiare la più pura delle virtù; e, infine, coloro che hanno giudicato temerariamente cose che non conoscevano a fondo, e che, di conseguenza, hanno nociuto alla reputazione degli innocenti.
Telemaco, vedendo i tre giudici, che erano seduti e che stavano condannando un uomo, osò domandare loro quali fossero i suoi crimini. Immediatamente il condannato, prendendo la parola gridò: "Io non ho mai fatto alcun male; io ho profusa tutta la mia gioia nel fare il bene; io sono stato generoso, liberale, giusto, sensibile. Di che cosa dunque mi si può rimproverare?" "Niente ti si rimprovera nei riguardi degli uomini; ma tu a questi non dovevi meno che agli dei? Qual è dunque questa giustizia di cui ti fai vanto? Tu non hai mancato ad alcun dovere verso gli uomini, che nulla sono; tu sei stato virtuoso, ma hai rapportato ogni tua virtù a te stesso e non agli dei che te l'avevano data. Infatti tu volevi gioire del frutto della tua stessa virtù e chiuderti in te stesso: tu sei stato la tua divinità. Ma gli dei, che hanno fatto tutto, e che non l'hanno fatto che per sé stessi, non possono rinunciare ai loro diritti. Tu hai dimenticato loro, ed essi dimenticheranno te. E poiché tu hai voluto appartenere a te stesso e non a loro, essi ti abbandoneranno a te stesso. Se ti riesce, dunque, cerca ora la tua consolazione nel tuo stesso cuore. Eccoti per sempre separato dagli uomini ai quali tu hai voluto piacere; eccoti solo con te stesso, tu che eri il tuo idolo. Sappi che non c'è vera virtù senza il rispetto e l'amore per gli dei, ai quali tutto è dovuto. La tua falsa virtù, che per lungo tempo ha abbagliato gli uomini, quelli facili da ingannare, sta per essere umiliata. Gli uomini, giudicando vizi e virtù solo per quanto loro disturba o conviene, sono ciechi sia per quanto riguarda il bene sia per quanto riguarda il male. Qui, una luce divina rovescia tutti i loro superficiali giudizi; spesso condanna ciò ch'essi ammirano e giustifica ciò che essi condannano".
A tali parole, questo filosofo, come colpito da un fulmine, non riusciva più a sopportarsi. Il compiacimento, ch'egli aveva provato le altre volte nel contemplare la sua moderazione, il suo coraggio e le sue inclinazioni generose, si tramuta in disperazione. La visione del suo stesso cuore, nemico degli dei, diventa il suo supplizio; egli si vede e non può smettere di vedersi; egli vede la vacuità dei giudizi degli uomini, ai quali ha voluto piacere in tutte le sue azioni. Una radicale rivoluzione avviene in tutto il suo intimo, come se gli si fossero sconvolte tutte le viscere; egli non si trova più lo stesso; gli manca nel suo cuore ogni sostegno; la sua coscienza, la cui testimonianza gli era sempre stata così dolce, si leva contro di lui e gli rimprovera amaramente la stravaganza e l'illusione di tutte le sue virtù, che non hanno affatto avuto il culto della Divinità né al principio né alla fine. Egli è sconvolto, costernato, pieno di vergogna, di rimorsi e di disperazione. Le Furie non lo tormentano più, perché è bastato loro l'averlo abbandonato a sé stesso, e perché espii la vendetta degli dei da lui disprezzati, con il suo cuore stesso. Egli cerca i luoghi più oscuri per nascondersi agli altri morti, non potendo nascondersi a sé stesso. Egli cerca le tenebre e non può trovarle; una luce importuna lo segue dappertutto, i raggi penetranti della verità si dirigono ovunque per vendicare la verità ch'egli disdegnò di seguire. Tutto ciò ch'egli ha amato gli diventa odioso, poiché è la fonte dei suoi mali, che mai potranno finire. Dice a sé stesso: "Oh, insensato! Io, dunque, non ho conosciuto né gli dei, né gli uomini, né me stesso! No! Io non ho conosciuto niente, poiché non ho mai amato l'unico vero bene; tutti i miei passi sono stati passi falsi; la mia saggezza non era che follia; la mia virtù non era che un orgoglio empio e cieco; io, io ero l'idolo di me stesso.
Alla fine Telemaco riconobbe i re che erano stati condannati per abuso di potere. Da un lato una Furia vendicatrice presentava loro uno specchio che mostrava tutta la deformità dei loro vizi: qui essi vedevano — e non potevano impedirsi di vedere — la loro rozza vanità, avida delle più meschine lusinghe; la loro crudeltà verso gli uomini, cui essi avrebbero dovuto procurare la felicità; la loro indifferenza per la virtù; la loro paura di ascoltare la verità; la loro predilezione per gli uomini vili e adulatori; la loro inettitudine, la loro fiacchezza, la loro indolenza, la loro diffidenza male indirizzata; i loro fasti e sfarzi eccessivi creati sulla rovina dei popoli; la loro ambizione per conquistare un po' di vana gloria a prezzo del sangue dei loro concittadini; infine, la loro crudeltà che, ogni giorno, cerca nuove delizie fra le lacrime e la disperazione di tanti infelici. Essi si vedevano senza tregua in questo specchio. E si trovavano più orribili e più mostruosi di quanto non fosse la Chimera vinta da Bellerofonte, o l'Idra di Lerna abbattuta da Ercole, o il Cerbero stesso, che pure vomitava dalle sue tre bocche spalancate un sangue nero e velenoso che sarebbe stato in grado di appestare tutta la razza dei mortali che vivono sulla Terra.
Nel medesimo tempo, dall'altro lato, un'altra Furia ripeteva loro ingiuriosamente tutte le lusinghe che gli adulatori avevano loro dispensato durante la vita e li muniva di un altro specchio, dove essi si vedevano come l'adulazione li aveva dipinti. Nel confronto tra questi due opposti ritratti consisteva il supplizio della loro vanità. Si poteva osservare che i più malvagi tra questi re erano quelli che erano stati oggetto delle più grandi e fulgide lusinghe durante la vita. I peggiori, infatti, sono più temuti dei buoni ed esigono senza alcun ritegno le vili adulazioni dei poeti e degli oratori del loro tempo.
Li si sente gemere in quelle profonde tenebre, dove possono solo vedere gli oltraggi e le irrisioni che devono sopportare. Intorno a loro non vi è nulla che non li respinga, che non li contraddica, che non li confonda; sulla Terra invece si prendevano gioco della vita degli uomini e pretendevano che tutto fosse fatto per essere serviti. Nel Tartaro, essi sono alla mercé di alcuni schiavi, i quali fanno loro provare, a loro volta, una crudele schiavitù; essi servono con dolore e non hanno alcuna speranza di poter mai addolcire la loro prigionia; sono sotto i colpi di questi schiavi, divenuti loro implacabili tiranni, come l'incudine sotto i colpi dei martelli dei Ciclopi, quando Vulcano li costringe a lavorare nelle fornaci incandescenti del monte Etna.
Qui, Telemaco vide volti pallidi, orrendi e terrorizzati. Sono rosi da una lugubre tristezza questi criminali e non possono spogliarsi di questo orrore non più di quanto della loro stessa natura. Essi non hanno bisogno d'altro castigo per le loro colpe, se non delle loro stesse colpe; le vedono senza tregua in tutta la loro enormità; esse si presentano loro come orribili spettri e li perseguitano. Per sottrarsi a questa persecuzione, essi cercano una morte ancora più potente di quella che li ha separati dal corpo. Nella disperazione in cui si trovano, essi invocano il soccorso di una morte che possa estinguere in loro ogni sentimento e ogni consapevolezza. Essi chiedono agli abissi di inghiottirli, per sottrarsi così ai raggi vendicatori della verità che li perseguita, ma essi sono destinati alla vendetta, che stilla su di loro goccia a goccia e che non inaridirà mai. La verità, che essi hanno paura di vedere, diventa il loro supplizio, la vedono e non hanno occhi che per vederla ergersi contro di loro: la sua vista li perfora, li strazia, li sradica da sé stessi; essa è come la folgore; senza nulla distruggere esteriormente, li penetra fino in fondo alle viscere.
Tra questi esseri che facevano drizzare i capelli in testa, Telemaco vide molti degli antichi re della Lidia, i quali venivano puniti per aver preferito le delizie di una vita oziosa al lavoro, poiché questo deve essere la consolazione dei popoli e, come tale, inseparabile dalla regalità.
Questi re si rimproveravano reciprocamente il loro ottenebramento. L'uno all'altro, che era stato suo figlio, diceva: "Non ti avevo forse io raccomandato spesso, durante la mia vecchiaia e prima della mia morte, di riparare ai mali che io avevo commesso a causa della mia negligenza?" "Ah, padre disgraziato, — diceva il figlio — siete voi che mi avete rovinato! È stato il vostro esempio a ispirarmi il fasto, l'orgoglio, la voluttà e la crudeltà verso gli uomini. Vedendo voi regnare con tanta incuria e circondato da vili adulatori, io mi sono abituato ad amare l'adulazione e i piaceri. Ho creduto che il resto degli uomini, a confronto dei re, fosse ciò che i cavalli e le altre bestie da soma sono riguardo agli uomini, vale a dire degli animali ai quali si fa caso solo nella misura in cui essi rendono servigi e offrono comodità. Io l'ho creduto, e siete stato voi a farmelo credere; e ora soffro tanti mali per avervi imitato". A questi rimproveri si aggiungevano le più raccapriccianti maledizioni ed essi sembravano posseduti da un furore tale da farsi a pezzi a vicenda.
Attorno a questi re volteggiavano, inoltre, quali gufi nella notte, i crudeli sospetti, i vani allarmi e le diffidenze, che vendicano i popoli della inesorabilità dei loro re, della loro insaziabile fame di ricchezze, della loro falsa gloria sempre tirannica e della loro vile mollezza, che raddoppia tutte le sofferenze, senza mai la compensazione di veri piaceri.
Si vedevano molti di questi re severamente puniti, non per quanto di male avevano commesso, ma per aver trascurato il bene che avrebbero dovuto fare. Tutti i delitti dei popoli, che provengono dalla negligenza con la quale si fanno osservare le leggi, erano imputati ai re, i quali devono regnare solo perché, attraverso il loro ministero, regnino le leggi. Si imputavano ai re anche tutti i disordini che provengono dai fasti, dal lusso e da tutti gli altri eccessi che gettano gli uomini in uno stato di violenza e nella tentazione di disprezzare le leggi per acquisire dei beni. Soprattutto venivano trattati con rigore quei re che, invece di essere dei buoni e vigili pastori dei popoli, non si erano preoccupati che di devastare il gregge, come dei lupi insaziabili.
Ma ciò che costernò maggiormente Telemaco fu di vedere, in questo abisso di tenebre e di mali, un grande numero di re che, passati sulla Terra per dei re abbastanza buoni, erano stati condannati alle pene del Tartaro per essersi lasciati guidare da uomini malvagi e ingannatori. Erano puniti per i mali che essi avevano permesso che si commettessero in nome della loro autorità. Inoltre, per la maggior parte, questi re non erano stati né buoni né cattivi, tanto grande era stata la loro debolezza; mai avevano temuto di ignorare la verità; mai avevano provato il piacere della virtù, né avevano mai messo esultanza nel praticare il bene.»
Telemaco, toccato da questo spettacolo, gli chiede: "Eravate veramente felice durante il vostro regno? Sentivate quella dolce pace senza la quale il cuore si trova sempre oppresso e abbattuto in mezzo ai piaceri?" "No — risponde il Babilonese —, io non so neppure che cosa intendiate dire. I saggi, vantano questa pace come se fosse l'unico bene: per quanto mi riguarda, io non l'ho mai sentita; il mio cuore era agitato continuamente da nuovi desideri, dal timore e dalla speranza. Io cercavo di stordirmi con lo sconvolgimento delle mie passioni; mi preoccupavo di trattenere questa ebbrezza per renderla continua: il minimo intervallo di calma e di ragione mi sarebbe stato troppo amaro. Ecco la pace di cui ho goduto; ogni altra mi sarebbe sembrata una favola, un sogno; ecco i beni che rimpiango".
Così parlando, il Babilonese piangeva come un vigliacco, infiacchito dalla prosperità e per nulla avvezzo a sopportare con forza d'animo una disgrazia. Egli aveva accanto a sé alcuni schiavi che erano stati fatti morire per onorare i suoi funerali. Mercurio li aveva affidati a Caronte con il loro re e aveva dato loro un potere assoluto su questo re che essi avevano servito sulla Terra. Queste ombre di schiavi non temevano più l'ombra di Nabofarzan; esse la tenevano incatenata, infliggendole gli affronti più crudeli. Le diceva una: "Non eravamo noi forse uomini uguali a te? Come hai potuto essere così insensato da crederti un dio? Non dovevi forse ricordarti che appartenevi alla razza degli altri uomini?" Gli diceva un'altra ombra per insultarlo: "Ma avevi ragione a non volere che ti si prendesse per un uomo, perché tu eri un mostro senza umanità". Un'altra ancora gli diceva: "Ebbene, dove sono ora i tuoi tirapiedi? Non hai più niente da dare, disgraziato! Non puoi fare più alcun male; eccoti divenuto schiavo dei tuoi stessi schiavi! Sono lenti gli dei a far giustizia, ma alla fine la fanno".
A queste dure parole, Nabofarzan si buttava faccia a terra, strappandosi i capelli in un accesso di rabbia e di disperazione. Ma Caronte diceva agli schiavi: "Trascinatelo con la sua catena. Rimettetelo in piedi a tutti i costi. Egli non avrà neppure la consolazione di nascondere la sua vergogna. Bisogna che tutte le ombre dello Stige ne siano testimoni, per giustificare gli dei, i quali hanno tollerato per così lungo tempo che questo empio regnasse sulla Terra".
Egli vide subito, molto vicino a sé, il nero Tartaro. Da esso esalava un fumo nero e denso, il cui odore mefitico avrebbe dato la morte se si fosse diffuso nelle dimore dei viventi. Questo fumo avvolgeva un fiume di fuoco e vortici di fiamme, il cui rumore, simile a quello dei torrenti più impetuosi quando si gettano dalle rocce più alte nei profondi abissi, faceva sì che non si potesse intendere distintamente nulla in quei tristi luoghi.
Telemaco, segretamente incoraggiato da Minerva, entrò senza timore in questo baratro. Si accorse per prima cosa di un grande numero di uomini che avevano vissuto nelle più umili condizioni, e che venivano puniti per essersi procurati il denaro con frodi, tradimenti e crudeltà. Lì notò molti empi ipocriti i quali, fingendo di amare la religione, se ne erano serviti come di un bel pretesto per soddisfare la loro ambizione e divertirsi alle spalle degli uomini creduloni. Questi uomini che avevano abusato della Virtù stessa — quantunque essa sia il più grande dono degli dei — venivano puniti come i più scellerati di tutti gli uomini. I figli che avevano sgozzato i loro padri e le loro madri, le spose che avevano le mani intrise del sangue dei loro mariti, gli infedeli che avevano tradito la loro patria, dopo aver violato ogni giuramento, tutti costoro soffrivano pene meno crudeli di quegli ipocriti. I tre giudici degli inferni avevano così voluto, ed eccone le ragioni: accade che questi ipocriti non si accontentano di essere malvagi come il resto degli empi; essi vogliono, per di più, passare per buoni e fanno sì, con la loro falsa virtù che gli uomini non osino più fidarsi della verità. Gli dei, di cui essi si sono beffati, rendendoli spregevoli agli occhi degli uomini, godono nell'impiegare tutta la loro potenza per vendicarsi dei loro oltraggi.
Dopo costoro compaiono altri uomini, che comunemente non sono quasi ritenuti colpevoli, ma che la vendetta divina perseguita spietatamente: sono gli ingrati, i mentitori, gli adulatori che hanno lodato il vizio; i critici perversi che hanno cercato di macchiare la più pura delle virtù; e, infine, coloro che hanno giudicato temerariamente cose che non conoscevano a fondo, e che, di conseguenza, hanno nociuto alla reputazione degli innocenti.
Telemaco, vedendo i tre giudici, che erano seduti e che stavano condannando un uomo, osò domandare loro quali fossero i suoi crimini. Immediatamente il condannato, prendendo la parola gridò: "Io non ho mai fatto alcun male; io ho profusa tutta la mia gioia nel fare il bene; io sono stato generoso, liberale, giusto, sensibile. Di che cosa dunque mi si può rimproverare?" "Niente ti si rimprovera nei riguardi degli uomini; ma tu a questi non dovevi meno che agli dei? Qual è dunque questa giustizia di cui ti fai vanto? Tu non hai mancato ad alcun dovere verso gli uomini, che nulla sono; tu sei stato virtuoso, ma hai rapportato ogni tua virtù a te stesso e non agli dei che te l'avevano data. Infatti tu volevi gioire del frutto della tua stessa virtù e chiuderti in te stesso: tu sei stato la tua divinità. Ma gli dei, che hanno fatto tutto, e che non l'hanno fatto che per sé stessi, non possono rinunciare ai loro diritti. Tu hai dimenticato loro, ed essi dimenticheranno te. E poiché tu hai voluto appartenere a te stesso e non a loro, essi ti abbandoneranno a te stesso. Se ti riesce, dunque, cerca ora la tua consolazione nel tuo stesso cuore. Eccoti per sempre separato dagli uomini ai quali tu hai voluto piacere; eccoti solo con te stesso, tu che eri il tuo idolo. Sappi che non c'è vera virtù senza il rispetto e l'amore per gli dei, ai quali tutto è dovuto. La tua falsa virtù, che per lungo tempo ha abbagliato gli uomini, quelli facili da ingannare, sta per essere umiliata. Gli uomini, giudicando vizi e virtù solo per quanto loro disturba o conviene, sono ciechi sia per quanto riguarda il bene sia per quanto riguarda il male. Qui, una luce divina rovescia tutti i loro superficiali giudizi; spesso condanna ciò ch'essi ammirano e giustifica ciò che essi condannano".
A tali parole, questo filosofo, come colpito da un fulmine, non riusciva più a sopportarsi. Il compiacimento, ch'egli aveva provato le altre volte nel contemplare la sua moderazione, il suo coraggio e le sue inclinazioni generose, si tramuta in disperazione. La visione del suo stesso cuore, nemico degli dei, diventa il suo supplizio; egli si vede e non può smettere di vedersi; egli vede la vacuità dei giudizi degli uomini, ai quali ha voluto piacere in tutte le sue azioni. Una radicale rivoluzione avviene in tutto il suo intimo, come se gli si fossero sconvolte tutte le viscere; egli non si trova più lo stesso; gli manca nel suo cuore ogni sostegno; la sua coscienza, la cui testimonianza gli era sempre stata così dolce, si leva contro di lui e gli rimprovera amaramente la stravaganza e l'illusione di tutte le sue virtù, che non hanno affatto avuto il culto della Divinità né al principio né alla fine. Egli è sconvolto, costernato, pieno di vergogna, di rimorsi e di disperazione. Le Furie non lo tormentano più, perché è bastato loro l'averlo abbandonato a sé stesso, e perché espii la vendetta degli dei da lui disprezzati, con il suo cuore stesso. Egli cerca i luoghi più oscuri per nascondersi agli altri morti, non potendo nascondersi a sé stesso. Egli cerca le tenebre e non può trovarle; una luce importuna lo segue dappertutto, i raggi penetranti della verità si dirigono ovunque per vendicare la verità ch'egli disdegnò di seguire. Tutto ciò ch'egli ha amato gli diventa odioso, poiché è la fonte dei suoi mali, che mai potranno finire. Dice a sé stesso: "Oh, insensato! Io, dunque, non ho conosciuto né gli dei, né gli uomini, né me stesso! No! Io non ho conosciuto niente, poiché non ho mai amato l'unico vero bene; tutti i miei passi sono stati passi falsi; la mia saggezza non era che follia; la mia virtù non era che un orgoglio empio e cieco; io, io ero l'idolo di me stesso.
Alla fine Telemaco riconobbe i re che erano stati condannati per abuso di potere. Da un lato una Furia vendicatrice presentava loro uno specchio che mostrava tutta la deformità dei loro vizi: qui essi vedevano — e non potevano impedirsi di vedere — la loro rozza vanità, avida delle più meschine lusinghe; la loro crudeltà verso gli uomini, cui essi avrebbero dovuto procurare la felicità; la loro indifferenza per la virtù; la loro paura di ascoltare la verità; la loro predilezione per gli uomini vili e adulatori; la loro inettitudine, la loro fiacchezza, la loro indolenza, la loro diffidenza male indirizzata; i loro fasti e sfarzi eccessivi creati sulla rovina dei popoli; la loro ambizione per conquistare un po' di vana gloria a prezzo del sangue dei loro concittadini; infine, la loro crudeltà che, ogni giorno, cerca nuove delizie fra le lacrime e la disperazione di tanti infelici. Essi si vedevano senza tregua in questo specchio. E si trovavano più orribili e più mostruosi di quanto non fosse la Chimera vinta da Bellerofonte, o l'Idra di Lerna abbattuta da Ercole, o il Cerbero stesso, che pure vomitava dalle sue tre bocche spalancate un sangue nero e velenoso che sarebbe stato in grado di appestare tutta la razza dei mortali che vivono sulla Terra.
Nel medesimo tempo, dall'altro lato, un'altra Furia ripeteva loro ingiuriosamente tutte le lusinghe che gli adulatori avevano loro dispensato durante la vita e li muniva di un altro specchio, dove essi si vedevano come l'adulazione li aveva dipinti. Nel confronto tra questi due opposti ritratti consisteva il supplizio della loro vanità. Si poteva osservare che i più malvagi tra questi re erano quelli che erano stati oggetto delle più grandi e fulgide lusinghe durante la vita. I peggiori, infatti, sono più temuti dei buoni ed esigono senza alcun ritegno le vili adulazioni dei poeti e degli oratori del loro tempo.
Li si sente gemere in quelle profonde tenebre, dove possono solo vedere gli oltraggi e le irrisioni che devono sopportare. Intorno a loro non vi è nulla che non li respinga, che non li contraddica, che non li confonda; sulla Terra invece si prendevano gioco della vita degli uomini e pretendevano che tutto fosse fatto per essere serviti. Nel Tartaro, essi sono alla mercé di alcuni schiavi, i quali fanno loro provare, a loro volta, una crudele schiavitù; essi servono con dolore e non hanno alcuna speranza di poter mai addolcire la loro prigionia; sono sotto i colpi di questi schiavi, divenuti loro implacabili tiranni, come l'incudine sotto i colpi dei martelli dei Ciclopi, quando Vulcano li costringe a lavorare nelle fornaci incandescenti del monte Etna.
Qui, Telemaco vide volti pallidi, orrendi e terrorizzati. Sono rosi da una lugubre tristezza questi criminali e non possono spogliarsi di questo orrore non più di quanto della loro stessa natura. Essi non hanno bisogno d'altro castigo per le loro colpe, se non delle loro stesse colpe; le vedono senza tregua in tutta la loro enormità; esse si presentano loro come orribili spettri e li perseguitano. Per sottrarsi a questa persecuzione, essi cercano una morte ancora più potente di quella che li ha separati dal corpo. Nella disperazione in cui si trovano, essi invocano il soccorso di una morte che possa estinguere in loro ogni sentimento e ogni consapevolezza. Essi chiedono agli abissi di inghiottirli, per sottrarsi così ai raggi vendicatori della verità che li perseguita, ma essi sono destinati alla vendetta, che stilla su di loro goccia a goccia e che non inaridirà mai. La verità, che essi hanno paura di vedere, diventa il loro supplizio, la vedono e non hanno occhi che per vederla ergersi contro di loro: la sua vista li perfora, li strazia, li sradica da sé stessi; essa è come la folgore; senza nulla distruggere esteriormente, li penetra fino in fondo alle viscere.
Tra questi esseri che facevano drizzare i capelli in testa, Telemaco vide molti degli antichi re della Lidia, i quali venivano puniti per aver preferito le delizie di una vita oziosa al lavoro, poiché questo deve essere la consolazione dei popoli e, come tale, inseparabile dalla regalità.
Questi re si rimproveravano reciprocamente il loro ottenebramento. L'uno all'altro, che era stato suo figlio, diceva: "Non ti avevo forse io raccomandato spesso, durante la mia vecchiaia e prima della mia morte, di riparare ai mali che io avevo commesso a causa della mia negligenza?" "Ah, padre disgraziato, — diceva il figlio — siete voi che mi avete rovinato! È stato il vostro esempio a ispirarmi il fasto, l'orgoglio, la voluttà e la crudeltà verso gli uomini. Vedendo voi regnare con tanta incuria e circondato da vili adulatori, io mi sono abituato ad amare l'adulazione e i piaceri. Ho creduto che il resto degli uomini, a confronto dei re, fosse ciò che i cavalli e le altre bestie da soma sono riguardo agli uomini, vale a dire degli animali ai quali si fa caso solo nella misura in cui essi rendono servigi e offrono comodità. Io l'ho creduto, e siete stato voi a farmelo credere; e ora soffro tanti mali per avervi imitato". A questi rimproveri si aggiungevano le più raccapriccianti maledizioni ed essi sembravano posseduti da un furore tale da farsi a pezzi a vicenda.
Attorno a questi re volteggiavano, inoltre, quali gufi nella notte, i crudeli sospetti, i vani allarmi e le diffidenze, che vendicano i popoli della inesorabilità dei loro re, della loro insaziabile fame di ricchezze, della loro falsa gloria sempre tirannica e della loro vile mollezza, che raddoppia tutte le sofferenze, senza mai la compensazione di veri piaceri.
Si vedevano molti di questi re severamente puniti, non per quanto di male avevano commesso, ma per aver trascurato il bene che avrebbero dovuto fare. Tutti i delitti dei popoli, che provengono dalla negligenza con la quale si fanno osservare le leggi, erano imputati ai re, i quali devono regnare solo perché, attraverso il loro ministero, regnino le leggi. Si imputavano ai re anche tutti i disordini che provengono dai fasti, dal lusso e da tutti gli altri eccessi che gettano gli uomini in uno stato di violenza e nella tentazione di disprezzare le leggi per acquisire dei beni. Soprattutto venivano trattati con rigore quei re che, invece di essere dei buoni e vigili pastori dei popoli, non si erano preoccupati che di devastare il gregge, come dei lupi insaziabili.
Ma ciò che costernò maggiormente Telemaco fu di vedere, in questo abisso di tenebre e di mali, un grande numero di re che, passati sulla Terra per dei re abbastanza buoni, erano stati condannati alle pene del Tartaro per essersi lasciati guidare da uomini malvagi e ingannatori. Erano puniti per i mali che essi avevano permesso che si commettessero in nome della loro autorità. Inoltre, per la maggior parte, questi re non erano stati né buoni né cattivi, tanto grande era stata la loro debolezza; mai avevano temuto di ignorare la verità; mai avevano provato il piacere della virtù, né avevano mai messo esultanza nel praticare il bene.»
Quadro dell'inferno Cristiano
11.
L'opinione dei teologi sull'inferno è riassunta nelle citazioni
riportate nel paragrafo che segue. [6] Questa descrizione, tratta dalle
opere degli autori sacri e dalle vite dei santi, può essere tanto meglio
considerata quale espressione della fede ortodossa in questa materia,
poiché essa è in ogni istante riprodotta, tranne qualche piccola
variante, nelle prediche tenute dal pulpito e nelle istituzioni
pastorali.
-------------------------
[6] Queste citazioni sono tratte dall'opera intitolata L'Inferno di Auguste Callet.
-------------------------
[6] Queste citazioni sono tratte dall'opera intitolata L'Inferno di Auguste Callet.
12.
«I demoni sono puri Spiriti, e i demoni attualmente in inferno possono
anch'essi essere considerati puri Spiriti, poiché solo la loro anima vi è
discesa, e le loro ossa, restituite alla terra, si trasformano
incessantemente in erbe, piante, frutti, minerali, liquidi, subendo
inconsapevolmente le continue metamorfosi della materia. Ma i dannati,
come i santi, devono resuscitare l'ultimo giorno, e riprendere, per non
più lasciarlo, un corpo carnale, il medesimo corpo sotto le cui
sembianze sono stati conosciuti fra i vivi. Ciò che distinguerà gli uni
dagli altri sarà questo: gli eletti resusciteranno in un corpo
purificato e radioso, i dannati in un corpo insudiciato e deformato dal
peccato. Non ci saranno più, dunque, nell'inferno puri Spiriti soltanto;
ci saranno uomini come noi. L'inferno è, di conseguenza, un luogo
fisico, geografico, materiale, poiché sarà popolato da creature
terrestri, che avranno piedi, mani, bocca, lingua, denti, orecchie e
occhi, in tutto simili ai nostri; e sangue dentro le vene e nervi
sensibili al dolore.
Dov'è situato l'inferno? Alcuni dotti l'hanno situato nelle viscere stesse della nostra Terra; altri, non so su quale pianeta; ma la questione non è ancora stata risolta da nessun concilio. Su questo punto, siamo dunque ridotti alle congetture. La sola cosa che si afferma unanimemente è che l'inferno, in qualsiasi luogo sia collocato, è un mondo composto di elementi materiali. Ma è un mondo senza Sole, senza Luna, senza stelle, più triste e più inospitale — privo com'è di ogni germe e di ogni parvenza di bene — di quanto non lo siano le più inabitabili parti di questo mondo dove noi pecchiamo.
I teologi più circospetti non s'azzardano a dipingere, alla maniera degli Egiziani, degli Indù e dei Greci, tutti gli orrori di questa dimora; essi si limitano a mostrarcene, come campione, quel poco che ne rivelano le Scritture, cioè lo stagno di fuoco e di zolfo dell'Apocalisse; i vermi di Isaia, quei vermi che eternamente brulicano sulle carogne del Tofel; i demoni che tormentano gli uomini ch'essi stessi hanno rovinato; gli uomini che piangono e digrignano i denti, secondo l'espressione usata dagli Evangelisti.
Sant'Agostino non concorda sul fatto che queste pene fisiche siano semplici riflessi delle sofferenze morali. Egli vede, in un vero stagno di zolfo, dei vermi veri e veri serpenti che si accaniscono su tutte le parti del corpo dei dannati, e i loro morsi si aggiungono a quelli del fuoco. Egli sostiene inoltre, secondo un versetto di san Marco, che questo strano fuoco, benché materiale come il nostro e benché agisca su corpi materiali, li conservi come il sale conserva le carni delle vittime. Ma i dannati, vittime sempre sacrificate e sempre vive, sentiranno il dolore di questo fuoco che brucia senza distruggere; esso penetrerà sotto la loro pelle; ed essi ne saranno imbevuti e saturati in tutte le loro membra, fin nel midollo delle ossa, fin nella pupilla degli occhi, fin nelle fibre più nascoste e più sensibili del loro essere. Il cratere di un vulcano, se vi si potessero immergere, sarebbe per loro un luogo di refrigerio e di riposo.
Così parlano, in tutta sicurezza, i teologi più schivi, più discreti, più riservati. Essi d'altronde non negano che vi siano in inferno altri supplizi corporali; dicono soltanto che, per parlarne, non ne hanno una conoscenza sufficiente così positiva, almeno, quanto quella che è stata loro offerta dall'orribile supplizio del fuoco e da quello disgustoso dei vermi. Ma ci sono anche dei teologi più arditi o più illuminati che dell'inferno fanno descrizioni più dettagliate, più variate e più complete. E, benché non si sappia in quale luogo dello Spazio sia situato questo inferno, ci sono dei santi che l'hanno visto. Non ci sono andati, lira in mano, come Orfeo; né spada in pugno come Ulisse; ma vi sono stati trasportati in spirito. Fa parte di questo numero santa Teresa.
Sembrerebbe, secondo la narrazione della santa, che ci siano delle città nell'inferno. Ella vi vide una specie di stradicciola lunga e stretta, come se ne incontrano tante nelle vecchie città. Vi si inoltrò, camminando con orrore su un terreno fangoso e putrido, che pullulava di rettili mostruosi. Ma fu bloccata nella sua marcia da una muraglia che sbarrava la stradicciola. In questa muraglia c'era una nicchia dove Teresa si rincantucciò, senza tuttavia sapere come ciò accadesse. "Era — ella dice — il posto che le sarebbe stato destinato, se avesse abusato, in vita, delle grazie che Dio le elargiva nella sua cella di Avila." Quantunque si fosse introdotta con una meravigliosa facilità in quella nicchia di pietra, ella non poteva tuttavia né sedervisi né sdraiarvisi né starvi in piedi; né, ancor meno, poteva uscirne. Quelle orribili mura si erano abbassate su di lei, l'avviluppavano, la serravano come se fossero state animate. Le sembrò che la si soffocasse, che la si strangolasse e che, nello stesso tempo, la si scorticasse viva e la si facesse a pezzi. Avvertì che stava bruciando e provava nello stesso tempo ogni genere d'angoscia. Di un qualunque soccorso nessuna speranza: tutto attorno a lei non era che tenebre, e nondimeno attraverso queste tenebre ella intravedeva ancora, non senza stupore, la orribile strada dove si trovava e tutto il suo immondo vicinato, spettacolo per lei intollerabile quanto la strettezza della sua prigione. [7]
Questo, senza dubbio, non era altro che un piccolo angolo dell'inferno. Altri viaggiatori spirituali sono stati maggiormente favoriti. Hanno visto in inferno grandi città completamente in fiamme: Babilonia e Ninive, la stessa Roma, i loro palazzi e i loro templi che bruciavano, e tutti i loro abitanti incatenati: il trafficante incatenato al suo banco; preti, insieme a cortigiane nelle sale dei banchetti, che urlavano sui loro scanni dai quali non riuscivano più a staccarsi, e che si portavano alle labbra, per dissetarsi, coppe da cui uscivano fiamme; e poi valletti, le braccia tese, in ginocchio dentro cloache ribollenti; e principi dalle cui mani scorreva su di loro, a mo' di lava divorante, dell'oro fuso. Altri hanno visto in inferno pianure sconfinate, che contadini famelici aravano e seminavano; e siccome da queste pianure fumanti del loro sudore, da queste sementi sterili, nulla cresceva, questi contadini si divoravano tra di loro. Dopo di che, come prima egualmente numerosi, egualmente emaciati, egualmente affamati, si disperdevano in branchi all'orizzonte, andando a cercare lontano, ma invano, terre più felici. E subito erano rimpiazzati, nelle campagne che essi abbandonavano, da altre colonie erranti di dannati. Ci sono di quelli che hanno visto in inferno montagne colme di precipizi, foreste che gemevano, pozzi senz'acqua, fontane alimentate dalle lacrime, fiumi di sangue, tempeste di neve su deserti di ghiaccio, imbarcazioni cariche di disperati che vogavano su mari senza rive. In una parola, vi si è rivisto tutto ciò che vi vedevano i pagani: un riflesso lugubre della Terra, un'ombra smisuratamente ingigantita delle sue miserie, le sue sofferenze naturali eternizzate, fino alle prigioni sotterranee, ai patiboli e agli strumenti di tortura, che le nostre stesse mani hanno forgiato.
Ci sono, in effetti, laggiù dei demoni i quali, per straziare meglio gli uomini nei loro corpi, assumono anch'essi un corpo. Alcuni hanno ali di pipistrello, corna, corazze di scaglie, zampe munite di artigli, zanne aguzze; ci vengono mostrati armati di spade, di forche, di pinze, di tenaglie arroventate, di seghe, di griglie, di mantici, di clave e, per l'eternità, svolgono in relazione alla carne umana il compito di cucinieri e macellai. Altri demoni, trasformatisi in leoni o in enormi vipere, trascinano le loro prede in caverne solitarie. Altri ancora si trasformano in corvi, per strappare gli occhi ad alcuni colpevoli; o in draghi volanti, per caricarli sul loro dorso e trasportarli completamente atterriti, sanguinanti e urlanti attraverso gli spazi tenebrosi e lasciarli poi piombare nello stagno di zolfo. Ecco nubi di cavallette, scorpioni giganteschi, la cui vista dà i brividi, il cui odore dà la nausea, il cui minimo sfioramento dà le convulsioni; ecco mostri policefali che spalancano da ogni parte gole voraci, che scrollano sulle loro teste deformi criniere di vipere, che triturano i condannati tra le loro mascelle sanguinanti e li vomitano completamente a pezzi ma vivi, perché sono immortali.
Questi demoni dalla forma materiale — che ricordano così palesemente gli dei dell'Amenti [8] e del Tartaro, e gli idoli ch'erano adorati dai Fenici, dai Moabiti e dagli altri Gentili vicini della Giudea — non agiscono affatto a caso; ognuno ha la sua funzione e il suo compito; il male ch'essi fanno in inferno è in rapporto al male che hanno ispirato e indotto a commettere sulla Terra. [9] I dannati sono puniti in tutti i loro sensi e in tutti i loro organi. Puniti in un certo modo come golosi dai demoni della golosità, puniti in altro modo come pigri dai demoni della pigrizia, e in altro modo ancora come fornicatori dai demoni della fornicazione, e in tante altre maniere diverse quante diverse maniere di peccare ci sono. Essi avranno freddo bruciando e caldo gelando; saranno avidi di riposo e avidi di movimento; e sempre affamati, sempre sconvolti, e mille volte più affaticati dello schiavo al termine della giornata, più malati dei moribondi; saranno più dilaniati, più distrutti, più ricoperti di piaghe dei martiri. E questo non finirà mai.
Nessun demone si sottrae e mai si sottrarrà al suo spietato incarico; sotto questo aspetto, sono tutti molto disciplinati e fedeli nell'eseguire gli ordini vendicativi che hanno ricevuto; senza di ciò, d'altronde,che cosa diventerebbe l'inferno? Le vittime si riposerebbero se gli aguzzini litigassero tra di loro o si stancassero. Ma né riposo per gli uni, né risse per gli altri; per quanto essi siano cattivi e per quanto siano innumerevoli, i demoni s'intendono da un capo all'altro dell'abisso, e mai si videro sulla Terra nazioni più sottomesse ai loro prìncipi, eserciti più obbedienti ai loro capi, comunità monastiche più umilmente sottomesse ai loro superiori. [10]
D'altronde non molto si conosce della popolazione dei demoni, questi vili Spiriti di cui sono composte le legioni di vampiri, di diavolesse, di rospi, di scorpioni, di corvi, di idre, di salamandre e di altre bestie senza nome, che costituiscono la fauna delle regioni infernali. Si conoscono, però, e si nominano parecchi dei principi che comandano queste legioni, tra i quali Belfagor, il demone della lussuria; Abaddon o Apollion, il demone dell'assassinio; Belzebù, il demone dei desideri impuri, o il signore delle mosche che generano la corruzione; Mammona, il demone dell'avarizia; e ancora Moloch e Bèlial e Baalgad e Astaroth e molti altri. Al di sopra di essi sta il loro capo supremo, il capo arcangelo che in cielo portava il nome di Lucifero e che in inferno porta quello di Satana.
Ecco, in sintesi, l'idea che ci viene data dell'inferno, considerato dal punto di vista della sua natura fisica e delle pene fisiche che vi si subiscono. Consultate gli scritti dei Padri e degli antichi Dottori; interrogate le nostre pie leggende; osservate le sculture e i quadri delle nostre chiese; prestate orecchio a ciò che si dice dai nostri pulpiti, e voi ne apprenderete ben di più.»
Dov'è situato l'inferno? Alcuni dotti l'hanno situato nelle viscere stesse della nostra Terra; altri, non so su quale pianeta; ma la questione non è ancora stata risolta da nessun concilio. Su questo punto, siamo dunque ridotti alle congetture. La sola cosa che si afferma unanimemente è che l'inferno, in qualsiasi luogo sia collocato, è un mondo composto di elementi materiali. Ma è un mondo senza Sole, senza Luna, senza stelle, più triste e più inospitale — privo com'è di ogni germe e di ogni parvenza di bene — di quanto non lo siano le più inabitabili parti di questo mondo dove noi pecchiamo.
I teologi più circospetti non s'azzardano a dipingere, alla maniera degli Egiziani, degli Indù e dei Greci, tutti gli orrori di questa dimora; essi si limitano a mostrarcene, come campione, quel poco che ne rivelano le Scritture, cioè lo stagno di fuoco e di zolfo dell'Apocalisse; i vermi di Isaia, quei vermi che eternamente brulicano sulle carogne del Tofel; i demoni che tormentano gli uomini ch'essi stessi hanno rovinato; gli uomini che piangono e digrignano i denti, secondo l'espressione usata dagli Evangelisti.
Sant'Agostino non concorda sul fatto che queste pene fisiche siano semplici riflessi delle sofferenze morali. Egli vede, in un vero stagno di zolfo, dei vermi veri e veri serpenti che si accaniscono su tutte le parti del corpo dei dannati, e i loro morsi si aggiungono a quelli del fuoco. Egli sostiene inoltre, secondo un versetto di san Marco, che questo strano fuoco, benché materiale come il nostro e benché agisca su corpi materiali, li conservi come il sale conserva le carni delle vittime. Ma i dannati, vittime sempre sacrificate e sempre vive, sentiranno il dolore di questo fuoco che brucia senza distruggere; esso penetrerà sotto la loro pelle; ed essi ne saranno imbevuti e saturati in tutte le loro membra, fin nel midollo delle ossa, fin nella pupilla degli occhi, fin nelle fibre più nascoste e più sensibili del loro essere. Il cratere di un vulcano, se vi si potessero immergere, sarebbe per loro un luogo di refrigerio e di riposo.
Così parlano, in tutta sicurezza, i teologi più schivi, più discreti, più riservati. Essi d'altronde non negano che vi siano in inferno altri supplizi corporali; dicono soltanto che, per parlarne, non ne hanno una conoscenza sufficiente così positiva, almeno, quanto quella che è stata loro offerta dall'orribile supplizio del fuoco e da quello disgustoso dei vermi. Ma ci sono anche dei teologi più arditi o più illuminati che dell'inferno fanno descrizioni più dettagliate, più variate e più complete. E, benché non si sappia in quale luogo dello Spazio sia situato questo inferno, ci sono dei santi che l'hanno visto. Non ci sono andati, lira in mano, come Orfeo; né spada in pugno come Ulisse; ma vi sono stati trasportati in spirito. Fa parte di questo numero santa Teresa.
Sembrerebbe, secondo la narrazione della santa, che ci siano delle città nell'inferno. Ella vi vide una specie di stradicciola lunga e stretta, come se ne incontrano tante nelle vecchie città. Vi si inoltrò, camminando con orrore su un terreno fangoso e putrido, che pullulava di rettili mostruosi. Ma fu bloccata nella sua marcia da una muraglia che sbarrava la stradicciola. In questa muraglia c'era una nicchia dove Teresa si rincantucciò, senza tuttavia sapere come ciò accadesse. "Era — ella dice — il posto che le sarebbe stato destinato, se avesse abusato, in vita, delle grazie che Dio le elargiva nella sua cella di Avila." Quantunque si fosse introdotta con una meravigliosa facilità in quella nicchia di pietra, ella non poteva tuttavia né sedervisi né sdraiarvisi né starvi in piedi; né, ancor meno, poteva uscirne. Quelle orribili mura si erano abbassate su di lei, l'avviluppavano, la serravano come se fossero state animate. Le sembrò che la si soffocasse, che la si strangolasse e che, nello stesso tempo, la si scorticasse viva e la si facesse a pezzi. Avvertì che stava bruciando e provava nello stesso tempo ogni genere d'angoscia. Di un qualunque soccorso nessuna speranza: tutto attorno a lei non era che tenebre, e nondimeno attraverso queste tenebre ella intravedeva ancora, non senza stupore, la orribile strada dove si trovava e tutto il suo immondo vicinato, spettacolo per lei intollerabile quanto la strettezza della sua prigione. [7]
Questo, senza dubbio, non era altro che un piccolo angolo dell'inferno. Altri viaggiatori spirituali sono stati maggiormente favoriti. Hanno visto in inferno grandi città completamente in fiamme: Babilonia e Ninive, la stessa Roma, i loro palazzi e i loro templi che bruciavano, e tutti i loro abitanti incatenati: il trafficante incatenato al suo banco; preti, insieme a cortigiane nelle sale dei banchetti, che urlavano sui loro scanni dai quali non riuscivano più a staccarsi, e che si portavano alle labbra, per dissetarsi, coppe da cui uscivano fiamme; e poi valletti, le braccia tese, in ginocchio dentro cloache ribollenti; e principi dalle cui mani scorreva su di loro, a mo' di lava divorante, dell'oro fuso. Altri hanno visto in inferno pianure sconfinate, che contadini famelici aravano e seminavano; e siccome da queste pianure fumanti del loro sudore, da queste sementi sterili, nulla cresceva, questi contadini si divoravano tra di loro. Dopo di che, come prima egualmente numerosi, egualmente emaciati, egualmente affamati, si disperdevano in branchi all'orizzonte, andando a cercare lontano, ma invano, terre più felici. E subito erano rimpiazzati, nelle campagne che essi abbandonavano, da altre colonie erranti di dannati. Ci sono di quelli che hanno visto in inferno montagne colme di precipizi, foreste che gemevano, pozzi senz'acqua, fontane alimentate dalle lacrime, fiumi di sangue, tempeste di neve su deserti di ghiaccio, imbarcazioni cariche di disperati che vogavano su mari senza rive. In una parola, vi si è rivisto tutto ciò che vi vedevano i pagani: un riflesso lugubre della Terra, un'ombra smisuratamente ingigantita delle sue miserie, le sue sofferenze naturali eternizzate, fino alle prigioni sotterranee, ai patiboli e agli strumenti di tortura, che le nostre stesse mani hanno forgiato.
Ci sono, in effetti, laggiù dei demoni i quali, per straziare meglio gli uomini nei loro corpi, assumono anch'essi un corpo. Alcuni hanno ali di pipistrello, corna, corazze di scaglie, zampe munite di artigli, zanne aguzze; ci vengono mostrati armati di spade, di forche, di pinze, di tenaglie arroventate, di seghe, di griglie, di mantici, di clave e, per l'eternità, svolgono in relazione alla carne umana il compito di cucinieri e macellai. Altri demoni, trasformatisi in leoni o in enormi vipere, trascinano le loro prede in caverne solitarie. Altri ancora si trasformano in corvi, per strappare gli occhi ad alcuni colpevoli; o in draghi volanti, per caricarli sul loro dorso e trasportarli completamente atterriti, sanguinanti e urlanti attraverso gli spazi tenebrosi e lasciarli poi piombare nello stagno di zolfo. Ecco nubi di cavallette, scorpioni giganteschi, la cui vista dà i brividi, il cui odore dà la nausea, il cui minimo sfioramento dà le convulsioni; ecco mostri policefali che spalancano da ogni parte gole voraci, che scrollano sulle loro teste deformi criniere di vipere, che triturano i condannati tra le loro mascelle sanguinanti e li vomitano completamente a pezzi ma vivi, perché sono immortali.
Questi demoni dalla forma materiale — che ricordano così palesemente gli dei dell'Amenti [8] e del Tartaro, e gli idoli ch'erano adorati dai Fenici, dai Moabiti e dagli altri Gentili vicini della Giudea — non agiscono affatto a caso; ognuno ha la sua funzione e il suo compito; il male ch'essi fanno in inferno è in rapporto al male che hanno ispirato e indotto a commettere sulla Terra. [9] I dannati sono puniti in tutti i loro sensi e in tutti i loro organi. Puniti in un certo modo come golosi dai demoni della golosità, puniti in altro modo come pigri dai demoni della pigrizia, e in altro modo ancora come fornicatori dai demoni della fornicazione, e in tante altre maniere diverse quante diverse maniere di peccare ci sono. Essi avranno freddo bruciando e caldo gelando; saranno avidi di riposo e avidi di movimento; e sempre affamati, sempre sconvolti, e mille volte più affaticati dello schiavo al termine della giornata, più malati dei moribondi; saranno più dilaniati, più distrutti, più ricoperti di piaghe dei martiri. E questo non finirà mai.
Nessun demone si sottrae e mai si sottrarrà al suo spietato incarico; sotto questo aspetto, sono tutti molto disciplinati e fedeli nell'eseguire gli ordini vendicativi che hanno ricevuto; senza di ciò, d'altronde,che cosa diventerebbe l'inferno? Le vittime si riposerebbero se gli aguzzini litigassero tra di loro o si stancassero. Ma né riposo per gli uni, né risse per gli altri; per quanto essi siano cattivi e per quanto siano innumerevoli, i demoni s'intendono da un capo all'altro dell'abisso, e mai si videro sulla Terra nazioni più sottomesse ai loro prìncipi, eserciti più obbedienti ai loro capi, comunità monastiche più umilmente sottomesse ai loro superiori. [10]
D'altronde non molto si conosce della popolazione dei demoni, questi vili Spiriti di cui sono composte le legioni di vampiri, di diavolesse, di rospi, di scorpioni, di corvi, di idre, di salamandre e di altre bestie senza nome, che costituiscono la fauna delle regioni infernali. Si conoscono, però, e si nominano parecchi dei principi che comandano queste legioni, tra i quali Belfagor, il demone della lussuria; Abaddon o Apollion, il demone dell'assassinio; Belzebù, il demone dei desideri impuri, o il signore delle mosche che generano la corruzione; Mammona, il demone dell'avarizia; e ancora Moloch e Bèlial e Baalgad e Astaroth e molti altri. Al di sopra di essi sta il loro capo supremo, il capo arcangelo che in cielo portava il nome di Lucifero e che in inferno porta quello di Satana.
Ecco, in sintesi, l'idea che ci viene data dell'inferno, considerato dal punto di vista della sua natura fisica e delle pene fisiche che vi si subiscono. Consultate gli scritti dei Padri e degli antichi Dottori; interrogate le nostre pie leggende; osservate le sculture e i quadri delle nostre chiese; prestate orecchio a ciò che si dice dai nostri pulpiti, e voi ne apprenderete ben di più.»
-------------------------
[7] Si riconoscono, in questa visione tutte le caratteristiche dell'incubo. È dunque probabile che in santa Teresa si sia prodotto un effetto di questo genere.
[8] Nota del traduttore: Negli antichi culti egizi, l'inferno è detto Amenti.
[9] Davvero singolare questa punizione, che consisterebbe nel dover continuare, su più vasta scala, il male che essi hanno fatto in scala ridotta sulla Terra! Sarebbe più razionale che soffrissero essi stessi delle conseguenze di questo male, invece di offrirsi il piacere di farle subire agli altri.
[10] Questi stessi demoni, ribellatisi a Dio per quanto riguarda il bene, sono di una docilità esemplare per quanto riguarda la pratica del male. Nessuno di loro indietreggia né esita per tutta l'eternità. Quale singolare metamorfosi in loro, che erano stati creati puri e perfetti come gli angeli!
Non è forse assai singolare vederli dare l'esempio dell'intesa e dell'armonia perfette, della concordia inalterabile, quando gli uomini invece non sanno vivere in pace e si dilaniano a vicenda sulla Terra? Vedendo la profusione di castighi riservati ai dannati, e raffrontando la loro situazione con quella dei demoni, ci si chiede quali siano più da compiangere: gli aguzzini o le vittime?
13. L'autore fa seguire questo quadro da alcune riflessioni, qui di seguito riportate, di cui ciascuno comprenderà la portata.
«La resurrezione dei corpi è un miracolo; ma Dio fa un secondo miracolo per dare a questi corpi mortali, già un tempo usati nelle prove passeggere della vita, già un tempo annientati, la virtù di sussistere, senza dissolversi in una fornace dove evaporano i metalli stessi. Che si dica che l'anima sia il carnefice di sé stessa, che Dio non la perseguiti, ma che l'abbandoni piuttosto allo stato infelice ch'essa ha scelto, questo può, a rigore, comprendersi, quantunque l'abbandono eterno di un essere traviato e sofferente appaia poco conforme alla bontà del Creatore. Ma ciò che si dice dell'anima e delle pene spirituali non si può, in alcun modo, dire dei corpi e delle pene corporali. Per perpetuare tali pene corporali, non è sufficiente che Dio ritiri la Sua mano; bisogna, al contrario, ch'Egli la mostri, ch'Egli intervenga, ch'Egli agisca, altrimenti il corpo soccomberebbe.
I teologi suppongono dunque che Dio operi, in effetti, dopo la resurrezione, questo secondo miracolo di cui abbiamo parlato. Prima di tutto, Egli trae dal sepolcro, che li ha divorati, i nostri corpi d'argilla; li trae tali e quali come vi sono entrati, con le loro infermità originali e successivi deterioramenti dovuti all'età, alla malattia e al vizio; ce li rende in questo stato — decrepiti, intirizziti, gottosi, pieni di necessità, sensibili a una puntura d'ape, del tutto coperti dalle ferite che la vita e la morte vi hanno impresso — ed è questo il primo miracolo. Poi a questi miseri corpi, pronti a ritornare alla polvere da cui sono usciti, Egli impone una proprietà che non avevano mai avuta, ed ecco il secondo miracolo; Egli impone loro l'immortalità, quello stesso dono che nella Sua collera — dite piuttosto nella Sua misericordia — aveva tolto ad Adamo all'uscita dall'Eden. Quando Adamo era immortale, era invulnerabile, e quando cessa di essere invulnerabile, diventa mortale. La morte segue da vicino il dolore.
La resurrezione, dunque, non ci riporta né alle condizioni fisiche dell'uomo innocente, né alle condizioni fisiche dell'uomo colpevole. È solo una resurrezione delle nostre miserie, ma con un sovraccarico di miserie nuove, infinitamente più orribili; è, in parte, una vera creazione, e la più maligna che l'immaginazione abbia osato concepire. Dio si ricrede e, per aggiungere ai tormenti spirituali dei peccatori anche tormenti carnali che possano durare per sempre, cambia tutto a un tratto, per effetto del Suo potere, le leggi e le proprietà, da Lui stesso assegnate fin dal principio, ai componenti della materia. Egli resuscita carni malate e corrotte e, legando con un nodo indistruttibile quegli elementi che tendono già di per sé stessi a separarsi, mantiene e perpetua, contro l'ordine naturale, quella putredine vivente. La getta nel fuoco, non per purificarla, ma per conservarla tale quale essa è, sensibile, sofferente, bruciante, orribile, tale, con ciò, quale Egli la vuole: immortale.
Si fa di Dio, con questo miracolo, uno degli aguzzini dell'inferno, perché se i dannati non possono imputare che a sé stessi i loro mali spirituali, non possono, d'altra parte, attribuire gli altri mali che a Lui. Evidentemente sarebbe stato troppo poco abbandonarli, dopo la morte, alla tristezza, al pentimento e a tutte le angosce di un'anima che sente di aver perduto il bene supremo. Dio, secondo i teologi, andrà a cercarli, quella notte, al fondo di quell'abisso; li richiamerà per un momento alla vita non per consolarli, ma per rivestirli di un corpo orribile, fiammeggiante, imperituro, più appestato del manto di Deianira, ed è allora soltanto che Egli li abbandonerà per sempre.
Ma anche così non li abbandonerà, perché l'inferno non sussiste — come pure la Terra e il Cielo — se non per un atto permanente della Sua volontà, sempre attiva, e perché svanirebbe s'egli cessasse di sostenere questo tutto. Egli, perciò, terrà continuamente la mano su di essi, per impedire che il loro fuoco si spenga e i loro corpi si consumino, volendo che questi disgraziati immortali contribuiscano con l'eternità del loro supplizio, all'edificazione degli eletti.»
«La resurrezione dei corpi è un miracolo; ma Dio fa un secondo miracolo per dare a questi corpi mortali, già un tempo usati nelle prove passeggere della vita, già un tempo annientati, la virtù di sussistere, senza dissolversi in una fornace dove evaporano i metalli stessi. Che si dica che l'anima sia il carnefice di sé stessa, che Dio non la perseguiti, ma che l'abbandoni piuttosto allo stato infelice ch'essa ha scelto, questo può, a rigore, comprendersi, quantunque l'abbandono eterno di un essere traviato e sofferente appaia poco conforme alla bontà del Creatore. Ma ciò che si dice dell'anima e delle pene spirituali non si può, in alcun modo, dire dei corpi e delle pene corporali. Per perpetuare tali pene corporali, non è sufficiente che Dio ritiri la Sua mano; bisogna, al contrario, ch'Egli la mostri, ch'Egli intervenga, ch'Egli agisca, altrimenti il corpo soccomberebbe.
I teologi suppongono dunque che Dio operi, in effetti, dopo la resurrezione, questo secondo miracolo di cui abbiamo parlato. Prima di tutto, Egli trae dal sepolcro, che li ha divorati, i nostri corpi d'argilla; li trae tali e quali come vi sono entrati, con le loro infermità originali e successivi deterioramenti dovuti all'età, alla malattia e al vizio; ce li rende in questo stato — decrepiti, intirizziti, gottosi, pieni di necessità, sensibili a una puntura d'ape, del tutto coperti dalle ferite che la vita e la morte vi hanno impresso — ed è questo il primo miracolo. Poi a questi miseri corpi, pronti a ritornare alla polvere da cui sono usciti, Egli impone una proprietà che non avevano mai avuta, ed ecco il secondo miracolo; Egli impone loro l'immortalità, quello stesso dono che nella Sua collera — dite piuttosto nella Sua misericordia — aveva tolto ad Adamo all'uscita dall'Eden. Quando Adamo era immortale, era invulnerabile, e quando cessa di essere invulnerabile, diventa mortale. La morte segue da vicino il dolore.
La resurrezione, dunque, non ci riporta né alle condizioni fisiche dell'uomo innocente, né alle condizioni fisiche dell'uomo colpevole. È solo una resurrezione delle nostre miserie, ma con un sovraccarico di miserie nuove, infinitamente più orribili; è, in parte, una vera creazione, e la più maligna che l'immaginazione abbia osato concepire. Dio si ricrede e, per aggiungere ai tormenti spirituali dei peccatori anche tormenti carnali che possano durare per sempre, cambia tutto a un tratto, per effetto del Suo potere, le leggi e le proprietà, da Lui stesso assegnate fin dal principio, ai componenti della materia. Egli resuscita carni malate e corrotte e, legando con un nodo indistruttibile quegli elementi che tendono già di per sé stessi a separarsi, mantiene e perpetua, contro l'ordine naturale, quella putredine vivente. La getta nel fuoco, non per purificarla, ma per conservarla tale quale essa è, sensibile, sofferente, bruciante, orribile, tale, con ciò, quale Egli la vuole: immortale.
Si fa di Dio, con questo miracolo, uno degli aguzzini dell'inferno, perché se i dannati non possono imputare che a sé stessi i loro mali spirituali, non possono, d'altra parte, attribuire gli altri mali che a Lui. Evidentemente sarebbe stato troppo poco abbandonarli, dopo la morte, alla tristezza, al pentimento e a tutte le angosce di un'anima che sente di aver perduto il bene supremo. Dio, secondo i teologi, andrà a cercarli, quella notte, al fondo di quell'abisso; li richiamerà per un momento alla vita non per consolarli, ma per rivestirli di un corpo orribile, fiammeggiante, imperituro, più appestato del manto di Deianira, ed è allora soltanto che Egli li abbandonerà per sempre.
Ma anche così non li abbandonerà, perché l'inferno non sussiste — come pure la Terra e il Cielo — se non per un atto permanente della Sua volontà, sempre attiva, e perché svanirebbe s'egli cessasse di sostenere questo tutto. Egli, perciò, terrà continuamente la mano su di essi, per impedire che il loro fuoco si spenga e i loro corpi si consumino, volendo che questi disgraziati immortali contribuiscano con l'eternità del loro supplizio, all'edificazione degli eletti.»
14. Abbiamo detto, con
ragione, che l'inferno dei Cristiani aveva oltrepassato, rispetto a
punizioni, quello dei pagani. Nel Tartaro, infatti, si vedono i
colpevoli torturati dai rimorsi, sempre al cospetto dei loro crimini e
delle loro vittime, oppressi da quegli stessi che essi avevano oppresso
quand'erano vivi. Li si vede sfuggire alla luce che li penetra, e
cercare invano di evitare gli sguardi che li perseguitano; lì l'orgoglio
è abbattuto e umiliato; tutti portano le stigmate del loro passato;
tutti sono puniti dagli stessi loro errori, a tal punto che, per alcuni,
è sufficiente abbandonarli a sé stessi, giudicando inutile aggiungervi
altri castighi. Ma sono ombre vale a dire anime con i loro colpi fluidici, sono un'immagine della loro esistenza terrena; non
vi si vedono uomini riprendere il loro corpo carnale per soffrire
materialmente, né il fuoco penetrare sotto la loro pelle e saturarli
fino al midollo delle ossa, né la profusione e la raffinatezza dei
supplizi che stanno alla base dell'inferno cristiano. Qui si trovano dei
giudici inflessibili, ma giusti che comminano la pena proporzionalmente
alla colpa; mentre, nell'impero di Satana, tutti sono mescolati nelle
medesime torture, tutto è basato sulla materialità, e persino l'equità
vi è bandita.
Senza dubbio, al giorno d'oggi, vi sono nella Chiesa stessa molti uomini sensati che non considerano queste cose alla lettera e non vi scorgono che delle allegorie di cui bisogna comprendere lo spirito; ma la loro opinione è soltanto individuale e non fa legge. La credenza nell'inferno materiale, con tutte le sue conseguenze, resta ancora, dunque, un articolo di fede.
Senza dubbio, al giorno d'oggi, vi sono nella Chiesa stessa molti uomini sensati che non considerano queste cose alla lettera e non vi scorgono che delle allegorie di cui bisogna comprendere lo spirito; ma la loro opinione è soltanto individuale e non fa legge. La credenza nell'inferno materiale, con tutte le sue conseguenze, resta ancora, dunque, un articolo di fede.
15. Ci
si domanda come degli uomini abbiano potuto vedere queste cose
nell'estasi, se esse non esistono. Non è qui, però, il luogo per
spiegare l'origine delle immagini fantastiche che a volte si producono
con apparenza di realtà. Noi diremo soltanto che bisogna vedervi una
prova di quel principio, secondo cui, l'estasi è la meno sicura di tutte
le rivelazioni, [11] perché questo stato di sovreccitazione non sempre
comporta una liberazione dell'anima tale da poterla ritenere assoluta,
indicando molto spesso un riflesso delle preoccupazioni dello stato di
veglia. Le idee — di cui lo Spirito si nutre e di cui il cervello o,
meglio, l'involucro perispirituale corrispondente al cervello, ha
conservato l'impronte — si riproducono amplificate come in un miraggio,
sotto forme vaporose che si incrociano e si confondono, creando degli
insiemi bizzarri. Gli estasiati di tutti i culti hanno sempre visto
delle cose in relazione alla fede da cui erano pervasi. Non è dunque
sorprendente che quanti, come santa Teresa, sono fortemente impregnati
di concetti sull'inferno — così come ce li mostrano le descrizioni
verbali o scritte e i dipinti — abbiano delle visioni che non ne sono,
propriamente parlando, che la riproduzione, e che producono l'effetto di
un incubo. Un pagano pieno di fede avrebbe visto il Tartaro e le Furie,
così come nell'Olimpo avrebbe visto Giove che impugna la saetta.
-------------------------
[11] il Libro degli Spiriti, nn. 443 e 444.
Capitolo V - IL PURGATORIO
1. Il Vangelo non fa alcuna
menzione del purgatorio, che fu ammessodalla Chiesa solo nell'anno 593. È
incontestabilmente un dogma più razionale e più conforme dell'inferno
alla giustizia divina, poiché stabilisce delle pene meno rigorose e atte
a riscattare colpe di media gravità. Il principio del purgatorio è
dunque fondato sull'equità, perché, confrontato con la giustizia umana,
si tratta di una detenzione temporanea rispetto all'ergastolo. Che cosa
si direbbe di un paese il quale non avesse che la pena di morte sia per
gli omicidi sia per i semplici reati? Senza il purgatorio, non ci
sarebbero per le anime che due estreme alternative: la felicità assoluta
o il supplizio eterno. In questa ultima ipotesi, che ne sarebbe delle
anime colpevoli soltanto di errori leggeri? O partecipano alla felicità
degli eletti senza essere perfette, o subiscono il castigo dei più
grandi criminali senza aver esse commesso peccati gravi, cosa che non
sarebbe né giusta né razionale.
2. Ma
la nozione di purgatorio doveva necessariamente essere incompleta; è
per questo che — non conoscendo che la pena del fuoco — se n'è fatta una
variazione minore dell'inferno; le anime vi bruciano pure, ma di un
fuoco meno intenso. Essendo l'avanzamento delle anime inconciliabile con
il dogma dei castighi eterni, esse non ne escono in seguito al loro
progresso, ma in virtù delle preghiere che uno dice o fa dire
appositamente per loro.
Se il primo pensiero è stato buono, altrettanto non avviene riguardo alle sue conseguenze, a causa degli abusi di cui esso è stato l'origine. Grazie alle preghiere pagate, il purgatorio è diventato una miniera più produttiva dell'inferno. [1]
Se il primo pensiero è stato buono, altrettanto non avviene riguardo alle sue conseguenze, a causa degli abusi di cui esso è stato l'origine. Grazie alle preghiere pagate, il purgatorio è diventato una miniera più produttiva dell'inferno. [1]
-------------------------
[1] Il purgatorio ha dato origine al commercio scandaloso delle indulgenze, grazie alle quali si vendeva l'ingresso in Cielo. Questo abuso è stato il primo motivo della Riforma, ed è quello che indusse Lutero a rifiutare il purgatorio.
3. Il luogo del purgatorio
non è mai stato determinato, né è mai stata chiaramente definita la
natura delle pene che vi si soffrono. Alla Nuova Rivelazione è stata
riservato l'incarico di colmare questa lacuna, spiegandoci le cause
delle miserie della vita terrena, la cui giustizia potrebbe esserci
dimostrata soltanto dalla pluralità delle esistenze.
Queste miserie sono necessariamente l'effetto delle imperfezioni dell'anima; se l'anima, infatti, fosse perfetta non commetterebbe errori e non dovrebbe subirne le conseguenze. L'uomo che sulla Terra fosse del tutto sobrio e moderato, per esempio, non sarebbe preda delle malattie che gli eccessi generano. Il più delle volte l'uomo si trova a essere infelice sulla Terra per sua stessa colpa; ma se egli è imperfetto, è perché già lo era prima di venire sulla Terra; qui egli espia non solo le sue colpe attuali, ma anche le colpe anteriori che non ha riparato; egli soffre in una vita di prove ciò che, in un'altra esistenza, ha fatto soffrire agli altri. Le vicissitudini ch'egli sopporta sono allo stesso tempo un castigo temporaneo e un avvertimento riguardo alle imperfezioni di cui deve disfarsi, per evitare le disgrazie future e per avanzare verso il bene. Sono per l'anima lezioni d'esperienza, lezioni a volte dure, ma tanto più vantaggiose per l'avvenire quanto più profonda è l'impressione ch'esse lasciano.
Queste vicissitudini sono occasione di lotte incessanti, che sviluppano le forze e le facoltà dell'anima sia morali sia intellettuali. Attraverso queste lotte l'anima si fortifica nel bene e ne esce sempre vittoriosa, se ha il coraggio di sostenerle fino alla fine. Il premio della vittoria sta nella vita spirituale, in cui l'anima entra radiosa e trionfante, come il soldato che esce dalla mischia e va a ricevere la palma gloriosa.
Queste miserie sono necessariamente l'effetto delle imperfezioni dell'anima; se l'anima, infatti, fosse perfetta non commetterebbe errori e non dovrebbe subirne le conseguenze. L'uomo che sulla Terra fosse del tutto sobrio e moderato, per esempio, non sarebbe preda delle malattie che gli eccessi generano. Il più delle volte l'uomo si trova a essere infelice sulla Terra per sua stessa colpa; ma se egli è imperfetto, è perché già lo era prima di venire sulla Terra; qui egli espia non solo le sue colpe attuali, ma anche le colpe anteriori che non ha riparato; egli soffre in una vita di prove ciò che, in un'altra esistenza, ha fatto soffrire agli altri. Le vicissitudini ch'egli sopporta sono allo stesso tempo un castigo temporaneo e un avvertimento riguardo alle imperfezioni di cui deve disfarsi, per evitare le disgrazie future e per avanzare verso il bene. Sono per l'anima lezioni d'esperienza, lezioni a volte dure, ma tanto più vantaggiose per l'avvenire quanto più profonda è l'impressione ch'esse lasciano.
Queste vicissitudini sono occasione di lotte incessanti, che sviluppano le forze e le facoltà dell'anima sia morali sia intellettuali. Attraverso queste lotte l'anima si fortifica nel bene e ne esce sempre vittoriosa, se ha il coraggio di sostenerle fino alla fine. Il premio della vittoria sta nella vita spirituale, in cui l'anima entra radiosa e trionfante, come il soldato che esce dalla mischia e va a ricevere la palma gloriosa.
4. Ogni esistenza è per
l'anima l'occasione d'un passo avanti; dalla sua volontà dipende che
questo passo sia il più lungo possibile, che superi parecchi gradini o
che resti sempre allo stesso punto; in quest'ultimo caso essa avrebbe
sofferto senza alcun vantaggio. E siccome, presto o tardi, bisogna
sempre pagare il proprio debito, bisognerà ch'essa ricominci una nuova
esistenza, in condizioni ancora più penose, perché a una macchia non
cancellata, essa aggiunge un'altra macchia.
È, dunque, nelle incarnazioni successive che l'anima si libera a poco a poco delle sue imperfezioni, che, in una parola, si purifica finché sia abbastanza pura da meritare di lasciare i mondi dell'espiazione per mondi più felici, e per lasciare più tardi, anche questi, per gioire della felicità suprema.
Il purgatorio non è più, dunque, un'idea vaga e incerta; è una realtà che noi vediamo, che noi tocchiamo e che noi subiamo. Esso è nei mondi dell'espiazione, e la Terra è uno di questi mondi; gli uomini vi espiano il loro passato e il loro presente, a vantaggio del loro futuro. Ma, contrariamente all'idea che uno se ne fa, dipende da ciascun individuo abbreviare o prolungarvi il proprio soggiorno, a seconda del grado di avanzamento e di purificazione, al quale ciascuno è pervenuto attraverso il suo lavoro su sé stesso. Se ne esce, non perché il proprio tempo sia finito o per meriti altrui, ma in conseguenza del proprio stesso merito, secondo queste parole del Cristo: A ciascuno secondo le sue opere, parole che riassumono tutta la giustizia di Dio.
È, dunque, nelle incarnazioni successive che l'anima si libera a poco a poco delle sue imperfezioni, che, in una parola, si purifica finché sia abbastanza pura da meritare di lasciare i mondi dell'espiazione per mondi più felici, e per lasciare più tardi, anche questi, per gioire della felicità suprema.
Il purgatorio non è più, dunque, un'idea vaga e incerta; è una realtà che noi vediamo, che noi tocchiamo e che noi subiamo. Esso è nei mondi dell'espiazione, e la Terra è uno di questi mondi; gli uomini vi espiano il loro passato e il loro presente, a vantaggio del loro futuro. Ma, contrariamente all'idea che uno se ne fa, dipende da ciascun individuo abbreviare o prolungarvi il proprio soggiorno, a seconda del grado di avanzamento e di purificazione, al quale ciascuno è pervenuto attraverso il suo lavoro su sé stesso. Se ne esce, non perché il proprio tempo sia finito o per meriti altrui, ma in conseguenza del proprio stesso merito, secondo queste parole del Cristo: A ciascuno secondo le sue opere, parole che riassumono tutta la giustizia di Dio.
5. Colui, dunque, che soffre
in questa vita deve dire a sé stesso che ciò avviene perché non si è
sufficientemente purificato nella sua precedente esistenza, e che, se
non lo fa in questa, ancora soffrirà nella successiva. Questo è equo e,
allo stesso tempo, logico. Essendo la sofferenza inerente
all'imperfezione, si soffre per tanto tempo quanto è lungo quello in cui
si è imperfetti, così come si soffre di una malattia per tanto tempo
finché non se ne è guariti. Così, fin tanto che un uomo sarà orgoglioso,
soffrirà delle conseguenze dell'orgoglio, fin tanto che sarà egoista,
soffrirà delle conseguenze dell'egoismo.
6. Lo Spirito colpevole
soffre prima di tutto nella vita spirituale in ragione del grado delle
imperfezioni; poi gli viene data la vita corporea come mezzo di
riparazione. È per questo ch'egli si ritrova qui, sia con le persone che
ha offeso, sia in ambienti analoghi a quelli in cui ha commesso il
male, sia in situazioni che ne sono la contropartita, come, per esempio,
di trovarsi in miseria se è stato un ricco malvagio, o in una
condizione umiliante se è stato orgoglioso.
L'espiazione, nel mondo degli Spiriti e sulla Terra, non è affatto un doppio castigo per lo Spirito; è il medesimo castigo che si protrae sulla Terra, come complemento, per facilitare il suo miglioramento attraverso un lavoro efficace; dipende però da lui metterlo a profitto. Non vale forse di più per lui ritornare sulla Terra, con la possibilità di guadagnarsi il Cielo, piuttosto che essere condannato senza remissione, lasciandola? Questa libertà, che è a lui accordata, è una prova della saggezza, della bontà e della giustizia di Dio, che vuole che l'uomo debba tutto ai suoi stessi sforzi e sia l'artefice del suo futuro; se egli è infelice e se lo è più o meno a lungo, non può prendersela che con sé stesso: la via del progresso gli è sempre aperta.
L'espiazione, nel mondo degli Spiriti e sulla Terra, non è affatto un doppio castigo per lo Spirito; è il medesimo castigo che si protrae sulla Terra, come complemento, per facilitare il suo miglioramento attraverso un lavoro efficace; dipende però da lui metterlo a profitto. Non vale forse di più per lui ritornare sulla Terra, con la possibilità di guadagnarsi il Cielo, piuttosto che essere condannato senza remissione, lasciandola? Questa libertà, che è a lui accordata, è una prova della saggezza, della bontà e della giustizia di Dio, che vuole che l'uomo debba tutto ai suoi stessi sforzi e sia l'artefice del suo futuro; se egli è infelice e se lo è più o meno a lungo, non può prendersela che con sé stesso: la via del progresso gli è sempre aperta.
7. Se si considera quanto è
grande la sofferenza di certi Spiriti colpevoli nel mondo invisibile,
quanto è terribile la situazione di alcuni di essi, di quali ansietà
essi sono preda, e se si considera quanto questa posizione è resa ancora
più penosa dell'impossibilità — a causa del luogo dove essi si trovano —
di vederne la fine, si potrebbe dire che per loro questo è l'inferno, se
questo termine non implicasse l'idea di un castigo eterno e materiale.
Grazie alla rivelazione degli Spiriti e agli esempi ch'essi ci offrono,
noi sappiamo che la durata dell'espiazione è subordinata al miglioramento del colpevole.
8. Lo
Spiritismo non viene dunque a negare la punizione futura; ma, al
contrario, esso viene a constatarla. Ciò che invece esso distrugge è
l'inferno localizzato, con le sue fornaci e le sue pene irreparabili.
Non nega il purgatorio, poiché dimostra che noi vi ci troviamo; lo
definisce e lo precisa, e, spiegando la causa delle miserie terrene,
attraverso questa argomentazione spinge a credervi coloro che lo negano.
Lo Spiritismo respinge le preghiere per i trapassati? Proprio il contrario, dal momento che gli Spiriti sofferenti le sollecitano. Lo Spiritismo ne fa anzi un dovere di carità e dimostra l'efficacia che esse hanno nel ricondurre gli Spiriti al bene e nell'abbreviare, con questo mezzo, i loro tormenti. [2] Parlando all'intelligenza, esso ha ricondotto alla fede ì non credenti e alla preghiera coloro che se ne facevano beffe. Ma lo Spiritismo dice anche che l'efficacia delle preghiere è nel pensiero e non nelle parole, che le migliori preghiere sono quelle del cuore e non quelle delle labbra, quelle infine che si pronunciano da sé stessi, e non quelle che si fanno dire a pagamento. Chi dunque oserebbe censurarlo?
Lo Spiritismo respinge le preghiere per i trapassati? Proprio il contrario, dal momento che gli Spiriti sofferenti le sollecitano. Lo Spiritismo ne fa anzi un dovere di carità e dimostra l'efficacia che esse hanno nel ricondurre gli Spiriti al bene e nell'abbreviare, con questo mezzo, i loro tormenti. [2] Parlando all'intelligenza, esso ha ricondotto alla fede ì non credenti e alla preghiera coloro che se ne facevano beffe. Ma lo Spiritismo dice anche che l'efficacia delle preghiere è nel pensiero e non nelle parole, che le migliori preghiere sono quelle del cuore e non quelle delle labbra, quelle infine che si pronunciano da sé stessi, e non quelle che si fanno dire a pagamento. Chi dunque oserebbe censurarlo?
--------------------------
[2] Vedere Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. XXVII: "Azione della preghiera", pag. 320.
9.
Che il castigo abbia luogo nella vita spirituale o sulla Terra, e quale
che ne sia la durata, esso ha sempre un termine, più o meno lontano,
più o meno vicino. In realtà, non ci sono dunque, per lo Spirito che due
alternative: punizione temporanea e proporzionale alla colpa e ricompensa proporzionale al merito.
Lo Spiritismo respinge la terza alternativa, quella della dannazione
eterna. L'inferno resta come figura simbolica delle più grandi
sofferenze, il cui termine è sconosciuto. Il purgatorio è la realtà.
Il termine purgatorio suggerisce l'idea di un luogo circoscritto: questo avviene perché si applica più naturalmente alla Terra, considerata come luogo di espiazione, piuttosto che allo Spazio infinito, dove errano gli Spiriti sofferenti; e, inoltre, perché la natura dell'espiazione terrena ha i caratteri della vera espiazione.
Quando gli uomini si saranno migliorati, essi non forniranno al mondo invisibile altro che buoni Spiriti, e questi, incarnandosi, non forniranno all'umanità corporea altro che elementi perfezionati. Cessando, allora, la Terra d'essere un mondo di espiazione, gli uomini non vi soffriranno più quelle miserie che sono le conseguenze delle loro imperfezioni. Questa è la trasformazione che si sta operando in questo momento e che eleverà la Terra nella gerarchia dei mondi. [3]
Il termine purgatorio suggerisce l'idea di un luogo circoscritto: questo avviene perché si applica più naturalmente alla Terra, considerata come luogo di espiazione, piuttosto che allo Spazio infinito, dove errano gli Spiriti sofferenti; e, inoltre, perché la natura dell'espiazione terrena ha i caratteri della vera espiazione.
Quando gli uomini si saranno migliorati, essi non forniranno al mondo invisibile altro che buoni Spiriti, e questi, incarnandosi, non forniranno all'umanità corporea altro che elementi perfezionati. Cessando, allora, la Terra d'essere un mondo di espiazione, gli uomini non vi soffriranno più quelle miserie che sono le conseguenze delle loro imperfezioni. Questa è la trasformazione che si sta operando in questo momento e che eleverà la Terra nella gerarchia dei mondi. [3]
--------------------------
[3] Vedere Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. III: "Progresso dei mondi".
10. Perché allora Cristo non
avrebbe parlato del purgatorio? Il fatto è che l'idea non esisteva, né
vi erano parole per rappresentarla. Egli si servì del termine inferno, il
solo che fosse allora in uso, come termine generico, per designare le
pene future, senza distinzione. Se, a fianco del termine inferno, avesse posto un termine equivalente a purgatorio, non
avrebbe potuto precisarne il vero significato, dal momento che non
poteva dar l'avvio a una questione riservata al futuro. Inoltre, si
sarebbe dovuta consacrare l'esistenza di due speciali luoghi di castigo.
L'inferno, nella sua accezione generale, risvegliando l'idea di
punizione, racchiudeva implicitamente quella del purgatorio, che
non è altro che un sistema di punizione. Il futuro, dovendo illuminare
gli uomini sulla natura delle pene, doveva, proprio per questa ragione,
ridurre l'inferno al suo giusto valore.
Poiché la Chiesa ha creduto di dover supplire, dopo sei secoli, al silenzio di Gesù decretando l'esistenza del purgatorio, è perché ha pensato ch'egli non aveva detto tutto. Perché ciò non dovrebbe verificarsi su altri punti?
Poiché la Chiesa ha creduto di dover supplire, dopo sei secoli, al silenzio di Gesù decretando l'esistenza del purgatorio, è perché ha pensato ch'egli non aveva detto tutto. Perché ciò non dovrebbe verificarsi su altri punti?
Capitolo VI - DOTTRINA DELLE PENE ETERNE
Origine della dottrina delle pene eterne
1. La credenza nell'eternità
delle pene perde ogni giorno talmente terreno che, senza essere
profeta, ciascuno può prevederne la fine alquanto vicina. Tale dottrina è
stata combattuta con argomenti così possenti e così perentori, che
sembra quasi superfluo d'ora in avanti occuparsene, essendo sufficiente
lasciare che essa si estingua da sé stessa. Tuttavia non si può
nascondere che, per quanto sia caduca, essa è tuttora il punto di
collegamento degli avversari delle idee nuove, punto ch'essi difendono
con il massimo accanimento, perché è uno dei lati più vulnerabili e
perché essi prevedono le conseguenze della sua caduta. Da questo punto
di vista, tale questione merita un serio esame.
2. La dottrina delle pene
eterne, come quella dell'inferno materiale, ha avuto la sua ragion
d'essere, allorché questa paura poteva costituire un freno per gli
uomini intellettualmente e moralmente poco avanzati. Come poco, o niente
affatto, sarebbero stati impressionati dall'idea di pene morali, non
molto di più lo sarebbero stati dall'idea di pene temporanee. Essi non
avrebbero neppure compreso la giustizia delle pene graduate e
proporzionate, perché non erano nelle condizioni di cogliere le
sfumature, spesso delicate, del bene e del male, né il valore relativo
delle circostanze attenuanti o aggravanti.
3. Quanto più gli uomini
sono vicini allo stato primitivo, tanto più sono materiali; il senso
morale è quello che, in loro, si sviluppa più tardi. Per questo stesso
motivo, essi non possono farsi che un'idea molto imperfetta di Dio e dei
Suoi attributi, e un'idea non meno vaga della vita futura. Assimilano
Dio alla loro stessa natura. Dio è per loro un sovrano assoluto, tanto
più temibile in quanto è invisibile, come un monarca despota che,
nascosto nel suo palazzo, non si mostra mai ai suoi sudditi. Ed Egli non
è potente che per la forza materiale, poiché essi non hanno la
concezione della potenza morale; Lo vedono solo armato della folgore, in
mezzo a lampi e tempeste, che semina al Suo passaggio la rovina e la
desolazione, sull'esempio dei guerrieri invincibili. Un Dio di
mansuetudine e di misericordia non sarebbe un Dio, ma un essere debole
che non saprebbe farsi obbedire. La vendetta implacabile, i castighi
terribili ed eterni, nulla avevano di contrario all'idea che si facevano
di Dio, nulla che ripugnasse alla loro ragione. Implacabili essi stessi
nei loro risentimenti, crudeli verso i loro nemici, senza pietà per i
vinti, Dio, che era loro superiore, doveva per forza essere ancora più
terribile.
Per uomini tali, v'era bisogno di credenze religiose adeguate alla loro natura ancora rozza. Una religione tutta spirituale, fatta tutta di amore e di carità, non poteva essere associata alla brutalità dei costumi e delle passioni. Non biasimiamo, perciò, Mosè per la sua legislazione draconiana, che era appena sufficiente a contenere il suo popolo indocile, né d'aver fatto di Dio un Dio vendicatore. Di questo c'era bisogno a quell'epoca; la dolce dottrina di Gesù non vi avrebbe trovato eco e sarebbe stata impotente.
Per uomini tali, v'era bisogno di credenze religiose adeguate alla loro natura ancora rozza. Una religione tutta spirituale, fatta tutta di amore e di carità, non poteva essere associata alla brutalità dei costumi e delle passioni. Non biasimiamo, perciò, Mosè per la sua legislazione draconiana, che era appena sufficiente a contenere il suo popolo indocile, né d'aver fatto di Dio un Dio vendicatore. Di questo c'era bisogno a quell'epoca; la dolce dottrina di Gesù non vi avrebbe trovato eco e sarebbe stata impotente.
4. Man mano che lo Spirito
si è sviluppato, il velo materiale si è poco a poco dissipato, e gli
uomini sono stati più adatti a comprendere le cose spirituali; ma ciò
non è avvenuto che gradualmente. Quando Gesù è giunto sulla Terra, egli
ha potuto annunciare un Dio clemente, ha potuto parlare del Suo regno,
che non è di questo mondo, e dire agli uomini: "Amatevi gli uni con gli
altri, fate del bene a coloro che vi odiano". Gli antichi, invece,
dicevano: "Occhio per occhio, dente per dente".
Orbene, chi erano gli uomini che vivevano al tempo di Gesù? Erano anime da poco create e incarnate? Se così fosse, Dio avrebbe dunque creato al tempo di Gesù delle anime più avanzate che al tempo di Mosè. Ma, allora, che sarebbe avvenuto di queste ultime? Avrebbero esse languito per l'eternità nell'abbrutimento? Il semplice buon senso respinge questa supposizione. No: c'erano le medesime anime, le quali, dopo aver vissuto sotto il dominio della legge mosaica, avevano, attraverso numerose esistenze, acquisito uno sviluppo sufficiente per comprendere una dottrina più elevata. Al giorno d'oggi queste anime sono abbastanza avanzate da ricevere un insegnamento ancora più completo.
Orbene, chi erano gli uomini che vivevano al tempo di Gesù? Erano anime da poco create e incarnate? Se così fosse, Dio avrebbe dunque creato al tempo di Gesù delle anime più avanzate che al tempo di Mosè. Ma, allora, che sarebbe avvenuto di queste ultime? Avrebbero esse languito per l'eternità nell'abbrutimento? Il semplice buon senso respinge questa supposizione. No: c'erano le medesime anime, le quali, dopo aver vissuto sotto il dominio della legge mosaica, avevano, attraverso numerose esistenze, acquisito uno sviluppo sufficiente per comprendere una dottrina più elevata. Al giorno d'oggi queste anime sono abbastanza avanzate da ricevere un insegnamento ancora più completo.
5. Tuttavia, il Cristo non
ha potuto rivelare ai suoi contemporanei tutti i misteri del futuro.
Gesù stesso ha detto: "Io avrei ancora molte cose da dirvi, ma voi non
le comprendereste; ed è per questo che io vi parlo in parabole". Su
tutto ciò che riguarda la morale, vale a dire i doveri dell'uomo verso
l'uomo, egli è stato molto esplicito, perché toccando la sensibile corda
della vita materiale, sapeva di essere compreso; sugli altri punti,
egli si limita a seminare, sotto forma allegorica, i germi di ciò che
dovrà essere sviluppato più tardi.
La dottrina delle pene e delle ricompense future appartiene a quest'ultimo ordine di idee. Soprattutto riguardo alle pene, egli non poteva rompere tutt'a un tratto con le idee precostituite. Egli veniva per indicare agli uomini nuovi doveri: la carità e l'amore verso il prossimo sostituivano lo spirito di odio e di vendetta; l'abnegazione si sostituiva all'egoismo. Ed era già molto. Non poteva razionalmente indebolire il timore del castigo riservato ai prevaricatori, senza indebolire nello stesso tempo l'idea di dovere. Prometteva il regno dei cieli ai buoni; questo regno, dunque, era interdetto ai malvagi; e questi dove sarebbero andati? Inoltre, sarebbe stata necessaria una inversione della Natura, per impressionare delle intelligenze ancora troppo materiali per identificarsi con la vita spirituale. Infatti, non si deve perdere di vista che Gesù si rivolgeva al popolo, alla parte meno illuminata della società, per la quale c'era bisogno di immagini in qualche modo palpabili, e non di idee sottili. È per questo ch'egli, a tale riguardo, non entrava in dettagli superflui: gli bastava contrapporre una punizione alla ricompensa. Non c'era bisogno d'altro a quell'epoca.
La dottrina delle pene e delle ricompense future appartiene a quest'ultimo ordine di idee. Soprattutto riguardo alle pene, egli non poteva rompere tutt'a un tratto con le idee precostituite. Egli veniva per indicare agli uomini nuovi doveri: la carità e l'amore verso il prossimo sostituivano lo spirito di odio e di vendetta; l'abnegazione si sostituiva all'egoismo. Ed era già molto. Non poteva razionalmente indebolire il timore del castigo riservato ai prevaricatori, senza indebolire nello stesso tempo l'idea di dovere. Prometteva il regno dei cieli ai buoni; questo regno, dunque, era interdetto ai malvagi; e questi dove sarebbero andati? Inoltre, sarebbe stata necessaria una inversione della Natura, per impressionare delle intelligenze ancora troppo materiali per identificarsi con la vita spirituale. Infatti, non si deve perdere di vista che Gesù si rivolgeva al popolo, alla parte meno illuminata della società, per la quale c'era bisogno di immagini in qualche modo palpabili, e non di idee sottili. È per questo ch'egli, a tale riguardo, non entrava in dettagli superflui: gli bastava contrapporre una punizione alla ricompensa. Non c'era bisogno d'altro a quell'epoca.
6. Se Gesù ha minacciato i colpevoli con il fuoco eterno, li ha anche minacciati che sarebbero stati gettati nella Geenna; ora, che cos'era la Geenna? Un
luogo nei dintorni di Gerusalemme, una discarica dove si gettavano le
immondizie della città. Si dovrebbe, dunque interpretare anche questo
alla lettera? Era una di quelle immagini forti col cui aiuto
impressionava le masse. La stessa cosa dicasi per il fuoco eterno. Se
tale non fosse stata la sua intenzione, egli sarebbe in contraddizione
con sé stesso quando esaltava la clemenza e la misericordia di Dio,
poiché la clemenza e l'inesorabilità sono dei contrari che si annullano.
Vorrebbe dunque dire ingannarsi bizzarramente sul significato delle
parole di Gesù, il fatto di vedervi la convalida del dogma delle pene
eterne, dal momento che ogni suo insegnamento proclama la clemenza del
Creatore.
Nel Padre nostro, Gesù ci insegna a dire: "Signore, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Se il colpevole non avesse alcun perdono in cui sperare, sarebbe inutile domandarlo. Ma questo perdono è senza condizioni? È una grazia, una remissione pura e semplice della pena in cui si è incorsi? No. La misura di questo perdono è subordinata alla maniera con cui noi stessi avremo perdonato; vale a dire che se noi non perdoniamo, noi non saremo perdonati. Dio, facendo dell'oblio delle offese una condizione assoluta, non poteva esigere che il debole uomo facesse ciò ch'Egli, l'Onnipotente, non avrebbe mai fatto. Il Padre nostro è una sconfessione quotidiana contro l'eterna vendetta di Dio.
Nel Padre nostro, Gesù ci insegna a dire: "Signore, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Se il colpevole non avesse alcun perdono in cui sperare, sarebbe inutile domandarlo. Ma questo perdono è senza condizioni? È una grazia, una remissione pura e semplice della pena in cui si è incorsi? No. La misura di questo perdono è subordinata alla maniera con cui noi stessi avremo perdonato; vale a dire che se noi non perdoniamo, noi non saremo perdonati. Dio, facendo dell'oblio delle offese una condizione assoluta, non poteva esigere che il debole uomo facesse ciò ch'Egli, l'Onnipotente, non avrebbe mai fatto. Il Padre nostro è una sconfessione quotidiana contro l'eterna vendetta di Dio.
7. Per degli uomini che non
avevano che una confusa nozione della spiritualità dell'anima, l'idea
del fuoco materiale non aveva niente di traumatizzante, anche perché
essa sussisteva nella credenza popolare, attinta in quella dell'inferno
dei pagani, quasi universalmente diffusa. L'eternità della pena non
aveva nulla che ripugnasse a della gente sottomessa da secoli alla
legislazione del terribile Geova. Nel pensiero di Gesù, il fuoco eterno
non poteva dunque essere che una immagine; poco gli importava che questa
immagine fosse presa alla lettera, dal momento che essa doveva servire
da freno. Egli sapeva bene che il tempo e il progresso avrebbero dovuto
assumersi l'incarico di farne comprendere il senso allegorico,
soprattutto allorché, secondo la sua predizione, lo Spirito di Verità sarebbe venuto a illuminare gli uomini su tutte le cose.
Il carattere essenziale delle pene irrevocabili sta nell'inefficacia del pentimento. Ora, mai Gesù ha detto che il pentimento non avrebbe trovato grazia davanti a Dio. Al contrario, in ogni occasione, egli ci mostra un Dio clemente, misericordioso, pronto a ricevere il figliol prodigo rientrato sotto il tetto paterno. Egli ci mostra un Dio inflessibile solo verso il peccatore irriducibile; ma se Egli tiene il castigo in una mano, nell'altra tiene sempre il perdono ed è pronto a riversarlo sul colpevole non appena questi ritorna sinceramente a lui. Questa non è di certo la rappresentazione di un Dio senza pietà. C'è anche da notare che Gesù non ha mai pronunciato contro nessuno, neppure contro i più grandi colpevoli, delle condanne irrevocabili.
Il carattere essenziale delle pene irrevocabili sta nell'inefficacia del pentimento. Ora, mai Gesù ha detto che il pentimento non avrebbe trovato grazia davanti a Dio. Al contrario, in ogni occasione, egli ci mostra un Dio clemente, misericordioso, pronto a ricevere il figliol prodigo rientrato sotto il tetto paterno. Egli ci mostra un Dio inflessibile solo verso il peccatore irriducibile; ma se Egli tiene il castigo in una mano, nell'altra tiene sempre il perdono ed è pronto a riversarlo sul colpevole non appena questi ritorna sinceramente a lui. Questa non è di certo la rappresentazione di un Dio senza pietà. C'è anche da notare che Gesù non ha mai pronunciato contro nessuno, neppure contro i più grandi colpevoli, delle condanne irrevocabili.
8. Tutte le religioni
primitive, in accordo con il carattere dei popoli, hanno avuto degli dei
guerrieri che combattevano alla testa degli eserciti. Il Geova degli
Ebrei forniva loro mille mezzi per sterminare i nemici; egli li
ricompensava per la vittoria, li puniva per la sconfitta. A seconda
dell'idea che ci si faceva di Dio, si riteneva di onorarlo o di
appagarlo con il sangue degli animali o degli uomini: da qui i sacrifici
sanguinosi che hanno rappresentato un così grande ruolo in tutte le
religioni antiche. I Giudei avevano abolito i sacrifici umani; i
Cristiani, nonostante gli insegnamenti del Cristo, hanno per lungo tempo
creduto di onorare il Creatore gettando, a migliaia, alle fiamme e alle
torture quelli ch'essi chiamavano eretici. Erano, sotto un'altra forma,
veri e propri sacrifici umani, poiché venivano fatti per la maggior gloria di Dio e con un accompagnamento di cerimonie religiose. Ancor oggi, i Cristiani invocano il Dio degli eserciti prima del combattimento e lo glorificano dopo la vittoria, e ciò avviene spesso per le cause più ingiuste e più anticristiane.
9. Quanto lento è l'uomo a
disfarsi dei suoi pregiudizi, delle sue abitudini, delle sue idee
primitive! Quaranta secoli ci separano da Mosè, e la nostra generazione
cristiana vede ancora tracce delle antiche usanze barbare consacrate, o
almeno approvate, dalla religione attuale! C'è stato bisogno della
potenza dell'opinione dei non ortodossi, di
coloro che sono ritenuti eretici, per mettere fine ai roghi e far
comprendere la vera grandezza di Dio. Ma, in assenza dei roghi, le
persecuzioni materiali e morali sono ancora in pieno vigore, tanto
l'idea di un Dio crudele è radicata nell'uomo. Cresciuto nei sentimenti
che gli vengono inculcati fin dall'infanzia, può forse l'uomo
meravigliarsi se il Dio, che gli presentano come onorato da atti
barbari, condanna a torture eterne e osserva senza pietà alcuna le
sofferenze dei dannati?
Sì. Ci sono dei filosofi — empi secondo alcuni — i quali si sono scandalizzati nel vedere il nome di Dio, profanato da atti indegni di Lui. Sono coloro che l'hanno mostrato agli uomini in tutta la Sua grandezza, dispogliandoLo delle passioni e delle grettezze umane attribuiteGli da una fede non illuminata. La religione ha guadagnato in dignità ciò che essa ha perduto in prestigio esteriore. Infatti, se ci sono meno uomini attaccati alla forma, ce ne sono molti di più che sono sinceramente religiosi con il cuore e con i sentimenti.
Ma, a fianco di questi, quanti sono quelli che, arrestandosi alla superficie, sono stati indotti alla negazione di ogni provvidenza! Non avendo saputo mettere, al momento opportuno, in armonia le credenze religiose con il progresso della ragione umana, si è fatto nascere negli uni il deismo, negli altri la miscredenza assoluta, in altri ancora il panteismo, vale a dire che l'uomo si è fatto dio lui stesso, non vedendone alcuno abbastanza perfetto.
Sì. Ci sono dei filosofi — empi secondo alcuni — i quali si sono scandalizzati nel vedere il nome di Dio, profanato da atti indegni di Lui. Sono coloro che l'hanno mostrato agli uomini in tutta la Sua grandezza, dispogliandoLo delle passioni e delle grettezze umane attribuiteGli da una fede non illuminata. La religione ha guadagnato in dignità ciò che essa ha perduto in prestigio esteriore. Infatti, se ci sono meno uomini attaccati alla forma, ce ne sono molti di più che sono sinceramente religiosi con il cuore e con i sentimenti.
Ma, a fianco di questi, quanti sono quelli che, arrestandosi alla superficie, sono stati indotti alla negazione di ogni provvidenza! Non avendo saputo mettere, al momento opportuno, in armonia le credenze religiose con il progresso della ragione umana, si è fatto nascere negli uni il deismo, negli altri la miscredenza assoluta, in altri ancora il panteismo, vale a dire che l'uomo si è fatto dio lui stesso, non vedendone alcuno abbastanza perfetto.
Argomenti a sostegno delle pene eterne
10. Ritorniamo al dogma dell'eternità delle pene. Il principale argomento che viene invocato a suo favore è il seguente:
"È dottrina sancita tra gli uomini che la gravità dell'offesa è proporzionale al valore dell'offeso. L'offesa che è commessa nei confronti di un sovrano, essendo considerata più grave di quella che riguarda soltanto un privato cittadino, è punita più severamente. Ora, Dio è più di un sovrano; poiché Egli è infinito, infinita è l'offesa verso di Lui e deve perciò avere un castigo infinito, cioè eterno."
Confutazione — Ogni confutazione è un ragionamento che deve avere il suo punto di partenza, una base su cui poggiare, in una parola, delle premesse. Noi prendiamo tali premesse negli attributi stessi di Dio:
Dio è unico, eterno, immutabile, immateriale, onnipotente, sovranamente giusto e buono, infinito in tutte le sue perfezioni.
È impossibile concepire Dio in modo diverso dall'infinito delle perfezioni; altrimenti Egli non sarebbe Dio, perché si potrebbe concepire un altro essere che possiede quanto a Lui manca. Perché sia il solo al di sopra di tutti gli esseri, bisogna che non ci sia alcuno che possa superarlo né eguagliarlo in una qualsiasi cosa. Bisogna, dunque, ch'Egli sia infinito in tutto.
Essendo gli attributi di Dio infiniti, essi non sono suscettibili né di aumenti né di diminuzioni; altrimenti non sarebbero infiniti, né Dio sarebbe perfetto. Se si togliesse la più piccola particella da uno solo dei suoi attributi, non si avrebbe più Dio, poiché potrebbe esistere un essere più perfetto.
L'infinito di una qualità esclude la possibilità dell'esistenza di una qualità contraria che potrebbe sminuirla o annullarla. Un essere infinitamente buono non può avere la più piccola particella di malvagità, né l'essere infinitamente malvagio può avere la più piccola particella di bontà; allo stesso modo che un oggetto non potrebbe definirsi d'un nero assoluto, se avesse la più leggera sfumatura di bianco, né definirsi d'un bianco assoluto con la più piccola macchia di nero.
Posto questo punto di partenza, all'argomento di cui sopra vengono opposti gli argomenti che qui di seguito elenchiamo.
"È dottrina sancita tra gli uomini che la gravità dell'offesa è proporzionale al valore dell'offeso. L'offesa che è commessa nei confronti di un sovrano, essendo considerata più grave di quella che riguarda soltanto un privato cittadino, è punita più severamente. Ora, Dio è più di un sovrano; poiché Egli è infinito, infinita è l'offesa verso di Lui e deve perciò avere un castigo infinito, cioè eterno."
Confutazione — Ogni confutazione è un ragionamento che deve avere il suo punto di partenza, una base su cui poggiare, in una parola, delle premesse. Noi prendiamo tali premesse negli attributi stessi di Dio:
Dio è unico, eterno, immutabile, immateriale, onnipotente, sovranamente giusto e buono, infinito in tutte le sue perfezioni.
È impossibile concepire Dio in modo diverso dall'infinito delle perfezioni; altrimenti Egli non sarebbe Dio, perché si potrebbe concepire un altro essere che possiede quanto a Lui manca. Perché sia il solo al di sopra di tutti gli esseri, bisogna che non ci sia alcuno che possa superarlo né eguagliarlo in una qualsiasi cosa. Bisogna, dunque, ch'Egli sia infinito in tutto.
Essendo gli attributi di Dio infiniti, essi non sono suscettibili né di aumenti né di diminuzioni; altrimenti non sarebbero infiniti, né Dio sarebbe perfetto. Se si togliesse la più piccola particella da uno solo dei suoi attributi, non si avrebbe più Dio, poiché potrebbe esistere un essere più perfetto.
L'infinito di una qualità esclude la possibilità dell'esistenza di una qualità contraria che potrebbe sminuirla o annullarla. Un essere infinitamente buono non può avere la più piccola particella di malvagità, né l'essere infinitamente malvagio può avere la più piccola particella di bontà; allo stesso modo che un oggetto non potrebbe definirsi d'un nero assoluto, se avesse la più leggera sfumatura di bianco, né definirsi d'un bianco assoluto con la più piccola macchia di nero.
Posto questo punto di partenza, all'argomento di cui sopra vengono opposti gli argomenti che qui di seguito elenchiamo.
11. Un essere infinito può
compiere solo qualcosa d'infinito. L'uomo, essendo limitato nelle sue
virtù, nelle sue cognizioni, nella sua potenza, nelle sue attitudini,
nella sua esistenza terrena, non può produrre che cose limitate.
Se l'uomo potesse essere infinito in ciò che fa di male, egualmente lo sarebbe in ciò che fa di bene, e allora sarebbe uguale a Dio. Ma, se l'uomo fosse infinito in ciò che fa di bene, non farebbe del male, poiché il bene assoluto comporta l'esclusione di ogni male.
Ammettendo che un'offesa temporanea contro la Divinità possa essere infinita, Dio, vendicandosi con un castigo infinito, sarebbe infinitamente vendicativo; s'Egli è infinitamente vendicativo, non può essere infinitamente buono e misericordioso, poiché l'uno di questi attributi è la negazione dell'altro. Se non è infinitamente buono, Egli non è perfetto e, se non è perfetto, Egli non è Dio.
Se Dio è inesorabile verso il colpevole che si pente, Egli non è misericordioso; se non è misericordioso, Egli non è infinitamente buono.
Perché Dio dovrebbe imporre all'uomo una legge del perdono, se Lui stesso non dovesse perdonare? Ne risulterebbe che l'uomo che perdona ai suoi nemici, e rende loro bene per male, sarebbe migliore di Dio che resta sordo al pentimento di colui che l'ha offeso e gli rifiuta, per l'eternità, il più lieve intenerimento!
Dio, che è dappertutto e vede tutto, dovrebbe pur vedere le torture dei dannati. Se è insensibile ai loro lamenti durante tutta l'eternità, Egli è eternamente senza pietà. Se è senza pietà, non è infinitamente buono.
Se l'uomo potesse essere infinito in ciò che fa di male, egualmente lo sarebbe in ciò che fa di bene, e allora sarebbe uguale a Dio. Ma, se l'uomo fosse infinito in ciò che fa di bene, non farebbe del male, poiché il bene assoluto comporta l'esclusione di ogni male.
Ammettendo che un'offesa temporanea contro la Divinità possa essere infinita, Dio, vendicandosi con un castigo infinito, sarebbe infinitamente vendicativo; s'Egli è infinitamente vendicativo, non può essere infinitamente buono e misericordioso, poiché l'uno di questi attributi è la negazione dell'altro. Se non è infinitamente buono, Egli non è perfetto e, se non è perfetto, Egli non è Dio.
Se Dio è inesorabile verso il colpevole che si pente, Egli non è misericordioso; se non è misericordioso, Egli non è infinitamente buono.
Perché Dio dovrebbe imporre all'uomo una legge del perdono, se Lui stesso non dovesse perdonare? Ne risulterebbe che l'uomo che perdona ai suoi nemici, e rende loro bene per male, sarebbe migliore di Dio che resta sordo al pentimento di colui che l'ha offeso e gli rifiuta, per l'eternità, il più lieve intenerimento!
Dio, che è dappertutto e vede tutto, dovrebbe pur vedere le torture dei dannati. Se è insensibile ai loro lamenti durante tutta l'eternità, Egli è eternamente senza pietà. Se è senza pietà, non è infinitamente buono.
12. A ciò si risponde che il
peccatore, che si pente prima di morire, ha la misericordia di Dio, e
che allora il più grande colpevole può trovare grazia davanti a Lui.
Questo non è messo in dubbio, e ben si comprende che Dio perdoni solo al pentito e sia inflessibile nei confronti dei protervi. Ma s'Egli è pieno di misericordia per l'anima che si pente prima di aver abbandonato il suo corpo, perché cesserebbe di esserlo per quella che si pente dopo la morte? Perché il pentimento avrebbe efficacia solo in vita, che non è che un istante, e non ne avrebbe più durante l'eternità, che non ha fine? Se la bontà e la misericordia di Dio sono delimitate da un tempo determinato, esse allora non sono infinite, e Dio non è infinitamente buono.
Questo non è messo in dubbio, e ben si comprende che Dio perdoni solo al pentito e sia inflessibile nei confronti dei protervi. Ma s'Egli è pieno di misericordia per l'anima che si pente prima di aver abbandonato il suo corpo, perché cesserebbe di esserlo per quella che si pente dopo la morte? Perché il pentimento avrebbe efficacia solo in vita, che non è che un istante, e non ne avrebbe più durante l'eternità, che non ha fine? Se la bontà e la misericordia di Dio sono delimitate da un tempo determinato, esse allora non sono infinite, e Dio non è infinitamente buono.
13. Dio è sovranamente
giusto. La sovrana giustizia non è la più inesorabile giustizia, né
quella che lascia ogni colpa impunita; è quella che tiene conto del bene
e del male nel modo più rigoroso, che ricompensa l'uno e punisce
l'altro nella più equa proporzione, e non si sbaglia mai.
Se, per una colpa temporanea, che è sempre il risultato della natura imperfetta dell'uomo e, spesso, dell'ambiente in cui egli si trova, l'anima potesse essere punita eternamente, senza speranza né di un alleviamento né di perdono, non ci sarebbe allora nessuna proporzione tra l'errore e la punizione: dunque non ci sarebbe giustizia.
Se il colpevole ritorna a Dio, si pente e chiede di riparare al male che ha fatto, si tratta in questo caso di un ritorno al bene, ai buoni sentimenti. Se il castigo è irrevocabile, questo ritorno al bene è senza frutto; e, poiché non si è tenuto conto del bene, questa non è giustizia. Fra gli uomini, il condannato che si ravvede vede commutata la sua pena, a volte anche tolta. Dunque, nella giustizia umana, ci sarebbe più equità che nella giustizia divina!
Se la condanna è irrevocabile, il pentimento è inutile; il colpevole, non avendo niente da sperare dal suo ritorno al bene, persiste nel male. Dimodoché non solo Dio lo condanna a soffrire eternamente, ma a rimanere anche nel male per l'eternità. Ciò non apparterrebbe né alla giustizia né alla bontà.
Se, per una colpa temporanea, che è sempre il risultato della natura imperfetta dell'uomo e, spesso, dell'ambiente in cui egli si trova, l'anima potesse essere punita eternamente, senza speranza né di un alleviamento né di perdono, non ci sarebbe allora nessuna proporzione tra l'errore e la punizione: dunque non ci sarebbe giustizia.
Se il colpevole ritorna a Dio, si pente e chiede di riparare al male che ha fatto, si tratta in questo caso di un ritorno al bene, ai buoni sentimenti. Se il castigo è irrevocabile, questo ritorno al bene è senza frutto; e, poiché non si è tenuto conto del bene, questa non è giustizia. Fra gli uomini, il condannato che si ravvede vede commutata la sua pena, a volte anche tolta. Dunque, nella giustizia umana, ci sarebbe più equità che nella giustizia divina!
Se la condanna è irrevocabile, il pentimento è inutile; il colpevole, non avendo niente da sperare dal suo ritorno al bene, persiste nel male. Dimodoché non solo Dio lo condanna a soffrire eternamente, ma a rimanere anche nel male per l'eternità. Ciò non apparterrebbe né alla giustizia né alla bontà.
14. Essendo infinito in
tutte le cose, Dio deve conoscere tutto, il passato e il futuro. Egli
deve sapere, al momento della creazione di un'anima, se essa
fallirà così gravemente da essere eternamente condannata. Se non
dovesse saperlo, il Suo sapere non sarebbe infinito, e allora Egli non è
Dio. Se lo sapesse, Egli avrebbe creato volontariamente un essere
votato, fin dalla sua formazione, a torture senza fine, e allora Egli
non è buono.
Se Dio, toccato dal pentimento d'un dannato, può stendere su di lui la Sua misericordia e toglierlo dall'inferno, non vi sarebbero più pene eterne, e il giudizio pronunciato dagli uomini verrebbe revocato.
Se Dio, toccato dal pentimento d'un dannato, può stendere su di lui la Sua misericordia e toglierlo dall'inferno, non vi sarebbero più pene eterne, e il giudizio pronunciato dagli uomini verrebbe revocato.
15. La dottrina delle pene
eterne assolute conduce dunque, forzatamente, alla negazione o allo
sminuimento di alcuni degli attributi di Dio. Tale dottrina è, di
conseguenza, inconciliabile con la perfezione infinita. Da qui si arriva
alla seguente conclusione: se Dio è perfetto, la condanna eterna non
esiste; se essa esiste, Dio non è perfetto.
16. Si invoca ancora, a sostegno del dogma dell'eternità delle pene il seguente argomento:
"Poiché la ricompensa accordata ai buoni è eterna, essa deve avere come contropartita una punizione eterna. Proporzionare la punizione alla ricompensa è cosa giusta."
Confutazione — Dio creò l'anima con l'intenzione di renderla felice o infelice? Evidentemente, la felicità della creatura deve essere lo scopo della Sua Creazione, altrimenti Dio non sarebbe buono. La creatura raggiunge la felicità attraverso il suo stesso merito; acquisito il merito, essa non può perderne il frutto, altrimenti degenererebbe. L'eternità della felicità è dunque la conseguenza della sua immortalità.
Ma, prima di arrivare alla perfezione, essa deve sostenere delle lotte, deve dar battaglia alle cattive passioni. Non avendola Dio creata perfetta, ma suscettibile di divenirlo, affinché essa abbia il merito delle sue azioni, l'anima può fallire. Le sue cadute sono le conseguenze della sua naturale fragilità. Se, per una caduta, essa dovesse essere punita eternamente, ci si potrebbe chiedere perché Dio non l'ha creata più forte. La punizione che subisce è l'avvertimento che essa ha commesso del male, e deve avere come risultato, quello di ricondurla sulla retta via. Se la pena fosse irremissibile, il suo desiderio di fare meglio sarebbe superfluo; perciò il fine provvidenziale della creazione non potrebbe essere raggiunto, poiché vi sarebbero esseri predestinati alla felicità e altri all'infelicità. Se un'anima colpevole si pente, potrebbe divenire buona; potendo divenire buona, essa può aspirare alla felicità. Dio, rifiutandogliene i mezzi sarebbe giusto?
Essendo il bene lo scopo finale della Creazione, la felicità — che ne è il premio — deve essere eterna; il castigo — che è un mezzo per arrivarvi — deve essere temporaneo. La più comune nozione di giustizia, anche tra gli uomini, dice che non si può punire perpetuamente colui che ha il desiderio e la volontà di agire bene.
"Poiché la ricompensa accordata ai buoni è eterna, essa deve avere come contropartita una punizione eterna. Proporzionare la punizione alla ricompensa è cosa giusta."
Confutazione — Dio creò l'anima con l'intenzione di renderla felice o infelice? Evidentemente, la felicità della creatura deve essere lo scopo della Sua Creazione, altrimenti Dio non sarebbe buono. La creatura raggiunge la felicità attraverso il suo stesso merito; acquisito il merito, essa non può perderne il frutto, altrimenti degenererebbe. L'eternità della felicità è dunque la conseguenza della sua immortalità.
Ma, prima di arrivare alla perfezione, essa deve sostenere delle lotte, deve dar battaglia alle cattive passioni. Non avendola Dio creata perfetta, ma suscettibile di divenirlo, affinché essa abbia il merito delle sue azioni, l'anima può fallire. Le sue cadute sono le conseguenze della sua naturale fragilità. Se, per una caduta, essa dovesse essere punita eternamente, ci si potrebbe chiedere perché Dio non l'ha creata più forte. La punizione che subisce è l'avvertimento che essa ha commesso del male, e deve avere come risultato, quello di ricondurla sulla retta via. Se la pena fosse irremissibile, il suo desiderio di fare meglio sarebbe superfluo; perciò il fine provvidenziale della creazione non potrebbe essere raggiunto, poiché vi sarebbero esseri predestinati alla felicità e altri all'infelicità. Se un'anima colpevole si pente, potrebbe divenire buona; potendo divenire buona, essa può aspirare alla felicità. Dio, rifiutandogliene i mezzi sarebbe giusto?
Essendo il bene lo scopo finale della Creazione, la felicità — che ne è il premio — deve essere eterna; il castigo — che è un mezzo per arrivarvi — deve essere temporaneo. La più comune nozione di giustizia, anche tra gli uomini, dice che non si può punire perpetuamente colui che ha il desiderio e la volontà di agire bene.
17. Un'ultima argomentazione a favore dell'eternità delle pene è il seguente:
"La paura di un castigo eterno è un freno; se lo si toglie, l'uomo, non temendo più nulla, si abbandonerà a ogni trasgressione."
Confutazione — Questo ragionamento sarebbe giusto, se la non-eternità delle pene comportasse la soppressione di ogni sanzione penale. La condizione felice o infelice nella vita futura è una conseguenza rigorosa della giustizia di Dio, poiché un'uguaglianza di situazione tra l'uomo buono e l'uomo perverso sarebbe la negazione di questa giustizia. Ma per il fatto di non essere eterno, non è che il castigo sia meno penoso; inoltre, tanto più lo si teme quanto più vi si crede, e tanto più vi si crede quanto più esso è razionale. Una pena alla quale non si creda non è più un freno, e l'eternità delle pene fa parte di questo caso.
La credenza nelle pene eterne, come già abbiamo detto, ha avuto la sua utilità e la sua ragion d'essere in una certa epoca; al giorno d'oggi, non solo essa non impressiona più, ma genera non credenti. Prima di porla come una necessità, bisognerebbe dimostrarne la realtà. Bisognerebbe, soprattutto, che se ne vedesse l'efficacia su coloro che la preconizzano e si sforzano di dimostrarla. Disgraziatamente, tra di essi, troppi dimostrano con le loro azioni di non esserne affatto spaventati. Se tale credenza è impotente a reprimere il male in quanti dicono di credervi, quale potere può essa avere su coloro che non vi credono?
"La paura di un castigo eterno è un freno; se lo si toglie, l'uomo, non temendo più nulla, si abbandonerà a ogni trasgressione."
Confutazione — Questo ragionamento sarebbe giusto, se la non-eternità delle pene comportasse la soppressione di ogni sanzione penale. La condizione felice o infelice nella vita futura è una conseguenza rigorosa della giustizia di Dio, poiché un'uguaglianza di situazione tra l'uomo buono e l'uomo perverso sarebbe la negazione di questa giustizia. Ma per il fatto di non essere eterno, non è che il castigo sia meno penoso; inoltre, tanto più lo si teme quanto più vi si crede, e tanto più vi si crede quanto più esso è razionale. Una pena alla quale non si creda non è più un freno, e l'eternità delle pene fa parte di questo caso.
La credenza nelle pene eterne, come già abbiamo detto, ha avuto la sua utilità e la sua ragion d'essere in una certa epoca; al giorno d'oggi, non solo essa non impressiona più, ma genera non credenti. Prima di porla come una necessità, bisognerebbe dimostrarne la realtà. Bisognerebbe, soprattutto, che se ne vedesse l'efficacia su coloro che la preconizzano e si sforzano di dimostrarla. Disgraziatamente, tra di essi, troppi dimostrano con le loro azioni di non esserne affatto spaventati. Se tale credenza è impotente a reprimere il male in quanti dicono di credervi, quale potere può essa avere su coloro che non vi credono?
Impossibilità materiale delle pene eterne
18. Fin qui, il dogma
dell'eternità delle pene non è stato combattuto che con il ragionamento;
ora lo mostreremo in contraddizione con i fatti positivi che abbiamo
sotto gli occhi e ne proveremo l'impossibilità.
Secondo questo dogma, la sorte dell'anima è irrevocabilmente fissata dopo la morte. Ed è dunque, questo, un punto d'arresto definitivo applicato al progresso. Ora, l'anima progredisce sì o no? Sta qui tutta la questione. Se essa progredisce, l'eternità delle pene è impossibile.
Si può forse dubitare di questo progresso, quando si vede l'immensa varietà di attitudini morali e intellettuali che esistono sulla terra, dal selvaggio all'uomo civilizzato? Quando si vedono le differenze che un medesimo popolo presenta da un secolo all'altro? Se si ammette che non sono più le medesime anime, bisogna ammettere, allora, che Dio crea anime a tutti i livelli d'avanzamento, secondo i tempi e i luoghi; ch'Egli favorisce le une, mentre destina le altre a una inferiorità perpetua, cosa che è incompatibile con la giustizia, che deve essere la stessa per tutte le creature.
Secondo questo dogma, la sorte dell'anima è irrevocabilmente fissata dopo la morte. Ed è dunque, questo, un punto d'arresto definitivo applicato al progresso. Ora, l'anima progredisce sì o no? Sta qui tutta la questione. Se essa progredisce, l'eternità delle pene è impossibile.
Si può forse dubitare di questo progresso, quando si vede l'immensa varietà di attitudini morali e intellettuali che esistono sulla terra, dal selvaggio all'uomo civilizzato? Quando si vedono le differenze che un medesimo popolo presenta da un secolo all'altro? Se si ammette che non sono più le medesime anime, bisogna ammettere, allora, che Dio crea anime a tutti i livelli d'avanzamento, secondo i tempi e i luoghi; ch'Egli favorisce le une, mentre destina le altre a una inferiorità perpetua, cosa che è incompatibile con la giustizia, che deve essere la stessa per tutte le creature.
19. È incontestabile che
l'anima, intellettivamente e moralmente arretrata come quella dei popoli
barbari, non può possedere i medesimi elementi di felicità, le medesime
attitudini a godere degli splendori dell'infinito, dell'anima le cui
facoltà sono tutte largamente sviluppate. Dunque, se queste anime non
progrediscono, non possono — e nelle condizioni a loro più favorevoli —
godere in eterno che di una felicità per così dire negativa. Si arriva,
dunque, per forza di cose — per essere d'accordo con una giustizia
rigorosa — a questa conclusione: le anime, quelle più avanzate, sono
proprio quelle stesse che erano arretrate e che sono progredite. Ma qui
tocchiamo la grande questione della pluralità delle esistenze, come
unico mezzo razionale per risolvere la difficoltà del problema.
Tuttavia, prescindendo da ciò, considereremo l'anima sotto il punto di
vista di una esistenza unica.
20. Ecco, come se ne vedono
tanti, un giovane di vent'anni, ignorante, dagli istinti viziosi, che
nega Dio e la sua anima, che si abbandona al disordine e che commette
ogni genere di misfatti. Tuttavia egli si trova in un ambiente
favorevole al suo miglioramento; lavora, s'istruisce, a poco a poco si
corregge e infine diventa pio. Non è forse questo un esempio palpabile
del progresso dell'anima durante la vita? E non se ne vedono forse di
simili tutti i giorni? Questo uomo muore santamente in età avanzata, e
naturalmente la sua salvezza è assicurata. Ma quale sarebbe stata la sua
sorte, se un caso accidentale l'avesse portato alla morte quaranta o
cinquant'anni prima? Egli si trovava in tutte quelle condizioni atte a
essere dannato; orbene, una volta dannato, ogni progresso si sarebbe
arrestato. Ecco, dunque, un uomo che si è salvato perché ha vissuto a
lungo, e che, secondo la dottrina delle pene eterne, sarebbe stato
perduto per sempre se fosse vissuto meno, cosa che poteva accadere per
incidente fortuito. Dal momento che la sua anima ha potuto progredire in
un determinato tempo, perché non avrebbe potuto progredire nel medesimo
tempo dopo la morte, se una causa indipendente dalla sua volontà gli
avesse impedito di farlo durante la vita? Perché Dio gliene avrebbe
rifiutato i mezzi? Il pentimento, sia pure tardivo, sarebbe pur sempre
venuto a suo tempo. Ma se, dall'istante della sua morte, una condanna
irremissibile lo avesse colpito, il suo pentimento sarebbe stato senza
frutto per l'eternità e la sua attitudine a progredire sarebbe stata
distrutta per sempre.
21. Il dogma dell'eternità
assoluta delle pene è dunque inconciliabile con il progresso dell'anima,
poiché vi opporrebbe un ostacolo invalicabile. Questi due principi si
annullano per forza di cose l'un l'altro; se esiste l'uno, non può
esistere l'altro. Quale dei due esiste? La legge del progresso è palese:
non è una teoria, questo è un fatto convalidato dall'esperienza; è una
legge di natura, una legge divina, imprescrittibile. Dunque, poiché essa
esiste e poiché non può conciliarsi con l'altra, vuol dire che l'altra
non esiste. Se il dogma dell'eternità delle pene fosse una verità,
sant'Agostino, san Paolo e molti altri non avrebbero mai visto il cielo
se fossero morti prima del progresso che ha originato la loro
conversione.
A quest'ultima asserzione, si risponde che la conversione di questi personaggi santi non è il risultato del progresso dell'anima, ma della grazia che fu loro accordata e dalla quale essi furono toccati.
Ma a questo punto è voler giocare con le parole. Se essi hanno commesso il male e più tardi compiuto il bene, significa che essi sono diventati migliori; essi dunque sono progrediti. Dio avrebbe, perciò, accordato loro, attraverso un favore speciale, la grazia di correggersi? Perché a loro sì e ad altri no? Si tratta sempre della dottrina dei privilegi, incompatibile con la giustizia di Dio e con il Suo amore, eguale per tutte le Sue creature.
Secondo la Dottrina Spiritista, in accordo con le parole stesse del Vangelo, con la logica e con la giustizia più rigorosa, l'uomo è il figlio delle sue opere, durante questa vita e dopo la morte; egli non deve nulla al favore: Dio lo ricompensa dei suoi sforzi e lo punisce per la sua negligenza, per tutto il tempo ch'egli è negligente.
A quest'ultima asserzione, si risponde che la conversione di questi personaggi santi non è il risultato del progresso dell'anima, ma della grazia che fu loro accordata e dalla quale essi furono toccati.
Ma a questo punto è voler giocare con le parole. Se essi hanno commesso il male e più tardi compiuto il bene, significa che essi sono diventati migliori; essi dunque sono progrediti. Dio avrebbe, perciò, accordato loro, attraverso un favore speciale, la grazia di correggersi? Perché a loro sì e ad altri no? Si tratta sempre della dottrina dei privilegi, incompatibile con la giustizia di Dio e con il Suo amore, eguale per tutte le Sue creature.
Secondo la Dottrina Spiritista, in accordo con le parole stesse del Vangelo, con la logica e con la giustizia più rigorosa, l'uomo è il figlio delle sue opere, durante questa vita e dopo la morte; egli non deve nulla al favore: Dio lo ricompensa dei suoi sforzi e lo punisce per la sua negligenza, per tutto il tempo ch'egli è negligente.
La dottrina delle pene eterne ha fatto il suo tempo
22. La credenza
nell'eternità delle pene materiali è rimasta come un salutare timore fin
quando gli uomini non sono stati in grado di comprendere la potenza
morale. È ciò che succede con i bambini, i quali sono tenuti a bada, per
un certo tempo, mediante la minaccia di esseri chimerici, con i quali
li si spaventa. Ma arriva un momento in cui la ragione del bambino fa da
sé stessa giustizia delle favole con cui si è cullata la sua infanzia;
sarebbe perciò assurdo pretendere ora di governarlo con i medesimi
mezzi. Se quelli che lo guidano persisteranno nel dire al bambino che
quelle favole sono delle verità che bisogna prendere alla lettera, essi
perderanno la sua fiducia.
Così è oggi per l'Umanità: è uscita dall'infanzia e si è scrollata di dosso le sue briglie. L'uomo non è più quello strumento passivo che si piegava sotto la forza materiale, né quell'essere ingenuo che accettava tutto, a occhi chiusi.
Così è oggi per l'Umanità: è uscita dall'infanzia e si è scrollata di dosso le sue briglie. L'uomo non è più quello strumento passivo che si piegava sotto la forza materiale, né quell'essere ingenuo che accettava tutto, a occhi chiusi.
23. Il credere è un atto
dell'intelletto, è per questo che non può essere imposto. Se, durante un
certo periodo dell'Umanità, il dogma dell'eternità delle pene ha potuto
essere inoffensivo, persino salutare, arriva un momento in cui esso
diviene dannoso. Infatti, dal momento in cui lo imponete come verità
assoluta, allorché la ragione lo rifiuta, ne risulta necessariamente una
di queste due cose: o l'uomo che vuole credere si crea una credenza più
razionale — e, in tal caso, si allontana da voi —; oppure non crede più
a niente del tutto. È evidente, per chiunque abbia studiato la
questione a mente fredda, che ai nostri giorni, il dogma dell'eternità
delle pene ha generato più materialisti e atei che tutti i filosofi.
Le idee seguono un corso incessantemente progressivo; non si possono governare gli uomini che seguendo questo corso; volerlo arrestare o farlo retrocedere, o semplicemente restare indietro allorché esso avanza, vuol dire perdersi. Seguire o non seguire questo movimento è una questione di vita o di morte, per le religioni così come per i governanti. È un bene? È un male? Sicuramente è un male agli occhi di quanti, vivendo del passato, vedono questo passato sfuggir loro di mano; per quanti vedono il futuro, è la legge del progresso, che è una legge di Dio, e contro le leggi di Dio ogni resistenza è inutile; lottare contro la Sua volontà è volersi schiantare.
Perché, dunque, volere per forza sostenere una credenza che cade in disuso e che in definitiva fa più male che bene alla religione? Ahimè! È triste doverlo dire, ma qui una questione materiale surclassa la questione religiosa. Questa credenza è stata largamente sfruttata, sostenuta com'era dall'idea secondo cui con il denaro ci si potevano far aprire le porte del cielo, e salvarsi così dall'inferno. Le somme che questa credenza ha apportato e che tuttora apporta sono incalcolabili; è l'imposta prelevata sulla paura dell'eternità. Essendo questa imposta facoltativa, il prodotto è proporzionale alla credenza; se la credenza non esiste più, il prodotto diviene nullo. Il bambino dà volentieri il suo dolce a chi gli promette di scacciare il lupo mannaro; ma quando il bambino non crede più al lupo mannaro, si tiene il suo dolce.
Le idee seguono un corso incessantemente progressivo; non si possono governare gli uomini che seguendo questo corso; volerlo arrestare o farlo retrocedere, o semplicemente restare indietro allorché esso avanza, vuol dire perdersi. Seguire o non seguire questo movimento è una questione di vita o di morte, per le religioni così come per i governanti. È un bene? È un male? Sicuramente è un male agli occhi di quanti, vivendo del passato, vedono questo passato sfuggir loro di mano; per quanti vedono il futuro, è la legge del progresso, che è una legge di Dio, e contro le leggi di Dio ogni resistenza è inutile; lottare contro la Sua volontà è volersi schiantare.
Perché, dunque, volere per forza sostenere una credenza che cade in disuso e che in definitiva fa più male che bene alla religione? Ahimè! È triste doverlo dire, ma qui una questione materiale surclassa la questione religiosa. Questa credenza è stata largamente sfruttata, sostenuta com'era dall'idea secondo cui con il denaro ci si potevano far aprire le porte del cielo, e salvarsi così dall'inferno. Le somme che questa credenza ha apportato e che tuttora apporta sono incalcolabili; è l'imposta prelevata sulla paura dell'eternità. Essendo questa imposta facoltativa, il prodotto è proporzionale alla credenza; se la credenza non esiste più, il prodotto diviene nullo. Il bambino dà volentieri il suo dolce a chi gli promette di scacciare il lupo mannaro; ma quando il bambino non crede più al lupo mannaro, si tiene il suo dolce.
24. La
Nuova Rivelazione, dando della vita futura idee più sane e dimostrando
che si può realizzare la propria salvezza per mezzo delle proprie opere,
deve incontrare una opposizione tanto più viva, in quanto prosciuga una
delle più importanti fonti di reddito. Accade così ogni volta che una
scoperta o una invenzione viene a cambiare costumi inveterati e
prestabiliti. Coloro che vivono degli antichi e costosi procedimenti li
loda, mentre denigra quelli nuovi più economici. Per esempio, si crede
forse che la stampa, nonostante i servigi che avrebbe reso all'Umanità,
sia stata acclamata dalla numerosa categoria dei copisti? No di certo;
essi dovettero di sicuro maledirla. È avvenuto così per le macchine, per
la ferrovia e per cento altre cose.
Agli occhi dei miscredenti, il dogma dell'eternità delle pene è una questione futile, di cui essi si fanno beffe. Agli occhi del filosofo, esso comporta una gravità sociale, per gli abusi ai quali dà luogo. L'uomo veramente religioso vede quanto la dignità della religione sia interessata alla distruzione di questi abusi e delle loro cose.
Agli occhi dei miscredenti, il dogma dell'eternità delle pene è una questione futile, di cui essi si fanno beffe. Agli occhi del filosofo, esso comporta una gravità sociale, per gli abusi ai quali dà luogo. L'uomo veramente religioso vede quanto la dignità della religione sia interessata alla distruzione di questi abusi e delle loro cose.
Ezechiele contro l'eternità delle pene e il peccato originale
25. A coloro che pretendono
di trovare nella Bibbia la giustificazione circa l'eternità delle pene,
si possono opporre testi contrari, che non consentono alcuna ambiguità.
Le parole di Ezechiele, qui di seguito riportate, sono la più esplicita
negazione non solo delle pene irremissibili, ma anche della
responsabilità che il peccato del padre del genere umano avrebbe fatto
pesare sulla sua razza.
«1. La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini:
2. "Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio: 'I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?' 3. Com'è vero che io vivo, dice Dio, il Signore, non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele. 4. Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà.
5. Se uno è giusto e pratica l'equità e la giustizia, 6. se non mangia sui monti e non alza gli occhi verso gli idoli della casa d'Israele, se non contamina la moglie del suo prossimo, se non si accosta a donna mentre è impura, 7. se non opprime nessuno, se restituisce al debitore il suo pegno, se non commette rapine, se dà il pane a chi ha fame e copre di vesti chi è nudo, 8. se non presta a interesse e non dà a usura, se allontana la sua mano dall'iniquità e giudica secondo verità fra uomo e uomo, 9. se segue le mie leggi e osserva le mie prescrizioni agendo con fedeltà, egli è giusto; certamente vivrà, dice Dio, il Signore.
10. Ma se ha generato un figlio che è un violento, che sparge il sangue e fa a suo fratello qualcuna di queste cose 11. (cose che il padre non commette affatto): mangia sui monti, e contamina la moglie del suo prossimo, 12. opprime l'afflitto e il povero, commette rapine, non restituisce il pegno,alza gli occhi verso gli idoli, fa delle abominazioni, 13. presta a interesse e dà a usura, questo figlio vivrà forse? No, non vivrà! Egli ha commesso tutte queste abominazioni, e sarà certamente messo a morte; il suo sangue ricadrà su di lui.
14. Ma se egli ha generato un figlio, il quale, dopo aver visto tutti i peccati che suo padre ha commesso, vi riflette e non fa tali cose: 15. non mangia sui monti, non alza gli occhi verso gli idoli della casa d'Israele, non contamina la moglie del suo prossimo, 16. non opprime nessuno, non prende pegni, non commette rapine, ma dà il suo pane a chi ha fame, copre di vesti chi è nudo, 17. non fa pesare la mano sul povero, non prende interesse né usura, osserva le mie prescrizioni e segue le mie leggi, questo figlio non morrà per l'iniquità del padre; egli certamente vivrà. 18. Suo padre, siccome è stato un oppressore, ha commesso rapine a danno del fratello e ha fatto ciò che non è bene in mezzo al suo popolo, ecco che muore per la sua iniquità.
19. Se voi diceste: 'Perché il figlio non paga per l'iniquità del padre?' Ciò è perché quel figlio pratica l'equità e la giustizia, osserva tutte le mie leggi e le mette a effetto. Certamente egli vivrà. 20. La persona che pecca è quella che morirà, il figlio non pagherà per l'iniquità del padre, e il padre non pagherà per l'iniquità del figlio; la giustizia del giusto sarà sul giusto, l'empietà dell'empio sarà sull'empio. 21. Se l'empio si allontana da tutti i peccati che commetteva, se osserva tutte le mie leggi e pratica l'equità e la giustizia, egli certamente vivrà, non morirà. 22. Nessuna delle trasgressioni che ha commesse sarà più ricordata contro di lui; per la giustizia che pratica, egli vivrà. 23. Io provo forse piacere se l'empio muore? dice Dio, il Signore. Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive?"» (Ezechiele 18:1-23).
«Dì loro: "Com'è vero che io vivo", dice Dio, il Signore, "io non mi compiaccio della morte dell'empio, ma che l'empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie! Perché morireste, o casa d'Israele?"» (Ezechiele 33:11).
«1. La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini:
2. "Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio: 'I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?' 3. Com'è vero che io vivo, dice Dio, il Signore, non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele. 4. Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà.
5. Se uno è giusto e pratica l'equità e la giustizia, 6. se non mangia sui monti e non alza gli occhi verso gli idoli della casa d'Israele, se non contamina la moglie del suo prossimo, se non si accosta a donna mentre è impura, 7. se non opprime nessuno, se restituisce al debitore il suo pegno, se non commette rapine, se dà il pane a chi ha fame e copre di vesti chi è nudo, 8. se non presta a interesse e non dà a usura, se allontana la sua mano dall'iniquità e giudica secondo verità fra uomo e uomo, 9. se segue le mie leggi e osserva le mie prescrizioni agendo con fedeltà, egli è giusto; certamente vivrà, dice Dio, il Signore.
10. Ma se ha generato un figlio che è un violento, che sparge il sangue e fa a suo fratello qualcuna di queste cose 11. (cose che il padre non commette affatto): mangia sui monti, e contamina la moglie del suo prossimo, 12. opprime l'afflitto e il povero, commette rapine, non restituisce il pegno,alza gli occhi verso gli idoli, fa delle abominazioni, 13. presta a interesse e dà a usura, questo figlio vivrà forse? No, non vivrà! Egli ha commesso tutte queste abominazioni, e sarà certamente messo a morte; il suo sangue ricadrà su di lui.
14. Ma se egli ha generato un figlio, il quale, dopo aver visto tutti i peccati che suo padre ha commesso, vi riflette e non fa tali cose: 15. non mangia sui monti, non alza gli occhi verso gli idoli della casa d'Israele, non contamina la moglie del suo prossimo, 16. non opprime nessuno, non prende pegni, non commette rapine, ma dà il suo pane a chi ha fame, copre di vesti chi è nudo, 17. non fa pesare la mano sul povero, non prende interesse né usura, osserva le mie prescrizioni e segue le mie leggi, questo figlio non morrà per l'iniquità del padre; egli certamente vivrà. 18. Suo padre, siccome è stato un oppressore, ha commesso rapine a danno del fratello e ha fatto ciò che non è bene in mezzo al suo popolo, ecco che muore per la sua iniquità.
19. Se voi diceste: 'Perché il figlio non paga per l'iniquità del padre?' Ciò è perché quel figlio pratica l'equità e la giustizia, osserva tutte le mie leggi e le mette a effetto. Certamente egli vivrà. 20. La persona che pecca è quella che morirà, il figlio non pagherà per l'iniquità del padre, e il padre non pagherà per l'iniquità del figlio; la giustizia del giusto sarà sul giusto, l'empietà dell'empio sarà sull'empio. 21. Se l'empio si allontana da tutti i peccati che commetteva, se osserva tutte le mie leggi e pratica l'equità e la giustizia, egli certamente vivrà, non morirà. 22. Nessuna delle trasgressioni che ha commesse sarà più ricordata contro di lui; per la giustizia che pratica, egli vivrà. 23. Io provo forse piacere se l'empio muore? dice Dio, il Signore. Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive?"» (Ezechiele 18:1-23).
«Dì loro: "Com'è vero che io vivo", dice Dio, il Signore, "io non mi compiaccio della morte dell'empio, ma che l'empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie! Perché morireste, o casa d'Israele?"» (Ezechiele 33:11).
Capitolo VII - LE PENE FUTURE SECONDO LO SPIRITISMO
La carne è debole
Ci sono delle tendenze viziose che sono evidentemente proprie dello
Spirito, perché attengono più al morale che al fisico; altre sembrano
piuttosto la conseguenza dell'organismo, e, per questo motivo, uno se ne
crede meno responsabile: tali sono la predisposizione alla collera,
alla pigrizia, alla sensualità ecc.
È perfettamente riconosciuto al giorno d'oggi, da parte dei filosofi spiritualisti, che gli organi cerebrali, corrispondenti alle diverse attitudini, devono il loro sviluppo all'attività dello Spirito; e che tale sviluppo è così un effetto e non una causa. Un uomo non è un musicista perché ha il bernoccolo della musica, ma ha il bernoccolo della musica semplicemente perché il suo Spirito è musicista.
Se l'attività dello Spirito agisce sul cervello, egualmente essa deve agire sulle altre parti dell'organismo. Lo Spirito è, perciò, l'artista del suo stesso corpo che forgia, per così dire, in modo da adattarlo alle sue esigenze e alla manifestazione delle sue tendenze. Stabilito ciò, la perfezione del corpo delle razze più avanzate non sarebbe, dunque, il prodotto di creazioni distinte, ma il risultato del lavoro dello Spirito, che perfeziona il suo utensile, nella misura in cui le sue facoltà aumentano.
Per una conseguenza naturale di questo principio, le disposizioni morali dello Spirito devono modificare le qualità del sangue, dargli una maggiore o minore attività, provocare una secrezione più o meno abbondante di bile o di altri fluidi. È così, per esempio, che il goloso si sente venire l'acquolina in bocca alla vista di un piatto appetitoso. Non è certo il piatto che può sovreccitare l'organo del gusto, dal momento che non v'è contatto; è dunque lo Spirito, la cui sensibilità viene risvegliata, che agisce attraverso il pensiero su questo organo, mentre su un'altra persona la vista di quel piatto non produce alcun effetto. Ancora per la stessa ragione accade che una persona sensibile versi facilmente le lacrime; non è l'abbondanza delle lacrime che dà la sensibilità allo Spirito, ma è la sensibilità dello Spirito che provoca la secrezione abbondante delle lacrime. Sotto il dominio della sensibilità, l'organismo si è adeguato a questa normale disposizione dello Spirito, come si è adeguato a quella dello Spirito goloso.
Seguendo quest'ordine di idee, si comprende come uno Spirito irascibile debba indurre a un temperamento bilioso. Ne consegue che un uomo non è collerico perché è bilioso, ma è bilioso perché è collerico. E avviene la stessa cosa per tutte le altre disposizioni istintive; uno Spirito pigro e indolente lascerà il suo organismo in uno stato di atonia in rapporto con il suo carattere; mentre, s'egli è attivo ed energetico, darà al suo sangue e ai suoi nervi delle qualità perfettamente opposte. L'azione dello Spirito sul fisico è talmente evidente che spesso si notano gravi disordini organici prodursi per effetto di violente commozioni morali. L'espressione popolare, l’emozione gli ha rivoltato il sangue, non è poi così priva di senso quanto uno potrebbe credere. Orbene, che cosa avrebbe potuto rivoltare il sangue, se non una disposizione morale dello Spirito?
Si può dunque ammettere che il temperamento è, almeno in parte, determinato dalla natura dello Spirito, che è causa e non effetto. Diciamo in parte, poiché ci sono dei casi in cui il fisico influisce in modo evidente sul morale: ciò avviene allorché uno stato morboso o anormale è determinato da una causa esterna, accidentale, non dipendente dallo Spirito, quali la temperatura, il clima, i vizi ereditari di costituzione, una malattia passeggera ecc. Il morale dello Spirito può allora essere alterato nelle sue manifestazioni dallo stato patologico, senza però che sia modificata la sua natura intrinseca.
Scusarsi dei propri errori adducendo la fragilità della carne, altro non è che un sotterfugio per sottrarsi alla propria responsabilità. La carne è debole solo perché debole è lo Spirito, la qual cosa ribalta la questione e lascia allo Spirito la responsabilità di tutti i suoi atti. La carne che non ha né pensiero né volontà, non prevale mai sullo Spirito, che è l'essere che pensa e che vuole. È lo Spirito che dà alla carne le qualità corrispondenti ai suoi istinti, così come un artista imprime alla sua opera materiale l'impronta del suo genio. Lo Spirito, affrancato dagli istinti della bestialità, si modella un corpo che non è più un tiranno per le sue aspirazioni verso la spiritualità del suo essere. Ciò avviene allorché l'uomo mangia per vivere — poiché vivere è una necessità —, ma non vive più per mangiare.
La responsabilità morale degli atti della vita resta dunque intatta; ma la ragione ci dice che le conseguenze di questa responsabilità devono essere in rapporto con lo sviluppo intellettuale dello Spirito; più questo è illuminato e meno è giustificabile, poiché con l'intelligenza e con il senso morale nascono le nozioni del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto.
Questa legge spiega l'insuccesso della Medicina in taluni casi. Dal momento che il temperamento è un effetto e non una causa, gli sforzi tentati per modificarlo sono necessariamente paralizzati dalle disposizioni morali dello Spirito, il quale, opponendo una inconscia resistenza, neutralizza l'azione terapeutica. È, dunque, sulla prima causa che bisogna agire. Date, se è possibile, coraggio al codardo, e voi vedrete cessare gli effetti psicologici della paura.
Ciò prova una volta di più la necessità, per l'arte del guarire, di tener conto dell'azione dell'elemento spirituale sull'organismo (Rivista Spiritista, marzo 1869, p. 65).
È perfettamente riconosciuto al giorno d'oggi, da parte dei filosofi spiritualisti, che gli organi cerebrali, corrispondenti alle diverse attitudini, devono il loro sviluppo all'attività dello Spirito; e che tale sviluppo è così un effetto e non una causa. Un uomo non è un musicista perché ha il bernoccolo della musica, ma ha il bernoccolo della musica semplicemente perché il suo Spirito è musicista.
Se l'attività dello Spirito agisce sul cervello, egualmente essa deve agire sulle altre parti dell'organismo. Lo Spirito è, perciò, l'artista del suo stesso corpo che forgia, per così dire, in modo da adattarlo alle sue esigenze e alla manifestazione delle sue tendenze. Stabilito ciò, la perfezione del corpo delle razze più avanzate non sarebbe, dunque, il prodotto di creazioni distinte, ma il risultato del lavoro dello Spirito, che perfeziona il suo utensile, nella misura in cui le sue facoltà aumentano.
Per una conseguenza naturale di questo principio, le disposizioni morali dello Spirito devono modificare le qualità del sangue, dargli una maggiore o minore attività, provocare una secrezione più o meno abbondante di bile o di altri fluidi. È così, per esempio, che il goloso si sente venire l'acquolina in bocca alla vista di un piatto appetitoso. Non è certo il piatto che può sovreccitare l'organo del gusto, dal momento che non v'è contatto; è dunque lo Spirito, la cui sensibilità viene risvegliata, che agisce attraverso il pensiero su questo organo, mentre su un'altra persona la vista di quel piatto non produce alcun effetto. Ancora per la stessa ragione accade che una persona sensibile versi facilmente le lacrime; non è l'abbondanza delle lacrime che dà la sensibilità allo Spirito, ma è la sensibilità dello Spirito che provoca la secrezione abbondante delle lacrime. Sotto il dominio della sensibilità, l'organismo si è adeguato a questa normale disposizione dello Spirito, come si è adeguato a quella dello Spirito goloso.
Seguendo quest'ordine di idee, si comprende come uno Spirito irascibile debba indurre a un temperamento bilioso. Ne consegue che un uomo non è collerico perché è bilioso, ma è bilioso perché è collerico. E avviene la stessa cosa per tutte le altre disposizioni istintive; uno Spirito pigro e indolente lascerà il suo organismo in uno stato di atonia in rapporto con il suo carattere; mentre, s'egli è attivo ed energetico, darà al suo sangue e ai suoi nervi delle qualità perfettamente opposte. L'azione dello Spirito sul fisico è talmente evidente che spesso si notano gravi disordini organici prodursi per effetto di violente commozioni morali. L'espressione popolare, l’emozione gli ha rivoltato il sangue, non è poi così priva di senso quanto uno potrebbe credere. Orbene, che cosa avrebbe potuto rivoltare il sangue, se non una disposizione morale dello Spirito?
Si può dunque ammettere che il temperamento è, almeno in parte, determinato dalla natura dello Spirito, che è causa e non effetto. Diciamo in parte, poiché ci sono dei casi in cui il fisico influisce in modo evidente sul morale: ciò avviene allorché uno stato morboso o anormale è determinato da una causa esterna, accidentale, non dipendente dallo Spirito, quali la temperatura, il clima, i vizi ereditari di costituzione, una malattia passeggera ecc. Il morale dello Spirito può allora essere alterato nelle sue manifestazioni dallo stato patologico, senza però che sia modificata la sua natura intrinseca.
Scusarsi dei propri errori adducendo la fragilità della carne, altro non è che un sotterfugio per sottrarsi alla propria responsabilità. La carne è debole solo perché debole è lo Spirito, la qual cosa ribalta la questione e lascia allo Spirito la responsabilità di tutti i suoi atti. La carne che non ha né pensiero né volontà, non prevale mai sullo Spirito, che è l'essere che pensa e che vuole. È lo Spirito che dà alla carne le qualità corrispondenti ai suoi istinti, così come un artista imprime alla sua opera materiale l'impronta del suo genio. Lo Spirito, affrancato dagli istinti della bestialità, si modella un corpo che non è più un tiranno per le sue aspirazioni verso la spiritualità del suo essere. Ciò avviene allorché l'uomo mangia per vivere — poiché vivere è una necessità —, ma non vive più per mangiare.
La responsabilità morale degli atti della vita resta dunque intatta; ma la ragione ci dice che le conseguenze di questa responsabilità devono essere in rapporto con lo sviluppo intellettuale dello Spirito; più questo è illuminato e meno è giustificabile, poiché con l'intelligenza e con il senso morale nascono le nozioni del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto.
Questa legge spiega l'insuccesso della Medicina in taluni casi. Dal momento che il temperamento è un effetto e non una causa, gli sforzi tentati per modificarlo sono necessariamente paralizzati dalle disposizioni morali dello Spirito, il quale, opponendo una inconscia resistenza, neutralizza l'azione terapeutica. È, dunque, sulla prima causa che bisogna agire. Date, se è possibile, coraggio al codardo, e voi vedrete cessare gli effetti psicologici della paura.
Ciò prova una volta di più la necessità, per l'arte del guarire, di tener conto dell'azione dell'elemento spirituale sull'organismo (Rivista Spiritista, marzo 1869, p. 65).
Principi della Dottrina Spiritista sulle pene future
Per ciò che concerne le pene future,
la Dottrina Spiritista non è fondata su una teoria preconcetta, più che
nelle altre sue parti. Non si tratta, cioè, di un sistema che
sostituisce un altro sistema: in tutte le cose, essa si basa su delle
osservazioni; ed è questo che costituisce la sua autorevolezza. Nessuno,
dunque, ha mai immaginato che le anime, dopo la morte, debbano trovarsi
nella tale o tal'altra situazione; ma sono esse, le anime stesse, che,
abbandonata la Terra, vengono oggi a iniziarci ai misteri della vita
futura, a descrivere la loro condizione felice o infelice, le loro
impressioni e la loro trasformazione alla morte del corpo; a completare,
in una parola, su questo punto, l'insegnamento del Cristo.
Non si tratta, qui, della relazione d'un solo Spirito, il quale potrebbe vedere le cose solo dal suo punto di vista, sotto un solo aspetto, oppure essere ancora dominato dai pregiudizi terreni; né si tratta di una rivelazione fatta a un solo individuo, il quale potrebbe lasciarsi ingannare dalle apparenze; né di una visione estatica che si presta alle illusioni e che, spesso, non è che il riflesso di una immaginazione esaltata; [1] ma si tratta di innumerevoli esempi forniti da tutte le categorie di Spiriti, da quella più in alto fino a quella più in basso della scala, con l'aiuto di innumerevoli intermediari disseminati su tutti i punti del globo, di modo che la rivelazione non è il privilegio di nessuno, ciascuno è in grado di vedere e di osservare, e nessuno è obbligato a credere attraverso la credenza altrui.
Non si tratta, qui, della relazione d'un solo Spirito, il quale potrebbe vedere le cose solo dal suo punto di vista, sotto un solo aspetto, oppure essere ancora dominato dai pregiudizi terreni; né si tratta di una rivelazione fatta a un solo individuo, il quale potrebbe lasciarsi ingannare dalle apparenze; né di una visione estatica che si presta alle illusioni e che, spesso, non è che il riflesso di una immaginazione esaltata; [1] ma si tratta di innumerevoli esempi forniti da tutte le categorie di Spiriti, da quella più in alto fino a quella più in basso della scala, con l'aiuto di innumerevoli intermediari disseminati su tutti i punti del globo, di modo che la rivelazione non è il privilegio di nessuno, ciascuno è in grado di vedere e di osservare, e nessuno è obbligato a credere attraverso la credenza altrui.
--------------------------
[1] Vedere qui sopra, cap. VI , n. 7; e Il libro degli Spiriti, nn. 443 e 444
Codice penale della vita futura
Lo Spiritismo non viene, dunque, con
la sua autorità privata, a formulare un codice di fantasia. La sua
legge, per quanto concerne il futuro dell'anima, viene dedotta da
osservazioni raccolte sul fatto. Essa può riassumersi nei punti che
seguono.
1° L'anima, o lo Spirito, subisce nella vita spirituale le conseguenze di tutte le imperfezioni di cui essa non si è liberata durante la vita corporea. Il suo stato, felice o infelice, è inerente al grado della sua purificazione o delle sue imperfezioni.
2° La felicità perfetta è legata alla perfezione, vale a dire alla completa purificazione dello Spirito. Ogni imperfezione è nello stesso tempo una causa di sofferenza e di privazione della letizia, così come ogni qualità acquisita è una causa di letizia e di attenuazione delle sofferenze.
3° Non c'è una sola imperfezione dell'anima che non porti con sé conseguenze dolorose e inevitabili, né v'è una sola buona qualità che non sia fonte di gioia. La somma delle pene è, perciò, proporzionale alla somma delle imperfezioni, allo stesso modo che quella delle gioie è in ragione della somma delle qualità.
L'anima che abbia, per esempio, dieci imperfezioni soffre più di quella che ne abbia solo tre o quattro. Quando di quelle dieci imperfezioni non gliene resterà che un quarto o la metà, l'anima soffrirà meno; quando poi non le resteranno più imperfezioni, allora non soffrirà più del tutto e sarà perfettamente Felice. Come, sulla Terra, colui che ha parecchie malattie soffre più di quello che ne ha una sola o di quello che non ne ha affatto, per la stessa ragione l'anima che possiede dieci qualità ha più gioie di quella che ne ha meno.
4° In virtù della legge del progresso, avendo ogni anima la possibilità di acquisire il bene che le manca e di sbarazzarsi di quanto possiede di malvagio, secondo i suoi sforzi e la sua volontà, ne consegue che l'avvenire non è precluso ad alcuna creatura. Dio non ripudia nessuno dei Suoi figli; Egli li accoglie nel Suo seno, nella misura in cui raggiungono la perfezione, lasciando così a ognuno il merito delle proprie azioni.
5° Essendo la sofferenza legata all'imperfezione, così come la letizia è legata alla perfezione, l'anima porta in sé stessa il suo castigo dappertutto, ovunque essa si trovi; per questo non c'è bisogno di un luogo circoscritto. L'inferno, dunque, si trova dappertutto, ovunque cioè vi siano delle anime sofferenti; così come il cielo si trova dappertutto, ovunque vi siano delle anime felici.
6° Il bene e il male che si commettono sono il prodotto delle buone e cattive qualità che ciascuno possiede. Non fare il bene che si è in grado di fare è dunque il risultato di una imperfezione. Se ogni imperfezione è una fonte di sofferenza, lo Spirito deve soffrire non solo per tutto il male che ha commesso, ma anche per tutto il bene che avrebbe potuto fare e che, durante la sua vita terrena, non ha fatto.
7° Lo Spirito soffre inoltre per il male che ha commesso, affinché, essendo la sua attenzione incessantemente portata sulle conseguenze di questo male, ne comprenda meglio gli inconvenienti e sia così sollecitato a correggersene.
8° Essendo la giustizia divina infinita, viene rigorosamente tenuto un conto del bene e del male; se non c'è una sola cattiva azione, un solo cattivo pensiero che non abbia le sue conseguenze fatali, neppure c'è una sola buona azione, un solo moto positivo dell'anima, in una parola il più lieve merito, che vada perduto, persino presso le persone più perverse, poiché ciò è un inizio di progresso.
9° Ogni colpa commessa, ogni male realizzato, è un debito che si è contratto e che deve essere pagato; se non è stato pagato in una esistenza, Io sarà in quella seguente o in quelle seguenti, poiché tutte le esistenze sono solidali le une con le altre. Colui che si sdebita nell'esistenza presente non dovrà pagare una seconda volta.
10° Lo Spirito subisce la pena delle sue imperfezioni, sia nel mondo spirituale, sia nel mondo corporeo. Tutte le miserie, tutte le vicissitudini che si subiscono nella vita corporea sono conseguenze delle nostre imperfezioni, sono espiazioni di colpe commesse, sia nell'esistenza presente, sia in quelle precedenti.
Dalla natura delle sofferenze e delle vicissitudini che si subiscono nella vita corporea, si può giudicare la natura delle colpe commesse in una precedente esistenza e la natura delle imperfezioni che ne sono la causa.
11° L'espiazione varia a seconda della natura e della gravità della colpa; la medesima colpa può così dar luogo a espiazioni differenti, secondo le circostanze attenuanti o aggravanti nelle quali essa è stata commessa.
12° Non esiste circa la natura e la durata del castigo, alcuna regola assoluta e uniforme. La sola legge generale è quella secondo cui ogni colpa riceve la sua punizione, e ogni buona azione la sua ricompensa, secondo il suo valore.
13° La durata del castigo è subordinata al miglioramento dello Spirito colpevole. Nessuna condanna per un determinato tempo viene mai pronunciata contro di lui. Ciò che Dio esige per mettere termine alle sofferenze è un miglioramento serio ed effettivo, e un ritorno sincero al bene.
Lo Spirito è, così, sempre l'arbitro della sua propria sorte: egli può prolungare le sue sofferenze con la sua ostinazione nel male, può attenuarle o abbreviarle con i suoi sforzi per compiere il bene.
Una condanna per un tempo determinato qualsiasi avrebbe un doppio inconveniente: quello di continuare a punire lo Spirito che si fosse migliorato, oppure quello di cessare di punirlo quando egli si trovasse ancora nel male. Dio, che è giusto, punisce il male fin tanto che esiste; cessa di punire quando il male non esiste più; [2] oppure — se si vuole — essendo il male morale, per sé stesso, una causa di sofferenza, la sofferenza dura per tanto tempo quanto sussiste il male; e l'intensità della sofferenza diminuisce nella misura in cui il male si affievolisce.
1° L'anima, o lo Spirito, subisce nella vita spirituale le conseguenze di tutte le imperfezioni di cui essa non si è liberata durante la vita corporea. Il suo stato, felice o infelice, è inerente al grado della sua purificazione o delle sue imperfezioni.
2° La felicità perfetta è legata alla perfezione, vale a dire alla completa purificazione dello Spirito. Ogni imperfezione è nello stesso tempo una causa di sofferenza e di privazione della letizia, così come ogni qualità acquisita è una causa di letizia e di attenuazione delle sofferenze.
3° Non c'è una sola imperfezione dell'anima che non porti con sé conseguenze dolorose e inevitabili, né v'è una sola buona qualità che non sia fonte di gioia. La somma delle pene è, perciò, proporzionale alla somma delle imperfezioni, allo stesso modo che quella delle gioie è in ragione della somma delle qualità.
L'anima che abbia, per esempio, dieci imperfezioni soffre più di quella che ne abbia solo tre o quattro. Quando di quelle dieci imperfezioni non gliene resterà che un quarto o la metà, l'anima soffrirà meno; quando poi non le resteranno più imperfezioni, allora non soffrirà più del tutto e sarà perfettamente Felice. Come, sulla Terra, colui che ha parecchie malattie soffre più di quello che ne ha una sola o di quello che non ne ha affatto, per la stessa ragione l'anima che possiede dieci qualità ha più gioie di quella che ne ha meno.
4° In virtù della legge del progresso, avendo ogni anima la possibilità di acquisire il bene che le manca e di sbarazzarsi di quanto possiede di malvagio, secondo i suoi sforzi e la sua volontà, ne consegue che l'avvenire non è precluso ad alcuna creatura. Dio non ripudia nessuno dei Suoi figli; Egli li accoglie nel Suo seno, nella misura in cui raggiungono la perfezione, lasciando così a ognuno il merito delle proprie azioni.
5° Essendo la sofferenza legata all'imperfezione, così come la letizia è legata alla perfezione, l'anima porta in sé stessa il suo castigo dappertutto, ovunque essa si trovi; per questo non c'è bisogno di un luogo circoscritto. L'inferno, dunque, si trova dappertutto, ovunque cioè vi siano delle anime sofferenti; così come il cielo si trova dappertutto, ovunque vi siano delle anime felici.
6° Il bene e il male che si commettono sono il prodotto delle buone e cattive qualità che ciascuno possiede. Non fare il bene che si è in grado di fare è dunque il risultato di una imperfezione. Se ogni imperfezione è una fonte di sofferenza, lo Spirito deve soffrire non solo per tutto il male che ha commesso, ma anche per tutto il bene che avrebbe potuto fare e che, durante la sua vita terrena, non ha fatto.
7° Lo Spirito soffre inoltre per il male che ha commesso, affinché, essendo la sua attenzione incessantemente portata sulle conseguenze di questo male, ne comprenda meglio gli inconvenienti e sia così sollecitato a correggersene.
8° Essendo la giustizia divina infinita, viene rigorosamente tenuto un conto del bene e del male; se non c'è una sola cattiva azione, un solo cattivo pensiero che non abbia le sue conseguenze fatali, neppure c'è una sola buona azione, un solo moto positivo dell'anima, in una parola il più lieve merito, che vada perduto, persino presso le persone più perverse, poiché ciò è un inizio di progresso.
9° Ogni colpa commessa, ogni male realizzato, è un debito che si è contratto e che deve essere pagato; se non è stato pagato in una esistenza, Io sarà in quella seguente o in quelle seguenti, poiché tutte le esistenze sono solidali le une con le altre. Colui che si sdebita nell'esistenza presente non dovrà pagare una seconda volta.
10° Lo Spirito subisce la pena delle sue imperfezioni, sia nel mondo spirituale, sia nel mondo corporeo. Tutte le miserie, tutte le vicissitudini che si subiscono nella vita corporea sono conseguenze delle nostre imperfezioni, sono espiazioni di colpe commesse, sia nell'esistenza presente, sia in quelle precedenti.
Dalla natura delle sofferenze e delle vicissitudini che si subiscono nella vita corporea, si può giudicare la natura delle colpe commesse in una precedente esistenza e la natura delle imperfezioni che ne sono la causa.
11° L'espiazione varia a seconda della natura e della gravità della colpa; la medesima colpa può così dar luogo a espiazioni differenti, secondo le circostanze attenuanti o aggravanti nelle quali essa è stata commessa.
12° Non esiste circa la natura e la durata del castigo, alcuna regola assoluta e uniforme. La sola legge generale è quella secondo cui ogni colpa riceve la sua punizione, e ogni buona azione la sua ricompensa, secondo il suo valore.
13° La durata del castigo è subordinata al miglioramento dello Spirito colpevole. Nessuna condanna per un determinato tempo viene mai pronunciata contro di lui. Ciò che Dio esige per mettere termine alle sofferenze è un miglioramento serio ed effettivo, e un ritorno sincero al bene.
Lo Spirito è, così, sempre l'arbitro della sua propria sorte: egli può prolungare le sue sofferenze con la sua ostinazione nel male, può attenuarle o abbreviarle con i suoi sforzi per compiere il bene.
Una condanna per un tempo determinato qualsiasi avrebbe un doppio inconveniente: quello di continuare a punire lo Spirito che si fosse migliorato, oppure quello di cessare di punirlo quando egli si trovasse ancora nel male. Dio, che è giusto, punisce il male fin tanto che esiste; cessa di punire quando il male non esiste più; [2] oppure — se si vuole — essendo il male morale, per sé stesso, una causa di sofferenza, la sofferenza dura per tanto tempo quanto sussiste il male; e l'intensità della sofferenza diminuisce nella misura in cui il male si affievolisce.
---------------------------
[2] Vedere al cap. VI, n. 25, una citazione di Ezechiele.
-------------------------
14° Essendo la durata del castigo subordinata al miglioramento, ne consegue che lo Spirito colpevole che non si fosse mai migliorato soffrirebbe sempre, e che, per lui, la pena sarebbe eterna.
15° Una condizione inerente all'inferiorità degli Spiriti è di non poter presagire il termine della loro situazione e di credere ch'essi soffriranno per sempre. È un castigo che sembra loro dover essere eterno. [3]
-------------------------
[3] Perpetuo è sinonimo di eterno. Si dice: il limite delle nevi perpetue; i ghiacci eterni dei poli. Si dice anche: il segretario perpetuo dell'Accademia, il che non vuol dire che lo sarà in eterno, ma unicamente per un tempo illimitato. Eterno e perpetuo si usano dunque nel senso di indeterminato. In tale accezione, si può dire che le pene sono eterne, se si vuole intendere che esse non hanno una durata limitata; sono eterne per lo Spirito che non ne vede il termine.
---------------------------
16° Il pentimento è il primo passo verso il miglioramento; ma esso solo non basta, c'è bisogno ancora dell'espiazione e della riparazione.
Pentimento, espiazione e riparazione sono le tre condizioni necessarie per cancellare le tracce d'una colpa e le sue conseguenze.
Il pentimento addolcisce i dolori dell'espiazione in quanto dà la speranza e prepara le vie della riabilitazione; ma soltanto la riparazione può annullare l'effetto distruggendo la causa; il perdono sarebbe una grazia e non un annullamento.
17° Il pentimento può aver luogo dappertutto e in ogni tempo; se esso è tardivo, il colpevole soffre più a lungo. L'espiazione consiste nelle sofferenze fisiche e morali — che sono la conseguenza della colpa commessa — sia fin dalla vita presente; sia, dopo la morte, nella vita spirituale; sia in una nuova esistenza corporea, finché le tracce della colpa siano cancellate.
La riparazione consiste nel fare del bene a colui cui si è fatto del male. Chi non riparai suoi torti in questa vita, per impossibilità o cattiva volontà, si ritroverà, in una ulteriore esistenza, in contatto con le medesime persone che hanno avuto di che lamentarsi nei suoi confronti, e nelle condizioni da lui stesso scelte, in maniera da poter loro dimostrare la sua dedizione e far loro tanto bene quanto male fece loro in passato.
Non tutte le colpe arrecano un pregiudizio diretto ed effettivo; in questo caso, la riparazione si realizza: facendo ciò che si doveva fare e non si è fatto, assolvendo i doveri che si sono trascurati o disconosciuti, compiendo le missioni in cui si è fallito; praticando il bene a risarcimento di ciò che si è fatto di male, vale a dire essendo umili se si è stati orgogliosi, dolci se si è stati duri, caritatevoli se si è stati egoisti, benevoli se si è stati malevoli, laboriosi se si è stati pigri, utili se si è stati inutili, sobri se si è stati dissoluti, di buon esempio se si è dato cattivo esempio ecc. È così che lo Spirito progredisce mettendo a profitto il suo passato. [4]
-------------------------
[4] La necessità della riparazione è un principio di rigorosa giustizia, che si può considerare come la vera legge di riabilitazione morale degli Spiriti. Si tratta di una dottrina che finora nessuna religione ha proclamato.
Tuttavia alcune persone la respingono, perché trovano più comodo cancellare le loro cattive azioni con un semplice pentimento che costa solo delle parole e con l'aiuto di alcune formule; libere tali persone di credersi esentate: vedranno più tardi se ciò è loro sufficiente. Si potrebbe chiedere loro se questo principio non è forse consacrato dalla legge umana, e se la giustizia di Dio può essere inferiore a quella degli uomini. E, ancora, si potrebbe chiedere loro se esse si riterrebbero soddisfatte di un individuo il quale, avendole rovinate abusando della loro fiducia, si limitasse a dir loro ch'egli ne è infinitamente dispiaciuto. Perché tali persone, dovrebbero ritrarsi davanti a un obbligo che ogni onest'uomo si fa un dovere di compiere, nella misura delle sue forze?
Allorché questa prospettiva della riparazione sarà inculcata nella credenza delle masse, essa sarà un freno ben altrimenti potente di quello dell'inferno e delle pene eterne, perché tocca l'attualità della vita, e perché l'uomo comprenderà la ragion d'essere delle penose circostanze in cui si trova collocato.
---------------------------
18° Gli Spiriti imperfetti sono esclusi dai mondi felici, la cui armonia verrebbe da loro turbata; essi restano nei mondi inferiori dove espiano le loro colpe attraverso le tribolazioni della vita; si purificano delle loro imperfezioni, fin quando meritano d'incarnarsi nei mondi moralmente e fisicamente più avanzati.
Se si può concepire un luogo di castigo circoscritto, questo è nei mondi di espiazione, perché è attorno a questi mondi che pullulano gli Spiriti imperfetti disincarnati, attendendo una nuova esistenza che, permettendo loro di riparare al male che hanno fatto, contribuirà al loro avanzamento.
19° Avendo lo Spirito sempre il suo libero arbitrio, lento è talvolta il suo miglioramento, e molto tenace la sua ostinazione nel male. Egli può persistervi degli anni e anche dei secoli; ma arriva sempre il momento in cui la sua caparbietà nello sfidare la giustizia di Dio si piega davanti alla sofferenza, e in cui, malgrado la sua protervia, egli riconosce la potenza superiore che lo domina. Non appena si manifestano in lui i primi barlumi del pentimento, Dio gli fa intravedere la speranza.
Nessuno Spirito si trova nella condizione di non migliorarsi mai; altrimenti sarebbe fatalmente votato a un'eterna inferiorità e sfuggirebbe alla legge del progresso, la quale sostiene provvidenzialmente tutte le creature.
20° Quali che siano l'inferiorità e la perversione degli Spiriti, Dio non li abbandona mai. Tutti hanno il loro angelo custode che veglia su di essi, spia i moti della loro anima, e fa di tutto per suscitare in loro dei buoni pensieri, il desiderio di progredire e riparare, in una nuova esistenza, il male che hanno fatto. Tuttavia la guida protettrice agisce il più delle volte in maniera occulta, senza esercitare alcuna pressione. Lo Spirito deve migliorarsi per un impulso della sua stessa volontà, e non in seguito a una qualche costrizione. Lo Spirito agisce bene o male in virtù del suo libero arbitrio, ma senza essere fatalmente spinto in un senso o nell'altro. S'egli fa del male, ne subisce le conseguenze per tutto quanto il tempo che rimane sulla cattiva strada; non appena fa un passo verso il bene, ne ottiene immediatamente gli effetti benefici.
Osservazione — Sarebbe un errore supporre che, in virtù della legge del progresso, la certezza di arrivare presto o tardi alla perfezione e alla felicità può essere un incoraggiamento a perseverare nel male, salvo a pentirsi più tardi: prima di tutto, perché lo Spirito inferiore non vede il termine della sua situazione; in secondo luogo, perché lo Spirito, essendo egli l'artefice della sua stessa disgrazia, finisce per comprendere che dipende da lui farla cessare, che quanto più a lungo egli persisterà nel male, tanto più a lungo sarà infelice, e che la sua sofferenza durerà per sempre se non vi metterà termine lui stesso. Questo sarebbe dunque, da parte sua, un calcolo falso, di cui egli sarebbe vittima per primo. Se, al contrario, secondo il dogma delle pene irrevocabili, ogni speranza gli fosse negata per sempre, egli non avrebbe alcun interesse a convertirsi al bene, che sarebbe per lui senza alcun profitto.
Davanti a questa legge, cade egualmente l'obiezione tratta dalla prescienza divina. Dio, quando crea un'anima, sa in effetti se, in virtù del suo libero arbitrio, essa prenderà la buona o la cattiva strada; Egli sa che essa sarà punita se agirà male; ma Egli sa anche che questo castigo temporaneo è un mezzo per farle comprendere il suo errore e farla rientrare sulla buona strada, dove essa presto o tardi arriverà. Secondo la dottrina delle pene eterne, Egli sa ch'essa fallirà e che è condannata in anticipo a torture senza fine.
21° Ognuno è responsabile soltanto delle sue colpe personali; nessuno porta la pena delle colpe altrui, a meno che non vi abbia dato origine, sia provocandole con il proprio esempio, sia non impedendole, pur avendone il potere.
Così, per esempio, il suicidio è sempre punito; ma colui che, con la sua durezza, spinge un individuo alla disperazione e, da qui, a distruggersi, subisce una pena ancora più grande.
22° Benché la diversità delle punizioni sia infinita, ve ne sono di quelle che sono inerenti alla inferiorità degli Spiriti, e le cui conseguenze, salvo alcune sfumature, sono quasi identiche.
La punizione, quella più immediata, soprattutto presso coloro che si sono attaccati alla vita materiale a detrimento del progresso spirituale, consiste nella lentezza della separazione dell'anima e del corpo, nelle angosce che accompagnano la morte e il risveglio nell'altra vita, nella durata del turbamento che può protrarsi per mesi e anni. Presso coloro, invece, la cui coscienza è pura, e che da vivi si sono identificati con la vita spirituale e si sono distaccati dalle cose materiali, presso costoro la separazione è rapida, senza scosse, il risveglio è tranquillo e quasi nullo.
23° Un fenomeno, assai frequente presso gli Spiriti di una certa inferiorità morale, consiste nel credersi ancora vivi. Questa illusione può protrarsi per degli anni, durante i quali essi provano tutti i bisogni, tutti i tormenti e tutte le perplessità della vita.
24° Per il criminale, la vista incessante delle sue vittime e delle circostanze del crimine è un crudele supplizio.
25° Certi Spiriti sono immersi in fitte tenebre; altri si trovano in un isolamento assoluto in mezzo allo Spazio, tormentati dal non conoscere né la loro posizione né la loro sorte. I più colpevoli soffrono torture tanto più intense, in quanto non ne vedono il termine. Molti sono condannati a non vedere gli esseri che sono loro cari. Tutti, generalmente, subiscono i mali, i dolori e le necessità con una intensità relativa a mali, dolori e necessità che essi hanno fatto subire agli altri, finché il pentimento e il desiderio della riparazione sopraggiungono ad apportarvi un alleviamento, facendo intravedere a tali colpevoli la possibilità di porre essi stessi un termine a quella situazione.
26° È un supplizio per l'orgoglioso vedere, sopra di lui, attorniati e festeggiati nella gloria, coloro ch'egli aveva disprezzato sulla Terra, mentre lui è relegato negli ultimi ranghi. È un supplizio per l'ipocrita vedersi trapassato dalla luce che mette a nudo i suoi più segreti pensieri, che tutti possono leggere, senza che lui possa occultarli o dissimularli. È un supplizio per il sensuale avere tutte le tentazioni, tutti i desideri, senza poterli soddisfare; per l'avaro, vedere il suo oro dilapidato e non poterci far nulla. È un supplizio per l'egoista, essere abbandonato da tutti e soffrire tutto quanto altri hanno sofferto a causa sua: avrà egli sete, e nessuno gli darà da bere; avrà fame, e nessuno gli darà da mangiare; nessuna mano amica stringerà la sua; nessuna voce pietosa lo consolerà. Egli non ha pensato che a sé stesso durante la sua vita, e nessuno pensa a lui e lo piange dopo la sua morte.
27° Il mezzo per evitare o attenuare le conseguenze dei propri delitti nella vita futura è quello di disfarsene quanto più possibile nella vita presente; è quello di riparare al male, per non doverlo riparare più tardi in maniera più terribile. Più si tarda a disfarsi dei propri difetti, più le conseguenze saranno penose, e più rigorosa sarà la riparazione che si dovrà compiere.
28° La situazione dello Spirito, dalla sua entrata nella vita spirituale, è quella che egli si è preparata nella vita corporea. Più tardi, gli viene data un'altra incarnazione, per l'espiazione e la riparazione attraverso nuove prove; ma egli se ne avvantaggia più o meno, a seconda del suo libero arbitrio. Se non ne trae vantaggio, sarà un compito che dovrà ricominciare ogni volta in condizioni più penose: così che di colui che soffre molto sulla Terra suol dirsi che aveva molto da espiare; coloro che godono di una felicità apparente, nonostante i loro vizi e la loro inutilità, sono certi di pagare il tutto a caro prezzo in una esistenza ulteriore. È in questo senso che Gesù ha detto: "Beati gli afflitti, perché essi saranno consolati" (Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. V).
29° La misericordia di Dio è senza dubbio infinita, ma non è cieca. Il colpevole, che essa perdona, non è però esonerato, e finché egli non ha soddisfatto la giustizia, subisce le conseguenze delle sue colpe. Con il termine misericordia infinita, bisogna intendere che Dio non è inesorabile e che lascia sempre aperta la porta del ritorno al bene.
30° Le pene, essendo temporanee e subordinate alla riparazione e al pentimento, i quali dipendono dalla libera volontà dell'uomo, sono contemporaneamente castighi e rimedi, che devono aiutare a guarire le piaghe del male. Gli Spiriti in punizione sono, dunque, non quali carcerati condannati per un determinato tempo, ma quali malati in un ospedale, che soffrono sia di una malattia di cui spesso sono essi la causa, sia dei dolorosi mezzi curativi che la malattia esige. Sono come malati, dunque, che hanno la speranza di guarire e che guariscono tanto più velocemente quanto più rigorosamente seguono le prescrizioni del medico, il quale veglia su di loro con sollecitudine. Se essi prolungano le loro sofferenze per propria colpa, il medico non ha niente a che vedere con ciò.
31° Alle pene che lo Spirito subisce nella vita spirituale vanno ad aggiungersi quelle della vita corporea, che sono la conseguenza delle imperfezioni dell'uomo, delle sue passioni, del cattivo uso delle sue facoltà, e l'espiazione dei suoi errori presenti e passati. È nella vita corporea che lo Spirito ripara al male delle sue esistenze anteriori, ch'egli mette in pratica le risoluzioni prese nella vita spirituale. Si spiegano così quelle miserie e quelle vicissitudini che, di primo acchito, sembrano non avere ragion d'essere, e che sono del tutto giuste, dal momento che sono l'eredità del passato e che servono al nostro avanzamento. [5]
-------------------------
[5] Vedere qui cap. VI, "Il Purgatorio", n. 3 e ss. ; e, più avanti, cap. XX , "Esempi di espiazione terrena". Ne Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. V, "Beati gli afflitti".
--------------------------
32° Dio, si dice, non dimostrerebbe un più grande amore verso le sue creature, se le avesse create infallibili e, di conseguenza, esenti dalle vicissitudini legate all'imperfezione?
Sarebbe occorso, per questo, ch'Egli creasse degli esseri perfetti, che non dovessero acquisire nulla, né riguardo alla conoscenza né riguardo alla moralità. Senza alcun dubbio, Egli lo poteva. Se non lo ha fatto, è perché, nella Sua saggezza, Egli ha voluto che il progresso fosse la legge generale.
Gli uomini sono imperfetti e, come tali, soggetti a vicissitudini più o meno penose; è un fatto che bisogna accettare, poiché esiste. Dedurne che Dio non è né buono né giusto sarebbe una ribellione contro di Lui.
Si tratterebbe di ingiustizia se Egli avesse creato degli esseri privilegiati, gli uni più favoriti degli altri, godendo senza alcuna fatica della felicità che altri raggiungono solo a prezzo di sofferenze o che non possono raggiungere mai. Ma dove la Sua giustizia risplende è nell'eguaglianza assoluta che presiede alla creazione di tutti gli Spiriti; tutti hanno un medesimo punto di partenza; nessuno che sia, alla sua formazione, meglio dotato degli altri; nessuno la cui marcia ascensionale sia eccezionalmente facilitata: coloro che sono giunti alla meta sono passati, come gli altri, attraverso la trafila delle prove e della inferiorità.
Ammesso questo, che cosa di più giusto della libertà d'azione lasciata a ciascuno? La strada della felicità è aperta a tutti; il fine è il medesimo per tutti; le condizioni per raggiungerlo sono le medesime per tutti; la legge incisa in tutte le coscienze è insegnata a tutti. Dio ha fatto della felicità il premio della fatica e non del favore, affinché ciascuno ne avesse il merito. Ciascuno è libero di lavorare o di non fare niente per il suo avanzamento; colui che lavora molto e velocemente ne è più presto ricompensato; colui che si smarrisce per strada o perde il suo tempo ritarda l'arrivo e non può prendersela che con sé stesso. Il bene e il male sono volontari e facoltativi; l'uomo, essendo libero, non è fatalmente spinto né verso l'uno né verso l'altro.
33° Malgrado la diversità dei generi e dei gradi di sofferenza degli Spiriti imperfetti, il codice penale della vita futura può riassumersi in tre principi.
La sofferenza è legata all'imperfezione.
Ogni imperfezione — e ogni colpa che ne è il risultato — porta con sé il suo castigo, attraverso le sue conseguenze naturali e inevitabili; così la malattia è la conseguenza degli eccessi, la noia quella dell'ozio, senza che vi sia bisogno di una condanna speciale per ogni colpa e per ogni individuo.
Ogni uomo, potendo disfarsi delle sue imperfezioni per effetto della sua volontà, può preservarsi dai mali che ne sono la conseguenza e assicurarsi la felicità futura.
Tale è la legge della giustizia divina: a ciascuno secondo le sue opere, così in Cielo come in Terra.
Capitolo VIII - GLI ANGELI
Gli angeli secondo la Chiesa
1.
Tutte le religioni hanno avuto, sotto vari nomi, degli angeli, degli
esseri, cioè, superiori all'Umanità, intermediari tra Dio e gli uomini.
Il materialismo, negando ogni esistenza spirituale al di fuori della
vita organica, ha naturalmente collocato gli angeli tra le finzioni e le
allegorie. Il credere negli angeli costituisce una delle parti
essenziali dei dogmi della Chiesa, la quale li definisce come qui di
seguito riportiamo. [1]
-------------------------
[1] Abbiamo tratto questo riassunto dalla lettera pastorale di Monsignor Gousset, cardinale arcivescovo di Reims, per la Quaresima del 1864. Esso può, dunque, considerarsi come quello sui demoni, tratto dalla medesima fonte e citato nel capitolo successivo quale l'ultima espressione del dogma della Chiesa su questo punto.
-------------------------
[1] Abbiamo tratto questo riassunto dalla lettera pastorale di Monsignor Gousset, cardinale arcivescovo di Reims, per la Quaresima del 1864. Esso può, dunque, considerarsi come quello sui demoni, tratto dalla medesima fonte e citato nel capitolo successivo quale l'ultima espressione del dogma della Chiesa su questo punto.
2.
«Noi crediamo fermamente, proclama un concilio generale ed ecumenico,
[2] che non vi sia che un solo vero Dio, eterno e infinito, il quale, all'inizio del tempo, ha tratto congiuntamente
dal niente l'una e l'altra creatura, la spirituale e la corporale,
l'angelica e la mondana, e che, in seguito, ha formato, quale raccordo
tra le due, la natura umana, composta di corpo e di spirito.
Tale è, secondo la fede, il piano divino nell'opera della creazione, piano maestoso e completo come si addiceva alla saggezza eterna. Così concepito, esso offre ai nostri pensieri l'essere in tutti i suoi gradi e in tutte le sue condizioni. Nella sfera più elevata compaiono l'esistenza e la vita puramente spirituali; nell'ultimo ordine, l'esistenza e la vita puramente materiali; e intermediariamente, separandole l'una dall'altra, una meravigliosa unione delle due sostanze, una vita allo stesso tempo comune allo spirito intelligente e al corpo organizzato.
La nostra anima è di una natura semplice e indivisibile, ma è limitata nelle sue facoltà. L'idea che noi abbiamo della perfezione ci fa comprendere che ci possono essere altri esseri semplici quanto essa, e superiori per le loro qualità e i loro privilegi. L'anima è grande e nobile, ma è associata alla materia, è servita da organi fragili ed è limitata nella sua azione e nella sua potenza. Perché non dovrebbero esserci altre nature ancora più nobili, libere da questa schiavitù e da questi ostacoli, dotate di una forza più grande e di una attività incomparabile? Prima che Dio collocasse gli uomini sulla Terra perché Lo conoscessero, L'amassero e Lo servissero, non aveva forse Egli già dovuto chiamare altre creature a comporre la Sua corte celeste, perché Lo adorassero nella dimora della Sua gloria? Dio, infine, riceve dalle mani dell'uomo il tributo d'onore e l'omaggio di questo Universo. C'è dunque da meravigliarsi ch'Egli riceva dalle mani dell'angelo l'incenso e la preghiera dell'uomo? Se, quindi,' gli angeli non esistessero, la grande opera del Creatore non avrebbe il coronamento e la perfezione di cui era suscettibile. Questo mondo, che attesta la Sua onnipotenza, non sarebbe più il capolavoro della Sua saggezza; la nostra ragione stessa, per quanto debole e fragile, potrebbe facilmente concepire un Dio più completo e più perfetto.
In ogni pagina dei libri sacri dell'Antico e del Nuovo Testamento, si fa menzione di queste sublimi intelligenze, in pie invocazioni o in brani di storia. Il loro intervento appariva manifestamente nella vita dei patriarchi e dei profeti. Dio si serve del loro ministero sia per trasmettere le Sue volontà, sia per annunciare gli eventi futuri; quasi sempre ne fa gli organi della Sua giustizia o della Sua misericordia. La loro presenza è congiunta alle diverse circostanze della nascita, della vita e della passione del Salvatore; il loro ricordo è inseparabile da quello dei grandi uomini e da quello dei più importanti fatti dell'antichità religiosa. La credenza negli angeli si trova anche in seno al politeismo e nelle favole mitologiche, perché la credenza di cui si parla è antica e universale quanto il mondo. Il culto che i pagani tributavano ai buoni e cattivi geni altro non era che una falsa applicazione della verità, una traccia degenerata del dogma primitivo.
Le parole del santo Concilio Lateranense contengono una distinzione fondamentale tra gli angeli e gli uomini. Esse ci insegnano che i primi sono dei puri Spiriti, mentre questi altri sono composti di un corpo e di un'anima; vale a dire che la natura angelica si sostiene da sé stessa, non solo senza mescolanza alcuna, ma anche senza alcuna possibile associazione reale con la materia, per quanto leggera e sottile la si supponga. Invece, la nostra anima, egualmente spirituale, è associata al corpo in maniera da formare con esso una sola e stessa persona. E tale è essenzialmente la sua destinazione.
Finché perdura questa unione così intima dell'anima con il corpo, queste due sostanze hanno una vita comune ed esercitano l'una sull'altra un'influenza reciproca. L'anima non può affrancarsi interamente dalla condizione imperfetta che per lei ne risulta: le sue idee arrivano al corpo attraverso i sensi, attraverso il confronto degli oggetti esteriori, e sempre sotto immagini più o meno apparenti. Da ciò deriva il fatto per cui essa non può contemplare sé stessa, né può rappresentarsi Dio e gli angeli senza immaginare una qualche loro forma visibile e palpabile. È per questo che gli angeli, per farsi vedere dai santi e dai profeti, hanno dovuto fare ricorso a delle figure corporee; ma queste figure non erano che dei corpi aerei ch'essi facevano muovere senza identificarsi con loro; oppure erano degli attributi simbolici in rapporto con la missione di cui erano incaricati.
Il loro essere e i loro movimenti non sono localizzati né circoscritti in un punto fisso e delimitato dello Spazio. Non essendo essi legati ad alcun corpo, non possono essere né fermati né limitati, come invece lo siamo noi, da altri corpi. Non occupano alcun posto e non riempiono alcun vuoto; ma, così come la nostra anima è tutta intera nel nostro corpo e in ciascuna delle sue parti, anch'essi sono tutti interi, e quasi simultaneamente, su tutti i punti e in tutte le parti del mondo. Più veloci del pensiero, essi possono essere dappertutto in un batter d'occhio e agire da soli, senza altri ostacoli ai loro disegni che la volontà di Dio e la resistenza della libertà umana.
Mentre noi siamo costretti a vedere solo a poco a poco, e in una certa misura, le cose che sono al di fuori di noi; mentre le verità di ordine soprannaturale ci appaiono come in un enigma e in uno specchio, secondo l'espressione dell'apostolo san Paolo; essi vedono senza sforzo ciò che a loro importa sapere ed entrano immediatamente in rapporto con l'oggetto del loro pensiero. Le loro conoscenze non sono il risultato dell'induzione e del ragionamento, ma di quella intuizione chiara e profonda che abbraccia al tempo stesso il genere e le specie che ne derivano, i principi e le conseguenze che ne provengono.
La distanza dei tempi, la differenza dei luoghi, la molteplicità degli oggetti non possono produrre alcuna confusione nei loro spiriti.
L'essenza divina, essendo infinita, è incomprensibile; essa ha dei misteri e delle profondità che gli angeli non possono penetrare. I disegni particolari della Provvidenza sono loro celati; ma essa ne disvela loro il segreto, allorché li incarica, in certe circostanze, di annunciarli agli uomini.
Le comunicazioni di Dio agli angeli, e quelle degli angeli tra di loro, non si fanno, come avviene fra di noi, per mezzo di suoni articolati o di altri segni sensibili. Le pure intelligenze non hanno bisogno né degli occhi per vedere né delle orecchie per sentire; esse non hanno neppure l'organo della voce per manifestare i loro pensieri; questo intermediario, usuale nelle nostre relazioni, non è loro necessario. Ma esse comunicano i loro sentimenti in un modo, solo a esse peculiare e che è del tutto spirituale. Per essere compresi, è loro sufficiente volerlo.
Dio soltanto conosce il numero degli angeli. Questo numero, senza dubbio, non potrebbe essere infinito, e in effetti non lo è; ma, secondo gli autori sacri e i santi dottori, esso è molto considerevole e veramente prodigioso. Se è naturale commisurare il numero degli abitanti di una città alla sua grandezza e alla sua estensione, non essendo la Terra che un atomo in confronto al firmamento e alle immense regioni dello Spazio, bisogna concludere che il numero degli abitanti del cielo e dell'aria è molto più grande di quello degli uomini.
Poiché la maestà dei re trae il suo splendore dal numero dei loro sudditi, devi loro funzionari e dei loro servitori, che cosa c'è di meglio, per darci un'idea della maestà del Re dei re, di questa innumerevole moltitudine di angeli, i quali popolano il cielo e la terra, il mare e gli abissi? E che cosa di meglio della dignità di coloro che se ne stanno di continuo prosternati o in piedi davanti al suo trono?
I Padri della Chiesa e i teologi generalmente insegnano che gli angeli sono distribuiti in tre grandi gerarchie o principati, e ogni gerarchia in tre compagnie o cori.
Quelli della prima e più alta gerarchia sono designati a seguito delle funzioni che esercitano in cielo. Quelli chiamati Serafini sono detti così, perché sono come ardenti, avanti a Dio, degli ardori della carità; i Cherubini, detti così perché sono un riflesso luminoso della Sua saggezza; i Troni, perché proclamano la Sua grandezza e ne fanno risplendere il fulgore.
Gli angeli della seconda gerarchia ricevono i loro nomi dalle operazioni che sono loro affidate nel governo generale dell'Universo, e sono: le Dominazioni, che assegnano le loro missioni e i loro incarichi agli angeli degli ordini inferiori; le Virtù, che compiono i prodigi reclamati dai grandi interessi della Chiesa e del genere umano; la Potestà, che proteggono con la loro forza e la loro vigilanza le leggiche reggono il mondo fisico e morale.
Gli angeli della terza gerarchia si suddividono la direzione delle società e delle persone, e sono: i Principati, preposti ai regni, alle provincie e alle diocesi; gli Arcangeli, che trasmettono i messaggi di alta importanza; gli Angeli custodi, che accompagnano ognuno di noi, per vegliare sulla nostra sicurezza e sulla nostra santificazione.»
Tale è, secondo la fede, il piano divino nell'opera della creazione, piano maestoso e completo come si addiceva alla saggezza eterna. Così concepito, esso offre ai nostri pensieri l'essere in tutti i suoi gradi e in tutte le sue condizioni. Nella sfera più elevata compaiono l'esistenza e la vita puramente spirituali; nell'ultimo ordine, l'esistenza e la vita puramente materiali; e intermediariamente, separandole l'una dall'altra, una meravigliosa unione delle due sostanze, una vita allo stesso tempo comune allo spirito intelligente e al corpo organizzato.
La nostra anima è di una natura semplice e indivisibile, ma è limitata nelle sue facoltà. L'idea che noi abbiamo della perfezione ci fa comprendere che ci possono essere altri esseri semplici quanto essa, e superiori per le loro qualità e i loro privilegi. L'anima è grande e nobile, ma è associata alla materia, è servita da organi fragili ed è limitata nella sua azione e nella sua potenza. Perché non dovrebbero esserci altre nature ancora più nobili, libere da questa schiavitù e da questi ostacoli, dotate di una forza più grande e di una attività incomparabile? Prima che Dio collocasse gli uomini sulla Terra perché Lo conoscessero, L'amassero e Lo servissero, non aveva forse Egli già dovuto chiamare altre creature a comporre la Sua corte celeste, perché Lo adorassero nella dimora della Sua gloria? Dio, infine, riceve dalle mani dell'uomo il tributo d'onore e l'omaggio di questo Universo. C'è dunque da meravigliarsi ch'Egli riceva dalle mani dell'angelo l'incenso e la preghiera dell'uomo? Se, quindi,' gli angeli non esistessero, la grande opera del Creatore non avrebbe il coronamento e la perfezione di cui era suscettibile. Questo mondo, che attesta la Sua onnipotenza, non sarebbe più il capolavoro della Sua saggezza; la nostra ragione stessa, per quanto debole e fragile, potrebbe facilmente concepire un Dio più completo e più perfetto.
In ogni pagina dei libri sacri dell'Antico e del Nuovo Testamento, si fa menzione di queste sublimi intelligenze, in pie invocazioni o in brani di storia. Il loro intervento appariva manifestamente nella vita dei patriarchi e dei profeti. Dio si serve del loro ministero sia per trasmettere le Sue volontà, sia per annunciare gli eventi futuri; quasi sempre ne fa gli organi della Sua giustizia o della Sua misericordia. La loro presenza è congiunta alle diverse circostanze della nascita, della vita e della passione del Salvatore; il loro ricordo è inseparabile da quello dei grandi uomini e da quello dei più importanti fatti dell'antichità religiosa. La credenza negli angeli si trova anche in seno al politeismo e nelle favole mitologiche, perché la credenza di cui si parla è antica e universale quanto il mondo. Il culto che i pagani tributavano ai buoni e cattivi geni altro non era che una falsa applicazione della verità, una traccia degenerata del dogma primitivo.
Le parole del santo Concilio Lateranense contengono una distinzione fondamentale tra gli angeli e gli uomini. Esse ci insegnano che i primi sono dei puri Spiriti, mentre questi altri sono composti di un corpo e di un'anima; vale a dire che la natura angelica si sostiene da sé stessa, non solo senza mescolanza alcuna, ma anche senza alcuna possibile associazione reale con la materia, per quanto leggera e sottile la si supponga. Invece, la nostra anima, egualmente spirituale, è associata al corpo in maniera da formare con esso una sola e stessa persona. E tale è essenzialmente la sua destinazione.
Finché perdura questa unione così intima dell'anima con il corpo, queste due sostanze hanno una vita comune ed esercitano l'una sull'altra un'influenza reciproca. L'anima non può affrancarsi interamente dalla condizione imperfetta che per lei ne risulta: le sue idee arrivano al corpo attraverso i sensi, attraverso il confronto degli oggetti esteriori, e sempre sotto immagini più o meno apparenti. Da ciò deriva il fatto per cui essa non può contemplare sé stessa, né può rappresentarsi Dio e gli angeli senza immaginare una qualche loro forma visibile e palpabile. È per questo che gli angeli, per farsi vedere dai santi e dai profeti, hanno dovuto fare ricorso a delle figure corporee; ma queste figure non erano che dei corpi aerei ch'essi facevano muovere senza identificarsi con loro; oppure erano degli attributi simbolici in rapporto con la missione di cui erano incaricati.
Il loro essere e i loro movimenti non sono localizzati né circoscritti in un punto fisso e delimitato dello Spazio. Non essendo essi legati ad alcun corpo, non possono essere né fermati né limitati, come invece lo siamo noi, da altri corpi. Non occupano alcun posto e non riempiono alcun vuoto; ma, così come la nostra anima è tutta intera nel nostro corpo e in ciascuna delle sue parti, anch'essi sono tutti interi, e quasi simultaneamente, su tutti i punti e in tutte le parti del mondo. Più veloci del pensiero, essi possono essere dappertutto in un batter d'occhio e agire da soli, senza altri ostacoli ai loro disegni che la volontà di Dio e la resistenza della libertà umana.
Mentre noi siamo costretti a vedere solo a poco a poco, e in una certa misura, le cose che sono al di fuori di noi; mentre le verità di ordine soprannaturale ci appaiono come in un enigma e in uno specchio, secondo l'espressione dell'apostolo san Paolo; essi vedono senza sforzo ciò che a loro importa sapere ed entrano immediatamente in rapporto con l'oggetto del loro pensiero. Le loro conoscenze non sono il risultato dell'induzione e del ragionamento, ma di quella intuizione chiara e profonda che abbraccia al tempo stesso il genere e le specie che ne derivano, i principi e le conseguenze che ne provengono.
La distanza dei tempi, la differenza dei luoghi, la molteplicità degli oggetti non possono produrre alcuna confusione nei loro spiriti.
L'essenza divina, essendo infinita, è incomprensibile; essa ha dei misteri e delle profondità che gli angeli non possono penetrare. I disegni particolari della Provvidenza sono loro celati; ma essa ne disvela loro il segreto, allorché li incarica, in certe circostanze, di annunciarli agli uomini.
Le comunicazioni di Dio agli angeli, e quelle degli angeli tra di loro, non si fanno, come avviene fra di noi, per mezzo di suoni articolati o di altri segni sensibili. Le pure intelligenze non hanno bisogno né degli occhi per vedere né delle orecchie per sentire; esse non hanno neppure l'organo della voce per manifestare i loro pensieri; questo intermediario, usuale nelle nostre relazioni, non è loro necessario. Ma esse comunicano i loro sentimenti in un modo, solo a esse peculiare e che è del tutto spirituale. Per essere compresi, è loro sufficiente volerlo.
Dio soltanto conosce il numero degli angeli. Questo numero, senza dubbio, non potrebbe essere infinito, e in effetti non lo è; ma, secondo gli autori sacri e i santi dottori, esso è molto considerevole e veramente prodigioso. Se è naturale commisurare il numero degli abitanti di una città alla sua grandezza e alla sua estensione, non essendo la Terra che un atomo in confronto al firmamento e alle immense regioni dello Spazio, bisogna concludere che il numero degli abitanti del cielo e dell'aria è molto più grande di quello degli uomini.
Poiché la maestà dei re trae il suo splendore dal numero dei loro sudditi, devi loro funzionari e dei loro servitori, che cosa c'è di meglio, per darci un'idea della maestà del Re dei re, di questa innumerevole moltitudine di angeli, i quali popolano il cielo e la terra, il mare e gli abissi? E che cosa di meglio della dignità di coloro che se ne stanno di continuo prosternati o in piedi davanti al suo trono?
I Padri della Chiesa e i teologi generalmente insegnano che gli angeli sono distribuiti in tre grandi gerarchie o principati, e ogni gerarchia in tre compagnie o cori.
Quelli della prima e più alta gerarchia sono designati a seguito delle funzioni che esercitano in cielo. Quelli chiamati Serafini sono detti così, perché sono come ardenti, avanti a Dio, degli ardori della carità; i Cherubini, detti così perché sono un riflesso luminoso della Sua saggezza; i Troni, perché proclamano la Sua grandezza e ne fanno risplendere il fulgore.
Gli angeli della seconda gerarchia ricevono i loro nomi dalle operazioni che sono loro affidate nel governo generale dell'Universo, e sono: le Dominazioni, che assegnano le loro missioni e i loro incarichi agli angeli degli ordini inferiori; le Virtù, che compiono i prodigi reclamati dai grandi interessi della Chiesa e del genere umano; la Potestà, che proteggono con la loro forza e la loro vigilanza le leggiche reggono il mondo fisico e morale.
Gli angeli della terza gerarchia si suddividono la direzione delle società e delle persone, e sono: i Principati, preposti ai regni, alle provincie e alle diocesi; gli Arcangeli, che trasmettono i messaggi di alta importanza; gli Angeli custodi, che accompagnano ognuno di noi, per vegliare sulla nostra sicurezza e sulla nostra santificazione.»
-------------------------
[2] Concilio Lateranense.
Confutazione
3. Il principio generale che
risulta da questa dottrina è che gli angeli sono degli esseri puramente
spirituali, anteriori e superiori all'Umanità, creature privilegiate, votate alla suprema ed eterna felicità fin dalla loro formazione; dotate,
per loro stessa natura, di tutte le virtù e di tutte le conoscenze,
senza aver fatto nulla per acquisirle. Gli angeli stanno al primo piano
nell'opera della Creazione; all'ultimo piano sta la vita puramente
materiale; tra i due piani sta l'Umanità formata da anime, esseri
spirituali inferiori agli angeli, legati a corpi materiali. Parecchie
difficoltà capitali risultano da questo sistema. Che cos'è,
innanzitutto, questa vita puramente materiale? Si tratta forse della
materia bruta? Ma la materia bruta è inanimata e non ha vita di per sé
stessa. Si vuol forse alludere alle piante e agli animali? Si
tratterebbe allora di un quarto ordine della Creazione, poiché non si
può negare che nell'animale intelligente vi sia qualcosa di più che in
una pianta, e in questa qualcosa di più che in una pietra. In quanto
all'anima, che stabilisce tale transizione, essa è unita direttamente a
un corpo che non è che materia bruta, poiché, senza l'anima, esso non ha
più vita di una zolla di terra.
Questa suddivisione manca evidentemente di chiarezza e non si accorda con l'osservazione; essa assomiglia alla teoria dei quattro elementi, teoria poi caduta di fronte ai progressi della scienza. Ammettiamo tuttavia questi tre termini: la creatura spirituale, la creatura umana e la creatura corporea; tale, si dice, è il piano divino, piano maestoso e completo, come si addiceva alla saggezza eterna. Notiamo prima di tutto che, fra questi tre termini, non c'è alcun legame necessario; che si tratta di tre distinte creazioni, formate successivamente; e che dall'una all'altra c'è una soluzione di continuità.
Nella natura, invece, tutto si concatena, tutto ci dimostra una straordinaria legge di unità, di cui tutti gli elementi, i quali altro non sono che trasformazioni gli uni degli altri, hanno un loro tratto d'unione. Questa teoria è vera, nel senso che questi tre termini evidentemente esistono, solo che essa è incompleta: vi mancano i punti di contatto, così come è facile dimostrare.
Questa suddivisione manca evidentemente di chiarezza e non si accorda con l'osservazione; essa assomiglia alla teoria dei quattro elementi, teoria poi caduta di fronte ai progressi della scienza. Ammettiamo tuttavia questi tre termini: la creatura spirituale, la creatura umana e la creatura corporea; tale, si dice, è il piano divino, piano maestoso e completo, come si addiceva alla saggezza eterna. Notiamo prima di tutto che, fra questi tre termini, non c'è alcun legame necessario; che si tratta di tre distinte creazioni, formate successivamente; e che dall'una all'altra c'è una soluzione di continuità.
Nella natura, invece, tutto si concatena, tutto ci dimostra una straordinaria legge di unità, di cui tutti gli elementi, i quali altro non sono che trasformazioni gli uni degli altri, hanno un loro tratto d'unione. Questa teoria è vera, nel senso che questi tre termini evidentemente esistono, solo che essa è incompleta: vi mancano i punti di contatto, così come è facile dimostrare.
4. Questi tre punti
culminanti della Creazione sono, dice la Chiesa, necessari all'armonia
dell'insieme; qualora ve ne fosse anche uno solo in meno, l'opera
sarebbe incompleta e non sarebbe più secondo la saggezza eterna.
Tuttavia uno dei dogmi fondamentali della religione dice che la Terra,
gli animali, le piante, il Sole, le stelle, la luce stessa sono stati
creati e tratti dal nulla seimila anni fa.
Prima di questa epoca, dunque, non c'era né creatura umana né creatura
corporea; nell'eternità trascorsa, l'opera divina era, perciò, rimasta
imperfetta. La creazione dell'Universo risalente a seimila anni fa è un
articolo di fede talmente fondamentale che ancora fino a pochi anni fa,
la Scienza era anatematizzata, perché andava a distruggere la cronologia
biblica dimostrando l'alta antichità della Terra e dei suoi abitanti.
Tuttavia il Concilio Lateranense, concilio ecumenico che ha fatto testo in materia di ortodossia, dice: " Noi crediamo fermamente che ci sia un solo vero Dio, eterno e infinito, il quale all'inizio del tempo, ha tratto contemporaneamente dal nulla l'una e l'altra creatura, quella spirituale e quella corporea". Per inizio del tempo non può intendersi che quello dell'eternità trascorsa, poiché il tempo è infinito, come lo Spazio: non ha né inizio né fine.
Questa espressione — l'inizio del tempo — è una figura che implica l'idea di una anteriorità illimitata. Il Concilio Lateranense crede, dunque, fermamente che le creature spirituali e le creature corporee sono state formate simultaneamente e tratte contemporaneamente dal nulla in un'epoca indeterminata del passato. A che cosa si riduce allora il testo biblico, il quale fissa questa creazione a seimila anni fa dei giorni nostri? Ammettendo che sia questo l'inizio dell'Universo visibile, di certo, però, non è quello del tempo. A chi credere? Al Concilio o alla Bibbia
Tuttavia il Concilio Lateranense, concilio ecumenico che ha fatto testo in materia di ortodossia, dice: " Noi crediamo fermamente che ci sia un solo vero Dio, eterno e infinito, il quale all'inizio del tempo, ha tratto contemporaneamente dal nulla l'una e l'altra creatura, quella spirituale e quella corporea". Per inizio del tempo non può intendersi che quello dell'eternità trascorsa, poiché il tempo è infinito, come lo Spazio: non ha né inizio né fine.
Questa espressione — l'inizio del tempo — è una figura che implica l'idea di una anteriorità illimitata. Il Concilio Lateranense crede, dunque, fermamente che le creature spirituali e le creature corporee sono state formate simultaneamente e tratte contemporaneamente dal nulla in un'epoca indeterminata del passato. A che cosa si riduce allora il testo biblico, il quale fissa questa creazione a seimila anni fa dei giorni nostri? Ammettendo che sia questo l'inizio dell'Universo visibile, di certo, però, non è quello del tempo. A chi credere? Al Concilio o alla Bibbia
5. Il medesimo Concilio
formula inoltre una strana proposizione: "La nostra anima, — dice —
egualmente spirituale, è associata al corpo in modo da formare con lui
una sola e stessa persona, e tale è essenzialmente la sua destinazione". Se il destino essenziale
dell'anima è quello di essere unita al corpo, questa unione costituisce
il suo stato normale, il suo scopo, il suo fine, poiché tale è la sua destinazione.
Tuttavia, l'anima è immortale e il corpo è mortale; l'unione dell'anima
con il corpo non avviene che una sola volta, secondo la Chiesa. Ma
fosse tale unione anche di un secolo, che cosa sarebbe ciò a confronto
dell'eternità? Ma, per un grandissimo numero di individui, tale unione è
solo di alcune ore. In tal caso, di quale utilità potrebbe essere per
l'anima questa effimera unione? Quando la sua più lunga durata è,
rispetto all'eternità, un tempo impercettibile, risulta forse esatto
dire che la sua destinazione è quella d'essere essenzialmente legata al corpo? Questa unione non è, in realtà, che un incidente, un punto nella vita dell'anima, e non il suo stato essenziale.
Se la destinazione essenziale dell'anima è quella di essere unita a un corpo materiale; se, per sua natura e secondo lo scopo provvidenziale della sua creazione, questa unione è necessaria alla manifestazione delle sue facoltà, bisogna concludere che, senza il colpo, l'anima umana è un essere incompleto. Ora, per rimanere ciò ch'essa è per sua destinazione, dopo aver abbandonato un corpo, occorre che ne riprenda un altro, la qual cosa ci conduce alla pluralità forzata delle esistenze, altrimenti detta reincarnazione in perpetuo. È veramente strano che un concilio, stimato come una delle luci della Chiesa, abbia identificato l'essere spirituale e l'essere materiale al punto che non possono praticamente esistere l'uno senza l'altro, poiché la condizione essenziale della loro creazione è quella d'essere uniti.
Se la destinazione essenziale dell'anima è quella di essere unita a un corpo materiale; se, per sua natura e secondo lo scopo provvidenziale della sua creazione, questa unione è necessaria alla manifestazione delle sue facoltà, bisogna concludere che, senza il colpo, l'anima umana è un essere incompleto. Ora, per rimanere ciò ch'essa è per sua destinazione, dopo aver abbandonato un corpo, occorre che ne riprenda un altro, la qual cosa ci conduce alla pluralità forzata delle esistenze, altrimenti detta reincarnazione in perpetuo. È veramente strano che un concilio, stimato come una delle luci della Chiesa, abbia identificato l'essere spirituale e l'essere materiale al punto che non possono praticamente esistere l'uno senza l'altro, poiché la condizione essenziale della loro creazione è quella d'essere uniti.
6. Il quadro gerarchico
degli angeli ci spiega che parecchi ordini hanno fra le loro
attribuzioni, il governo del mondo fisico e dell'Umanità, e che essi
sono stati creati a questo scopo. Ma, secondo la Genesi, il mondo fisico
e l'Umanità non esistono che da seimila anni; che cosa facevano,
dunque, questi angeli anteriormente a questa epoca, durante l'eternità,
dal momento che gli oggetti delle loro occupazioni non esistevano? Gli
angeli sono stati creati da tutta l'eternità? Così deve essere, poiché
essi servono alla glorificazione dell’Altissimo. Se Dio li avesse creati
in un'epoca determinata qualsiasi, Egli sarebbe stato fino a quel
momento, vale a dire per un'eternità, senza adoratori.
7. Più avanti, è detto: "Finché dura
questa unione così intima dell'anima con il corpo". Arriva dunque un
momento in cui questa unione non esiste più? Questa proposizione
contraddice quella che fa di questa unione la destinazione essenziale
dell'anima.
È detto ancora: "Le idee le giungono attraverso i sensi, attraverso la comparazione degli oggetti esteriori". È questa una dottrina filosofica in parte vera, ma non in senso assoluto. Secondo l'eminente teologo, è condizione inerente alla natura dell'anima ricevere le idee solo attraverso i sensi; ma egli dimentica le idee innate, le facoltà a volte così trascendenti, l'intuizione delle cose che il bambino reca con sé fin dalla nascita e che non deve ad alcuna istruzione. Attraverso quale senso, quei giovani pastori, veri strumenti calcolatori naturali, da stupire gli scienziati, hanno acquisito le idee necessarie alla soluzione quasi istantanea dei più complicati problemi? Altrettanto si può dire di certi musicisti, pittori e linguisti precoci.
"Le conoscenze degli angeli non sono il risultato dell'induzione e del ragionamento"; essi sanno, perché sono angeli, senza aver bisogno d'imparare. Dio li ha creati così: l'anima, al contrario, deve imparare. Se l'anima riceve le idee solo per mezzo degli organi corporali, quali saranno le idee che può avere l'anima di un bambino, morto di lì a pochi giorni, ammettendo, con la Chiesa, ch'egli non rinasce?
È detto ancora: "Le idee le giungono attraverso i sensi, attraverso la comparazione degli oggetti esteriori". È questa una dottrina filosofica in parte vera, ma non in senso assoluto. Secondo l'eminente teologo, è condizione inerente alla natura dell'anima ricevere le idee solo attraverso i sensi; ma egli dimentica le idee innate, le facoltà a volte così trascendenti, l'intuizione delle cose che il bambino reca con sé fin dalla nascita e che non deve ad alcuna istruzione. Attraverso quale senso, quei giovani pastori, veri strumenti calcolatori naturali, da stupire gli scienziati, hanno acquisito le idee necessarie alla soluzione quasi istantanea dei più complicati problemi? Altrettanto si può dire di certi musicisti, pittori e linguisti precoci.
"Le conoscenze degli angeli non sono il risultato dell'induzione e del ragionamento"; essi sanno, perché sono angeli, senza aver bisogno d'imparare. Dio li ha creati così: l'anima, al contrario, deve imparare. Se l'anima riceve le idee solo per mezzo degli organi corporali, quali saranno le idee che può avere l'anima di un bambino, morto di lì a pochi giorni, ammettendo, con la Chiesa, ch'egli non rinasce?
8. Qui si presenta una
questione vitale: l'anima acquisisce idee e conoscenze dopo la morte del
corpo? Se, una volta staccatasi dal corpo, essa non può acquisire più
nulla, l'anima del neonato, del selvaggio, del cretino, dell'idiota,
dell'ignorante rimarrà sempre ciò che era al momento della morte. Essa è
votata alla nullità per l'eternità.
Se acquisisce nuove conoscenze dopo la vita attuale, ciò indica che può progredire. Senza l'ulteriore progresso dell'anima, si arriva a delle conseguenze assurde; con il progresso, si arriva alla negazione di tutti i dogmi fondati sul suo stato stazionario: la sorte irrevocabile, le pene eterne ecc. Se l'anima progredisce, dove si arresta il progresso? Non c'è alcuna ragione perché essa non raggiunga il grado degli angeli o puri Spiriti. Se essa può arrivarvi, non c'era alcuna necessità di creare degli esseri speciali e privilegiati, esenti da ogni fatica e che godono dell'eterna felicità senza aver fatto nulla per conquistarla, mentre altri esseri meno favoriti non ottengono la suprema felicità che a prezzo di lunghi e crudeli sofferenze e di prove durissime. Dio lo può, senza dubbio, ma se solo si ammette l'infinità delle sue perfezioni, senza le quali Dio non ci sarebbe; bisogna anche ammettere ch'Egli non fa nulla d'inutile, né alcuna cosa che smentisca la sovrana giustizia e la sovrana bontà.
Se acquisisce nuove conoscenze dopo la vita attuale, ciò indica che può progredire. Senza l'ulteriore progresso dell'anima, si arriva a delle conseguenze assurde; con il progresso, si arriva alla negazione di tutti i dogmi fondati sul suo stato stazionario: la sorte irrevocabile, le pene eterne ecc. Se l'anima progredisce, dove si arresta il progresso? Non c'è alcuna ragione perché essa non raggiunga il grado degli angeli o puri Spiriti. Se essa può arrivarvi, non c'era alcuna necessità di creare degli esseri speciali e privilegiati, esenti da ogni fatica e che godono dell'eterna felicità senza aver fatto nulla per conquistarla, mentre altri esseri meno favoriti non ottengono la suprema felicità che a prezzo di lunghi e crudeli sofferenze e di prove durissime. Dio lo può, senza dubbio, ma se solo si ammette l'infinità delle sue perfezioni, senza le quali Dio non ci sarebbe; bisogna anche ammettere ch'Egli non fa nulla d'inutile, né alcuna cosa che smentisca la sovrana giustizia e la sovrana bontà.
9. "Poiché la maestà dei re
trae il suo splendore dal numero dei sudditi, che cosa c'è di più
adeguato — per darci un'idea della maestà del Re dei re — di questa
innumerevole moltitudine di angeli che popolano il cielo e la terra, il mare e gli abissi, e della dignità di coloro che stazionano incessantemente prosternati o in piedi davanti al Suo trono?
Non significa forse svalutare la Divinità il fatto di assimilare la Sua gloria al fasto dei sovrani della Terra? Questa idea, inculcata nello spirito delle masse ignoranti, falsa l'opinione che uno si fa della Sua vera grandezza; Dio è sempre ridotto alle meschine proporzioni dell’Umanità. Supporre che Egli abbia bisogno di avere milioni di adoratori, incessantemente prosternati o in piedi davanti a Lui, vuol dire attribuirGli le debolezze dei monarchi, dispotici e orgogliosi, dell'Oriente. Che cosa rende veramente grandi i sovrani? Forse il numero e lo splendore dei loro cortigiani? No! È la loro bontà e la loro giustizia, è il meritato titolo di padri dei loro sudditi. Ci si domanda se c'è qualcosa di più adeguato — per darci un'idea della maestà di Dio — della moltitudine degli angeli che compongono la sua corte. Sì, certamente. C'è qualcosa di meglio di questo, ed è quello di rappresentarLo sovranamente buono, giusto e misericordioso verso tutte le Sue creature; e non come un Dio collerico, geloso, vendicativo, inesorabile, sterminatore, parziale, che crea per sua propria gloria quegli esseri privilegiati, agevolati da tutti i doni, nati per la felicità eterna, mentre agli altri fa conquistare dolorosamente la felicità e punisce, con una eternità di supplizi, un attimo di errore..."
Non significa forse svalutare la Divinità il fatto di assimilare la Sua gloria al fasto dei sovrani della Terra? Questa idea, inculcata nello spirito delle masse ignoranti, falsa l'opinione che uno si fa della Sua vera grandezza; Dio è sempre ridotto alle meschine proporzioni dell’Umanità. Supporre che Egli abbia bisogno di avere milioni di adoratori, incessantemente prosternati o in piedi davanti a Lui, vuol dire attribuirGli le debolezze dei monarchi, dispotici e orgogliosi, dell'Oriente. Che cosa rende veramente grandi i sovrani? Forse il numero e lo splendore dei loro cortigiani? No! È la loro bontà e la loro giustizia, è il meritato titolo di padri dei loro sudditi. Ci si domanda se c'è qualcosa di più adeguato — per darci un'idea della maestà di Dio — della moltitudine degli angeli che compongono la sua corte. Sì, certamente. C'è qualcosa di meglio di questo, ed è quello di rappresentarLo sovranamente buono, giusto e misericordioso verso tutte le Sue creature; e non come un Dio collerico, geloso, vendicativo, inesorabile, sterminatore, parziale, che crea per sua propria gloria quegli esseri privilegiati, agevolati da tutti i doni, nati per la felicità eterna, mentre agli altri fa conquistare dolorosamente la felicità e punisce, con una eternità di supplizi, un attimo di errore..."
10. Lo Spiritismo professa, riguardo all'unione dell'anima e del corpo, una dottrina infinitamente più spiritualista — per non dire meno materialista
—, che ha, inoltre, a suo vantaggio il fatto d'essere più conforme con
l'osservazione e la destinazione dell'anima. Secondo ciò che lo
Spiritismo ci insegna, l'anima è indipendente dal corpo, il quale altro
non è che un involucro temporaneo; la sua essenza è la spiritualità; la sua vita normale è la vita spirituale.
Il corpo non è che uno strumento dell'anima per l'esercizio delle sue
facoltà, nei suoi rapporti con il mondo materiale; ma l'anima, separata
dal corpo, gode delle sue facoltà con più libertà e larghezza.
11. L'unione dell'anima con
il corpo, necessaria ai suoi primi sviluppi, non ha luogo che nel
periodo che può definirsi come la sua infanzia e la sua adolescenza;
quando essa raggiunge un certo grado di perfezione e di
smaterializzazione, questa unione non è più necessaria, e l'anima
progredisce soltanto attraverso la vita dello Spirito. Del resto, per
quanto numerose possano essere le esistenze corporali, esse sono
necessariamente limitate dalla vita del corpo, e la loro somma totale
non comprende, in ogni caso, che una parte impercettibile della vita
spirituale, la quale è indefinita.
Gli angeli secondo lo Spiritismo
12. Che vi siano degli
esseri dotati di tutte le qualità attribuite agli angeli, ciò non
potrebbe essere messo in dubbio. La rivelazione spiritista conferma su
questo punto la credenza di tutti i popoli; ma essa ci fa conoscere
nello stesso tempo la natura e l'origine di questi esseri.
Le anime, o Spiriti, sono create semplici e ignoranti, vale a dire senza conoscere e senza coscienza del bene e del male, ma atte ad acquisire tutto ciò che loro manca. Esse l'acquisiscono per mezzo del lavoro; il fine, che è la perfezione, è il medesimo per tutte; vi arrivano più o meno prontamente, in virtù del loro libero arbitrio e in ragione dei loro sforzi; tutte hanno da attraversare le medesime fasi, da compiere il medesimo lavoro. Dio non fa la parte né più larga né più facile agli uni piuttosto che agli altri, poiché tutti sono Suoi figli, ed essendo Egli giusto non ha preferenze per nessuno. Egli dice loro: "Ecco la legge che deve essere vostra regola di condotta; essa sola può condurvi al fine; tutto ciò che è conforme a questa legge è il bene, tutto ciò che è a lei contrario è il male. Voi siete liberi di osservarla o infrangerla, e voi sarete così gli arbitri della vostra stessa sorte". Dio non ha dunque creato il male; tutte le Sue leggi sono per il bene; è l'uomo, lui stesso, che ha creato il male infrangendo le leggi di Dio; se egli le osservasse scrupolosamente, non si allontanerebbe mai dalla buona strada.
Le anime, o Spiriti, sono create semplici e ignoranti, vale a dire senza conoscere e senza coscienza del bene e del male, ma atte ad acquisire tutto ciò che loro manca. Esse l'acquisiscono per mezzo del lavoro; il fine, che è la perfezione, è il medesimo per tutte; vi arrivano più o meno prontamente, in virtù del loro libero arbitrio e in ragione dei loro sforzi; tutte hanno da attraversare le medesime fasi, da compiere il medesimo lavoro. Dio non fa la parte né più larga né più facile agli uni piuttosto che agli altri, poiché tutti sono Suoi figli, ed essendo Egli giusto non ha preferenze per nessuno. Egli dice loro: "Ecco la legge che deve essere vostra regola di condotta; essa sola può condurvi al fine; tutto ciò che è conforme a questa legge è il bene, tutto ciò che è a lei contrario è il male. Voi siete liberi di osservarla o infrangerla, e voi sarete così gli arbitri della vostra stessa sorte". Dio non ha dunque creato il male; tutte le Sue leggi sono per il bene; è l'uomo, lui stesso, che ha creato il male infrangendo le leggi di Dio; se egli le osservasse scrupolosamente, non si allontanerebbe mai dalla buona strada.
13. Ma l'anima, nelle prime
fasi dell'esistenza, allo stesso modo del bambino, manca d'esperienza; è
per questo che essa fallisce. Dio non le dà l'esperienza, ma le dà i
mezzi per acquisirla; ogni passo falso sulla via del male è per l'anima
un ritardo; essa ne subisce le conseguenze e apprende a sue spese ciò
che deve evitare. È così che, a poco a poco, essa si sviluppa, si
perfeziona e avanza nella gerarchia spirituale, finché non sia giunta
allo stato di puro Spirito o di angelo. Gli
angeli sono dunque le anime degli uomini — arrivate al grado di
perfezione che la creatura comporta — e godono della pienezza della
felicità promessa. Prima d'aver raggiunto il grado supremo, godono di
una felicità che è relativa al loro avanzamento. Ma questa felicità non
si esplica nell'ozio, bensì nelle funzioni che piace a Dio affidare
loro, e che essi sono felici di compiere, perché queste occupazioni sono
un mezzo per progredire (vedere cap. III, "Il Cielo").
14. L'Umanità non è limitata
alla Terra; essa occupa gli innumerevoli mondi che circolano nello
Spazio; ha occupato mondi che sono scomparsi, altri ne occuperà che si
formeranno. Dio ha creato da tutta un'eternità e continua a creare
incessantemente. Molto tempo prima, dunque, che la Terra esistesse,
qualunque sia l'età che le si attribuisce, ci sono stati su altri mondi
Spiriti incarnati, che hanno percorso le medesime tappe, che noi,
Spiriti di formazione più recente, percorriamo in questo momento; quegli
Spiriti sono giunti alla meta ancor prima che noi fossimo usciti dalle
mani del Creatore. Da tutta un'eternità, dunque, ci sono stati degli
angeli, o puri Spiriti; ma perdendosi la loro esistenza umana
nell'infinito del passato, per noi è come se fossero sempre stati degli
angeli.
15. Si trova così realizzata
la grande legge d'unità della Creazione; Dio non è mai stato inattivo;
ha sempre avuto dei puri Spiriti, sperimentati e illuminati, per la
trasmissione dei suoi ordini e per la direzione di tutte le parti
dell'Universo, dal governo dei mondi fino ai più piccoli dettagli. Egli
non ha quindi avuto bisogno di creare esseri privilegiati, esenti da
doveri; tutti, antichi e nuovi hanno conquistato i loro gradi nella
lotta e per il loro proprio merito; tutti, infine, sono figli delle loro
opere. Si compie così con egualità la suprema giustizia di Dio.
Capitolo IX - I DEMONI
Origine della credenza nei demoni
1. I demoni hanno, in tutte
le epoche, giocato un grande ruolo nelle diverse teogonie; benché
considerevolmente decaduti nell'opinione generale, l'importanza che
viene ancora loro attribuita ai nostri giorni dà a tale questione una
certa gravità, poiché arriva al fondo stesso delle credenze religiose: è
per questo che è utile esaminarla con gli sviluppi che essa comporta.
La credenza in una potenza superiore è istintiva presso gli uomini; così la si ritrova, sotto diverse forme, in tutte le epoche del mondo. Ma se gli uomini, al grado di progresso intellettivo cui sono oggi arrivati, ancora discutono sulla natura e sugli attributi di questa potenza, quanto più imperfette devono essere state le loro nozioni su questo soggetto, nell'infanzia dell'Umanità!
La credenza in una potenza superiore è istintiva presso gli uomini; così la si ritrova, sotto diverse forme, in tutte le epoche del mondo. Ma se gli uomini, al grado di progresso intellettivo cui sono oggi arrivati, ancora discutono sulla natura e sugli attributi di questa potenza, quanto più imperfette devono essere state le loro nozioni su questo soggetto, nell'infanzia dell'Umanità!
2. Il quadro che ci viene
presentato sull'innocenza dei popoli primitivi in contemplazione davanti
alle bellezze della Natura, nella quale essi ammirano la bontà del
Creatore, è senza dubbio molto poetica, ma manca di realtà.
Di fatto, più l'uomo si avvicina allo stato primitivo, più in lui domina l'istinto, come ancora si può vedere presso i popoli selvaggi e barbari dei nostri giorni; ciò che lo preoccupa maggiormente o, meglio, ciò che lo occupa esclusivamente è la soddisfazione dei bisogni materiali, dal momento che non ne ha altri. L'unico senso che può renderlo disponibile alle gioie puramente morali si sviluppa soltanto col tempo e gradualmente; l'anima ha la sua infanzia, la sua adolescenza e la sua maturità, come il corpo umano. Ma per raggiungere la maturità che la rende capace di comprendere le cose astratte, quali evoluzioni deve essa attraversare nell'Umanità! Per quante esistenze deve essa passare!
Ma, senza risalire alle ere primitive, osserviamo attorno a noi gli abitanti delle nostre campagne e domandiamoci quali sentimenti d'ammirazione risvegliano in loro lo splendore del Sole che si leva, la volta stellata, il cinguettio degli uccelli, il mormorio delle onde chiare, i prati smaltati di fiori! Per loro, il Sole si leva perché ne ha l'abitudine e, purché esso dia calore abbastanza da maturare i raccolti e tale da non bruciarli, questo è tutto ciò che essi chiedono. Se guardano il cielo è solo per sapere se l'indomani farà cattivo o bel tempo. Che gli uccelli cantino o no per loro è perfettamente uguale, purché non mangino il loro grano; alle melodie dell'usignolo preferiscono il chiocciare dei polli e il grugnito dei loro porci. Ciò che domandano ai ruscelli, limpidi o fangosi che siano, è di non prosciugarsi e di non Mondarli. Ai prati domandano di dare buona erba, con o senza fiori. Questo è tutto ciò che desiderano gli abitanti delle nostre campagne; diciamo di più, tutto ciò che essi comprendono della natura. E, tuttavia, sono già lontani dagli uomini primitivi!
Di fatto, più l'uomo si avvicina allo stato primitivo, più in lui domina l'istinto, come ancora si può vedere presso i popoli selvaggi e barbari dei nostri giorni; ciò che lo preoccupa maggiormente o, meglio, ciò che lo occupa esclusivamente è la soddisfazione dei bisogni materiali, dal momento che non ne ha altri. L'unico senso che può renderlo disponibile alle gioie puramente morali si sviluppa soltanto col tempo e gradualmente; l'anima ha la sua infanzia, la sua adolescenza e la sua maturità, come il corpo umano. Ma per raggiungere la maturità che la rende capace di comprendere le cose astratte, quali evoluzioni deve essa attraversare nell'Umanità! Per quante esistenze deve essa passare!
Ma, senza risalire alle ere primitive, osserviamo attorno a noi gli abitanti delle nostre campagne e domandiamoci quali sentimenti d'ammirazione risvegliano in loro lo splendore del Sole che si leva, la volta stellata, il cinguettio degli uccelli, il mormorio delle onde chiare, i prati smaltati di fiori! Per loro, il Sole si leva perché ne ha l'abitudine e, purché esso dia calore abbastanza da maturare i raccolti e tale da non bruciarli, questo è tutto ciò che essi chiedono. Se guardano il cielo è solo per sapere se l'indomani farà cattivo o bel tempo. Che gli uccelli cantino o no per loro è perfettamente uguale, purché non mangino il loro grano; alle melodie dell'usignolo preferiscono il chiocciare dei polli e il grugnito dei loro porci. Ciò che domandano ai ruscelli, limpidi o fangosi che siano, è di non prosciugarsi e di non Mondarli. Ai prati domandano di dare buona erba, con o senza fiori. Questo è tutto ciò che desiderano gli abitanti delle nostre campagne; diciamo di più, tutto ciò che essi comprendono della natura. E, tuttavia, sono già lontani dagli uomini primitivi!
3. Ritornando a questi
ultimi, noi li vediamo ancora più esclusivamente preoccupati della
soddisfazione dei bisogni materiali; ciò che serve a provvedervi e ciò
che può a tali bisogni nuocere riassumono per loro il bene e il male del
mondo. Ma siccome quanto arrechi loro un pregiudizio materiale è ciò
che li tocca di più, essi lo attribuiscono a questa potenza, di cui, per
altro, si fanno un'idea molto vaga. Non potendo essi ancora concepire
nulla al di fuori del mondo visibile e tangibile, suppongono che tale
potenza sovrumana risieda negli esseri e nelle cose che sono a loro
nocive. Gli animali pericolosi ne sono, per loro, i rappresentanti
naturali e diretti. Per la stessa ragione, essi hanno visto la
personificazione del bene nelle cose utili: da qui il culto reso a certi
animali, a certe piante e anche a oggetti inanimati. Ma l'uomo è
generalmente più sensibile al male che al bene; il bene gli sembra
naturale, mentre il male lo colpisce maggiormente. È per questo che, in
tutti i culti primitivi, le cerimonie in onore della potenza malefica
sono le più numerose. La paura prevale sulla riconoscenza.
Per lungo tempo, l'uomo non comprese altro che il bene e il male fisico; il sentimento del bene morale e del male morale segnò un progresso nell'intelligenza umana; soltanto allora l'uomo intravide la spiritualità e comprese che la potenza sovrumana è al di fuori del mondo visibile, e non nelle cose materiali. Questa fu l'opera di alcune menti elette, le quali non poterono tuttavia oltrepassare certi limiti.
Per lungo tempo, l'uomo non comprese altro che il bene e il male fisico; il sentimento del bene morale e del male morale segnò un progresso nell'intelligenza umana; soltanto allora l'uomo intravide la spiritualità e comprese che la potenza sovrumana è al di fuori del mondo visibile, e non nelle cose materiali. Questa fu l'opera di alcune menti elette, le quali non poterono tuttavia oltrepassare certi limiti.
4. Siccome si osservava
esserci una lotta incessante tra il bene e il male, e quest'ultimo
sovrastare spesso il bene; siccome, d'altro canto, non si poteva
razionalmente ammettere che il male fosse l'opera di una potenza
benefica, se ne concluse che c'erano due potenze rivali a governare il
mondo. Da qui nacque la dottrina dei due principi: quello del bene e
quello del male, dottrina logica per quell'epoca, poiché l'uomo era
ancora incapace di concepirne un'altra e di penetrare l'essenza
dell'Essere supremo. Come avrebbe egli potuto comprendere che il male
non è che uno stato momentaneo da cui può nascere il bene, e che i mali
che lo affliggono devono condurlo alla felicità, aiutandolo nel suo
avanzamento? I limiti del suo orizzonte non gli permettevano di vedere
niente al di fuori della vita presente, né avanti né indietro; egli non
poteva comprendere né che aveva progredito, né che avrebbe progredito
ancora individualmente, e ancor meno poteva comprendere che le
vicissitudini della vita sono il risultato dell'imperfezione e
dell'essere spirituale che è in lui, il quale preesiste e sopravvive al
corpo, e si purifica attraverso una serie di esistenze, finché non abbia
raggiunto la perfezione. Per comprendere il bene che può nascere dal
male, non bisogna considerare soltanto un'esistenza; bisogna abbracciare
l'insieme: solo allora appariranno le vere cause e i loro effetti.
5. Il doppio principio del
bene e del male fu, per lunghi secoli e sotto diversi nomi, la base di
tutte le credenze religiose. Esso fu personificato sotto i nomi di
Ohrmazd e di Arimane presso i Persiani, di Geova e di Satana presso gli
Ebrei. Ma, poiché ogni sovrano deve avere dei ministri, tutte le
religioni ammettono delle potenze secondarie, geni buoni o malvagi. I
pagani li personificavano sotto un innumerevole moltitudine di
individualità, ognuna delle quali aveva delle attribuzioni speciali per
il bene e per il male, per i vizi e per le virtù, e alle quali essi
avevano dato il nome generico di dei. I cristiani e i musulmani
ricevettero dagli Ebrei gli angeli e i demoni.
6. La dottrina dei demoni
trae dunque la sua origine dall'antica credenza nei due principi del
bene e del male. Noi non dobbiamo esaminarla che dal punto di vista
cristiano, e vedere se essa è in rapporto con la conoscenza più esatta
che oggi abbiamo degli attributi della Divinità.
Questi attributi sono il punto di partenza, la base di tutte le dottrine religiose; i dogmi, il culto, le cerimonie, le usanze, la morale, tutto è in rapporto con l'idea più o meno giusta, più o meno elevata che ci si fa di Dio, dal feticismo fino al Cristianesimo. Se l'essenza intima di Dio è ancora un mistero per la nostra intelligenza, noi tuttavia comprendiamo questo mistero meglio di quanto lo sia mai stato, grazie agli insegnamenti del Cristo. Il Cristianesimo, in accordo riguardo a ciò con la ragione, ci insegna che:
Dio è unico, eterno, immutabile, immateriale, onnipotente sovranamente giusto e buono, in tutte le sue perfezioni.
Così come è detto altrove (cap. VI, "La dottrina delle pene eterne"): "Se si togliesse la più piccola parte di uno solo degli attributi di Dio, non si avrebbe più Dio, poiché potrebbe esistere un essere più perfetto". Questi attributi, nella loro più assoluta pienezza, sono dunque il criterio di tutte le religioni, la misura della verità di ciascuno dei principi che esse insegnano. Perché uno di questi principi sia vero, è necessario che non colpisca nessuna delle perfezioni di Dio. Vediamo se accade così anche per la comune dottrina dei demoni.
Questi attributi sono il punto di partenza, la base di tutte le dottrine religiose; i dogmi, il culto, le cerimonie, le usanze, la morale, tutto è in rapporto con l'idea più o meno giusta, più o meno elevata che ci si fa di Dio, dal feticismo fino al Cristianesimo. Se l'essenza intima di Dio è ancora un mistero per la nostra intelligenza, noi tuttavia comprendiamo questo mistero meglio di quanto lo sia mai stato, grazie agli insegnamenti del Cristo. Il Cristianesimo, in accordo riguardo a ciò con la ragione, ci insegna che:
Dio è unico, eterno, immutabile, immateriale, onnipotente sovranamente giusto e buono, in tutte le sue perfezioni.
Così come è detto altrove (cap. VI, "La dottrina delle pene eterne"): "Se si togliesse la più piccola parte di uno solo degli attributi di Dio, non si avrebbe più Dio, poiché potrebbe esistere un essere più perfetto". Questi attributi, nella loro più assoluta pienezza, sono dunque il criterio di tutte le religioni, la misura della verità di ciascuno dei principi che esse insegnano. Perché uno di questi principi sia vero, è necessario che non colpisca nessuna delle perfezioni di Dio. Vediamo se accade così anche per la comune dottrina dei demoni.
I demoni secondo la Chiesa
7. Secondo la Chiesa, Satana, il capo o re dei demoni, non è una personificazione allegorica del male, bensì un'entità reale, che pratica esclusivamente il male, mentre Dio fa esclusivamente il bene. Prendiamolo, dunque, tal quale ci viene presentato.
Satana esiste da tutta l'eternità, come Dio, o è posteriore a Dio? Se esiste da tutta l'eternità, è increato e, di conseguenza è l'eguale di Dio. Dio, allora, non è più unico; c'è il Dio del bene e il Dio del male.
È egli posteriore a Dio? Allora è una creatura di Dio. Poiché non pratica che il male, poiché è incapace di fare il bene e di pentirsi, Dio ha creato un essere votato al male in perpetuo. Se il male non è opera di Dio, ma quella di una delle sue creature predestinate a farlo, Dio ne è pur sempre il primo autore, e allora Egli non è infinitamente buono. Dicasi la stessa cosa di tutti gli esseri malvagi chiamati demoni.
Satana esiste da tutta l'eternità, come Dio, o è posteriore a Dio? Se esiste da tutta l'eternità, è increato e, di conseguenza è l'eguale di Dio. Dio, allora, non è più unico; c'è il Dio del bene e il Dio del male.
È egli posteriore a Dio? Allora è una creatura di Dio. Poiché non pratica che il male, poiché è incapace di fare il bene e di pentirsi, Dio ha creato un essere votato al male in perpetuo. Se il male non è opera di Dio, ma quella di una delle sue creature predestinate a farlo, Dio ne è pur sempre il primo autore, e allora Egli non è infinitamente buono. Dicasi la stessa cosa di tutti gli esseri malvagi chiamati demoni.
8. Tale è stata per lungo tempo la credenza su questo punto. Oggi si dice: [1]
«Dio, che, per essenza, è la bontà e la santità, non li aveva creati malvagi e malefici. La Sua mano paterna, che si compiace di diffondere su tutte le Sue opere un riflesso delle Sue infinite perfezioni, li aveva colmati dei Suoi più magnifici doni. Alle qualità eccellentissime della loro natura, Egli aveva aggiunto le elargizioni della Sua grazia; li aveva resi del tutto simili agli Spiriti sublimi che sono nella gloria e nella felicità; ripartiti in tutti i loro ordini e mescolati fra tutti i loro ranghi, essi avevano il medesimo fine e i medesimi destini; il loro capo è stato il più bello degli arcangeli. Avrebbero potuto anch'essi meritare di essere confermati per sempre nella giustizia e ammessi a godere eternamente della felicità dei cieli. Quest'ultimo favore sarebbe stato in cima a tutti gli altri favori di cui era oggetto; ma doveva essere il premio della loro docilità, ed essi se ne sono resi indegni; l'hanno perduto per una rivolta sconsiderata e insensata.
Qual è stato lo scoglio della loro perseveranza? Quale verità hanno disconosciuto? Quale atto di fede e di adorazione hanno rifiutato a Dio? La Chiesa e gli annali delle Sacre Scritture non lo dicono in maniera evidente, ma sembra certo che non abbiano accettato né la mediazione del Figlio di Dio, né l'esaltazione della natura umana in Gesù Cristo.
Il Verbo divino, creatore di tutte le cose è anche l'unico mediatore e salvatore in Cielo e in Terra. Il fine soprannaturale è stato dato agli angeli e agli uomini soltanto in previsione della sua incarnazione e dei suoi meriti, poiché non c'è alcuna proporzione tra le opere degli Spiriti anche più eminenti e questa ricompensa, che altro non è che Dio stesso; nessuna creatura sarebbe potuta pervenirvi senza questo intervento meraviglioso e sublime di carità. Ora, per colmare la distanza infinita che separa l'essenza divina dalle opere delle Sue mani, bisognava ch'Egli riunisse nella Sua persona i due estremi e che associasse alla Sua divinità la natura dell'angelo o quella dell'uomo. Egli fece la scelta della natura umana.
Questo disegno, concepito da tutta l'eternità, fu manifestato agli angeli molto prima della sua esecuzione. L'Uomo-Dio fu loro mostrato nell'avvenire come Colui che avrebbe dovuto confermarli nella grazia e introdurli nelle gloria, a condizione ch'essi Lo adorassero durante la Sua missione sulla Terra, e in cielo nei secoli dei secoli. Rivelazione in sperata, visione sublime per i cuori generosi e riconoscenti, ma mistero profondo, impressionante per gli Spiriti superbi! Questo fine soprannaturale, questo immenso peso di gloria che veniva loro proposto non sarebbe dunque stato unicamente la ricompensa dei loro meriti personali! Mai avrebbero potuto attribuirne a sé stessi i titoli e il possesso! Un mediatore tra loro e Dio! Quale ingiuria era stata arrecata alla loro dignità! La preferenza immotivata accordata alla natura umana! Quale ingiustizia! Quale oltraggio scagliato contro i loro diritti! Questa Umanità, che è a loro così inferiore, la vedranno, un giorno, deificata attraverso la sua unione con il Verbo, e assisa alla destra di Dio, su un trono risplendente? Accetteranno infine che essa offra a Dio eternamente l'omaggio della sua adorazione?
Lucifero e la terza parte degli angeli soggiacquero a questi pensieri di orgoglio e di gelosia. San Michele e, con lui, la maggior parte degli angeli esclamarono: "Chi è simile a Dio? Egli è il padrone dei sui doni e il Signore sovrano di tutte le cose. Gloria a Dio e all'Agnello che sarà immolato per la salvezza del mondo!" Ma il capo dei ribelli, dimenticando che era debitore verso il suo Creatore della propria nobiltà e delle proprie prerogative, dando retta solo alla sua sconsideratezza, disse: "Sono io quello che salirà in cielo. Stabilirò la mia dimora al di sopra degli astri. Mi siederò sul monte dell'Alleanza, a fianco dell'Aquilone. Dominerò le nubi più elevate e sarò simile all'Altissimo". Coloro che condividevano le sue idee ne accolsero le parole con un mormorio d'approvazione; e se ne trovavano di tutti gli ordini della gerarchia; ma la loro moltitudine non li mise al riparo dal castigo.»
«Dio, che, per essenza, è la bontà e la santità, non li aveva creati malvagi e malefici. La Sua mano paterna, che si compiace di diffondere su tutte le Sue opere un riflesso delle Sue infinite perfezioni, li aveva colmati dei Suoi più magnifici doni. Alle qualità eccellentissime della loro natura, Egli aveva aggiunto le elargizioni della Sua grazia; li aveva resi del tutto simili agli Spiriti sublimi che sono nella gloria e nella felicità; ripartiti in tutti i loro ordini e mescolati fra tutti i loro ranghi, essi avevano il medesimo fine e i medesimi destini; il loro capo è stato il più bello degli arcangeli. Avrebbero potuto anch'essi meritare di essere confermati per sempre nella giustizia e ammessi a godere eternamente della felicità dei cieli. Quest'ultimo favore sarebbe stato in cima a tutti gli altri favori di cui era oggetto; ma doveva essere il premio della loro docilità, ed essi se ne sono resi indegni; l'hanno perduto per una rivolta sconsiderata e insensata.
Qual è stato lo scoglio della loro perseveranza? Quale verità hanno disconosciuto? Quale atto di fede e di adorazione hanno rifiutato a Dio? La Chiesa e gli annali delle Sacre Scritture non lo dicono in maniera evidente, ma sembra certo che non abbiano accettato né la mediazione del Figlio di Dio, né l'esaltazione della natura umana in Gesù Cristo.
Il Verbo divino, creatore di tutte le cose è anche l'unico mediatore e salvatore in Cielo e in Terra. Il fine soprannaturale è stato dato agli angeli e agli uomini soltanto in previsione della sua incarnazione e dei suoi meriti, poiché non c'è alcuna proporzione tra le opere degli Spiriti anche più eminenti e questa ricompensa, che altro non è che Dio stesso; nessuna creatura sarebbe potuta pervenirvi senza questo intervento meraviglioso e sublime di carità. Ora, per colmare la distanza infinita che separa l'essenza divina dalle opere delle Sue mani, bisognava ch'Egli riunisse nella Sua persona i due estremi e che associasse alla Sua divinità la natura dell'angelo o quella dell'uomo. Egli fece la scelta della natura umana.
Questo disegno, concepito da tutta l'eternità, fu manifestato agli angeli molto prima della sua esecuzione. L'Uomo-Dio fu loro mostrato nell'avvenire come Colui che avrebbe dovuto confermarli nella grazia e introdurli nelle gloria, a condizione ch'essi Lo adorassero durante la Sua missione sulla Terra, e in cielo nei secoli dei secoli. Rivelazione in sperata, visione sublime per i cuori generosi e riconoscenti, ma mistero profondo, impressionante per gli Spiriti superbi! Questo fine soprannaturale, questo immenso peso di gloria che veniva loro proposto non sarebbe dunque stato unicamente la ricompensa dei loro meriti personali! Mai avrebbero potuto attribuirne a sé stessi i titoli e il possesso! Un mediatore tra loro e Dio! Quale ingiuria era stata arrecata alla loro dignità! La preferenza immotivata accordata alla natura umana! Quale ingiustizia! Quale oltraggio scagliato contro i loro diritti! Questa Umanità, che è a loro così inferiore, la vedranno, un giorno, deificata attraverso la sua unione con il Verbo, e assisa alla destra di Dio, su un trono risplendente? Accetteranno infine che essa offra a Dio eternamente l'omaggio della sua adorazione?
Lucifero e la terza parte degli angeli soggiacquero a questi pensieri di orgoglio e di gelosia. San Michele e, con lui, la maggior parte degli angeli esclamarono: "Chi è simile a Dio? Egli è il padrone dei sui doni e il Signore sovrano di tutte le cose. Gloria a Dio e all'Agnello che sarà immolato per la salvezza del mondo!" Ma il capo dei ribelli, dimenticando che era debitore verso il suo Creatore della propria nobiltà e delle proprie prerogative, dando retta solo alla sua sconsideratezza, disse: "Sono io quello che salirà in cielo. Stabilirò la mia dimora al di sopra degli astri. Mi siederò sul monte dell'Alleanza, a fianco dell'Aquilone. Dominerò le nubi più elevate e sarò simile all'Altissimo". Coloro che condividevano le sue idee ne accolsero le parole con un mormorio d'approvazione; e se ne trovavano di tutti gli ordini della gerarchia; ma la loro moltitudine non li mise al riparo dal castigo.»
-------------------------
[1] Le seguenti citazioni sono tratte dalla lettera pastorale di Monsignor il cardinale Gousset, cardinale-arcivescovo di Reims, per la Quaresima del 1865. Per i meriti personali e per la posizione dell'Autore, tali citazioni possono essere considerate come l'ultima espressione della Chiesa sulla dottrina dei demoni.
9. Questa dottrina suscita varie obiezioni.
1°. Se Satana e i demoni erano degli angeli, ciò significa che erano perfetti. Come, essendo perfetti, hanno potuto fallire e disconoscere a tal punto l'autorità di Dio, alla cui presenza essi si trovavano? Si potrebbe ancora comprendere che, se fossero arrivati a questo eccelso grado soltanto gradualmente e dopo essere passati attraverso la trafila dell'imperfezione, avrebbero potuto avere un'incresciosa ricaduta; ma ciò che rende la cosa più incomprensibile è che ci siano stati presentati come esseri che erano stati creati perfetti.
La conseguenza di tale teoria è questa: Dio aveva voluto creare in loro degli esseri perfetti, poiché li aveva colmati di tutti i doni. E si è sbagliato. Dunque, secondo la Chiesa, Dio non è infallibile. [2]
1°. Se Satana e i demoni erano degli angeli, ciò significa che erano perfetti. Come, essendo perfetti, hanno potuto fallire e disconoscere a tal punto l'autorità di Dio, alla cui presenza essi si trovavano? Si potrebbe ancora comprendere che, se fossero arrivati a questo eccelso grado soltanto gradualmente e dopo essere passati attraverso la trafila dell'imperfezione, avrebbero potuto avere un'incresciosa ricaduta; ma ciò che rende la cosa più incomprensibile è che ci siano stati presentati come esseri che erano stati creati perfetti.
La conseguenza di tale teoria è questa: Dio aveva voluto creare in loro degli esseri perfetti, poiché li aveva colmati di tutti i doni. E si è sbagliato. Dunque, secondo la Chiesa, Dio non è infallibile. [2]
-------------------------
[2] Questa mostruosa dottrina è affermata da Noè quando dice (Genesi 6:6-7): Al Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla Terra, e se ne addolorò in cuor suo. E il Signore disse: "Io sterminerò dalla faccia della Terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti"».
Un Dio che si pente di ciò che ha fatto non è né perfetto né infallibile: dunque non è Dio. Queste sono, tuttavia, le parole che la Chiesa proclama come verità sante. E neppure si comprende troppo che cosa ci sia di comune tra gli animali e la perversità degli uomini, per meritare gli animali il loro sterminio.
-------------------------
2°. Poiché né la Chiesa né gli Annali delle Sacre Scritture spiegano alcunché sulla causa della rivolta degli angeli contro Dio — sembra soltanto certo ch'essa fosse da ricercarsi nel loro rifiuto di riconoscere la missione futura del Cristo — quale valore può mai avere il quadro così preciso e dettagliato della scena che ebbe luogo in tale circostanza? A quale fonte si sono attinte parole così chiare, riportate come se fossero state pronunciate, e fino ai semplici mormorii? Delle due cose, l'una: o la scena è vera, o non lo è. Se è vera, non vi è alcuna incertezza; e allora perché la Chiesa non tronca la questione? Se la Chiesa e la Storia tacciono, se la causa sembra soltanto certa, allora non si tratta che di una supposizione, e la descrizione della scena è frutto dell'immaginazione. [3]
-------------------------
[3] Si trova in Isaia, cap. XIV, v. 11 e ss.: "Il tuo fasto e il suono dei tuoi salteri sono stati fatti scendere nel soggiorno dei morti; sotto di te sta un letto di vermi, e i vermi sono la tua coperta. Come mai sei caduto dal cielo, astro mattutino, figlio dell'aurora? Come mai sei atterrato, tu che calpestavi le nazioni? Tu dicevi in cuor tuo: 'Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio, mi siederò sul monte dell'assemblea, nella parte estrema del settentrione; salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all'Altissimo'. Invece ti hanno fatto discendere nel soggiorno dei morti, nelle profondità della fossa! Coloro che ti vedono fissano in te lo sguardo, ti esaminano attentamente e dicono: 'È questo l'uomo che faceva tremare la Terra, che agitava i regni, che riconduceva il mondo in un deserto, ne distruggeva le città e non rimandava mai liberi a casa i suoi prigionieri?'"
Queste parole del profeta non si riferiscono alla rivolta degli angeli, ma sono un'allusione all'orgoglio e alla caduta del re di Babilonia, il quale teneva gli Ebrei in cattività, come attestano gli ultimi versetti. Il re di Babilonia è designato, per allegoria, con il nome di Lucifero, ma non vi è fatta alcuna menzione della scena sopra descritta. Le parole sono quelle che il re diceva in cuor suo; egli si poneva, per orgoglio, al di sopra di Dio, il cui popolo egli teneva prigioniero. La profezia, circa la liberazione del popolo ebreo, la rovina di Babilonia e la sconfitta degli Assiri è, d'altra parte, l'esclusivo argomento di questo capitolo.
-------------------------
3°. Le parole attribuite a Lucifero rivelano una ignoranza stupefacente in un arcangelo che, per sua natura e grado raggiunto, non deve essere partecipe — riguardo all'organizzazione dell'Universo — degli errori e dei pregiudizi, che gli uomini hanno commesso, finché non siano stati dalla Scienza chiariti. Come, allora, poteva dire che avrebbe fissato la sua dimora al di sopra degli astri, dominando le nubi più alte?
Si tratta sempre dell'antica credenza che immagina la Terra come centro dell'Universo, il cielo come se fosse formato da nubi, estendendosi fino alle stelle, e che immagina limitata la regione di queste, che l'Astronomia invece ci mostra disseminata all'infinito nell'infinito Spazio! Sapendo, come oggi si sa, che le nubi non si innalzano per più di due leghe dalla superficie terracquea, e dicendo che le avrebbe dominate da più in alto, riferendosi alle montagne, sarebbe stato necessario che l'osservazione partisse dalla Terra, e che questa fosse, di fatto, la dimora degli angeli. Dato, però, che questa si trova in una regione superiore, inutile sarebbe stato innalzarsi al di sopra delle nubi. Imprestare, però, agli angeli un linguaggio intriso di ignoranza significa confessare che gli uomini contemporanei sono più eruditi degli angeli. La Chiesa ha sempre sbagliato strada, non tenendo mai conto dei progressi della Scienza.
10. La risposta alla prima obiezione si incontra nel primo brano che qui di seguito riportiamo.
"Le Scritture e la Tradizione denominano cielo il luogo in cui erano stati collocati gli angeli al momento della loro creazione. Ma questo non era il cielo dei cieli, il cielo della visione beatificante, dove Dio si mostra di fronte ai suoi eletti, che Lo contemplano chiaramente e senza sforzi. Infatti, lì non c'è mai né possibilità né pericolo di peccato; la tentazione e il dubbio sono lì sconosciuti; la giustizia, la pace e la gioia vi regnano immutabili; la santità e la gloria sono imperiture. Era, dunque, un'altra regione celeste, una sfera luminosa e fortunata, questa in cui sostavano tanto nobili creature, favorite dalle divine comunicazioni che esse avrebbero dovuto ricevere con fede e umiltà, finché fossero ammesse nella conoscenza della Sua realtà, essenza stessa di Dio."
Da quanto precede si deduce che gli angeli decaduti appartenevano a una categoria meno elevata e perfetta, non avendo ancora raggiunto il luogo supremo, nel quale l'errore è impossibile. E sia pure. Ma allora c'è un'evidente contraddizione in questa affermazione: "Dio li aveva creati in tutto simili agli Spiriti sublimi; suddivisi in tutti gli ordini e distribuiti in tutte le classi, avevano il medesimo fine e identici destini; e il loro capo era il più bello degli arcangeli". Ora, in tutto simili agli altri, non potevano essere loro inferiori in natura; identici nelle categorie, non potevano stare in un luogo particolare. Quindi l'obiezione sussiste intatta.
"Le Scritture e la Tradizione denominano cielo il luogo in cui erano stati collocati gli angeli al momento della loro creazione. Ma questo non era il cielo dei cieli, il cielo della visione beatificante, dove Dio si mostra di fronte ai suoi eletti, che Lo contemplano chiaramente e senza sforzi. Infatti, lì non c'è mai né possibilità né pericolo di peccato; la tentazione e il dubbio sono lì sconosciuti; la giustizia, la pace e la gioia vi regnano immutabili; la santità e la gloria sono imperiture. Era, dunque, un'altra regione celeste, una sfera luminosa e fortunata, questa in cui sostavano tanto nobili creature, favorite dalle divine comunicazioni che esse avrebbero dovuto ricevere con fede e umiltà, finché fossero ammesse nella conoscenza della Sua realtà, essenza stessa di Dio."
Da quanto precede si deduce che gli angeli decaduti appartenevano a una categoria meno elevata e perfetta, non avendo ancora raggiunto il luogo supremo, nel quale l'errore è impossibile. E sia pure. Ma allora c'è un'evidente contraddizione in questa affermazione: "Dio li aveva creati in tutto simili agli Spiriti sublimi; suddivisi in tutti gli ordini e distribuiti in tutte le classi, avevano il medesimo fine e identici destini; e il loro capo era il più bello degli arcangeli". Ora, in tutto simili agli altri, non potevano essere loro inferiori in natura; identici nelle categorie, non potevano stare in un luogo particolare. Quindi l'obiezione sussiste intatta.
11. E ce n'è anche un'altra che è, certamente, la più seria e la più grave.
Dicono: "Questo piano (l'intervento del Cristo), concepito fin da tutta l'eternità, fu manifestato agli angeli molto prima della sua esecuzione". Dio quindi sapeva, e da tutta l'eternità, che gli angeli, tanto quanto gli uomini, avrebbero avuto bisogno di questo intervento. Anche di più: il Dio onnisciente sapeva, dunque, che alcuni tra questi angeli avrebbero fallito, affrontando così l'eterna condanna e trascinando a egual sorte una parte dell'Umanità. E così, di proposito, condannava previamente il genere umano, cioè la sua stessa creazione. A questo ragionamento non è possibile sfuggire, poiché in altro modo dovremmo ammettere l'incoscienza divina, proclamando la non prescienza di Dio. Da parte nostra è impossibile identificare una tale creazione con la sovrana bontà. In entrambi i casi, vediamo la negazione di attributi, senza la cui assoluta pienezza Dio non sarebbe Dio.
Dicono: "Questo piano (l'intervento del Cristo), concepito fin da tutta l'eternità, fu manifestato agli angeli molto prima della sua esecuzione". Dio quindi sapeva, e da tutta l'eternità, che gli angeli, tanto quanto gli uomini, avrebbero avuto bisogno di questo intervento. Anche di più: il Dio onnisciente sapeva, dunque, che alcuni tra questi angeli avrebbero fallito, affrontando così l'eterna condanna e trascinando a egual sorte una parte dell'Umanità. E così, di proposito, condannava previamente il genere umano, cioè la sua stessa creazione. A questo ragionamento non è possibile sfuggire, poiché in altro modo dovremmo ammettere l'incoscienza divina, proclamando la non prescienza di Dio. Da parte nostra è impossibile identificare una tale creazione con la sovrana bontà. In entrambi i casi, vediamo la negazione di attributi, senza la cui assoluta pienezza Dio non sarebbe Dio.
12.
Ammettendo la fallibilità degli angeli, così come quella degli uomini,
la punizione è, d'altra parte, conseguenza giusta e naturale
dell'errore. Ma se ammettessimo nello stesso tempo, la possibilità del
riscatto, la rigenerazione e la grazia, dopo il pentimento e
l'espiazione, tutto si chiarirebbe e si conformerebbe con la bontà di
Dio. Egli sapeva che essi avrebbero sbagliato, che sarebbero stati
puniti, ma sapeva egualmente che un tale castigo temporaneo sarebbe
stato un mezzo per far loro comprendere l'errore, che sarebbe infine
tornato a loro vantaggio. Ecco come si spiegano le parole del profeta
Ezechiele: "Dio non vuole la morte, ma la salvezza del peccatore". [4]
L'inutilità del pentimento e l'impossibilità della rigenerazione, queste cose sì comporterebbero la negazione della bontà divina. Ammessa tale ipotesi, si potrebbe anche dire, rigorosamente ed esattamente, che "questi angeli fin dalla loro creazione, visto che Dio non poteva ignorarlo, erano votati in perpetuo al male e predestinati a diventare demoni, per trascinare gli uomini al male".
-------------------------
[4] Vedere al cap. VI, n. 25, citazione di Ezechiele.
L'inutilità del pentimento e l'impossibilità della rigenerazione, queste cose sì comporterebbero la negazione della bontà divina. Ammessa tale ipotesi, si potrebbe anche dire, rigorosamente ed esattamente, che "questi angeli fin dalla loro creazione, visto che Dio non poteva ignorarlo, erano votati in perpetuo al male e predestinati a diventare demoni, per trascinare gli uomini al male".
-------------------------
[4] Vedere al cap. VI, n. 25, citazione di Ezechiele.
13. Vediamo ora qual è la sorte di questi tali angeli e che cosa fanno.
«Non appena la rivolta si manifestò nel linguaggio degli Spiriti, cioè nell'arroganza dei loro pensieri, essi furono banditi dalla dimora celeste e precipitati nell'abisso. Con queste parole noi intendiamo dire che furono gettati in un luogo di supplizi nel quale soffrono la pena del fuoco, secondo il testo del Vangelo, che è la parola stessa del Salvatore: "Andatevene, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il demonio e i suoi angeli". San Pietro espressamente dice: "Dio li mandò in catene e li avviò alle torture infernali, senza, tuttavia, che dovessero stare là perpetuamente, visto che solo alla fine del mondo sarebbero stati imprigionati per sempre con i reprobi". Al presente, Dio permette anzi che essi occupino un posto nella Creazione alla quale essi appartengono, nell'ordine delle cose identiche alla loro esistenza, nelle loro relazioni infine che dovevano avere con gli uomini, e delle quali fanno abuso nel modo più pernicioso.
Mentre alcuni stanno nella loro tenebrosa dimora, servendo da strumento alla giustizia divina, contro le disgraziate anime ch'essi hanno sedotto, altri, in numero infinito, formano legioni che risiedono negli strati inferiori dell'atmosfera e percorrono tutto il globo. Si intromettono in tutto ciò che accade sulla Terra, prendendo anche parte molto attiva ai nostri avvenimenti terreni.»
Per ciò che concerne le parole del Cristo sul supplizio del fuoco eterno, tale questione è trattata nel capitolo IV, intitolato "L'Inferno".
«Non appena la rivolta si manifestò nel linguaggio degli Spiriti, cioè nell'arroganza dei loro pensieri, essi furono banditi dalla dimora celeste e precipitati nell'abisso. Con queste parole noi intendiamo dire che furono gettati in un luogo di supplizi nel quale soffrono la pena del fuoco, secondo il testo del Vangelo, che è la parola stessa del Salvatore: "Andatevene, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il demonio e i suoi angeli". San Pietro espressamente dice: "Dio li mandò in catene e li avviò alle torture infernali, senza, tuttavia, che dovessero stare là perpetuamente, visto che solo alla fine del mondo sarebbero stati imprigionati per sempre con i reprobi". Al presente, Dio permette anzi che essi occupino un posto nella Creazione alla quale essi appartengono, nell'ordine delle cose identiche alla loro esistenza, nelle loro relazioni infine che dovevano avere con gli uomini, e delle quali fanno abuso nel modo più pernicioso.
Mentre alcuni stanno nella loro tenebrosa dimora, servendo da strumento alla giustizia divina, contro le disgraziate anime ch'essi hanno sedotto, altri, in numero infinito, formano legioni che risiedono negli strati inferiori dell'atmosfera e percorrono tutto il globo. Si intromettono in tutto ciò che accade sulla Terra, prendendo anche parte molto attiva ai nostri avvenimenti terreni.»
Per ciò che concerne le parole del Cristo sul supplizio del fuoco eterno, tale questione è trattata nel capitolo IV, intitolato "L'Inferno".
14. Secondo questa dottrina,
solo una parte dei demoni si trova nell'inferno; l'altra erra in
libertà, mescolandosi a tutto ciò che succede sulla Terra, offrendosi il
piacere di fare il male, e questo fino alla fine del mondo, la cui
epoca indeterminata non sarà poi tanto vicina. Perché dunque questa
differenza tra le due parti? Si tratta forse dei demoni meno colpevoli?
Certamente no. A meno che non ne escano, ciascuno al suo turno, cosa che
sembrerebbe risultare da questo brano: "Mentre alcuni stanno nella loro
tenebrosa dimora, servendo da strumento alla giustizia divina contro le
disgraziate anime che essi hanno sedotto".
Le loro funzioni consistono dunque nel tormentare le anime che hanno sedotto. Così essi non sono incaricati di punire quelle che sono colpevoli di peccati liberamente e volontariamente commessi, ma quelle che essi hanno provocato. Contemporaneamente, essi sono la causa della colpa e lo strumento del castigo. E, cosa che la giustizia umana per quanto imperfetta non ammetterebbe, la vittima — la quale per fragilità soccombe all'occasione che si fa nascere per tentarla — è punita tanto severamente quanto l'agente provocatore che usa la malignità e l'astuzia. Anzi, ancor più severamente, poiché essa va all'inferno, lasciando la Terra, per non uscirne mai più e per soffrirvi senza né tregua né pietà per l'eternità, mentre quello che è la causa prima della sua colpa gode della sosta e della libertà fino alla fine del mondo! La giustizia di Dio non dovrebbe dunque essere più perfetta di quella degli uomini?
Le loro funzioni consistono dunque nel tormentare le anime che hanno sedotto. Così essi non sono incaricati di punire quelle che sono colpevoli di peccati liberamente e volontariamente commessi, ma quelle che essi hanno provocato. Contemporaneamente, essi sono la causa della colpa e lo strumento del castigo. E, cosa che la giustizia umana per quanto imperfetta non ammetterebbe, la vittima — la quale per fragilità soccombe all'occasione che si fa nascere per tentarla — è punita tanto severamente quanto l'agente provocatore che usa la malignità e l'astuzia. Anzi, ancor più severamente, poiché essa va all'inferno, lasciando la Terra, per non uscirne mai più e per soffrirvi senza né tregua né pietà per l'eternità, mentre quello che è la causa prima della sua colpa gode della sosta e della libertà fino alla fine del mondo! La giustizia di Dio non dovrebbe dunque essere più perfetta di quella degli uomini?
15. Ma ciò non è tutto. "Dio
permette ch'essi occupino ancora un posto in questa creazione, nelle
relazioni ch'essi dovevano avere con l'uomo e delle quali essi fanno il
più pernicioso abuso." Poteva Dio ignorare l'abuso ch'essi avrebbero
fatto della libertà a loro da Lui accordata? Allora perché l'accordò
loro? È dunque con cognizione di causa ch'Egli abbandona le Sue creature
alla mercé di sé stesse, ben sapendo, in virtù della Sua onniscienza,
ch'esse soccomberanno e avranno la sorte dei demoni. Non avevano forse
esse già sufficiente fragilità per proprio conto, senza che si
permettesse che fossero incitate al male da un nemico tanto più subdolo
perché invisibile?
Almeno il castigo fosse solo temporaneo e il colpevole potesse riscattarsi con la riparazione! E invece no! Il colpevole è condannato per l'eternità. Il suo pentimento, il suo ritorno al bene, i suoi rimorsi sono superflui.
I demoni sono, così, gli agenti provocatori predestinati a reclutare anime per l'inferno, e ciò con il permesso di Dio, il quale sapeva, mentre creava quelle anime, la sorte che era loro riservata. Che cosa si direbbe, sulla Terra, di un giudice che ricorresse a tale espediente per popolare le prigioni? Strana l'idea che ci viene data della Divinità, di un Dio i cui attributi essenziali sono la suprema giustizia e la suprema bontà! Ed è nel nome di Gesù Cristo, di colui che non ha predicato che l'amore, la carità e il perdono, che si insegnano simili dottrine! Ci fu un tempo in cui tali anomalie passavano inosservate: non si comprendevano, non si ascoltavano neppure. L'uomo, curvo sotto il giogo del dispotismo, sottometteva ciecamente la sua ragione o, piuttosto, abdicava alla sua ragione. Ma oggi l'ora dell'emancipazione è scoccata: l'uomo comprende la giustizia, la esige durante la sua vita e dopo la sua morte. È per questo ch'egli dice:
"Questo non è e non può esser tale, oppure Dio non sarebbe Dio!"
Almeno il castigo fosse solo temporaneo e il colpevole potesse riscattarsi con la riparazione! E invece no! Il colpevole è condannato per l'eternità. Il suo pentimento, il suo ritorno al bene, i suoi rimorsi sono superflui.
I demoni sono, così, gli agenti provocatori predestinati a reclutare anime per l'inferno, e ciò con il permesso di Dio, il quale sapeva, mentre creava quelle anime, la sorte che era loro riservata. Che cosa si direbbe, sulla Terra, di un giudice che ricorresse a tale espediente per popolare le prigioni? Strana l'idea che ci viene data della Divinità, di un Dio i cui attributi essenziali sono la suprema giustizia e la suprema bontà! Ed è nel nome di Gesù Cristo, di colui che non ha predicato che l'amore, la carità e il perdono, che si insegnano simili dottrine! Ci fu un tempo in cui tali anomalie passavano inosservate: non si comprendevano, non si ascoltavano neppure. L'uomo, curvo sotto il giogo del dispotismo, sottometteva ciecamente la sua ragione o, piuttosto, abdicava alla sua ragione. Ma oggi l'ora dell'emancipazione è scoccata: l'uomo comprende la giustizia, la esige durante la sua vita e dopo la sua morte. È per questo ch'egli dice:
"Questo non è e non può esser tale, oppure Dio non sarebbe Dio!"
16. «Il castigo segue
dappertutto questi esseri decaduti e maledetti, dappertutto essi portano
il loro inferno con sé: non hanno più né pace né riposo; le dolcezze
stesse della speranza si sono tramutate per loro in amarezza: la
speranza è per loro odiosa. La mano di Dio li ha colpiti nell'atto
stesso del peccato, e la loro volontà si è ostinata nel male. Divenuti
perversi, essi non vogliono cessare d'esserlo, e lo sono per sempre.
Essi sono, dopo il peccato, ciò che l'uomo è dopo la morte. La riabilitazione di costoro, che sono caduti, è dunque impossibile; la loro perdita è d'ora in poi senza ritorno, ed essi perseverano nel loro orgoglio di fronte a Dio, nel loro odio contro il Suo Cristo, nella loro gelosia contro l'Umanità.
Non avendo potuto appropriarsi della gloria del cielo, con l'irruenza della loro ambizione, essi si sforzano di stabilire il loro dominio sulla Terra e di bandirne il regno di Dio. Il Verbo, fattosi carne, ha realizzato, nonostante costoro, i Suoi disegni per la salvezza e la gloria dell'Umanità. Tutti i loro mezzi d'azione sono convogliati per strapparGli le anime che Egli ha riscattato; l'astuzia e il tormento, la menzogna e la seduzione, tutto essi mettono in opera per condurle al male e perpetrarne la rovina.
Con simili nemici, la vita dell'uomo, dalla culla alla tomba, non può essere, ahimè, che una lotta perpetua, poiché quelli sono potenti e instancabili.
Questi nemici, in effetti, sono gli stessi che, dopo aver introdotto il male nel mondo, sono arrivati a coprire la Terra con le fitte tenebre dell'errore e del vizio; sono coloro che per lunghi secoli si sono fatti adorare come degli dei e che hanno regnato da padroni sui popoli dell'Antichità; sono coloro, infine, che esercitano ancora il loro tirannico dominio sulle regioni idolatre e che fomentano il disordine e lo scandalo fino in seno alle società cristiane.
Per comprendere di quante risorse disponga la loro malvagità, è sufficiente osservare che essi non hanno nulla delle prodigiose facoltàche sono appannaggio della natura angelica. Senza dubbio, l'avvenire e soprattutto l'ordine soprannaturale hanno dei misteri che Dio ha riservato a Sé stesso, e che essi non possono scoprire; ma la loro intelligenza è ben superiore alla nostra, perché essi con un colpo d'occhio intravedono gli effetti nelle cause, e le cause negli effetti. Questa penetrazione permette loro di annunciare in anticipo eventi futuri che sfuggono alle nostre congetture. La distanza e la diversità dei luoghi si cancellano davanti alla loro agilità. Più veloci del lampo, più rapidi del pensiero, essi si trovano quasi nello stesso tempo su diversi punti del globo, e possono descrivere a distanza gli eventi di cui sono testimoni nell'ora stessa in cui avvengono.
Le leggi generali attraverso le quali Dio regge e governa questo Universo non sono di loro dominio. Essi non possono contravvenirvi, né di conseguenza predire né operare veri miracoli; possiedono, però, l'arte di imitare e contraffare, entro certi limiti, le opere divine; sanno quali fenomeni risultano dalla combinazione degli elementi e predicono con certezza quelli che avvengono naturalmente così come quelli che hanno il potere di causare essi stessi. Da qui, quei numerosi oracoli, quei prodigi straordinari di cui i libri sacri e profani ci hanno tramandato memoria, e che sono serviti di base e di alimento a tutte le superstizioni.
La loro sostanza semplice e immateriale li sottrae ai nostri sguardi; essi sono al nostro fianco senza che noi ci se ne accorga; colpiscono la nostra anima senza colpire le nostre orecchie; noi crediamo di obbedire al nostro stesso pensiero, mentre subiamo le loro tentazioni e la loro funesta influenza. Le nostre disposizioni, al contrario, sono da loro conosciute attraverso le impressioni che ne proviamo, ed essi ci attaccano, generalmente, dal nostro lato debole. Per sedurci più facilmente, è loro abitudine presentarci attrattive e suggestioni conformi alle nostre inclinazioni. Modificano le loro azioni a seconda delle circostanze e dei tratti caratteristici di ogni temperamento. Ma le loro armi preferite sono la menzogna e l'ipocrisia.»
Essi sono, dopo il peccato, ciò che l'uomo è dopo la morte. La riabilitazione di costoro, che sono caduti, è dunque impossibile; la loro perdita è d'ora in poi senza ritorno, ed essi perseverano nel loro orgoglio di fronte a Dio, nel loro odio contro il Suo Cristo, nella loro gelosia contro l'Umanità.
Non avendo potuto appropriarsi della gloria del cielo, con l'irruenza della loro ambizione, essi si sforzano di stabilire il loro dominio sulla Terra e di bandirne il regno di Dio. Il Verbo, fattosi carne, ha realizzato, nonostante costoro, i Suoi disegni per la salvezza e la gloria dell'Umanità. Tutti i loro mezzi d'azione sono convogliati per strapparGli le anime che Egli ha riscattato; l'astuzia e il tormento, la menzogna e la seduzione, tutto essi mettono in opera per condurle al male e perpetrarne la rovina.
Con simili nemici, la vita dell'uomo, dalla culla alla tomba, non può essere, ahimè, che una lotta perpetua, poiché quelli sono potenti e instancabili.
Questi nemici, in effetti, sono gli stessi che, dopo aver introdotto il male nel mondo, sono arrivati a coprire la Terra con le fitte tenebre dell'errore e del vizio; sono coloro che per lunghi secoli si sono fatti adorare come degli dei e che hanno regnato da padroni sui popoli dell'Antichità; sono coloro, infine, che esercitano ancora il loro tirannico dominio sulle regioni idolatre e che fomentano il disordine e lo scandalo fino in seno alle società cristiane.
Per comprendere di quante risorse disponga la loro malvagità, è sufficiente osservare che essi non hanno nulla delle prodigiose facoltàche sono appannaggio della natura angelica. Senza dubbio, l'avvenire e soprattutto l'ordine soprannaturale hanno dei misteri che Dio ha riservato a Sé stesso, e che essi non possono scoprire; ma la loro intelligenza è ben superiore alla nostra, perché essi con un colpo d'occhio intravedono gli effetti nelle cause, e le cause negli effetti. Questa penetrazione permette loro di annunciare in anticipo eventi futuri che sfuggono alle nostre congetture. La distanza e la diversità dei luoghi si cancellano davanti alla loro agilità. Più veloci del lampo, più rapidi del pensiero, essi si trovano quasi nello stesso tempo su diversi punti del globo, e possono descrivere a distanza gli eventi di cui sono testimoni nell'ora stessa in cui avvengono.
Le leggi generali attraverso le quali Dio regge e governa questo Universo non sono di loro dominio. Essi non possono contravvenirvi, né di conseguenza predire né operare veri miracoli; possiedono, però, l'arte di imitare e contraffare, entro certi limiti, le opere divine; sanno quali fenomeni risultano dalla combinazione degli elementi e predicono con certezza quelli che avvengono naturalmente così come quelli che hanno il potere di causare essi stessi. Da qui, quei numerosi oracoli, quei prodigi straordinari di cui i libri sacri e profani ci hanno tramandato memoria, e che sono serviti di base e di alimento a tutte le superstizioni.
La loro sostanza semplice e immateriale li sottrae ai nostri sguardi; essi sono al nostro fianco senza che noi ci se ne accorga; colpiscono la nostra anima senza colpire le nostre orecchie; noi crediamo di obbedire al nostro stesso pensiero, mentre subiamo le loro tentazioni e la loro funesta influenza. Le nostre disposizioni, al contrario, sono da loro conosciute attraverso le impressioni che ne proviamo, ed essi ci attaccano, generalmente, dal nostro lato debole. Per sedurci più facilmente, è loro abitudine presentarci attrattive e suggestioni conformi alle nostre inclinazioni. Modificano le loro azioni a seconda delle circostanze e dei tratti caratteristici di ogni temperamento. Ma le loro armi preferite sono la menzogna e l'ipocrisia.»
17. Si dice che il castigo
li segua dappertutto e che non abbiano più né pace né riposo. Questa
osservazione non annulla in alcun modo l'osservazione fatta riguardo al
privilegio di cui godono quelli che non stanno all'inferno, privilegio
tanto meno giustificato in quanto, standosene fuori, commettono maggior
male. Senza alcun dubbio, essi non sono felici come i buoni angeli, ma
non si tiene conto per nulla della libertà di cui godono? Se non hanno
la felicità morale che la virtù procura, essi sono incontestabilmente
meno infelici dei loro complici che si trovano fra le fiamme. Inoltre,
per il malvagio, c'è una sorta di piacere nel commettere il male in
tutta libertà. Domandate a un criminale se per lui è uguale essere in
prigione o correre per i campi e commettere i suoi misfatti a suo pieno
agio. Il caso è esattamente il medesimo.
Si dice che il rimorso li perseguiti senza né tregua né pietà. Ma si dimentica che il rimorso è il precursore immediato del pentimento, se non è già il pentimento stesso. Si dice anche: "Divenuti perversi, essi non vogliono cessare d'esserlo, e lo sono per sempre". Dal momento che non vogliono cessare d'essere perversi, significa che non hanno rimorsi; se avessero il minimo rincrescimento, cesserebbero di commettere il male e chiederebbero perdono. Perciò, per loro, il rimorso non è un castigo.
Si dice che il rimorso li perseguiti senza né tregua né pietà. Ma si dimentica che il rimorso è il precursore immediato del pentimento, se non è già il pentimento stesso. Si dice anche: "Divenuti perversi, essi non vogliono cessare d'esserlo, e lo sono per sempre". Dal momento che non vogliono cessare d'essere perversi, significa che non hanno rimorsi; se avessero il minimo rincrescimento, cesserebbero di commettere il male e chiederebbero perdono. Perciò, per loro, il rimorso non è un castigo.
18. "Essi sono, dopo il peccato, ciò che l'uomo è dopo la morte. La riabilitazione di coloro che sono caduti è perciò impossibile."
Da dove viene questa impossibilità? Non si comprende come essa possa
essere la conseguenza della loro somiglianza con l'uomo dopo la morte,
affermazione che, del resto, non è affatto chiara. Questa impossibilità
viene dalla loro stessa volontà o da quella di Dio? Se è conseguenza
della loro volontà, ciò denota una estrema perversità, un'assoluta
protervia nel male; non si comprende, perciò, come degli esseri così
profondamente perversi abbiano mai potuto essere angeli di virtù, e come, durante il tempo indefinito ch'essi
hanno trascorso tra questi ultimi, non abbiano lasciato trasparire
alcuna traccia della loro malvagia natura. Se è questa la volontà di
Dio, ancor meno si comprende che Egli infligga, come castigo,
l'impossibilità del ritorno al bene, dopo una prima colpa. Il Vangelo
non dice nulla di simile.
19. "La loro dannazione, si
aggiunge, è ormai senza ritorno, ed essi perseverano nel loro orgoglio
di fronte a Dio." A che cosa servirebbe loro non perseverare, dal
momento che ogni pentimento è inutile? Se avessero la speranza di una
riabilitazione — qualunque fosse il prezzo — il bene avrebbe per loro
uno scopo, mentre invece non è così. Se perseverano nel male, è dunque
perché la porta della speranza per loro è chiusa. E perché Dio l'ha
sbarrata davanti a loro? Per vendicarsi dell'offesa ch'Egli ha ricevuto
dalla loro mancanza di sottomissione. Così, per appagare il Suo
risentimento contro alcuni colpevoli, Egli preferisce vederli non solo
soffrire, ma anche fare il male piuttosto che il bene. Indurre al male e
spingere alla perdizione eterna tutte le Sue creature del genere umano,
quando sarebbe stato sufficiente un semplice atto di clemenza per
evitare un così grande disastro, e un disastro previsto da tutta
l'eternità!
Nel caso di un atto di clemenza, si sarebbe trattato di una grazia pura e semplice che avrebbe forse potuto essere un incoraggiamento al male? No. Si sarebbe trattato di un perdono condizionale, subordinato a un sincero ritorno al bene. Al posto di una parola di speranza e di misericordia, si fa dire a Dio: Perisca tutta la razza umana, piuttosto che la mia vendetta! E ci si stupisce che, con una simile dottrina, ci siano atei e miscredenti! È forse così che Gesù ci rappresenta il Padre Suo? Lui che ci ha dato un'esplicita legge dell'oblio e del perdono delle offese, che ci ha detto di rendere bene per male, che ha posto l'amore verso i nemici al primo posto delle virtù che ci faranno meritare il cielo, vorrebbe dunque che gli uomini fossero migliori, più giusti, più misericordiosi dello stesso Dio?
Nel caso di un atto di clemenza, si sarebbe trattato di una grazia pura e semplice che avrebbe forse potuto essere un incoraggiamento al male? No. Si sarebbe trattato di un perdono condizionale, subordinato a un sincero ritorno al bene. Al posto di una parola di speranza e di misericordia, si fa dire a Dio: Perisca tutta la razza umana, piuttosto che la mia vendetta! E ci si stupisce che, con una simile dottrina, ci siano atei e miscredenti! È forse così che Gesù ci rappresenta il Padre Suo? Lui che ci ha dato un'esplicita legge dell'oblio e del perdono delle offese, che ci ha detto di rendere bene per male, che ha posto l'amore verso i nemici al primo posto delle virtù che ci faranno meritare il cielo, vorrebbe dunque che gli uomini fossero migliori, più giusti, più misericordiosi dello stesso Dio?
I demoni secondo lo Spiritismo
20. Secondo lo Spiritismo,
né gli angeli né i demoni sono degli esseridistinti; la creazione degli
esseri intelligenti è una. Uniti a corpi materiali, essi costituiscono
l'umanità che popola la Terra e le altre sfere abitate; liberati da quel
corpo, costituiscono il mondo spirituale o degli Spiriti che popolano
gli Spazi. Dio li ha creati perfettibili. Ha dato loro la perfezione come scopo, e la felicità che ne è la conseguenza, ma non ha dato loro la perfezione, Egli
ha voluto ch'essi la ottenessero con il loro personale lavoro, affinché
ne avessero il merito. Fin dall'istante della loro formazione, essi
progrediscono sia nello stato d'incarnazione, sia nello stato
spirituale; giunti all'apogeo, essi sono puri Spiriti, o angeli secondo
l'appellativo comune; di modo che dall'embrione dell'essere
intelligente fino all'angelo vi è una catena ininterrotta, di cui
ciascun anello indica un grado di progresso.
Ne risulta che esistono Spiriti a tutti i gradi di avanzamento morale e intellettivo, a seconda che si trovino in alto, in basso o a metà della scala. Ce ne sono, di conseguenza, a tutti i livelli di sapere e d'ignoranza, di bontà e di cattiveria. Nei posti inferiori stanno quelli che sono ancora profondamente inclini al male e che se ne compiacciono. Volendo, li si può chiamare demoni, poiché sono capaci di tutte le nefandezze attribuite a questi ultimi. Se lo Spiritismo non li cita con questo nome, è perché vi si connette l'idea d'esseri distinti dal genere umano, di natura essenzialmente perversa, votati al male per l'eternità e incapaci di progredire nel bene.
Ne risulta che esistono Spiriti a tutti i gradi di avanzamento morale e intellettivo, a seconda che si trovino in alto, in basso o a metà della scala. Ce ne sono, di conseguenza, a tutti i livelli di sapere e d'ignoranza, di bontà e di cattiveria. Nei posti inferiori stanno quelli che sono ancora profondamente inclini al male e che se ne compiacciono. Volendo, li si può chiamare demoni, poiché sono capaci di tutte le nefandezze attribuite a questi ultimi. Se lo Spiritismo non li cita con questo nome, è perché vi si connette l'idea d'esseri distinti dal genere umano, di natura essenzialmente perversa, votati al male per l'eternità e incapaci di progredire nel bene.
21. Secondo la dottrina
della Chiesa, i demoni sono stati creati buoni e sono divenuti malvagi a
causa della loro disobbedienza: sono angeli decaduti; erano stati posti
da Dio in cima alla scala e ne sono precipitati. Secondo lo Spiritismo,
si tratta di Spiriti imperfetti, che però si miglioreranno; si trovano
ancora nella parte inferiore della scala, e si eleveranno.
Coloro che, per la loro apatia, negligenza, ostinazione e cattiva volontà restano più a lungo nei ranghi inferiori ne sopportano la pena, e l'abitudine al male fa sì che per loro sia più difficile uscirne. Ma arriva il tempo in cui si stancano di questa esistenza e delle sofferenze che ne sono la conseguenza; ed è a questo punto che, confrontando la loro situazione con quella dei buoni Spiriti, comprendono che il loro interesse è nel bene, e cercano di migliorarsi, ma lo fanno di loro spontanea volontà e senza esservi costretti. Sono sottoposti alla legge del progresso per la loro inclinazione a progredire, ma non progrediscono contro la loro volontà. Dio ne fornisce loro incessantemente i mezzi, ma essi sono liberi di approfittarne o no. Se il progresso fosse obbligatorio, essi non avrebbero alcun merito, e Dio vuole invece ch'essi abbiano il merito delle loro opere. Egli non colloca nessuno al primo posto per privilegio, ma il primo posto è aperto a tutti, e vi arrivano solo con i loro sforzi. Gli angeli più elevati hanno conquistato il loro grado come gli altri, passando per la stessa strada comune.
Coloro che, per la loro apatia, negligenza, ostinazione e cattiva volontà restano più a lungo nei ranghi inferiori ne sopportano la pena, e l'abitudine al male fa sì che per loro sia più difficile uscirne. Ma arriva il tempo in cui si stancano di questa esistenza e delle sofferenze che ne sono la conseguenza; ed è a questo punto che, confrontando la loro situazione con quella dei buoni Spiriti, comprendono che il loro interesse è nel bene, e cercano di migliorarsi, ma lo fanno di loro spontanea volontà e senza esservi costretti. Sono sottoposti alla legge del progresso per la loro inclinazione a progredire, ma non progrediscono contro la loro volontà. Dio ne fornisce loro incessantemente i mezzi, ma essi sono liberi di approfittarne o no. Se il progresso fosse obbligatorio, essi non avrebbero alcun merito, e Dio vuole invece ch'essi abbiano il merito delle loro opere. Egli non colloca nessuno al primo posto per privilegio, ma il primo posto è aperto a tutti, e vi arrivano solo con i loro sforzi. Gli angeli più elevati hanno conquistato il loro grado come gli altri, passando per la stessa strada comune.
22. Arrivati a un certo
grado di purificazione, gli Spiriti hanno delle missioni da compiere in
rapporto con il loro avanzamento; ed essi compiono tutte quelle missioni
che sono attribuite agli angeli dei differenti ordini. Siccome Dio ha
creato da tutta l'eternità, da tutta l'eternità ci sono stati angeli
sufficienti a soddisfare tutte le esigenze del governo dell'Universo.
Una sola specie di esseri intelligenti, sottoposti alla legge del
progresso, sopperisce dunque a tutto. Questa unità nella Creazione, con
l'idea che tutti hanno il medesimo punto di partenza, la medesima strada
da percorrere, e che tutti si innalzano per loro proprio merito,
corrisponde molto meglio alla giustizia di Dio, di quanto non possa fare
l'idea di una Creazione di specie differenti più o meno favorite da
doni naturali, che sarebbero altrettanti privilegi.
23. La dottrina popolare
sulla natura degli angeli, dei demoni e delle anime umane, non
ammettendo la legge del progresso e, nondimeno, vedendo esseri di
diversi gradi, ne ha concluso che essi fossero il prodotto di
altrettante creazioni speciali. Tale dottrina giunge perfino a fare di
Dio un padre parziale, il quale ad alcuni dei suoi figli dà tutto,
mentre ad altri impone la più dura fatica. Non c'è perciò da
meravigliarsi che per lungo tempo gli uomini non abbiano trovato niente
di sconveniente in queste preferenze, dal momento che essi stessi ne
usavano di eguali nei riguardi dei propri figli, attraverso i diritti di
primogenitura e i privilegi della nascita; potevano forse credere di agire peggio di Dio?
Ma oggi il cerchio delle idee si è allargato; gli uomini vedono più
chiaramente e hanno nozioni più precise sulla giustizia. Desiderandola
per sé e non sempre incontrandola sulla Terra, sperano almeno di
trovarla più perfetta in Cielo. È per questo che ogni dottrina, in cui
la giustizia divina non appaia nella sua più grande purezza, ripugna
alla loro ragione.
Capitolo X - INTERVENTO DEI DEMONI NELLE MANIFESTAZIONI MODERNE
1. I moderni fenomeni
spiritisti hanno richiamato l'attenzione su fatti analoghi, che hanno
avuto luogo in tutte le epoche; e mai la Storia è stata presa tanto in
esame, sotto questo aspetto, come in questi ultimi tempi. Dalla
somiglianza degli effetti, si è arrivati all'unità della causa. Come per
tutti i fatti straordinari, la cui ragione è sconosciuta, l'ignoranza
vi ha intravisto una causa soprannaturale, e la superstizione li ha
ingigantiti aggiungendovi delle assurde credenze. Da qui una moltitudine
di leggende che, per la maggior parte, sono un miscuglio fatto di un
poco di vero e di molto falso.
2. Le dottrine sul demonio,
che hanno prevalso per così lungo tempo, avevano talmente esagerato il
suo potere, che avevano, per così dire, fatto dimenticare Dio; è per
questo che al demonio si rendeva l'onore di tutto ciò che sembrava
oltrepassare il potere umano; dappertutto appariva la mano di Satana; le
cose migliori, le scoperte più utili, tutte quelle soprattutto che
potevano tirar fuori l'uomo dall'ignoranza e allargare la cerchia delle
sue idee, sono state molte volte ritenute opere diaboliche. I fenomeni
spiritisti, assai moltiplicatisi ai nostri giorni e assai meglio
osservati, soprattutto grazie ai lumi della ragione e ai dati della
Scienza, hanno confermato, è vero, l'intervento di intelligenze occulte,
le quali, però, agiscono sempre nei limiti delle leggi della natura e
rivelano, attraverso la loro azione, una nuova forza e leggi fino a oggi
sconosciute. La questione si riduce quindi a scoprire a quale ordine
appartengano queste intelligenze.
Finché non si sono avute sul mondo spirituale che delle nozioni incerte o sistematiche, ci si è potuti sbagliare; ma oggi che osservazioni rigorose e studi sperimentali hanno gettato la luce sulla natura degli Spiriti, sulla loro origine e sul loro destino, sul loro ruolo nell’Universo e sul loro modo di agire, la questione è risolta dai fatti. Si sa, prima di tutto, che si tratta delle anime di coloro che hanno vissuto sulla Terra. Si sa anche che le diverse categorie di Spiriti buoni e cattivi non costituiscono esseri di specie differenti, ma indicano soltanto gradi diversi di avanzamento. A seconda del posto che essi occupano, in ragione della loro evoluzione intellettiva e morale, coloro che si manifestano ci appaiono sotto gli aspetti più opposti, cosa che non ci impedisce di pensare che sono usciti tutti dalla grande famiglia umana, il selvaggio come il barbaro e come l'uomo civilizzato.
Finché non si sono avute sul mondo spirituale che delle nozioni incerte o sistematiche, ci si è potuti sbagliare; ma oggi che osservazioni rigorose e studi sperimentali hanno gettato la luce sulla natura degli Spiriti, sulla loro origine e sul loro destino, sul loro ruolo nell’Universo e sul loro modo di agire, la questione è risolta dai fatti. Si sa, prima di tutto, che si tratta delle anime di coloro che hanno vissuto sulla Terra. Si sa anche che le diverse categorie di Spiriti buoni e cattivi non costituiscono esseri di specie differenti, ma indicano soltanto gradi diversi di avanzamento. A seconda del posto che essi occupano, in ragione della loro evoluzione intellettiva e morale, coloro che si manifestano ci appaiono sotto gli aspetti più opposti, cosa che non ci impedisce di pensare che sono usciti tutti dalla grande famiglia umana, il selvaggio come il barbaro e come l'uomo civilizzato.
3. Su questo punto, come su
molti altri, la Chiesa mantiene, per quanto riguarda i demoni, le sue
vecchie credenze. Essa dice: "Noi abbiamo dei principi che non sono
cambiati da diciotto secoli e che sono immutabili". Il suo torto è
quello di non tenere conto del progresso delle idee e di credere Dio
tanto poco saggio da non perequare la rivelazione allo sviluppo
all'intelligenza e da tenere con gli uomini primitivi il medesimo
linguaggio ch'Egli tiene con gli uomini progrediti. Se l'Umanità avanza,
mentre la religione si aggrappa agli antichi errori sia in materia
spirituale sia in materia scientifica, giunge il momento in cui essa
viene investita dalla incredulità.
4. Ecco come la Chiesa spiega l'intervento esclusivo dei demoni nelle manifestazioni moderne. [1]
«Nei loro interventi esteriori, i demoni stanno molto attenti a dissimulare la loro presenza, per allontanare i sospetti. Sempre astuti e perfidi, tendono all'uomo le loro insidie prima di imporgli le catene dell'oppressione e della schiavitù. Qua risvegliano la sua curiosità attraverso fenomeni e giochi puerili; là risvegliano la sua ammirazione e lo soggiogano con l'incanto del meraviglioso. Se il soprannaturale traspare, se la loro potenza li maschera, essi calmano e placano le apprensioni, sollecitano la confidenza, provocano la familiarità. A volte si fanno passare per delle divinità o dei buoni geni; a volte assumono i nomi e anche i tratti fisionomici dei morti che hanno lasciato una memoria tra i vivi. Grazie a queste frodi, degne dell'antico serpente, essi parlano e vengono ascoltati; dogmatizzano e vengono creduti; mescolano alle loro menzogne alcune verità e fanno accettare l'errore sotto tutte le forme. È a questo che portano le pretese rivelazioni d'oltretomba; è per ottenere questo risultato che il legno, la pietra, le foreste, le fontane, i santuari degli idoli, le gambe dei tavoli, le mani dei bambini diventano oracoli; è per questo che la pitonessa profetizza nel suo delirio; è per questo che l'ignorante, in un suo sonno misterioso, diventa tutt'a un tratto il dottore della Scienza. Ingannare e pervertire: tale, dappertutto e in ogni tempo, è il fine di queste strane manifestazioni.
I risultati sorprendenti di queste pratiche o di questi atti, per la maggior parte bizzarri e ridicoli, non potendo provenire né da una loro virtù intrinseca né dall'ordine stabilito da Dio, non possono essere attribuiti che al concorso di potenze occulte. Tali sono, soprattutto, i fenomeni straordinari ottenuti, ai giorni nostri, dai procedimenti in apparenza inoffensivi del magnetismo, e dallo strumento intelligente delle tavole parlanti. Per mezzo di queste operazioni della magia moderna, vediamo riprodursi tra noi le evocazioni e gli oracoli, le consultazioni, le guarigioni e i sortilegi che hanno dato fama ai templi degli idoli e agli antri delle sibille. Come in Passato, si comanda al legno, e il legno obbedisce; lo si interroga, ed esso risponde in tutte le lingue e su tutti gli argomenti; ci si trova in presenza di esseri invisibili che usurpano i nomi dei morti e le cui pretese rivelazioni hanno il marchio della contraddizione e della menzogna; forme lievi e senza consistenza appaiono tutt'a un tratto e si mostrano dotate di una forza sovraumana.
Quali sono gli agenti segreti di questi fenomeni e i veri attori di queste scene inspiegabili? Gli angeli non accetterebbero questi ruoli indegni e non si presterebbero a tutti i capricci di una vana curiosità. Le anime dei morti, che Dio vieta di consultare, soggiornano nella dimora che ha loro assegnato la Sua giustizia, ed esse non possono, senza il Suo permesso, mettersi agli ordini dei vivi. Così, gli esseri misteriosi, che si presentano al primo appello dell'eretico e dell'empio come del fedele, del crimine così come dell'innocenza, non sono né gli inviati di Dio, né gli apostoli della verità e della salvezza, ma i seguaci dell'errore e dell'inferno. Malgrado l'impegno ch'essi mettono nel nascondersi sotto i più venerabili nomi, si tradiscono per l'inconsistenza delle loro dottrine, non meno che per la bassezza dei loro atti e l'incoerenza delle loro parole. Essi si sforzano di cancellare, dal simbolo religioso, i dogmi del peccato originale, della resurrezione dei corpi, dell'eternità delle pene, e tutta la rivelazione divina, al fine di sottrarre alle leggi la loro vera sanzione e di aprire al vizio ogni barriera. Se le loro suggestioni potessero prevalere, esse costituirebbero una religione comoda, a uso del socialismo e di tutti coloro cui la nozione del dovere e della coscienza repelle.
La miscredenza del nostro secolo ha loro facilitato il cammino. Possano le società cristiane, con un sincero ritorno alla fede cattolica, sfuggire al pericolo di questa nuova e temibile invasione!»
-------------------------
[1] Le citazioni di questo capitolo sono estrapolate dalla medesima lettera pastorale da cui sono state estrapolate quelle del capitolo precedente, delle quali sono il seguito. Ne hanno, inoltre, la medesima autorevolezza.
«Nei loro interventi esteriori, i demoni stanno molto attenti a dissimulare la loro presenza, per allontanare i sospetti. Sempre astuti e perfidi, tendono all'uomo le loro insidie prima di imporgli le catene dell'oppressione e della schiavitù. Qua risvegliano la sua curiosità attraverso fenomeni e giochi puerili; là risvegliano la sua ammirazione e lo soggiogano con l'incanto del meraviglioso. Se il soprannaturale traspare, se la loro potenza li maschera, essi calmano e placano le apprensioni, sollecitano la confidenza, provocano la familiarità. A volte si fanno passare per delle divinità o dei buoni geni; a volte assumono i nomi e anche i tratti fisionomici dei morti che hanno lasciato una memoria tra i vivi. Grazie a queste frodi, degne dell'antico serpente, essi parlano e vengono ascoltati; dogmatizzano e vengono creduti; mescolano alle loro menzogne alcune verità e fanno accettare l'errore sotto tutte le forme. È a questo che portano le pretese rivelazioni d'oltretomba; è per ottenere questo risultato che il legno, la pietra, le foreste, le fontane, i santuari degli idoli, le gambe dei tavoli, le mani dei bambini diventano oracoli; è per questo che la pitonessa profetizza nel suo delirio; è per questo che l'ignorante, in un suo sonno misterioso, diventa tutt'a un tratto il dottore della Scienza. Ingannare e pervertire: tale, dappertutto e in ogni tempo, è il fine di queste strane manifestazioni.
I risultati sorprendenti di queste pratiche o di questi atti, per la maggior parte bizzarri e ridicoli, non potendo provenire né da una loro virtù intrinseca né dall'ordine stabilito da Dio, non possono essere attribuiti che al concorso di potenze occulte. Tali sono, soprattutto, i fenomeni straordinari ottenuti, ai giorni nostri, dai procedimenti in apparenza inoffensivi del magnetismo, e dallo strumento intelligente delle tavole parlanti. Per mezzo di queste operazioni della magia moderna, vediamo riprodursi tra noi le evocazioni e gli oracoli, le consultazioni, le guarigioni e i sortilegi che hanno dato fama ai templi degli idoli e agli antri delle sibille. Come in Passato, si comanda al legno, e il legno obbedisce; lo si interroga, ed esso risponde in tutte le lingue e su tutti gli argomenti; ci si trova in presenza di esseri invisibili che usurpano i nomi dei morti e le cui pretese rivelazioni hanno il marchio della contraddizione e della menzogna; forme lievi e senza consistenza appaiono tutt'a un tratto e si mostrano dotate di una forza sovraumana.
Quali sono gli agenti segreti di questi fenomeni e i veri attori di queste scene inspiegabili? Gli angeli non accetterebbero questi ruoli indegni e non si presterebbero a tutti i capricci di una vana curiosità. Le anime dei morti, che Dio vieta di consultare, soggiornano nella dimora che ha loro assegnato la Sua giustizia, ed esse non possono, senza il Suo permesso, mettersi agli ordini dei vivi. Così, gli esseri misteriosi, che si presentano al primo appello dell'eretico e dell'empio come del fedele, del crimine così come dell'innocenza, non sono né gli inviati di Dio, né gli apostoli della verità e della salvezza, ma i seguaci dell'errore e dell'inferno. Malgrado l'impegno ch'essi mettono nel nascondersi sotto i più venerabili nomi, si tradiscono per l'inconsistenza delle loro dottrine, non meno che per la bassezza dei loro atti e l'incoerenza delle loro parole. Essi si sforzano di cancellare, dal simbolo religioso, i dogmi del peccato originale, della resurrezione dei corpi, dell'eternità delle pene, e tutta la rivelazione divina, al fine di sottrarre alle leggi la loro vera sanzione e di aprire al vizio ogni barriera. Se le loro suggestioni potessero prevalere, esse costituirebbero una religione comoda, a uso del socialismo e di tutti coloro cui la nozione del dovere e della coscienza repelle.
La miscredenza del nostro secolo ha loro facilitato il cammino. Possano le società cristiane, con un sincero ritorno alla fede cattolica, sfuggire al pericolo di questa nuova e temibile invasione!»
-------------------------
[1] Le citazioni di questo capitolo sono estrapolate dalla medesima lettera pastorale da cui sono state estrapolate quelle del capitolo precedente, delle quali sono il seguito. Ne hanno, inoltre, la medesima autorevolezza.
5. Tutta questa teoria
poggia sul principio secondo cui gli angeli e i demoni sono esseri
differenti dalle anime degli uomini, e queste sono il prodotto di una
creazione speciale, inferiore anche a quella dei demoni, in fatto di
intelligenza, conoscenze e facoltà di tutte le specie. Tale teoria
giunge alla conclusione che si tratta dell'intervento esclusivo dei
cattivi angeli nelle manifestazioni antiche e moderne attribuite agli
Spiriti dei morti.
La possibilità per le anime di comunicare con i vivi è una questione di fatto, un risultato dell'esperienza e dell'osservazione che non riteniamo di dover discutere qui. Ammettiamo invece, per ipotesi, la dottrina di cui sopra e vediamo se essa non si distrugge da sé stessa con i suoi stessi argomenti.
La possibilità per le anime di comunicare con i vivi è una questione di fatto, un risultato dell'esperienza e dell'osservazione che non riteniamo di dover discutere qui. Ammettiamo invece, per ipotesi, la dottrina di cui sopra e vediamo se essa non si distrugge da sé stessa con i suoi stessi argomenti.
6. Nelle tre categorie di
angeli, secondo la Chiesa, una si occupa esclusivamente del Cielo;
un'altra del governo dell'Universo; la terza è incaricata di occuparsi
della Terra; e in quest'ultima categoria si trovano gli angeli custodi,
preposti alla protezione di ciascun individuo. Soltanto una parte degli
angeli di questa categoria prese parte alla rivolta e fu trasformata in
demoni. Se Dio ha permesso a questi ultimi di istigare gli uomini alla
loro stessa perdizione, con le suggestioni di ogni genere e con il fatto
delle manifestazioni visibili, perché, se Egli è sovranamente giusto e
buono, avrebbe loro accordato l'immenso potere di cui essi godono?
Perché avrebbe loro concesso una libertà di cui fanno un uso così
pernicioso, senza permettere ai buoni angeli di far loro da contrappeso
con manifestazioni simili alle altre, ma volte al bene? Ammettiamo che
Dio abbia concesso un'eguale parte di potere agli angeli buoni e a
quelli cattivi — la qual cosa sarebbe già un favore esorbitante a
vantaggio di questi ultimi —, l'uomo si sarebbe trovato in tal caso
almeno libero di scegliere; ma dare agli angeli cattivi il monopolio
della tentazione, con ampi poteri di simulare il bene, in modo da trarre
in inganno l'uomo e meglio sedurlo, sarebbe una vera trappola, tesa
alla sua fragilità, alla sua inesperienza, alla sua buona fede; diciamo
di più: ciò sarebbe abusare della sua fiducia in Dio. La ragione rifiuta
di ammettere una tale preferenza a vantaggio del male. Ma, ora, vediamo
i fatti.
7. Si accordano ai demoni
facoltà trascendenti; niente essi hanno perduto della loro natura
angelica; essi hanno il sapere, la perspicacia, la preveggenza e la
chiaroveggenza degli angeli e, in più, l'astuzia, la destrezza e la
malizia in sommo grado. Il loro scopo è quello di sviare gli uomini dal
bene e, soprattutto, di allontanarli da Dio per trascinarli all'inferno
di cui essi sono i procacciatori e i reclutatori.
Si comprende, quindi, come essi si rivolgano a coloro che sono sulla retta via, e che per loro sarebbero perduti, se sulla retta via quelli persistessero. Si comprendono l'impiego della seduzione e i simulacri del bene per attirarli nelle loro reti. Ma il fatto incomprensibile è che essi si rivolgano a quelli che già appartengono a loro anima e corpo, per ricondurli a Dio e al bene. Ora, chi è nelle loro grinfie più di colui che rinnega e bestemmia Dio, e che s'inabissa nel vizio e nel disordine delle passioni? Non è forse costui già sulla strada dell'inferno? Ma come comprendere che, sicuri della loro preda, la incitino a pregare Dio, a sottomettersi alla Sua volontà, a rinunciare al male? Come comprendere che esaltino ai suoi occhi le delizie della vita dei buoni Spiriti e gli dipingano con orrore le condizioni dei malvagi? Si è mai visto un mercante decantare ai suoi clienti la merce del mercante vicino, a scapito della propria, e spingerli ad andare da quell'altro? Si è mai visto un reclutatore disprezzare la vita militare e lodare il riposo della vita domestica? Oppure dire loro che avranno una vita piena di fatiche e di privazioni; che hanno dieci probabilità su una di essere uccisi o quanto meno di avere le braccia e le gambe amputate?
Nondimeno, questo è lo stupido ruolo che si fa giocare al demonio, poiché è fatto notorio che, in seguito alle istruzioni emanate dal mondo invisibile, si vedono tutti i giorni non credenti e atei ritornare a Dio e pregare con fervore — cosa che non avevano mai fatto prima — e gente viziosa lavorare con ardore al proprio miglioramento. Pretendere che questa sia l'opera delle astuzie del demonio è voler fare di lui un vero grullo. Ora, siccome questa non è una supposizione, ma il risultato dell'esperienza, e siccome contro un fatto non c'è negazione possibile, bisogna concludere che il demonio è uno sprovveduto senza eguali, il quale non è poi né così astuto né così maligno come lo si dipinge, né di conseguenza così potente da essere temuto, dal momento che lavora contro i propri interessi. Oppure bisogna concludere che non tutte le manifestazioni provengano da lui.
Si comprende, quindi, come essi si rivolgano a coloro che sono sulla retta via, e che per loro sarebbero perduti, se sulla retta via quelli persistessero. Si comprendono l'impiego della seduzione e i simulacri del bene per attirarli nelle loro reti. Ma il fatto incomprensibile è che essi si rivolgano a quelli che già appartengono a loro anima e corpo, per ricondurli a Dio e al bene. Ora, chi è nelle loro grinfie più di colui che rinnega e bestemmia Dio, e che s'inabissa nel vizio e nel disordine delle passioni? Non è forse costui già sulla strada dell'inferno? Ma come comprendere che, sicuri della loro preda, la incitino a pregare Dio, a sottomettersi alla Sua volontà, a rinunciare al male? Come comprendere che esaltino ai suoi occhi le delizie della vita dei buoni Spiriti e gli dipingano con orrore le condizioni dei malvagi? Si è mai visto un mercante decantare ai suoi clienti la merce del mercante vicino, a scapito della propria, e spingerli ad andare da quell'altro? Si è mai visto un reclutatore disprezzare la vita militare e lodare il riposo della vita domestica? Oppure dire loro che avranno una vita piena di fatiche e di privazioni; che hanno dieci probabilità su una di essere uccisi o quanto meno di avere le braccia e le gambe amputate?
Nondimeno, questo è lo stupido ruolo che si fa giocare al demonio, poiché è fatto notorio che, in seguito alle istruzioni emanate dal mondo invisibile, si vedono tutti i giorni non credenti e atei ritornare a Dio e pregare con fervore — cosa che non avevano mai fatto prima — e gente viziosa lavorare con ardore al proprio miglioramento. Pretendere che questa sia l'opera delle astuzie del demonio è voler fare di lui un vero grullo. Ora, siccome questa non è una supposizione, ma il risultato dell'esperienza, e siccome contro un fatto non c'è negazione possibile, bisogna concludere che il demonio è uno sprovveduto senza eguali, il quale non è poi né così astuto né così maligno come lo si dipinge, né di conseguenza così potente da essere temuto, dal momento che lavora contro i propri interessi. Oppure bisogna concludere che non tutte le manifestazioni provengano da lui.
8. "Essi fanno accettare
l'errore sotto tutte le forme; è per ottenere questo risultato che il
legno, la pietra, le foreste, le fontane, i santuari, le mani dei bambini diventano oracoli."
Dopo di ciò, c'è da chiedersi allora qual è il valore di queste parole del Vangelo: "Io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani avranno delle visioni, e i vostri vecchi sogneranno dei sogni. Anche sui miei servi e sulle mie serve, in questi giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno" (Atti degli Apostoli 2:17-18). Non si tratta forse della predizione delle medianità data a tutti, anche ai bambini, e che si sta realizzando ai nostri giorni? Gli apostoli hanno forse gettato l'anatema su questa facoltà? No. Essi l'annunciano come un favore di Dio, e non come l'opera del demonio. I teologi dei giorni nostri ne sanno, dunque, su questo punto più degli Apostoli? Non dovrebbero vedere il dito di Dio nella realizzazione di queste parole?
Dopo di ciò, c'è da chiedersi allora qual è il valore di queste parole del Vangelo: "Io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani avranno delle visioni, e i vostri vecchi sogneranno dei sogni. Anche sui miei servi e sulle mie serve, in questi giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno" (Atti degli Apostoli 2:17-18). Non si tratta forse della predizione delle medianità data a tutti, anche ai bambini, e che si sta realizzando ai nostri giorni? Gli apostoli hanno forse gettato l'anatema su questa facoltà? No. Essi l'annunciano come un favore di Dio, e non come l'opera del demonio. I teologi dei giorni nostri ne sanno, dunque, su questo punto più degli Apostoli? Non dovrebbero vedere il dito di Dio nella realizzazione di queste parole?
9. "Per mezzo di queste operazioni della magia moderna, noi vediamo riprodursi tra di noi le evocazioni e gli oracoli, le consultazioni, le guarigioni e i prodigi che hanno reso famosi i templi degli idoli e gli antri delle sibille."
In che cosa si ravvisano le operazioni della magia nelle evocazioni spiritiste? Ci fu un tempo in cui si poteva anche credere alla loro efficacia, ma al giorno d'oggi esse sono solo ridicole; non c'è alcuno che vi creda, e lo Spiritismo le condanna. Ai tempi in cui fioriva la magia, non si aveva che un'idea molto imperfetta sulla natura degli Spiriti, cui si guardava come a degli esseri dotati di un potere sovrumano. Li si evocava soltanto per ottenerne — foss'anche a prezzo della propria anima — i favori della sorte e della fortuna, la scoperta di tesori, la rivelazione del futuro, oppure pozioni magiche. La magia, con l'aiuto dei suoi segni, delle sue formule e delle sue operazioni cabalistiche, era ritenuta in grado di fornire pretesi segreti per operare dei prodigi, di indurre gli Spiriti a mettersi agli ordini degli uomini e soddisfare i loro desideri. Oggi sappiamo che gli Spiriti altro non sono che le anime degli uomini. Li si evoca solo per ricevere consigli dai buoni, per moralizzare i malvagi e per continuare i rapporti con gli esseri che ci sono cari. Ecco ciò che dice lo Spiritismo a questo riguardo.
In che cosa si ravvisano le operazioni della magia nelle evocazioni spiritiste? Ci fu un tempo in cui si poteva anche credere alla loro efficacia, ma al giorno d'oggi esse sono solo ridicole; non c'è alcuno che vi creda, e lo Spiritismo le condanna. Ai tempi in cui fioriva la magia, non si aveva che un'idea molto imperfetta sulla natura degli Spiriti, cui si guardava come a degli esseri dotati di un potere sovrumano. Li si evocava soltanto per ottenerne — foss'anche a prezzo della propria anima — i favori della sorte e della fortuna, la scoperta di tesori, la rivelazione del futuro, oppure pozioni magiche. La magia, con l'aiuto dei suoi segni, delle sue formule e delle sue operazioni cabalistiche, era ritenuta in grado di fornire pretesi segreti per operare dei prodigi, di indurre gli Spiriti a mettersi agli ordini degli uomini e soddisfare i loro desideri. Oggi sappiamo che gli Spiriti altro non sono che le anime degli uomini. Li si evoca solo per ricevere consigli dai buoni, per moralizzare i malvagi e per continuare i rapporti con gli esseri che ci sono cari. Ecco ciò che dice lo Spiritismo a questo riguardo.
10. Non esiste alcun mezzo
per costringere uno Spirito a venire suo malgrado, se questo Spirito è
vostro pari o a voi superiore in moralità — dico in moralità e non in
intelligenza — perché voi non avete su di lui alcuna autorità. Se è a
voi inferiore, potete costringerlo, se ciò è per il suo bene, poiché allora altri Spiriti vi aiuteranno (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— Per le evocazioni saranno necessarie alcune disposizioni speciali. La più essenziale di tutte le disposizioni è il raccoglimento, quando si desidera avere a che fare con degli Spiriti seri. Con la fede e il desiderio del bene si ha più forza per evocare gli Spiriti superiori. Elevando la propria anima con qualche istante di raccoglimento al momento dell'evocazione, ci si identifica con i buoni Spiriti e li si dispone a venire (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— Nessun oggetto, medaglia o talismano ha la proprietà di attirare o respingere gli Spiriti; la materia non esercita alcuna azione su di essi. Mai un buono Spirito consiglierebbe simili assurdità. La virtù dei talismani non è mai esistita se non nell'immaginazione dei creduloni (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— Non esiste alcuna formula sacramentale per l'evocazione degli Spiriti. Chiunque pretendesse di darne una potrebbe essere tacciato senza alcun timore di impostura, dal momento che per gli Spiriti la forma equivale a un nulla. Tuttavia l'evocazione deve sempre essere fatta nel nome di Dio (Il libro dei Medium, cap. XVII).
— Gli Spiriti che fissano degli appuntamenti in luoghi lugubri e in ore indebite sono Spiriti che si divertono a spese di quelli che li stanno ad ascoltare. È sempre inutile e spesso dannoso cedere a tali suggestioni: inutile perché non ci si guadagna assolutamente nient'altro che d'essere ingannati; dannoso, non per il male che possono fare agli Spiriti, ma per l'influenza che tali cose possono esercitare su delle menti deboli (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— Non ci sono ore e giorni più propizi alle evocazioni; per gli Spiriti ciò è del tutto indifferente — come tutto ciò che è materiale —, e sarebbe una superstizione credere alla influenza dei giorni e delle ore. I momenti più propizi sono quelli in cui l'evocatore è il meno distratto possibile dalle sue occupazioni abituali; quelli in cui il suo corpo e il suo spirito sono più calmi (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— La critica malevola si è divertita a presentare le comunicazioni spiritiste circondate da pratiche ridicole e superstiziose di magia e di negromanzia. Se coloro che trattano di Spiritismo senza conoscerlo si fossero data la pena di studiare ciò di cui hanno la pretesa di parlare, si sarebbero risparmiata la fatica dell'immaginare e dell'addurre, con ciò dimostrando la loro ignoranza e il loro malvolere. Semplificando, per le persone estranee alla Scienza, noi diremo che per comunicare con gli Spiriti non ci sono giorni né momenti né luoghi più propizi di altri; che per evocarli non occorrono né formule né parole sacramentali o cabalistiche; che non c'è bisogno di nessuna preparazione né di alcuna iniziazione; che l'impiego di qualsiasi segno od oggetto, sia per attrarli sia per respingerli, è senza effetto, e che il solo pensiero è sufficiente; infine, che i medium ricevono le comunicazioni degli Spiriti semplicemente e naturalmente, come se fossero dettate da un vivente, senza uscire dallo stato normale. Solo la ciarlataneria potrebbe far mostra di maniere eccentriche e aggiungere complementi ridicoli (Che cos'è lo Spiritismo, cap. II, n. 49).
— Il futuro, in linea di massima, deve essere tenuto nascosto all'uomo; è solo in casi rari ed eccezionali che Dio ne permette la rivelazione. Se l'uomo conoscesse il futuro, trascurerebbe il presente e non agirebbe con la stessa libertà, perché sarebbe dominato dal pensiero che, se una cosa deve accadere, non c'è bisogno di occuparsene oppure cercherebbe di contrastarla. Dio non ha voluto che fosse così, affinché ognuno potesse concorrere al compimento delle cose stabilite, anche di quelle alle quali vorrebbe opporsi. Dio permette la rivelazione del futuro quando questa preveggenza deve facilitare il compimento di qualcosa invece di avversarlo, impegnando l'uomo ad agire diversamente da come avrebbe fatto senza quella preveggenza (Il libro degli Spiriti, cap. X, nn. 868, 869, 870).
— Gli Spiriti non possono guidare gli uomini nelle ricerche scientifiche e nelle scoperte. La scienza è opera del genio; essa non deve acquisirsi che con il lavoro, perché è solo per mezzo del lavoro che l'uomo progredisce nel suo cammino. Quale merito avrebbe mai se non avesse che da interrogare gli Spiriti per sapere tutto? Ogni imbecille potrebbe diventare scienziato a questo prezzo. La stessa cosa avviene per le invenzioni e le scoperte industriali.
Quando il tempo di una scoperta è giunto, gli Spiriti incaricati di dirigere il cammino, cercano l'uomo in grado di portarlo a buon fine e gli ispirano le idee necessarie, in modo da lasciare a lui tutto il merito, poiché bisogna che egli elabori queste idee e le metta in opera. Ed è così per tutte le grandi opere dell'intelligenza umana. Gli Spiriti lasciano ogni uomo nella sua sfera. Di colui che non è adatto che a dissodare la terra non faranno certo il depositario dei segreti di Dio; ma sapranno trarre dall'oscurità l'uomo capace di assecondare i Suoi disegni. Dunque, non lasciatevi assolutamente trascinare dalla curiosità o dall'ambizione lungo una strada che non è lo scopo dello Spiritismo e che vi condurrebbe alle più ridicole mistificazioni (Il libro dei Medium, cap. XXVI).
— Gli Spiriti non possono far scoprire i tesori nascosti. Gli Spiriti superiori non si occupano di queste cose; ma ci sono Spiriti sbeffeggiatori che indicano spesso dei tesori che non esistono, oppure possono anche indicarne uno in un luogo, mentre esso si trova in un luogo opposto. E ciò ha la sua utilità, poiché serve a dimostrare che la vera fortuna è nel lavoro. Se la Provvidenza destina delle ricchezze nascoste a qualcuno, questi le troverà naturalmente; altrimenti no (Il libro dei Medium, cap. XXVI).
— Lo Spiritismo, illuminandoci sulle proprietà dei fluidi, che sono gli agenti e i mezzi di azione del mondo invisibile, e che costituiscono una delle forze e una delle potenze della Natura, ci dà la chiave di un gran numero di cose inesplicate e inesplicabili da ogni altro mezzo, e che sono potute passare, nei tempi trascorsi, per dei prodigi. Lo Spiritismo rivela, allo stesso modo del magnetismo, una legge, se non sconosciuta, almeno non ben compresa; o, per meglio dire, se ne conoscevano gli effetti, poiché essi si sono prodotti in ogni tempo, ma non se ne conosceva la legge, ed è l'ignoranza di questa legge che ha generato la superstizione. Conosciuta questa legge, il meraviglioso sparisce, e i fenomeni rientrano nell'ordine delle cose naturali. Ecco perché gli spiritisti non fanno miracoli, facendo ruotare una tavola o facendo scrivere i trapassati, più di quanto non ne faccia il medico che fa rivivere un moribondo, o il fisico che fa cadere il fulmine. Colui che pretendesse, con l'aiuto di questa scienza, di fare dei miracoli sarebbe, al riguardo, un ignorante o un imbroglione(Il libro dei Medium, cap. II).
— Taluni si fanno un'idea errata delle evocazioni. C'è chi crede che consistano nel far apparire i morti con tutto l'apparato lugubre della tomba. Non è come nei romanzi, nei racconti fantastici dei risuscitati o a teatro dove si vedono dei morti scheletriti uscire dai loro sepolcri avvolti in un lenzuolo, facendo scricchiolare le ossa. Lo Spiritismo — che non ha mai fatto miracoli — non ha mai fatto né questo né altro, né ha mai fatto risuscitare un morto. Quando un corpo è nella fossa vi rimane definitivamente. Ma l'essere spirituale, fluidico, intelligente non giace con il suo involucro pesante. Se ne libera al momento della morte e, una volta avvenuta la separazione, non ha più nulla in comune con il corpo (Che cos'è lo Spiritismo, cap. II, n. 48).
— Per le evocazioni saranno necessarie alcune disposizioni speciali. La più essenziale di tutte le disposizioni è il raccoglimento, quando si desidera avere a che fare con degli Spiriti seri. Con la fede e il desiderio del bene si ha più forza per evocare gli Spiriti superiori. Elevando la propria anima con qualche istante di raccoglimento al momento dell'evocazione, ci si identifica con i buoni Spiriti e li si dispone a venire (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— Nessun oggetto, medaglia o talismano ha la proprietà di attirare o respingere gli Spiriti; la materia non esercita alcuna azione su di essi. Mai un buono Spirito consiglierebbe simili assurdità. La virtù dei talismani non è mai esistita se non nell'immaginazione dei creduloni (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— Non esiste alcuna formula sacramentale per l'evocazione degli Spiriti. Chiunque pretendesse di darne una potrebbe essere tacciato senza alcun timore di impostura, dal momento che per gli Spiriti la forma equivale a un nulla. Tuttavia l'evocazione deve sempre essere fatta nel nome di Dio (Il libro dei Medium, cap. XVII).
— Gli Spiriti che fissano degli appuntamenti in luoghi lugubri e in ore indebite sono Spiriti che si divertono a spese di quelli che li stanno ad ascoltare. È sempre inutile e spesso dannoso cedere a tali suggestioni: inutile perché non ci si guadagna assolutamente nient'altro che d'essere ingannati; dannoso, non per il male che possono fare agli Spiriti, ma per l'influenza che tali cose possono esercitare su delle menti deboli (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— Non ci sono ore e giorni più propizi alle evocazioni; per gli Spiriti ciò è del tutto indifferente — come tutto ciò che è materiale —, e sarebbe una superstizione credere alla influenza dei giorni e delle ore. I momenti più propizi sono quelli in cui l'evocatore è il meno distratto possibile dalle sue occupazioni abituali; quelli in cui il suo corpo e il suo spirito sono più calmi (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— La critica malevola si è divertita a presentare le comunicazioni spiritiste circondate da pratiche ridicole e superstiziose di magia e di negromanzia. Se coloro che trattano di Spiritismo senza conoscerlo si fossero data la pena di studiare ciò di cui hanno la pretesa di parlare, si sarebbero risparmiata la fatica dell'immaginare e dell'addurre, con ciò dimostrando la loro ignoranza e il loro malvolere. Semplificando, per le persone estranee alla Scienza, noi diremo che per comunicare con gli Spiriti non ci sono giorni né momenti né luoghi più propizi di altri; che per evocarli non occorrono né formule né parole sacramentali o cabalistiche; che non c'è bisogno di nessuna preparazione né di alcuna iniziazione; che l'impiego di qualsiasi segno od oggetto, sia per attrarli sia per respingerli, è senza effetto, e che il solo pensiero è sufficiente; infine, che i medium ricevono le comunicazioni degli Spiriti semplicemente e naturalmente, come se fossero dettate da un vivente, senza uscire dallo stato normale. Solo la ciarlataneria potrebbe far mostra di maniere eccentriche e aggiungere complementi ridicoli (Che cos'è lo Spiritismo, cap. II, n. 49).
— Il futuro, in linea di massima, deve essere tenuto nascosto all'uomo; è solo in casi rari ed eccezionali che Dio ne permette la rivelazione. Se l'uomo conoscesse il futuro, trascurerebbe il presente e non agirebbe con la stessa libertà, perché sarebbe dominato dal pensiero che, se una cosa deve accadere, non c'è bisogno di occuparsene oppure cercherebbe di contrastarla. Dio non ha voluto che fosse così, affinché ognuno potesse concorrere al compimento delle cose stabilite, anche di quelle alle quali vorrebbe opporsi. Dio permette la rivelazione del futuro quando questa preveggenza deve facilitare il compimento di qualcosa invece di avversarlo, impegnando l'uomo ad agire diversamente da come avrebbe fatto senza quella preveggenza (Il libro degli Spiriti, cap. X, nn. 868, 869, 870).
— Gli Spiriti non possono guidare gli uomini nelle ricerche scientifiche e nelle scoperte. La scienza è opera del genio; essa non deve acquisirsi che con il lavoro, perché è solo per mezzo del lavoro che l'uomo progredisce nel suo cammino. Quale merito avrebbe mai se non avesse che da interrogare gli Spiriti per sapere tutto? Ogni imbecille potrebbe diventare scienziato a questo prezzo. La stessa cosa avviene per le invenzioni e le scoperte industriali.
Quando il tempo di una scoperta è giunto, gli Spiriti incaricati di dirigere il cammino, cercano l'uomo in grado di portarlo a buon fine e gli ispirano le idee necessarie, in modo da lasciare a lui tutto il merito, poiché bisogna che egli elabori queste idee e le metta in opera. Ed è così per tutte le grandi opere dell'intelligenza umana. Gli Spiriti lasciano ogni uomo nella sua sfera. Di colui che non è adatto che a dissodare la terra non faranno certo il depositario dei segreti di Dio; ma sapranno trarre dall'oscurità l'uomo capace di assecondare i Suoi disegni. Dunque, non lasciatevi assolutamente trascinare dalla curiosità o dall'ambizione lungo una strada che non è lo scopo dello Spiritismo e che vi condurrebbe alle più ridicole mistificazioni (Il libro dei Medium, cap. XXVI).
— Gli Spiriti non possono far scoprire i tesori nascosti. Gli Spiriti superiori non si occupano di queste cose; ma ci sono Spiriti sbeffeggiatori che indicano spesso dei tesori che non esistono, oppure possono anche indicarne uno in un luogo, mentre esso si trova in un luogo opposto. E ciò ha la sua utilità, poiché serve a dimostrare che la vera fortuna è nel lavoro. Se la Provvidenza destina delle ricchezze nascoste a qualcuno, questi le troverà naturalmente; altrimenti no (Il libro dei Medium, cap. XXVI).
— Lo Spiritismo, illuminandoci sulle proprietà dei fluidi, che sono gli agenti e i mezzi di azione del mondo invisibile, e che costituiscono una delle forze e una delle potenze della Natura, ci dà la chiave di un gran numero di cose inesplicate e inesplicabili da ogni altro mezzo, e che sono potute passare, nei tempi trascorsi, per dei prodigi. Lo Spiritismo rivela, allo stesso modo del magnetismo, una legge, se non sconosciuta, almeno non ben compresa; o, per meglio dire, se ne conoscevano gli effetti, poiché essi si sono prodotti in ogni tempo, ma non se ne conosceva la legge, ed è l'ignoranza di questa legge che ha generato la superstizione. Conosciuta questa legge, il meraviglioso sparisce, e i fenomeni rientrano nell'ordine delle cose naturali. Ecco perché gli spiritisti non fanno miracoli, facendo ruotare una tavola o facendo scrivere i trapassati, più di quanto non ne faccia il medico che fa rivivere un moribondo, o il fisico che fa cadere il fulmine. Colui che pretendesse, con l'aiuto di questa scienza, di fare dei miracoli sarebbe, al riguardo, un ignorante o un imbroglione(Il libro dei Medium, cap. II).
— Taluni si fanno un'idea errata delle evocazioni. C'è chi crede che consistano nel far apparire i morti con tutto l'apparato lugubre della tomba. Non è come nei romanzi, nei racconti fantastici dei risuscitati o a teatro dove si vedono dei morti scheletriti uscire dai loro sepolcri avvolti in un lenzuolo, facendo scricchiolare le ossa. Lo Spiritismo — che non ha mai fatto miracoli — non ha mai fatto né questo né altro, né ha mai fatto risuscitare un morto. Quando un corpo è nella fossa vi rimane definitivamente. Ma l'essere spirituale, fluidico, intelligente non giace con il suo involucro pesante. Se ne libera al momento della morte e, una volta avvenuta la separazione, non ha più nulla in comune con il corpo (Che cos'è lo Spiritismo, cap. II, n. 48).
11. Ci siamo soffermati
alquanto a lungo su queste citazioni per dimostrare che i principi dello
Spiritismo non hanno alcun rapporto con quelli della magia. Così, né
Spiriti agli ordini degli uomini, né mezzi per costringerli, né segni o
formule cabalistiche, né scoperte di tesori o procedimenti per
arricchirsi, né miracoli o prodigi, né divinazioni né apparizioni
fantastiche; niente, insomma, di quanto costituisce il fine e gli
elementi essenziali della magia. Infatti non solo lo Spiritismo rifiuta
tutte queste cose, ma ne dimostra l'impossibilità e l'inefficacia. Non
c'è dunque alcuna analogia tra il fine e i mezzi della magia e quelli
dello Spiritismo; volere assimilarli non può essere che un fatto di
ignoranza o di malafede. E, siccome i principi dello Spiritismo non
hanno niente di segreto, dal momento che sono formulati in termini
chiari e inequivocabili, l'errore non può prevalere.
Quanto ai casi di guarigione, riconosciuti reali nella lettera pastorale più indietro citata, l'esempio — quale mezzo per evitare relazioni con gli Spiriti — è stato mal selezionato. È uno dei benefici che impressionano di più e che ciascuno può apprezzare; pochi saranno disposti a rinunciarvi, soprattutto dopo aver esaurito tutti gli altri mezzi, nella paura di essere guariti dal diavolo; più di uno, al contrario, dirà che se il diavolo lo ha guarito, il diavolo ha compiuto una buona azione. [2]
------------------------
[2] Volendo persuadere delle persone, guarite dagli Spiriti, che erano state guarite dal diavolo, un grande numero di esse si è radicalmente staccato dalla Chiesa, senza che mai prima avesse pensato di lasciarla.
Quanto ai casi di guarigione, riconosciuti reali nella lettera pastorale più indietro citata, l'esempio — quale mezzo per evitare relazioni con gli Spiriti — è stato mal selezionato. È uno dei benefici che impressionano di più e che ciascuno può apprezzare; pochi saranno disposti a rinunciarvi, soprattutto dopo aver esaurito tutti gli altri mezzi, nella paura di essere guariti dal diavolo; più di uno, al contrario, dirà che se il diavolo lo ha guarito, il diavolo ha compiuto una buona azione. [2]
------------------------
[2] Volendo persuadere delle persone, guarite dagli Spiriti, che erano state guarite dal diavolo, un grande numero di esse si è radicalmente staccato dalla Chiesa, senza che mai prima avesse pensato di lasciarla.
12. "Quali sono gli agenti
segreti di questi fenomeni e i veri attori di queste scene inspiegabili?
Gli angeli non accetterebbero mai questi ruoli indegni, né si
presterebbero mai a tutti i capricci di una vana curiosità"
L'autore si riferisce alle manifestazioni fisiche degli Spiriti, tra le quali ve ne sono alcune che sarebbero evidentemente poco degne di Spiriti superiori. E se alla parola angeli, voi sostituite quella di puri Spiriti o Spiriti superiori, voi avrete esattamente ciò che dice lo Spiritismo. Ma non si potrebbero mettere al medesimo livello le comunicazioni intelligenti, attraverso la scrittura, la parola, l'udito od ogni altro mezzo, le quali non sono indegne dei buoni Spiriti più di quanto non lo siano, sulla Terra, le comunicazioni degli uomini più eminenti, né le apparizioni, le guarigioni e una miriade di altre manifestazioni, che i libri sacri citano a profusione come opera degli angeli o dei santi. Se dunque gli angeli e i santi hanno prodotto in passato dei fenomeni, perché non dovrebbero produrne anche oggi? Perché i medesimi fatti dovrebbero oggi essere l'opera del diavolo, tra le mani di certe persone, mentre sono reputati miracoli santi tra le mani di altre? Sostenere una simile tesi vuol dire abdicare a ogni logica.
L'autore della citata lettera pastorale è in errore quando afferma che questi fenomeni sono inspiegabili. Al contrario, al giorno d'oggi essi sono perfettamente spiegati, ed è per questo che non si guarda più a essi come a fenomeni sorprendenti e soprannaturali. E se ancora non fossero così spiegati, attribuirli al diavolo non sarebbe più logico di quanto non fosse in passato fare l'onore al diavolo di attribuirgli tutti gli effetti naturali di cui non si comprendeva la causa.
Per ruoli indegni, bisogna intendere i ruoli ridicoli e quelli che consistono nel fare il male; ma non si può qualificare così il ruolo degli Spiriti che praticano il bene e riconducono gli uomini a Dio e alla virtù. Orbene, lo Spiritismo afferma espressamente che i ruoli indegni non fanno parte delle attribuzioni degli Spiriti superiori, così come dimostrano i precetti di seguito riportati.
L'autore si riferisce alle manifestazioni fisiche degli Spiriti, tra le quali ve ne sono alcune che sarebbero evidentemente poco degne di Spiriti superiori. E se alla parola angeli, voi sostituite quella di puri Spiriti o Spiriti superiori, voi avrete esattamente ciò che dice lo Spiritismo. Ma non si potrebbero mettere al medesimo livello le comunicazioni intelligenti, attraverso la scrittura, la parola, l'udito od ogni altro mezzo, le quali non sono indegne dei buoni Spiriti più di quanto non lo siano, sulla Terra, le comunicazioni degli uomini più eminenti, né le apparizioni, le guarigioni e una miriade di altre manifestazioni, che i libri sacri citano a profusione come opera degli angeli o dei santi. Se dunque gli angeli e i santi hanno prodotto in passato dei fenomeni, perché non dovrebbero produrne anche oggi? Perché i medesimi fatti dovrebbero oggi essere l'opera del diavolo, tra le mani di certe persone, mentre sono reputati miracoli santi tra le mani di altre? Sostenere una simile tesi vuol dire abdicare a ogni logica.
L'autore della citata lettera pastorale è in errore quando afferma che questi fenomeni sono inspiegabili. Al contrario, al giorno d'oggi essi sono perfettamente spiegati, ed è per questo che non si guarda più a essi come a fenomeni sorprendenti e soprannaturali. E se ancora non fossero così spiegati, attribuirli al diavolo non sarebbe più logico di quanto non fosse in passato fare l'onore al diavolo di attribuirgli tutti gli effetti naturali di cui non si comprendeva la causa.
Per ruoli indegni, bisogna intendere i ruoli ridicoli e quelli che consistono nel fare il male; ma non si può qualificare così il ruolo degli Spiriti che praticano il bene e riconducono gli uomini a Dio e alla virtù. Orbene, lo Spiritismo afferma espressamente che i ruoli indegni non fanno parte delle attribuzioni degli Spiriti superiori, così come dimostrano i precetti di seguito riportati.
13. La natura degli Spiriti
si riconosce dal loro linguaggio. Quello dei veramente buoni e superiori
è sempre dignitoso, nobile, logico e senza contraddizioni. Esso rivela
saggezza, benevolenza, modestia e la morale più pura; il loro linguaggio
è conciso e senza parole superflue. Presso gli Spiriti inferiori,
ignoranti od orgogliosi, il vuoto delle idee viene colmato
dall'abbondanza delle parole. Ogni idea evidentemente falsa, ogni
massima contraria alla morale, ogni consiglio ridicolo, ogni espressione
grossolana, pesante o semplicemente frivola, ogni segno, infine, di
malevolenza, di presunzione o di arroganza sono segni incontestabili
della condizione di inferiorità di uno Spirito.
— Gli Spiriti superiori si occupano solo di comunicazioni intelligenti, fatte allo scopo di istruirci. Le manifestazioni fisiche o puramente materiali rientrano in modo particolare nelle attribuzioni degli Spiriti inferiori, volgarmente designati col nome di Spiriti percussori, come fra noi i giochi di abilità sono cose da giocolieri e non da persone dotte. Sarebbe assurdo pensare che gli Spiriti, per poco elevati che siano, si divertano a dare spettacolo (Che cos'è lo Spiritismo, cap. II, nn. 37,40; vedere anche: Il libro degli Spiriti, 2° parte, cap. I: "Differenti ordini di Spiriti" e "Scala spiritista"; Il libro dei Medium, 2° parte, cap. XXIV: "Identità degli Spiriti" e "Distinzione tra i buoni e i cattivi Spiriti").
Qual è l'uomo che, in buona fede, potrebbe vedere in questi precetti un molo indegno attribuito agli Spiriti elevati? Non solo lo Spiritismo non confonde gli Spiriti, ma, mentre si attribuisce ai demoni una intelligenza uguale a quella degli angeli, lo Spiritismo constata, attraverso l'osservazione dei fatti, che gli Spiriti inferiori sono più o meno ignoranti, che il loro orizzonte morale è più o meno limitato e la loro perspicacia ristretta; che delle cose hanno spesso un'idea falsa e incompleta, che sono incapaci di risolvere certe questioni, la qual cosa li mette nell'impossibilità di fare tutto quanto viene attribuito ai demoni.
— Gli Spiriti superiori si occupano solo di comunicazioni intelligenti, fatte allo scopo di istruirci. Le manifestazioni fisiche o puramente materiali rientrano in modo particolare nelle attribuzioni degli Spiriti inferiori, volgarmente designati col nome di Spiriti percussori, come fra noi i giochi di abilità sono cose da giocolieri e non da persone dotte. Sarebbe assurdo pensare che gli Spiriti, per poco elevati che siano, si divertano a dare spettacolo (Che cos'è lo Spiritismo, cap. II, nn. 37,40; vedere anche: Il libro degli Spiriti, 2° parte, cap. I: "Differenti ordini di Spiriti" e "Scala spiritista"; Il libro dei Medium, 2° parte, cap. XXIV: "Identità degli Spiriti" e "Distinzione tra i buoni e i cattivi Spiriti").
Qual è l'uomo che, in buona fede, potrebbe vedere in questi precetti un molo indegno attribuito agli Spiriti elevati? Non solo lo Spiritismo non confonde gli Spiriti, ma, mentre si attribuisce ai demoni una intelligenza uguale a quella degli angeli, lo Spiritismo constata, attraverso l'osservazione dei fatti, che gli Spiriti inferiori sono più o meno ignoranti, che il loro orizzonte morale è più o meno limitato e la loro perspicacia ristretta; che delle cose hanno spesso un'idea falsa e incompleta, che sono incapaci di risolvere certe questioni, la qual cosa li mette nell'impossibilità di fare tutto quanto viene attribuito ai demoni.
14. "Le anime dei morti, che
Dio proibisce di consultare, dimorano nel luogo che ha loro assegnato
la Sua giustizia, ed esse non possono, senza il Suo permesso, mettersi agli ordini dei vivi."
Anche lo Spiritismo dice che esse non possono venire senza il permesso di Dio, ma è ancora molto più rigoroso, perché dice che nessuno Spirito, buono o cattivo, può venire senza questo permesso, mentre la Chiesa attribuisce ai demoni il potere di farne a meno. Anzi, lo Spiritismo va ancora oltre, poiché afferma che, anche con questo permesso, allorché gli Spiriti si presentano all'appello dei vivi, ciò non significa affatto mettersi ai loro ordini.
Lo Spirito evocato viene spontaneamente oppure vi è costretto? — Egli obbedisce alla volontà di Dio, vale a dire alla legge generale che regge l'Universo. Tuttavia, il termine costretto non si adatta al caso, poiché lo Spirito giudica se è utile andare: e qui, ancora, egli esercita il libero arbitrio. Lo Spirito superiore viene sempre quando è chiamato per uno fine utile, egli si rifiuta di rispondere solo negli ambienti di persone poco serie e che trattano la cosa per divertimento (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— Lo Spirito evocato può rifiutarsi di presentarsi all'appello che gli è stato rivolto? — Certamente. Dove sarebbe allora il suo libero arbitrio senza ciò? Ma voi credete che tutti gli esseri dell'Universo siano ai vostri ordini? E voi stessi d'altronde vi credete obbligati a rispondere a tutti quelli che pronunciano il vostro nome? Quando io dico ch'egli si può rifiutare, intendo su domanda dell'evocatore, perché uno Spirito inferiore può essere costretto a venire da uno Spirito superiore (Il libro dei Medium, cap. XXV).
Gli Spiritisti sono talmente convinti che essi non hanno alcun potere diretto sugli Spiriti e che non possono ottenerne niente senza il permesso di Dio, che, quando fanno appello a un qualsiasi Spirito, dicono: Prego Dio onnipotente di permettere a uno Spirito buono di comunicare con me e di farmi scrivere; prego anche il mio angelo custode di volermi assistere con benevolenza e di tenere lontano da me i cattivi Spiriti. Oppure, quando si tratta della chiamata verso un determinato Spirito: Io prego Dio onnipotente di permettere allo Spirito del tal dei tali di comunicare con me (Il libro dei Medium, cap. XVII, n. 203).
Anche lo Spiritismo dice che esse non possono venire senza il permesso di Dio, ma è ancora molto più rigoroso, perché dice che nessuno Spirito, buono o cattivo, può venire senza questo permesso, mentre la Chiesa attribuisce ai demoni il potere di farne a meno. Anzi, lo Spiritismo va ancora oltre, poiché afferma che, anche con questo permesso, allorché gli Spiriti si presentano all'appello dei vivi, ciò non significa affatto mettersi ai loro ordini.
Lo Spirito evocato viene spontaneamente oppure vi è costretto? — Egli obbedisce alla volontà di Dio, vale a dire alla legge generale che regge l'Universo. Tuttavia, il termine costretto non si adatta al caso, poiché lo Spirito giudica se è utile andare: e qui, ancora, egli esercita il libero arbitrio. Lo Spirito superiore viene sempre quando è chiamato per uno fine utile, egli si rifiuta di rispondere solo negli ambienti di persone poco serie e che trattano la cosa per divertimento (Il libro dei Medium, cap. XXV).
— Lo Spirito evocato può rifiutarsi di presentarsi all'appello che gli è stato rivolto? — Certamente. Dove sarebbe allora il suo libero arbitrio senza ciò? Ma voi credete che tutti gli esseri dell'Universo siano ai vostri ordini? E voi stessi d'altronde vi credete obbligati a rispondere a tutti quelli che pronunciano il vostro nome? Quando io dico ch'egli si può rifiutare, intendo su domanda dell'evocatore, perché uno Spirito inferiore può essere costretto a venire da uno Spirito superiore (Il libro dei Medium, cap. XXV).
Gli Spiritisti sono talmente convinti che essi non hanno alcun potere diretto sugli Spiriti e che non possono ottenerne niente senza il permesso di Dio, che, quando fanno appello a un qualsiasi Spirito, dicono: Prego Dio onnipotente di permettere a uno Spirito buono di comunicare con me e di farmi scrivere; prego anche il mio angelo custode di volermi assistere con benevolenza e di tenere lontano da me i cattivi Spiriti. Oppure, quando si tratta della chiamata verso un determinato Spirito: Io prego Dio onnipotente di permettere allo Spirito del tal dei tali di comunicare con me (Il libro dei Medium, cap. XVII, n. 203).
15. Le accuse lanciate dalla
Chiesa contro la pratica delle evocazioninon concernono dunque lo
Spiritismo, poiché esse si riferiscono principalmente alle operazioni
della magia, con la quale lo Spiritismo non ha nulla in comune, poiché
esso condanna, in queste operazioni, ciò che la Chiesa stessa condanna.
Lo Spiritismo, inoltre, non fa esercitare ai buoni Spiriti un ruolo
indegno di essi; esso, infine, dichiara di non chiedere nulla e nulla
ottenere senza il permesso di Dio.
Indubbiamente, possono esserci delle persone che abusano delle evocazioni, che ne fanno un gioco, che le snaturano del loro fine provvidenziale per metterle al servizio dei loro interessi personali; che, per ignoranza, leggerezza, orgoglio o cupidigia, si allontanano dai veri principi della dottrina; ma lo Spiritismo serio condanna queste persone, così come la vera religione condanna i falsi devoti e gli eccessi del fanatismo. Non è dunque né logico né giusto imputare allo Spiritismo in generale gli abusi che esso stesso condanna, o gli errori di coloro che non lo comprendono. Prima di formulare un'accusa, bisogna accertarsi che essa colpisca giusto. Diremo dunque che il biasimo della Chiesa ricade sui ciarlatani, sugli sfruttatori, sulle pratiche di magia e stregoneria; e che su questo la Chiesa ha ragione.
Quando la critica religiosa o scettica smaschera gli abusi e stigmatizza il ciarlatanismo, non fa che mettere meglio in risalto la purezza della sana dottrina, aiutandola così a sbarazzarsi delle malefiche scorie. In tal modo essa facilita il nostro compito. Suo torto è quello di confondere il bene e il male, per ignoranza da parte dei più, per mala fede da parte di alcuni; ma la distinzione che essa non fa, altri la fanno. In tutti i casi, il suo biasimo, al quale ogni Spiritista sincero si associa — nei limiti di ciò che si applica al male —, non può colpire la dottrina.
Indubbiamente, possono esserci delle persone che abusano delle evocazioni, che ne fanno un gioco, che le snaturano del loro fine provvidenziale per metterle al servizio dei loro interessi personali; che, per ignoranza, leggerezza, orgoglio o cupidigia, si allontanano dai veri principi della dottrina; ma lo Spiritismo serio condanna queste persone, così come la vera religione condanna i falsi devoti e gli eccessi del fanatismo. Non è dunque né logico né giusto imputare allo Spiritismo in generale gli abusi che esso stesso condanna, o gli errori di coloro che non lo comprendono. Prima di formulare un'accusa, bisogna accertarsi che essa colpisca giusto. Diremo dunque che il biasimo della Chiesa ricade sui ciarlatani, sugli sfruttatori, sulle pratiche di magia e stregoneria; e che su questo la Chiesa ha ragione.
Quando la critica religiosa o scettica smaschera gli abusi e stigmatizza il ciarlatanismo, non fa che mettere meglio in risalto la purezza della sana dottrina, aiutandola così a sbarazzarsi delle malefiche scorie. In tal modo essa facilita il nostro compito. Suo torto è quello di confondere il bene e il male, per ignoranza da parte dei più, per mala fede da parte di alcuni; ma la distinzione che essa non fa, altri la fanno. In tutti i casi, il suo biasimo, al quale ogni Spiritista sincero si associa — nei limiti di ciò che si applica al male —, non può colpire la dottrina.
16. "Gli esseri misteriosi che accorrono così al primo appello dell'eretico e dell'empio come del fedele, del
delitto come dell'innocenza, non sono né gli inviati di Dio, né gli
apostoli della verità, ma i seguaci dell'errore e dell'inferno."
Così, all'eretico e al criminale, Dio non permette che Spiriti buoni vadano a trarli fuori dall'errore per salvarli dalla perdizione eterna! Egli non invia loro se non i seguaci dell'inferno per meglio inabissarli nel letamaio! Ben di più, Egli non invia all'innocenza che degli esseri perversi per pervertirla! Dunque, tra gli angeli, queste creature da Dio privilegiate, non si trova nessun essere che abbia abbastanza compassione per venire in soccorso di queste anime perdute? A che cosa servono le brillanti qualità di cui essi sono dotati, se vengono impiegate solo per i loro personali godimenti? Sono poi buoni davvero se, immersi nelle delizie della contemplazione, essi vedono queste anime sulla strada dell'inferno, senza preoccuparsi di distoglierle? Non è forse questa l'immagine del ricco egoista che, pur avendo tutto a profusione, lascia, senza pietà, il povero morire di fame davanti alla sua porta? Non è forse questo l'egoismo elevato a virtù e posto ai piedi dell'Eterno?
Voi vi meravigliate che i buoni Spiriti si presentino all'eretico o all'empio; voi dimenticate allora queste parole del Cristo: "Non è colui che è in salute che ha bisogno del medico". Non riuscite voi a vedere le cose da un punto di vista più elevato di quello dei Farisei del suo tempo? E voi stessi, se foste chiamati da un miscredente, vi rifiutereste di andare da lui così da metterlo sulla buona strada? I buoni Spiriti fanno dunque ciò che fareste voi. Essi vanno dall'empio per fargli ascoltare delle buone parole. Invece di scagliare l'anatema sulle comunicazioni d'oltretomba, benedite le vie del Signore e ammirate la Sua onnipotenza e la Sua bontà infinita.
Così, all'eretico e al criminale, Dio non permette che Spiriti buoni vadano a trarli fuori dall'errore per salvarli dalla perdizione eterna! Egli non invia loro se non i seguaci dell'inferno per meglio inabissarli nel letamaio! Ben di più, Egli non invia all'innocenza che degli esseri perversi per pervertirla! Dunque, tra gli angeli, queste creature da Dio privilegiate, non si trova nessun essere che abbia abbastanza compassione per venire in soccorso di queste anime perdute? A che cosa servono le brillanti qualità di cui essi sono dotati, se vengono impiegate solo per i loro personali godimenti? Sono poi buoni davvero se, immersi nelle delizie della contemplazione, essi vedono queste anime sulla strada dell'inferno, senza preoccuparsi di distoglierle? Non è forse questa l'immagine del ricco egoista che, pur avendo tutto a profusione, lascia, senza pietà, il povero morire di fame davanti alla sua porta? Non è forse questo l'egoismo elevato a virtù e posto ai piedi dell'Eterno?
Voi vi meravigliate che i buoni Spiriti si presentino all'eretico o all'empio; voi dimenticate allora queste parole del Cristo: "Non è colui che è in salute che ha bisogno del medico". Non riuscite voi a vedere le cose da un punto di vista più elevato di quello dei Farisei del suo tempo? E voi stessi, se foste chiamati da un miscredente, vi rifiutereste di andare da lui così da metterlo sulla buona strada? I buoni Spiriti fanno dunque ciò che fareste voi. Essi vanno dall'empio per fargli ascoltare delle buone parole. Invece di scagliare l'anatema sulle comunicazioni d'oltretomba, benedite le vie del Signore e ammirate la Sua onnipotenza e la Sua bontà infinita.
17. Ci sono, si dice, gli
angeli custodi. Ma quando questi angeli custodi non possono farsi
ascoltare attraverso la voce misteriosa della coscienza o
dell'ispirazione, perché non dovrebbero impiegare dei mezzi d'azione più
diretti e più materiali, in modo da colpire i sensi, dal momento che
tali mezzi esistono? Dio dunque mette questi mezzi — che sono opera Sua,
poiché tutto viene da Lui e poiché niente avviene senza il Suo permesso
— a disposizione dei soli Spiriti malvagi, mentre rifiuta a quelli
buoni di servirsene? Da ciò, bisogna concludere che Dio dà ai demoni
maggiori possibilità per danneggiare gli uomini, di quante non ne dia
agli angeli custodi per salvarli.
Ebbene, ciò che, secondo la Chiesa, non possono fare gli angeli custodi lo fanno i demoni per loro. Con l'aiuto di quelle stesse comunicazioni cosiddette infernali, essi riconducono a Dio coloro che Lo rinnegavano, al bene coloro che erano immersi nel male; essi ci offrono lo strano spettacolo di milioni di uomini che credono in Dio grazie alla potenza del diavolo, quando la Chiesa si era mostrata impotente a convertirli. Quanti uomini che non pregavano mai pregano oggi con fervore, grazie agli ammaestramenti di quegli stessi demoni! Quanti se ne vedono che, orgogliosi, egoisti e debosciati, sono divenuti umili, caritatevoli e temperanti! E poi si dice che questa è opera dei demoni! Se è così, bisogna convenire che il diavolo ha loro reso un più grande servizio e li ha assistiti meglio degli angeli. Bisogna avere una ben misera opinione del buon senso degli uomini in questo secolo, per credere ch'essi possano accettare ciecamente tali idee. Una religione, che fa d'una simile dottrina il suo cardine, che si dichiara privata delle sue fondamenta se le si levano i suoi diavoli, il suo inferno, le sue pene eterne e il suo Dio senza pietà, è una religione votata al suicidio.
Ebbene, ciò che, secondo la Chiesa, non possono fare gli angeli custodi lo fanno i demoni per loro. Con l'aiuto di quelle stesse comunicazioni cosiddette infernali, essi riconducono a Dio coloro che Lo rinnegavano, al bene coloro che erano immersi nel male; essi ci offrono lo strano spettacolo di milioni di uomini che credono in Dio grazie alla potenza del diavolo, quando la Chiesa si era mostrata impotente a convertirli. Quanti uomini che non pregavano mai pregano oggi con fervore, grazie agli ammaestramenti di quegli stessi demoni! Quanti se ne vedono che, orgogliosi, egoisti e debosciati, sono divenuti umili, caritatevoli e temperanti! E poi si dice che questa è opera dei demoni! Se è così, bisogna convenire che il diavolo ha loro reso un più grande servizio e li ha assistiti meglio degli angeli. Bisogna avere una ben misera opinione del buon senso degli uomini in questo secolo, per credere ch'essi possano accettare ciecamente tali idee. Una religione, che fa d'una simile dottrina il suo cardine, che si dichiara privata delle sue fondamenta se le si levano i suoi diavoli, il suo inferno, le sue pene eterne e il suo Dio senza pietà, è una religione votata al suicidio.
18. Dio, dicono, il quale ha
inviato il Suo Cristo per salvare gli uomini, non ha forse dimostrato
il Suo amore per le Sue creature? Le ha forse lasciate senza protezione?
Indubbiamente, il Cristo è il divino Messia, inviato per insegnare agli
uomini la verità e mostrare loro la buona via. Ma contate — e soltanto
dopo la sua venuta — il numero di coloro che hanno potuto intendere la
sua parola di verità, quanti sono morti e quanti morranno senza
conoscerla, e, fra coloro che la conoscono, quanti sono quelli che la
mettono in pratica! Perché Dio, nella Sua sollecitudine per la salvezza
dei Suoi figli, non dovrebbe inviare loro altri messaggeri, che vengano
su tutta la Terra, entrando nelle abitazioni più umili, presso grandi e
piccoli, presso sapienti e ignoranti, presso credenti e non credenti,
per insegnare la verità a coloro che non la conoscono, per farla
comprendere a coloro che non la comprendono, per supplire con il loro
insegnamento diretto e molteplice all'insufficienza
della diffusione del Vangelo e accelerare così l'avvento del regno di
Dio? E quando questi messaggeri arrivano in masse innumerevoli, aprendo
gli occhi ai ciechi, convertendo gli empi, guarendo i malati, consolando
gli afflitti sull'esempio di Gesù, voi li respingete, voi ripudiate il
bene che fanno, dicendo che sono demoni! Tale è anche il linguaggio dei
Farisei riguardo a Gesù, poiché anch'essi dicevano che praticava il bene
attraverso il potere del diavolo. Che cosa rispose Gesù? "Riconoscete
l'albero dal suo frutto. Un cattivo albero non può dare buoni frutti."
Ma per loro, i frutti prodotti da Gesù erano cattivi, poiché egli veniva
a distruggere gli abusi e a proclamare la libertà che avrebbe dovuto
abbattere la loro autorità. Se egli fosse venuto a blandire il loro
orgoglio, a convalidare le loro prevaricazioni e a fiancheggiare il loro
potere, egli sarebbe stato ai loro occhi il Messia atteso dai Giudei.
Egli era solo, povero e debole, essi l'hanno fatto morire e hanno
creduto di uccidere la sua parola; ma la sua parola era divina e gli è
sopravvissuta. Tuttavia essa si è propagata con lentezza, e dopo
diciotto secoli è conosciuta appena dalla decima parte del genere umano,
e numerosi scismi sono scoppiati persino in seno alla cristianità. Ed è
allora che Dio, nella Sua misericordia, invia gli Spiriti per
confermarla, per completarla, per metterla alla portata di tutti e per
diffonderla su tutta la Terra. Ma gli Spiriti non sono incarnati in un
solo uomo, la cui voce sarebbe stata limitata; essi sono innumerevoli,
vanno dappertutto e non li si può afferrare: ecco perché il loro
insegnamento si diffonde con la rapidità del lampo. Essi parlano al
cuore e alla ragione: ecco perché sono compresi dai più umili.
19. "Ma, voi dite, non è
indegno di celesti messaggeri trasmettere le loro istruzioni con un
mezzo così volgare come quello delle tavole parlanti? Non è oltraggiarli
supporre ch'essi si divertano con delle trivialità e lascino la loro
meravigliosa dimora per mettersi a disposizione del primo venuto?"
Gesù non ha forse lasciato la dimora del Padre suo per nascere in una stalla? D'altronde, dove mai avete visto che lo Spiritismo attribuisce le cose volgari a degli Spiriti superiori? Esso dice proprio il contrario, asserendo che le cose volgari sono il prodotto degli Spiriti volgari. Ma, per la loro stessa volgarità, tali cose non hanno fatto altro che colpire di più le immaginazioni; esse sono servite a provare l'esistenza del mondo spirituale e hanno mostrato che questo mondo è tutt'altro da come uno se lo era figurato. Era l'inizio; era semplice come tutto ciò che inizia. Ma l'albero nato da un piccolo seme, non estende meno, più tardi, il suo fogliame. Chi avrebbe mai creduto che, dalla misera mangiatoia di Betlemme, sarebbe uscita un giorno la parola che doveva sconvolgere il mondo?
Sì, il Cristo è il divino Messia. Sì, la sua è la parola di verità. Sì, la religione fondata su questa parola sarà incrollabile, ma a condizione di seguire e di praticare i suoi sublimi insegnamenti e di non fare del Dio giusto e buono, che Gesù ci insegna a conoscere, un Dio parziale, vendicativo e senza pietà.
Gesù non ha forse lasciato la dimora del Padre suo per nascere in una stalla? D'altronde, dove mai avete visto che lo Spiritismo attribuisce le cose volgari a degli Spiriti superiori? Esso dice proprio il contrario, asserendo che le cose volgari sono il prodotto degli Spiriti volgari. Ma, per la loro stessa volgarità, tali cose non hanno fatto altro che colpire di più le immaginazioni; esse sono servite a provare l'esistenza del mondo spirituale e hanno mostrato che questo mondo è tutt'altro da come uno se lo era figurato. Era l'inizio; era semplice come tutto ciò che inizia. Ma l'albero nato da un piccolo seme, non estende meno, più tardi, il suo fogliame. Chi avrebbe mai creduto che, dalla misera mangiatoia di Betlemme, sarebbe uscita un giorno la parola che doveva sconvolgere il mondo?
Sì, il Cristo è il divino Messia. Sì, la sua è la parola di verità. Sì, la religione fondata su questa parola sarà incrollabile, ma a condizione di seguire e di praticare i suoi sublimi insegnamenti e di non fare del Dio giusto e buono, che Gesù ci insegna a conoscere, un Dio parziale, vendicativo e senza pietà.
Capitolo XI - DELLA PROIBIZIONE DI EVOCARE I MORTI
1. La chiesa non nega in
alcun modo la realtà delle manifestazioni; essa, al contrario, le
ammette tutte, come abbiamo visto nelle citazioni precedenti, solo che
le attribuisce all'esclusivo intervento dei demoni. È a torto che alcuni
invochino il Vangelo per interdirle, dal momento che il Vangelo non ne
fa parola. L'argomento supremo che si fa valere è la proibizione di
Mosè. Qui di seguito diamo i termini coi quali si riferisce
all'argomento l'Autore della medesima pastorale, citata nei capitoli
precedenti.
"Non è permesso mettersi in rapporto con essi (gli Spiriti), sia immediatamente, sia attraverso la mediazione di coloro che li invocano e li interrogano. La legge mosaica puniva con la morte quei Gentili che esercitavano queste pratiche detestabili, in uso presso di loro.
'Non vi rivolgete agli Spiriti, né agli indovini,' è detto nel libro del Levitico; 'non li consultate, per non contaminarvi a causa loro'" (Levitico 19:31).
"Se un uomo o una donna sono negromanti o indovini dovranno essere messi a morte; saranno lapidati; il loro sangue ricadrà su di loro" (Levitico 20:27). E nel libro del Deuteronomio si legge: "Non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco, né chi esercita la divinazione, né astrologo, né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli Spiriti, né chi dice la fortuna, né negromante, perché il Signore detesta chiunque fa queste cose; a motivo di queste pratiche abominevoli, il Signore, il tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni dinanzi a te" (Deuteronomio 18:10-12).
"Non è permesso mettersi in rapporto con essi (gli Spiriti), sia immediatamente, sia attraverso la mediazione di coloro che li invocano e li interrogano. La legge mosaica puniva con la morte quei Gentili che esercitavano queste pratiche detestabili, in uso presso di loro.
'Non vi rivolgete agli Spiriti, né agli indovini,' è detto nel libro del Levitico; 'non li consultate, per non contaminarvi a causa loro'" (Levitico 19:31).
"Se un uomo o una donna sono negromanti o indovini dovranno essere messi a morte; saranno lapidati; il loro sangue ricadrà su di loro" (Levitico 20:27). E nel libro del Deuteronomio si legge: "Non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco, né chi esercita la divinazione, né astrologo, né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli Spiriti, né chi dice la fortuna, né negromante, perché il Signore detesta chiunque fa queste cose; a motivo di queste pratiche abominevoli, il Signore, il tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni dinanzi a te" (Deuteronomio 18:10-12).
2. È utile, per la comprensione del vero senso delle parole di Mosè, ricordarne il testo completo ancora una volta:
"Non vi rivolgete agli Spiriti, né agli indovini, non li consultate, per non contaminarvi a causa loro. Io sono il Signore vostro Dio" (Levitico 19:31)
"Se un uomo o una donna sono negromanti o indovini dovranno essere messi a morte; saranno lapidati; il loro sangue ricadrà su di loro" (Levitico 20:27).
"Quando sarai entrato nel paese che il Signore, il tuo Dio, ti dà, non imparerai a imitare le pratiche abominevoli di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco, né chi esercita la divinazione, né astrologo, né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli Spiriti, né chi dice la fortuna, né negromante, perché il Signore detesta chiunque fa queste cose; a motivo di queste pratiche abominevoli, il Signore, il tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni dinanzi a te" (Deuteronomio 18:9-12).
"Non vi rivolgete agli Spiriti, né agli indovini, non li consultate, per non contaminarvi a causa loro. Io sono il Signore vostro Dio" (Levitico 19:31)
"Se un uomo o una donna sono negromanti o indovini dovranno essere messi a morte; saranno lapidati; il loro sangue ricadrà su di loro" (Levitico 20:27).
"Quando sarai entrato nel paese che il Signore, il tuo Dio, ti dà, non imparerai a imitare le pratiche abominevoli di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco, né chi esercita la divinazione, né astrologo, né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli Spiriti, né chi dice la fortuna, né negromante, perché il Signore detesta chiunque fa queste cose; a motivo di queste pratiche abominevoli, il Signore, il tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni dinanzi a te" (Deuteronomio 18:9-12).
3. Se la legge di Mosè deve
essere rigorosamente osservata su questo punto, egualmente deve esserlo
su tutti gli altri. Infatti, perché essa dovrebbe essere positiva per
ciò che concerne le evocazioni, e negativa per altre cose? È necessario
essere coerenti. Se si riconosce che la sua legge non è più in armonia
con i nostri costumi e con la nostra epoca per certe cose, non c'è
ragione perché non sia lo stesso per la proibizione di cui si parla.
D'altronde, è necessario rifarsi ai motivi che hanno provocato questa proibizione, motivi che avevano allora la loro ragion d'essere, ma che di certo non esistono più oggi. Il legislatore ebraico voleva che il suo popolo rompesse con tutti i costumi acquisiti in Egitto, dove quello delle evocazioni era in uso e costituiva soggetto d'abuso, come dimostrano queste parole d'Isaia: "Lo Spirito che anima l'Egitto svanirà, io renderò vani i suoi disegni; quelli consulteranno gli idoli, gli incantatori, gli evocatori di Spiriti e gli indovini" (Isaia 19:3).
Inoltre, gli Israeliti non dovevano contrarre alcuna alleanza con le nazioni straniere; e ora, stavano per ritornare le medesime pratiche presso quelle nazioni in cui erano sul punto di entrare e che dovevano combattere. Mosè dovette, dunque, per cause pratiche, infondere nel popolo ebraico, avversione per tutte quelle loro usanze che sarebbero potute diventare dei punti di contatto, se il popolo ebraico le avesse assimilate. Per giustificare questa avversione, bisognava presentare queste usanze come se fossero state condannate da Dio stesso. Da qui queste parole: Signore ha in orrore tutte queste cose; e distruggerà, al vostro arrivo, quelle nazioni che commettono questi crimini" (Deuteronomio 18:12).
D'altronde, è necessario rifarsi ai motivi che hanno provocato questa proibizione, motivi che avevano allora la loro ragion d'essere, ma che di certo non esistono più oggi. Il legislatore ebraico voleva che il suo popolo rompesse con tutti i costumi acquisiti in Egitto, dove quello delle evocazioni era in uso e costituiva soggetto d'abuso, come dimostrano queste parole d'Isaia: "Lo Spirito che anima l'Egitto svanirà, io renderò vani i suoi disegni; quelli consulteranno gli idoli, gli incantatori, gli evocatori di Spiriti e gli indovini" (Isaia 19:3).
Inoltre, gli Israeliti non dovevano contrarre alcuna alleanza con le nazioni straniere; e ora, stavano per ritornare le medesime pratiche presso quelle nazioni in cui erano sul punto di entrare e che dovevano combattere. Mosè dovette, dunque, per cause pratiche, infondere nel popolo ebraico, avversione per tutte quelle loro usanze che sarebbero potute diventare dei punti di contatto, se il popolo ebraico le avesse assimilate. Per giustificare questa avversione, bisognava presentare queste usanze come se fossero state condannate da Dio stesso. Da qui queste parole: Signore ha in orrore tutte queste cose; e distruggerà, al vostro arrivo, quelle nazioni che commettono questi crimini" (Deuteronomio 18:12).
4. La proibizione di Mosè
era tanto più giustificabile in quanto non si evocavano i morti per
rispetto e affetto verso di loro, né per un sentimento di pietà; era un
mezzo di divinazione, allo stesso modo dei vaticini e dei presagi,
utilizzati dalla ciarlataneria e dalla superstizione. Per quanto abbia
potuto fare, Mosè non ottenne di sradicare queste abitudini diventate
l'oggetto di un traffico, come dimostrano i seguenti passaggi del
medesimo profeta:
"Se vi si dice: 'Consultate quelli che evocano gli Spiriti e gli indovini, quelli che sussurrano e bisbigliano', rispondete: 'Un popolo non deve forse consultare il suo Dio? Si rivolgerà forse ai morti in favore dei vivi?'" (Isaia 8:19)
"Io rendo vani i presagi degli impostori e rendo insensati gli indovini; io faccio indietreggiare i saggi e muto la loro scienza in follia" (Isaia 44:25).
"Si alzino dunque quelli che misurano il cielo, che osservano le stelle, che fanno pronostici a ogni novilunio; ti salvino essi dalle cose che ti piomberanno addosso! Ecco, essi sono come stoppia; il fuoco li consuma; non salveranno la loro vita dalla violenza della fiamma; non ne rimarrà brace a cui scaldarsi, né fuoco davanti al quale sedersi. Così sarà la sorte di quelli intorno a cui ti sei affaticata. Quelli che hanno trafficato con te fin dalla tua giovinezza andranno senza meta ognuno per conto suo e non ci sarà nessuno che ti salvi." (Isaia 47:13-15)
In questo capitolo, Isaia si rivolge ai Babilonesi, sotto la figura allegorica della "vergine figlia di Babilonia,... figlia dei Caldei" (Isaia 47:1). Egli dice che gli incantatori non impediranno la rovina della loro monarchia. Nel capitolo che segue, Isaia si rivolge direttamente agli Israeliti.
"Ma voi, avvicinatevi qua, figli della incantatrice, discendenza dell'adultero e della prostituta! Alle spalle di chi vi divertite? Verso chi aprite larga la bocca e cacciate fuori la lingua? Voi non siete forse figli di ribellione, progenie della menzogna, voi che v'infiammate fra i terebinti sotto ogni albero verdeggiante, che scannate i figli nelle valli sotto i crepacci delle rocce? La tua sorte è fra le pietre lisce del torrente; quelle, quelle son la fine che ti è toccata; a quelle tu hai fatto libazioni e hai presentato offerte. Posso io tollerare queste cose?" (Isaia 57:3-6)
Queste parole sono inequivocabili. Esse provano chiaramente che, in quel tempo, le evocazioni avevano come fine la divinazione e che se ne faceva commercio; esse erano associate alle pratiche della magia e della stregoneria e accompagnate anche da sacrifici umani. Mosè aveva dunque ragione a proibire queste cose e a dire che Dio le aborriva. Queste pratiche superstiziose si sono perpetuate fino al Medioevo; ma oggi la ragione ne ha fatto giustizia, e lo Spiritismo è venuto per mostrare lo scopo esclusivamente morale, consolatore e religioso delle relazioni d'oltretomba. Poiché gli Spiritisti non sacrificano le piccole creature e non spargono liquori per onorare gli dei; poiché non interrogano né gli astri né i morti né gli àuguri per conoscere il futuro, che Dio ha saggiamente tenuto nascosto agli uomini; poiché rifiutano di esercitare ogni traffico attraverso la facoltà — che alcuni hanno ricevuto — di comunicare con gli Spiriti; poiché non sono spinti né dalla cupidigia, ma da un sentimento pio e dal solo desiderio di istruirsi, di migliorarsi e di sollevare le anime sofferenti, la proibizione di Mosè non li riguarda in nessun modo. Questo è ciò che avrebbero visto coloro che la invocano contro gli Spiritisti, se avessero meglio approfondito il senso delle parole bibliche. Essi avrebbero riconosciuto che non esiste alcuna analogia tra ciò che accadeva tra gli Ebrei e ciò che insegnano i principi dello Spiritismo. Molto di più: avrebbero riconosciuto che lo Spiritismo condanna precisamente quelle stesse cose che costituivano le motivazioni della proibizione di Mosè. Ma, accecati dal desiderio di trovare un argomento contro le idee nuove, essi non si sono accorti che questo argomento poggia completamente sul falso.
La legge civile dei nostri giorni punisce tutti gli abusi che voleva reprimere Mosè. Se Mosè ha decretato il supplizio capitale contro i delinquenti, è perché aveva bisogno di mezzi rigorosi per governare quel popolo indisciplinato; così la pena di morte è largamente comminata nella sua legislazione. Egli, d'altronde, non aveva una grande scelta tra i suoi mezzi di repressione: non aveva né prigioni, né case di correzione nel deserto, né il suo popolo era tale da aver paura di pene puramente disciplinari; né poteva egli graduare le pene come si fa ai giorni nostri. È dunque a torto che ci basa sulla severità del castigo per provare il grado di colpevolezza riguardo all'evocazione dei morti. Fosse che, per rispetto verso la legge di Mosè, si dovrebbe mantenere la pena capitale in tutti i casi in cui essa veniva applicata? C'è da chiedersi, allora, perché si faccia rivivere con tanta insistenza questo articolo della legge, mentre si passa sotto silenzio l'inizio del capitolo in cui viene affermato: "I sacerdoti levitici, tutta quanta la tribù di Levi, non avranno parte né eredità con Israele; vivranno dei sacrifici consumati dal fuoco per il Signore e della eredità di lui. Non avranno, dico, alcuna eredità tra i loro fratelli; il Signore è la loro eredità, come egli ha detto loro" (Deuteronomio 18:1-2).
"Se vi si dice: 'Consultate quelli che evocano gli Spiriti e gli indovini, quelli che sussurrano e bisbigliano', rispondete: 'Un popolo non deve forse consultare il suo Dio? Si rivolgerà forse ai morti in favore dei vivi?'" (Isaia 8:19)
"Io rendo vani i presagi degli impostori e rendo insensati gli indovini; io faccio indietreggiare i saggi e muto la loro scienza in follia" (Isaia 44:25).
"Si alzino dunque quelli che misurano il cielo, che osservano le stelle, che fanno pronostici a ogni novilunio; ti salvino essi dalle cose che ti piomberanno addosso! Ecco, essi sono come stoppia; il fuoco li consuma; non salveranno la loro vita dalla violenza della fiamma; non ne rimarrà brace a cui scaldarsi, né fuoco davanti al quale sedersi. Così sarà la sorte di quelli intorno a cui ti sei affaticata. Quelli che hanno trafficato con te fin dalla tua giovinezza andranno senza meta ognuno per conto suo e non ci sarà nessuno che ti salvi." (Isaia 47:13-15)
In questo capitolo, Isaia si rivolge ai Babilonesi, sotto la figura allegorica della "vergine figlia di Babilonia,... figlia dei Caldei" (Isaia 47:1). Egli dice che gli incantatori non impediranno la rovina della loro monarchia. Nel capitolo che segue, Isaia si rivolge direttamente agli Israeliti.
"Ma voi, avvicinatevi qua, figli della incantatrice, discendenza dell'adultero e della prostituta! Alle spalle di chi vi divertite? Verso chi aprite larga la bocca e cacciate fuori la lingua? Voi non siete forse figli di ribellione, progenie della menzogna, voi che v'infiammate fra i terebinti sotto ogni albero verdeggiante, che scannate i figli nelle valli sotto i crepacci delle rocce? La tua sorte è fra le pietre lisce del torrente; quelle, quelle son la fine che ti è toccata; a quelle tu hai fatto libazioni e hai presentato offerte. Posso io tollerare queste cose?" (Isaia 57:3-6)
Queste parole sono inequivocabili. Esse provano chiaramente che, in quel tempo, le evocazioni avevano come fine la divinazione e che se ne faceva commercio; esse erano associate alle pratiche della magia e della stregoneria e accompagnate anche da sacrifici umani. Mosè aveva dunque ragione a proibire queste cose e a dire che Dio le aborriva. Queste pratiche superstiziose si sono perpetuate fino al Medioevo; ma oggi la ragione ne ha fatto giustizia, e lo Spiritismo è venuto per mostrare lo scopo esclusivamente morale, consolatore e religioso delle relazioni d'oltretomba. Poiché gli Spiritisti non sacrificano le piccole creature e non spargono liquori per onorare gli dei; poiché non interrogano né gli astri né i morti né gli àuguri per conoscere il futuro, che Dio ha saggiamente tenuto nascosto agli uomini; poiché rifiutano di esercitare ogni traffico attraverso la facoltà — che alcuni hanno ricevuto — di comunicare con gli Spiriti; poiché non sono spinti né dalla cupidigia, ma da un sentimento pio e dal solo desiderio di istruirsi, di migliorarsi e di sollevare le anime sofferenti, la proibizione di Mosè non li riguarda in nessun modo. Questo è ciò che avrebbero visto coloro che la invocano contro gli Spiritisti, se avessero meglio approfondito il senso delle parole bibliche. Essi avrebbero riconosciuto che non esiste alcuna analogia tra ciò che accadeva tra gli Ebrei e ciò che insegnano i principi dello Spiritismo. Molto di più: avrebbero riconosciuto che lo Spiritismo condanna precisamente quelle stesse cose che costituivano le motivazioni della proibizione di Mosè. Ma, accecati dal desiderio di trovare un argomento contro le idee nuove, essi non si sono accorti che questo argomento poggia completamente sul falso.
La legge civile dei nostri giorni punisce tutti gli abusi che voleva reprimere Mosè. Se Mosè ha decretato il supplizio capitale contro i delinquenti, è perché aveva bisogno di mezzi rigorosi per governare quel popolo indisciplinato; così la pena di morte è largamente comminata nella sua legislazione. Egli, d'altronde, non aveva una grande scelta tra i suoi mezzi di repressione: non aveva né prigioni, né case di correzione nel deserto, né il suo popolo era tale da aver paura di pene puramente disciplinari; né poteva egli graduare le pene come si fa ai giorni nostri. È dunque a torto che ci basa sulla severità del castigo per provare il grado di colpevolezza riguardo all'evocazione dei morti. Fosse che, per rispetto verso la legge di Mosè, si dovrebbe mantenere la pena capitale in tutti i casi in cui essa veniva applicata? C'è da chiedersi, allora, perché si faccia rivivere con tanta insistenza questo articolo della legge, mentre si passa sotto silenzio l'inizio del capitolo in cui viene affermato: "I sacerdoti levitici, tutta quanta la tribù di Levi, non avranno parte né eredità con Israele; vivranno dei sacrifici consumati dal fuoco per il Signore e della eredità di lui. Non avranno, dico, alcuna eredità tra i loro fratelli; il Signore è la loro eredità, come egli ha detto loro" (Deuteronomio 18:1-2).
5. Ci sono due parti
distinte nella legge di Mosè: la legge di Dio propriamente detta,
promulgata sul monte Sinai, e la legge civile o disciplinare, adeguata
ai costumi e al carattere del popolo. L'una è invariabile, l'altra si
modifica a seconda dei tempi, e a nessuno può venire in mente che noi
potremmo essere governati allo stesso modo degli Ebrei nel deserto, così
come i capitolari di Carlomagno non potrebbero applicarsi alla Francia
del diciannovesimo secolo. Né troveremmo chi penserebbe, per esempio, di
far rivivere oggi questo articolo della legge mosaica: "Se un bue
ferisce a morte, con le corna, un uomo o una donna, il bue dovrà essere
lapidato, non se ne mangerà la carne e il padrone del bue sarà assolto" (Esodo 21:28).
Questo articolo, che a noi sembra così assurdo, non aveva tuttavia quale obiettivo di punire il bue e di mandare assolto il suo padrone; esso equivaleva semplicemente alla confisca dell'animale, causa dell'incidente, per obbligare il proprietario a una maggiore sorveglianza. La perdita del bue era la punizione per il padrone, punizione che doveva essere abbastanza notevole per un popolo di pastori, da non dovergliene infliggere altre. Ma tale pena non doveva procurare vantaggi a nessuno: è per questo che era vietato mangiare la carne del bue abbattuto. Altri articoli di legge esaminano il caso in cui il padrone è responsabile.
Tutto aveva la sua ragion d'essere nella legislazione di Mosè, perché tutto vi era previsto fin nei minimi dettagli. Ma la forma così come l'essenza delle leggi mosaiche obbedivano alle circostanze in cui egli si trovava. Se Mosè ritornasse oggi a dare un codice a una nazione civile dell'Europa, certamente non le darebbe quello che aveva dato agli Ebrei.
Questo articolo, che a noi sembra così assurdo, non aveva tuttavia quale obiettivo di punire il bue e di mandare assolto il suo padrone; esso equivaleva semplicemente alla confisca dell'animale, causa dell'incidente, per obbligare il proprietario a una maggiore sorveglianza. La perdita del bue era la punizione per il padrone, punizione che doveva essere abbastanza notevole per un popolo di pastori, da non dovergliene infliggere altre. Ma tale pena non doveva procurare vantaggi a nessuno: è per questo che era vietato mangiare la carne del bue abbattuto. Altri articoli di legge esaminano il caso in cui il padrone è responsabile.
Tutto aveva la sua ragion d'essere nella legislazione di Mosè, perché tutto vi era previsto fin nei minimi dettagli. Ma la forma così come l'essenza delle leggi mosaiche obbedivano alle circostanze in cui egli si trovava. Se Mosè ritornasse oggi a dare un codice a una nazione civile dell'Europa, certamente non le darebbe quello che aveva dato agli Ebrei.
6. A ciò si obietta che
tutte le leggi di Mosè sono prescritte in nome di Dio, come quella del
Sinai. Se le si giudicano tutte di origine divina, perché i comandamenti
sono limitati al decalogo? Il fatto è che se ne fece, dunque, una
differenza. Se tutte queste leggi originano da Dio, tutte sono
egualmente obbligatorie; perché allora non vengono tutte osservate?
Perché, inoltre, non si è mantenuta la circoncisione, a cui Gesù si
sottopose e che non abolì affatto? Ci si dimentica che tutti gli antichi
legislatori, per dare maggiore autorità alle loro leggi, raccontavano
di averle ricevute da una divinità. Mosè, più di ogni altro, aveva
bisogno di questo appoggio, a causa del carattere del suo popolo; se,
nonostante ciò, egli penò tanto per farsi obbedire, sarebbe stato ben
peggio se avesse promulgato le leggi a nome proprio.
Gesù non è forse venuto per modificare la legge mosaica, e la sua legge non è forse il codice dei Cristiani? Non ha forse egli detto: "Voi avete appreso che è stata detta agli Antichi la tale e tal cosa, e io vi dico la tal'altra cosa"? Ma ha forse toccata la legge del Sinai? In nessun modo. Egli anzi la conferma, e tutta la sua dottrina morale non ne è che lo sviluppo. Orbene, in nessuna parte, Gesù allude mai alla proibizione di evocare i morti. Questa, tuttavia, era una questione abbastanza grave e tale da non essere omessa nei suoi insegnamenti dal momento che trattò questioni ben più secondarie.
Gesù non è forse venuto per modificare la legge mosaica, e la sua legge non è forse il codice dei Cristiani? Non ha forse egli detto: "Voi avete appreso che è stata detta agli Antichi la tale e tal cosa, e io vi dico la tal'altra cosa"? Ma ha forse toccata la legge del Sinai? In nessun modo. Egli anzi la conferma, e tutta la sua dottrina morale non ne è che lo sviluppo. Orbene, in nessuna parte, Gesù allude mai alla proibizione di evocare i morti. Questa, tuttavia, era una questione abbastanza grave e tale da non essere omessa nei suoi insegnamenti dal momento che trattò questioni ben più secondarie.
7. In sintesi, si tratta di
sapere se la Chiesa pone la legge mosaica al di sopra della legge
evangelica, vale a dire se è più giudea che cristiana. C'è anche da
osservare che, di tutte le religioni, quella che ha fatto meno
opposizione allo Spiritismo è l'ebraica, la quale è anche quella che non
ha invocato, contro le relazioni con i morti, la legge di Mosè a cui
fanno riferimento le sette cristiane.
8. Altra contraddizione. Se
Mosè ha proibito di evocare gli Spiriti dei morti, è dunque perché
questi Spiriti potevano presentarsi, altrimenti la sua proibizione non
avrebbe avuto senso. Se essi, ai suoi tempi, potevano venire lo possono
ancora oggi. E se quelli che vediamo sono gli Spiriti dei morti, non
sono allora esclusivamente demoni. Del resto, Mosè non parla
assolutamente di questi ultimi.
È dunque evidente che non ci si può logicamente basare sulla legge di Mosè in questa circostanza, per due specifici motivi: primo, perché tale legge non è alla base del Cristianesimo e, secondo, perché essa non è adatta ai costumi della nostra epoca. Ma anche accordandole tutta l'autorità che pure alcuni le accordano, essa non può, come abbiamo visto, essere applicata allo Spiritismo.
Mosè, è vero, nella sua proibizione, annovera anche l'interrogazione dei morti; ma ciò avviene in modo secondario e in quanto accessorio delle pratiche della magia. Il termine stesso interrogazione, messo accanto agli indovini e agli àuguri, prova che, presso gli Ebrei, le evocazioni erano un mezzo di divinazione; ora, gli Spiritisti non evocano i morti per ottenere delle rivelazioni illecite, ma per riceverne saggi consigli e procurare sollievo a coloro che soffrono. Certamente, se gli Ebrei si fossero serviti delle comunicazioni d'oltretomba solo con questo scopo, lungi dal proibirle, Mosè le avrebbe, invece, incoraggiate, perché esse avrebbero reso il suo popolo più trattabile.
È dunque evidente che non ci si può logicamente basare sulla legge di Mosè in questa circostanza, per due specifici motivi: primo, perché tale legge non è alla base del Cristianesimo e, secondo, perché essa non è adatta ai costumi della nostra epoca. Ma anche accordandole tutta l'autorità che pure alcuni le accordano, essa non può, come abbiamo visto, essere applicata allo Spiritismo.
Mosè, è vero, nella sua proibizione, annovera anche l'interrogazione dei morti; ma ciò avviene in modo secondario e in quanto accessorio delle pratiche della magia. Il termine stesso interrogazione, messo accanto agli indovini e agli àuguri, prova che, presso gli Ebrei, le evocazioni erano un mezzo di divinazione; ora, gli Spiritisti non evocano i morti per ottenere delle rivelazioni illecite, ma per riceverne saggi consigli e procurare sollievo a coloro che soffrono. Certamente, se gli Ebrei si fossero serviti delle comunicazioni d'oltretomba solo con questo scopo, lungi dal proibirle, Mosè le avrebbe, invece, incoraggiate, perché esse avrebbero reso il suo popolo più trattabile.
9. Se ad alcuni critici
faceti o malintenzionati è piaciuto presentare le riunioni spiritiste
come delle assemblee di stregoni e di negromanti, e i medium come degli
indovini; se alcuni ciarlatani mescolano il nome dello Spiritismo a
pratiche ridicole che esso sconfessa, molti sono quelli che sanno bene
come regolarsi riguardo al carattere essenzialmente morale e austero
delle riunioni dello Spiritismo serio. Oltre a questo, la Dottrina, in
libri alla portata di tutti, leva alte proteste contro gli abusi di ogni
genere, perché la calunnia ricada su chi la merita.
10. L'evocazione, si dice, è
una mancanza di rispetto per i morti, di cui non bisogna turbare le
ceneri. Chi dice questo? Sono gli antagonisti di due campi opposti che
si danno la mano: i non credenti, che non credono alle anime, e quelli che, pur credendovi, pretendono che esse non possano venire, e che si presenti il solo demonio.
Quando l'evocazione è fatta religiosamente e con raccoglimento; quando gli Spiriti sono chiamati, non per curiosità, ma per un sentimento di affetto e di simpatia, e con il desiderio sincero di istruirsi e di diventare migliori, non si vede che cosa ci sarebbe d'irriverente nel chiamare le persone dopo la morte piuttosto che quando sono ancora in vita. Ma c'è un'altra risposta perentoria a questa obiezione, ed è quella secondo cui gli Spiriti vengono liberamente e non per costrizione; vengono spontaneamente anche senza essere chiamati; testimoniano la loro soddisfazione nel comunicare con gli uomini e s i lamentano spesso dell'oblio in cui sono a volte lasciati. Se fossero disturbati nella loro quiete o fossero scontenti del nostro appello, essi lo direbbero oppure non verrebbero affatto. Poiché sono liberi, quando vengono è perché a loro ciò aggrada.
Quando l'evocazione è fatta religiosamente e con raccoglimento; quando gli Spiriti sono chiamati, non per curiosità, ma per un sentimento di affetto e di simpatia, e con il desiderio sincero di istruirsi e di diventare migliori, non si vede che cosa ci sarebbe d'irriverente nel chiamare le persone dopo la morte piuttosto che quando sono ancora in vita. Ma c'è un'altra risposta perentoria a questa obiezione, ed è quella secondo cui gli Spiriti vengono liberamente e non per costrizione; vengono spontaneamente anche senza essere chiamati; testimoniano la loro soddisfazione nel comunicare con gli uomini e s i lamentano spesso dell'oblio in cui sono a volte lasciati. Se fossero disturbati nella loro quiete o fossero scontenti del nostro appello, essi lo direbbero oppure non verrebbero affatto. Poiché sono liberi, quando vengono è perché a loro ciò aggrada.
11. Si adduce anche un'altra
ragione: "Le anime — si dice — risiedono nella dimora che ha loro
assegnato la giustizia di Dio, cioè nell'inferno o nel paradiso". Così
quelle che sono all'inferno non ne possono uscire, benché ogni libertà a
questo riguardo sia lasciata ai demoni. Quelle che stanno in paradiso
sono completamente immerse nella loro beatitudine; esse sono troppo al
di sopra dei mortali per occuparsi di loro e troppo felici per ritornare
su questa terra di miseria a interessarsi di parenti e amici, che qui
hanno lasciato. Sono, dunque, queste anime come quei ricchi che
distolgono lo sguardo dai poveri per paura che ciò disturbi la loro
digestione? Se così fosse, ben poco degne esse sarebbero della felicità
suprema, che sarebbe in tal caso il premio dell'egoismo. Restano quelle
che sono in purgatorio; ma queste sono anime che soffrono e devono
pensare prima di tutto alla loro salvezza. Dunque né le une né le altre
possono venire, e allora è soltanto il diavolo che può presentarsi al
loro posto. Se dunque non possono venire, non c'è da aver paura di
turbare il loro riposo.
12. Ma qui si presenta
un'altra difficoltà. Se le anime che stanno nella beatitudine, non
possono lasciare la loro fortunata dimora per venire in soccorso dei
mortali, perché la Chiesa invoca l'assistenza dei santi, i quali,
proprio loro, devono gioire del massimo insieme possibile di
beatitudini? Perché la Chiesa dice ai suoi fedeli di invocarli nelle
malattie, nelle afflizioni e per preservarsi dalle sventure? Perché,
secondo la Chiesa, i santi e la Vergine stessa vengono a mostrarsi agli
uomini e a fare dei miracoli? Perché, dunque, essi lasciano il Cielo per
venire sulla Terra? Se questi, che si trovano nel più alto dei Cieli,
possono abbandonarlo, perché quelli che sono meno elevati non potrebbero
fare altrettanto?
13. Che i non credenti
neghino la manifestazione delle anime, questo ben si comprende dal
momento che essi non credono nell'anima; ma ciò che è strano è vedere
coloro, le cui credenze poggiano sulla sua esistenza e sul suo futuro, accanirsi contro quei mezzi che possono provare ch'essa esiste, e sforzarsi di dimostrare che ciò è impossibile.
Sembrerebbe naturale, invece, che coloro che hanno maggior interesse
alla sua esistenza accogliessero con gioia, e come un beneficio della
Provvidenza, i mezzi per turbare i negatori con delle prove
irrefutabili, poiché essi sono i negatori della religione. Costoro
deplorano senza tregua il dilagare della miscredenza, che decima il
gregge dei fedeli, e quando il più potente mezzo per combatterla si
presenta, essi lo respingono con un'ostinazione maggiore di quella degli
stessi non credenti. Poi, allorché le prove debordano al punto da non
lasciare più alcun dubbio, si fa ricorso, quale argomento supremo, al
divieto di occuparsene, e per giustificarlo si va a cercare un articolo
della legge di Mosè, al quale nessuno più pensava, e dove si vuole a
ogni costo vedere un'applicazione che non esiste. Si è così felici di
questa scoperta, che non ci si accorge neppure che quell'articolo è una
giustificazione della Dottrina Spiritista.
14. Tutti i motivi addotti
contro i rapporti con gli Spiriti non possono resistere a un attento
esame. Tuttavia dall'ostinazione con cui in questo senso si combatte, si
può dedurre che a tale questione è legato un grande interesse, senza il
quale non si impiegherebbe tanta insistenza. Nel vedere questa crociata
da parte di tutti i culti contro le manifestazioni, si direbbe che ne abbiano paura.
Il vero motivo potrebbe ben essere la paura che gli Spiriti, troppo
chiaroveggenti, vengano a illuminare gli uomini su quei punti che si
vuole lasciare nell'ombra, e a far loro conoscere esattamente in che
cosa consiste l'altro mondo e quali sono le vere condizioni per esservi felici o infelici.
È per questo che, come si dice a un bambino: "Non andare là, ché c'è il
lupo marinaro", così' si dice agli uomini: "Non chiamate gli Spiriti,
ché sono il diavolo". Ma si avrà un bel dire: se si impedisce agli
uomini di chiamare gli Spiriti, non si potrà impedire agli Spiriti di
venire agli uomini e togliere la lampada da sotto il moggio. [1]
Il culto che si dispiegherà nella verità assoluta non avrà nulla da temere dalla luce, perché la luce farà scoprire la verità, e il demonio non potrà prevalere sulla verità.
-------------------------
[1] Nota del traduttore: Togliere la lampada da sotto il moggio è espressione di origine biblica, che significa svelare una verità, una virtù o un pregio
Il culto che si dispiegherà nella verità assoluta non avrà nulla da temere dalla luce, perché la luce farà scoprire la verità, e il demonio non potrà prevalere sulla verità.
-------------------------
[1] Nota del traduttore: Togliere la lampada da sotto il moggio è espressione di origine biblica, che significa svelare una verità, una virtù o un pregio
15. Respingere le
comunicazioni d'oltretomba equivale a rifiutare il potente mezzo
d'istruzione che risulta dall'iniziazione della vita futura e dagli
esami che tali comunicazioni ci forniscono. Poiché, inoltre,
l'esperienza ci insegna il bene che si può fare distogliendo dal male
gli Spiriti imperfetti, aiutando coloro che soffrono a liberarsi della
materia e a migliorarsi, proibire tali comunicazioni equivale a privare
le anime disgraziate dell'assistenza che noi possiamo dar loro. Le
seguenti parole di uno Spirito riassumono in modo mirabile le
conseguenze dell'evocazione praticata con un fine caritatevole:
"Ogni Spirito sofferente e dolente vi racconterà la causa della sua caduta e le lusinghe dalle quali si è lasciato sopraffare; vi dirà delle sue speranze, delle sue lotte, dei suoi terrori; vi dirà dei suoi rimorsi, dei suoi dolori, delle sue disperazioni; vi mostrerà Dio, giustamente indignato, che punisce il colpevole con tutta la severità della Sua giustizia. Ascoltandolo, voi vi muoverete a compassione per lui e sarete presi da timore per voi stessi. Se, poi, lo seguirete nei suoi lamenti, voi vedrete che Dio non lo perde mai di vista, attendendo che il peccatore si penta, per protendergli le braccia non appena quello provi ad avanzare. Del colpevole, infine, voi vedrete i progressi, ai quali voi avrete la gioia e la gloria di aver contribuito; e voi li seguirete con sollecitudine, così come il chirurgo segue i progressi della ferita, ch'egli medica ogni giorno" (Bordeaux, 1861).
"Ogni Spirito sofferente e dolente vi racconterà la causa della sua caduta e le lusinghe dalle quali si è lasciato sopraffare; vi dirà delle sue speranze, delle sue lotte, dei suoi terrori; vi dirà dei suoi rimorsi, dei suoi dolori, delle sue disperazioni; vi mostrerà Dio, giustamente indignato, che punisce il colpevole con tutta la severità della Sua giustizia. Ascoltandolo, voi vi muoverete a compassione per lui e sarete presi da timore per voi stessi. Se, poi, lo seguirete nei suoi lamenti, voi vedrete che Dio non lo perde mai di vista, attendendo che il peccatore si penta, per protendergli le braccia non appena quello provi ad avanzare. Del colpevole, infine, voi vedrete i progressi, ai quali voi avrete la gioia e la gloria di aver contribuito; e voi li seguirete con sollecitudine, così come il chirurgo segue i progressi della ferita, ch'egli medica ogni giorno" (Bordeaux, 1861).